La liquidazione dei compensi del CTU

Massimo Vaccari
26 Novembre 2021

Le spettanze degli ausiliari del magistrato sono disciplinate dall'art. 49 del d.P.R. 115/2002 che, con elencazione da ritenersi tassativa, stabilisce che spettano agli ausiliari l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico.
Le fonti normative regolanti la liquidazione

Le spettanze degli ausiliari del magistrato sono disciplinate dall'art. 49 del d.P.R. 115/2002 (testo unico delle spese di giustizia) che, con elencazione da ritenersi tassativa, stabilisce che spettano agli ausiliari l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico.

L'art. 50 T.U., come la normativa preesistente (art. 2 l. 319/1980), prevede la formazione di tabelle, sotto forma di decreto ministeriale, per stabilire la misura degli onorari, che è stata delegata al Ministero della giustizia, di concerto ora con il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Il comma 2 della norma succitata stabilisce anche le tabelle siano redatte facendo riferimento alle tariffe professionali esistenti, ma contemperando le stesse con la natura pubblicistica dell'incarico.

Ad oggi, le nuove tabelle ministeriali non sono state redatte.

Non possono infatti configurarsi come tali quelle di cui al d.m. 30 maggio 2002, che costituisce adeguamento delle tabelle già formate ai sensi dell'art. 2 della l. 319/1980, secondo l'art. 10 di quest'ultimo testo normativo (abrogato con decorrenza dall'1 luglio 2002, dunque ancora in vigore al momento dell'emanazione del succitato decreto).

Pertanto, come previsto dall'art. 275 T.U., sino all'emanazione del regolamento previsto dallo stesso art. 50 T.U., la «misura» (termine da interpretarsi in senso lato, comprensivo di tutta la disciplina preesistente in materia di spettanze agli ausiliari) degli onorari è regolata dalle tabelle, redatte in forza dell'art. 2 l. 319/1980, di cui al d.P.R. 352/1988 (per gli onorari fissi e variabili), e dall'art. 4 della l. 319/1980 (per gli onorari a tempo), con gli aggiornamenti apportati ad ambedue le fonti dal predetto d.m. 30 maggio 2002. L'operatività di quest'ultimo è garantita dall'art. 296, comma 1, T.U., per il quale i rinvii a disposizioni primarie e secondarie si intendono riferiti anche alle modificazioni delle stesse, pure successive all'entrata in vigore del T.U., salvo espressa esclusione del legislatore.

A norma dell'art. 54 T.U. l'adeguamento periodico delle tabelle avrebbe dovuto essere garantito, ogni tre anni, in relazione alla variazione accertata dall'Istat dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai nel triennio precedente. Tuttavia ad oggi nemmeno tale adeguamento è stato operato.

Sulla disciplina della liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice ha influito l'abrogazione delle tariffe professionali operata dall'art. 9 d.l. 1/2012, conv. in l. 27/2012, poiché per gli ausiliari diversi dal c.t.u., e perlomeno per gli incarichi proseguiti dopo l'entrata in vigore del succitato decreto, deve farsi riferimento ai parametri previsti dal d.m. 140/2012 e dai successivi regolamenti che hanno introdotto discipline specifiche a seconda dei diversi incarichi (soprattutto incarichi nelle procedure concorsuali)

I compensi spettanti ai c.t.u. sono invece liquidati sulla base dei criteri, dettati per l'appunto dal d.m. 30 maggio 2002, che non può ritenersi abrogato in seguito all'abrogazione delle tariffe professionali.

I criteri di liquidazione

Come la disciplina previgente, il T.U. stabilisce che gli onorari possono essere fissi, variabili o a tempo (art. 49 comma 2; per la disciplina previgente cfr. art. 1 e ss. l. 319/1980).

Gli onorari fissi determinano l'entità del compenso in misura invariabile, senza nemmeno far riferimento al valore della controversia, e sono previsti, di norma, in relazione ad accertamenti standardizzati (cfr. ad esempio la visita medico legale ai sensi dell'art. 20 d.m. 30 maggio 2002).

Laddove l'espletamento dell'attività preveda diverse possibili variabili, non tutte codificabili preventivamente, si ricorre al criterio degli onorari variabili, da calcolarsi tra un minimo e un massimo predeterminati ovvero in base a un indice percentuale per scaglioni, parametrato, ai sensi dell'art. 1 d.m. 30 maggio 2002, per la consulenza tecnica in ambito civile, al valore della controversia.

Questo va calcolato utilizzando il medesimo criterio previsto dall'art. 10 c.p.c. ai fini della competenza (Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2006, n. 24289 e, nei medesimi termini, Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2002, n. 3061 e Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2011, n. 22959).

