Impugnazione di riconoscimento e accertamento della propria paternità biologica

Francesco Bartolini
25 Novembre 2021

E' inammissibile l'azione di chi, deducendo la propria condizione di genitore biologico di una minore, ne impugna il riconoscimento effettuato dal marito della madre e chiede l'accertamento della sua paternità.
Massima

E' inammissibile l'azione di chi, deducendo la propria condizione di genitore biologico di una minore, ne impugna il riconoscimento effettuato dal marito della madre e chiede l'accertamento della sua paternità, sull'assunto che sia consentito al genitore naturale l'esercizio dell'azione prevista dall'art. 263 c.c. in tema di figli nati fuori dal matrimonio anche quando un figlio è nato in costanza di matrimonio tra la madre e un terzo ma è stato concepito prima di tale matrimonio. Ammettere un'azione siffatta condurrebbe all'inosservanza del principio in diritto per il quale non è ammesso nel nostro ordinamento l'accertamento incidentale di una questione di status.

Il caso

In primo e in secondo grado fu dichiarata inammissibile la domanda con la quale l'attore, sull'assunto della propria paternità biologica, aveva impugnato, per difetto di veridicità, il riconoscimento di paternità di una minore nata nel matrimonio tra la madre ed un altro uomo. La minore era stata formalmente riconosciuta come propria figlia dal marito della madre; con l'impugnazione si deduceva che il concepimento era avvenuto anteriormente all'altrui matrimonio e che, in forza di questa circostanza, il genitore naturale doveva esser ritenuto legittimato a far disconoscere l'avvenuto riconoscimento e a far accertare la propria paternità. L'assunto si fondava sulla particolare interpretazione assegnata all'art. 263 c.c. La norma consente a chiunque vi abbia interesse di opporsi al riconoscimento di figli nati fuori dal matrimonio; si sosteneva che la disposizione è applicabile anche alla specifica ipotesi di figli concepiti fuori dal matrimonio, pur se nati in costanza di matrimonio della madre con una terza persona. I giudici di merito hanno conformemente respinto questo modo di intendere la disposizione citata, sulla scorta di un consolidato orientamento giurisprudenziale che riserva l'ambito del citato art. 263 ai soli figli nati fuori dal matrimonio, come risulta dalla collocazione di detta norma nel contesto delle disposizioni codicistiche dedicate alla filiazione naturale.

La questione

Il ricorrente ha chiesto alla Corte di dichiarare ammissibile l'azione esercitata al fine di far dichiarare la propria condizione di padre naturale della minore concepita in un rapporto con la madre prima del matrimonio di costei con un terzo soggetto e ciononostante la minore fosse nata in costanza di quel matrimonio ed avesse assunto lo status di figlia «legittima» in forza del riconoscimento compiuto dal marito della madre. A sostegno della domanda il ricorrente deduce: a) di avere interesse a far accertare la sua paternità biologica e in proposito afferma che il richiesto accertamento non contravviene alcuna norma in tema di filiazione né risulta incompatibile con lo status di figlia legittima della minore in argomento; b) di essere legittimato all'esercizio dell'azione perché il disposto dell'art. 263 c.c. deve intendersi riferito non soltanto al nato fuori dal matrimonio ma anche al concepito prima del matrimonio che viene poi a nascere nel matrimonio della madre con altro soggetto; c) ne costituisce prova il testo dell'art. 244, ult. comma, c.c., che attribuisce la facoltà di sollecitare la nomina di un curatore speciale al minore, per l'esercizio dell'azione di disconoscimento, anche «all'altro genitore», senza specificare che questi deve necessariamente essere il marito della madre. Dopo le recenti riforme del diritto di famiglia, si afferma, non è più prospettabile la contrapposizione tra azioni di stato legittimo e azioni riferite alla filiazione naturale. E si ricorda che il riconoscimento non veridico configura la fattispecie di reato di cui all'art. 567 c.p., per difetto di veridicità, anche quando la madre del figlio nato da relazione adulterina dichiari nell'atto di nascita di averlo concepito con il proprio marito.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha fatto precedere le sue argomentazioni di rigetto da due precisazioni di ordine generale.