Il criterio di liquidazione a tempo ha carattere residuale in quanto trova applicazione in tutte le ipotesi in cui, per la materia oggetto della consulenza, non è previsto dal regolamento un onorario ad hoc ovvero quando sia impossibile l'applicazione degli altri criteri.

La Cassazione (Cass. civ., sez. lav., 9 aprile 1998, n.3687) ha precisato che va esclusa l'applicazione del criterio di liquidazione fisso o variabile quando il valore della controversia, alla stregua dei criteri utilizzabili in materia di determinazione della competenza, sia indeterminabile.

In questo caso infatti manca la base di calcolo per l'applicazione delle percentuali di computo dei compensi fissi o variabili e occorre pertanto ricorrere al criterio residuale delle vacazioni.

Peraltro secondo la Suprema Corte sono di valore indeterminabile soltanto le cause aventi ad oggetto beni insuscettibili di valutazione economica e che ai fini in questione il giudice debba accertare il valore della causa, anche utilizzando gli accertamenti svolti dal medesimo c.t.u, la cui opera è chiamato a remunerare, ferma restando il suo potere-dovere di valutarne la congruità. (Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2011, n. 3024).

La Suprema Corte ha anche chiarito che la regola generale del riferimento al valore della domanda non trova applicazione nei casi previsti dalle disposizioni, contenute nelle stesse tabelle, le quali, per le indagini svolte in alcuni particolari settori, prescrivono criteri di calcolo diversi (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2005, n. 20874, con riguardo ad una ipotesi in cui al consulente era stata chiesta la valutazione di un intero patrimonio, includente opere di scultura, pittura e simili).

Un altro caso in cui è stata ammessa una deroga al principio del riferimento al valore della domanda è quello della liquidazione del compenso per il c.t.u. incaricato in un procedimento di accertamento tecnico preventivo che può esser calcolato a percentuale, e quindi non necessariamente a tempo o con onorario da un minimo ad un massimo, pur in mancanza di domanda su cui individuare il valore della controversia, perché il giudice può ritenere congruo quello indicato dal c. t.u. nella sua richiesta di liquidazione (Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1999, n. 3509).

Peraltro la Cassazione, ai fini che qui occupano, ha chiarito che sono di valore indeterminabile soltanto le cause aventi ad oggetto beni insuscettibili di valutazione economica mentre sono di valore indeterminato quelle in cui il valore della causa, non dichiarato dall'attore nell'atto introduttivo del giudizio, sia tuttavia determinabile sulla base dell'istruzione probatoria (Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 1985; Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2012, n. 3024). In questo secondo caso il giudice deve accertare il valore della causa, anche utilizzando gli accertamenti svolti dal medesimo c.t.u, la cui opera è chiamato a remunerare, potendo peraltro sindacare la correttezza della stima e, se del caso, ridurla.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO: tipologie di verifiche più frequenti e corrispondenti criteri di onorari variabili

In caso di CTU in materia di divisione con incarico di redigere un progetto divisionale: art. 3 del d.m. 30 maggio 2002.

Cass. civ., sez.II, 23 giugno 2016, n. 13038

In caso di CTU sulla capacità patrimoniale e finanziaria dei coniugi: art. 3 del d.m. 30 maggio 2002.

Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2013, n.24128

In caso di CTU avente ad oggetto la determinazione del corrispettivo del contratto di appalto: art. 12 del d.m. 30 maggio 2002.

Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2010, n.9849

In caso di CTU diretta a quantificare il tasso di interesse da applicarsi alle rate di un mutuo, deve aversi riferimento a rapporti bancari: art. 2 del d.m. 30 maggio 2002 e la base di calcolo va determinata facendo riferimento non all'intero ammontare del mutuo, ma agli importi oggetto di contestazione e per i quali è stata disposta la consulenza tecnica.

Cass. civ., sez. II, 4 novembre 2011, n.22959

Tutti gli onorari, ove non diversamente stabilito nelle tabelle, sono comprensivi della relazione sui risultati dell'incarico espletato, della partecipazione alle udienze e di ogni altra attività concernente i quesiti (art. 29 d.m. 30 maggio 2002).

Non è pertanto legittima una richiesta di compenso a vacazione per attività come l'accesso in tribunale o sui luoghi di causa, incontro di studio con le parti (salvo quanto si dirà più avanti sugli incontri destinati al tentativo di conciliazione), studio atti di causa, ricerche urbanistiche e catastali, redazione e collazione della relazione peritale poiché esse sono già nel remunerate con l'onorario ordinario, in quanto strettamente connesse con l'esecuzione dell'incarico.

Potrebbero invece avere una loro autonomia ed essere meritevoli di distinta retribuzione, i rilievi planimetrici e fotografici (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2012, n.18070).