Per interpretazione consolidata, essa ha ricordato, gli artt. 269, comma 1, c.c. e 253 c.c. sono intesi nel senso che la paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate solo nei casi in cui è ammesso il riconoscimento e non anche per far risultare uno status diverso da quello goduto dal soggetto. Nel caso in cui sussista la condizione di figlio «legittimo», questa condizione è ostativa all'accoglimento della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità da parte di colui che assuma di essere il padre biologico senza essere il marito della madre. Deve, prima, essere rimosso lo status di figlio «legittimo», con accertamento avente efficacia erga omnes: la domanda di riconoscimento di paternità o maternità non può avere ingresso se l'azione di disconoscimento non è stata proposta e comunque non può avere accoglimento, in ipotesi di contemporanea pendenza del giudizio di disconoscimento, sino a quando la presunzione legale di legittimità della filiazione (art. 231 c.c.) sia venuta meno a seguito del vittorioso esperimento dell'azione di disconoscimento.

Ne segue, sempre a titolo di considerazione di principio, che chi asserisce la propria paternità biologica di un figlio nato nell'altrui matrimonio non ha titolo a proporre in via autonoma l'azione di disconoscimento di paternità e neppure può intervenire e partecipare a quel giudizio o proporre opposizione di terzo. A suo favore è disponibile un unico strumento di possibile iniziativa. L'art. 244 consente, oltre che al P.M., anche «all'altro genitore» di sollecitare il giudice alla nomina di un curatore speciale del minore infraquattordicenne perchè promuova l'azione di disconoscimento. E per «altro genitore» deve intendersi anche il genitore naturale. Ma in questa sollecitazione si esaurisce la legittimazione che l'ordinamento gli attribuisce.

Da queste premesse è derivata l'affermazione di correttezza delle pronunce di merito che ai sovra detti principi si erano attenute. La Corte ha aggiunto nella sua motivazione l'indicazione delle inesatte conseguenze che l'accoglimento della tesi sostenuta dal ricorrente avrebbe cagionato. L'assunto, oltre ad essere di per sé contrario al chiaro dettato degli artt. 269, comma 1, e 253 c.c., sarebbe risultato in contrasto con il principio di diritto per cui non è consentito l'accertamento in via incidentale di una questione di status: in tal senso dispongono gli artt. 3 c.p.p. e 8 d.lgs. 104/2010. Infatti, ove fosse stata ammissibile la prospettazione del ricorrente, ne sarebbe seguita nella vicenda di specie una pronuncia di accertamento incidentale su una questione di stato delle persone - cioè, sulla questione relativa alla condizione di figlia legittima nella minore cui si riferiva la vicenda - pregiudiziale rispetto all'oggetto principale della domanda – vale a dire, alla dichiarazione di paternità biologica. E questo risultato, oltre tutto, si sarebbe verificato ad iniziativa di un soggetto - l'asserito padre biologico - non legittimato a chiedere l'accertamento della sua paternità naturale attraverso l'azione di disconoscimento della paternità altrui.

Osservazioni

Nel caso esaminato dalla Corte di legittimità, il ricorrente impugnava l'altrui riconoscimento di paternità della minore di cui egli si dichiarava genitore biologico non soltanto per far dichiarare la non rispondenza a verità dell'atto ma anche e soprattutto per far accertare la propria condizione di genitore naturale. In ragione di questo duplice scopo, per avere successo l'azione esercitata avrebbe dovuto superare un ostacolo, in parte in fatto e in parte in diritto, che ne impediva in radice l'ammissibilità. Infatti, la minore era nata in costanza di matrimonio e per questo aspetto l'iniziativa sfuggiva all'ambito di applicazione delle norme che consentono il riconoscimento e la sua impugnazione alle sole fattispecie di filiazione fuori dal matrimonio. Inoltre, la minore aveva già un suo preciso status: quello di figlia del marito della madre. Una siffatta situazione impediva di esercitare azioni riferite a figli naturali che non avessero di mira preliminarmente la legittimità di quello status.

Per quanto concerne il menzionato ostacolo in fatto, va considerato che l'art. 263 c.c., nel riconoscere a chiunque vi abbia interesse l'impugnazione del riconoscimento, è collocato nel Capo IV, Titolo VII, Libro Primo, dedicato esplicitamente al riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio. Del resto, non avrebbe alcun senso ammettere il riconoscimento paterno di chi già nasce nel matrimonio, stante la presunzione di paternità disposta dall'art. 231 c.c. Ne risultava, quindi, che l'originario attore, poi ricorrente, non avrebbe potuto esercitare (nella forma dell'impugnazione) un'azione che ha per presupposto il riconoscimento di un figlio nato al di fuori di un matrimonio, se (come espressamente si riconosceva) la minore di cui si professava genitore era nata nel matrimonio altrui.

In diritto, invece, ostava al proposito attoreo il combinato disposto degli artt. 269, primo comma, e 253 c.c. La prima norma consente la dichiarazione in giudizio della paternità o della maternità nei (soli) casi in cui il riconoscimento è ammesso. La seconda disposizione esplicita il limite invalicabile al riconoscimento, estensibile per traslazione alla dichiarazione giudiziale: in nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova. Pertanto, l'attore, poi ricorrente, non avrebbe potuto esercitare una azione finalizzata a far dichiarare la propria paternità di una minore che già era stata dichiarata, ad ogni effetto, figlia di un'altra persona.

A quest'ultimo proposito va ricordato che la ratio delle norme citate risiede nell'esigenza di impedire la giustapposizione di status diversi, sì che la condizione di figlio nato nel matrimonio non può essere messa in discussione da un riconoscimento altrui o da una dichiarazione giudiziale ad esso equivalente. Occorre, se il figlio ha lo status di «legittimo», dapprima sconfessare questo suo status (nei limiti e nei modi consentiti) e successivamente agire per fargliene acquisire un altro. Sul punto dottrina e giurisprudenza concordano. Si vedano, a puro titolo di esempio, Sesta, Codice della famiglia, Milano, 2015, 63; Cass. civ., n. 17392/2018, Cass. civ., n. 1784/2012.

Per superare l'handicap in fatto e in diritto, nella vicenda di specie si è fatto riferimento ad una particolarità della vicenda che poteva funzionare come solutrice di ogni difficoltà. Era accaduto che la minore, punto di riferimento dell'azione, era stata (asseritamente) concepita prima del matrimonio della madre con una persona che, marito della madre, l'aveva riconosciuta come propria figlia. Questo concepimento ante matrimonio è stato fatto valere come situazione equivalente a quella di figlio naturale occorrente a consentire l'azione di disconoscimento e la sua impugnazione, secondo la generale disposizione di cui all'art. 263 c.c. Detta norma deve essere riferita (asseriva il ricorrente) anche al concepito fuori dal matrimonio pur se la nascita avvenga nel corso del matrimonio della madre con un terzo soggetto. E, si aggiunge, dopo le riforme della normativa sulla filiazione non esiste differenza da farsi tra filiazione naturale e quella legittima. Infatti, anche il mero genitore naturale ha facoltà di sollecitare la nomina del curatore speciale al minore infraquattordicenne perché si eserciti l'azione di disconoscimento. Dunque, anche il genitore che non è il marito della madre sarebbe legittimato ad agire direttamente per far risultare in giudizio la sua paternità attraverso l'impugnazione dell'altrui riconoscimento.

Ed ecco, allora, il vero contenuto di novità della pronuncia in esame. Esso consiste nel rigetto delle argomentazioni imperniate sulla dedotta circostanza del concepimento avvenuto in epoca prematrimoniale quale situazione equiparabile negli effetti giuridici alla nascita fuori dal matrimonio. Soltanto un tale assunto poteva porre all'esame dei giudici un aspetto suscettibile di una revisione dell'orientamento dottrinario e giurisprudenziale di impedimento all'azione che si intendeva esercitare. La Corte ha risposto in proposito con sintetiche considerazioni di indubitabile fondamento. Sul punto essa ha evidenziato che il vero contenuto della domanda del ricorrente era costituito dalla decisione con effetti incidentali di una questione pregiudiziale di status. E ha ricordato che sin dalla pronuncia di Cass. 1515/1966 si è riconosciuto che il nostro ordinamento non consente un siffatto genere di accertamenti in via incidentale riferiti a questioni che richiedono pronunce con efficacia erga omnes. In tal senso (all'epoca della decisione citata) disponevano già l'abrogato codice di procedura penale, il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato e i testi unici delle leggi sulle giunte provinciali amministrative; e dispongono attualmente gli artt. 3 nuovo c.p.p. e 8 d.lgs. 104/2010. In questo stesso senso si è pronunciata tutta la giurisprudenza, sino ad oggi: Cass. civ., sez. un., n. 1615/1969; Cass. civ., n. 220/1980; Cass. civ., n. 194/1985…..Cass. civ., n. 2934/2012; Cass civ., n. 17392/2018. L'accoglimento della richiesta del ricorrente, di essere riconosciuto padre biologico della minore nata nel matrimonio altrui avrebbe dovuto passare per la preventiva dichiarazione di assenza della sua filiazione legittima.

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