Ancora, va precisato che nel caso in cui, dopo il deposito della relazione, vengano demandate al consulente tecnico indagini ulteriori, questi potrà ottenere il compenso per l'ulteriore attività che è chiamato a svolgere anche se gli sia stato liquidato il compenso per il precedente incarico, non potendo imputarsi all'ausiliare l'incompletezza dei quesiti originari.

Al contrario, qualora le indagini suppletive o integrative derivino dalla mancata o insufficiente risposta ai quesiti originari, non si ha un ampliamento dell'incarico originario e il consulente non può esigere nulla per una opera che sin dall'inizio avrebbe dovuto svolgere in modo completo (Trib. Bari, sez. III, 8 febbraio 2008, in Giurisprudenzabarese.it.).

La giurisprudenza ha anche precisato che «in relazione alla liquidazione del compenso in favore del consulente tecnico, i chiarimenti non costituiscono un'attività ulteriore ed estranea rispetto a quella, già espletata e remunerata, oggetto di consulenza, ma un'attività complementare, integrativa e necessaria, al cui compimento il c.t.u. può essere tenuto qualora gli venga richiesto (il che normalmente accade quando la relazione depositata non possa dirsi esaustiva), e di conseguenza in relazione ad essi non spetta un compenso ulteriore rispetto a quello già percepito per la consulenza tecnica» (Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2006, n. 4655).

L'art. 51 T.U., al comma 1, prevede che, se devono essere applicati gli onorari in misura variabile, il giudice deve determinare il compenso spettante all'ausiliario nei limiti minimo e massimo indicati nelle tabelle considerando la difficoltà, la completezza ed il pregio della prestazione fornita, attraverso una valutazione discrezionale che dovrebbe, per quanto succintamente, essere esposta nel decreto di liquidazione (la norma è conforme sostanzialmente all'art. 2, comma 2, l. 319/80.

Quando la quantificazione dei valori minimi e massimi è effettuata in relazione a scaglioni di valore, non si deve applicare l'unica aliquota corrispondente al valore oggetto dell'accertamento, ma quest'ultimo deve essere scomposto secondo gli scaglioni di valore previsti dalla tabella, in modo da applicare su ogni scaglione le corrispondenti percentuali.

Tutte le norme delle tabelle che prevedono la liquidazione a percentuale su scaglioni di valore contemplano un valore massimo.

Se il valore oggetto dell'accertamento supera lo scaglione massimo previsto dalle tabelle, nel silenzio del legislatore, si prospettano in astratto due possibili soluzioni: la prima consistente nell'applicare alla parte di valore eccedente lo scaglione massimo l'aliquota percentuale prevista per quest'ultimo; la seconda nel ritenere applicabile l'art. 52, comma 1, T.U., qualificando la prestazione come di eccezionale importanza. In una risalente pronuncia la Cassazione ha peraltro affermato che, ai fini della liquidazione dell'onorario a percentuale per consulenze tecniche aventi ad oggetto l'estimo di immobili, lo scaglione massimo configura un limite non superabile, pure quando la stima sia di fatto superiore a quest'ultimo (Cass. civ., 20 marzo 1996, n. 2378).

Qualora l'incarico conferito al consulente riguardi una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali comporti un accertamento autonomo, si pone il problema di stabilire se al c.t.u. spetti un solo compenso, calcolato cumulando il valore dei singoli accertamenti, comunque col tetto massimo previsto dalla legge, ovvero tanti compensi quanti sono gli accertamenti compiuti.

Al riguardo sono state individuate quattro distinte ipotesi (Rossetti, Il C.T.U (“l'occhiale del giudice”), Giuffrè, Milano, 2004 272-273).

La prima è quella degli accertamenti seriali ovvero quelli nei quali i quesiti posti al c.t.u. richiedano una pluralità di accertamenti tutti rientranti nella medesima voce di tabella, ma aventi ad oggetto più situazioni concrete.

Con riguardo ad essi la Cassazione (Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2001, n. 5608) ha operato un distinguo: nel caso in cui i vari accertamenti demandati al c.t.u. abbiano caratteristiche analoghe, per cui il c.t.u. debba effettuare operazioni ripetitive, l'importo su cui applicare il compenso a percentuale è quello risultante dal cumulo dei vari accertamenti; se invece gli accertamenti demandati al c.t.u. sono molto diversi tra loro, l'importo su cui applicare il compenso a percentuale è quello corrispondente ad ogni singolo accertamento, che abbia autonoma caratteristiche valutative. In questo caso, fermo restando il testo del massimo scaglione previsto per la tabella, il compenso globale sarà pari al risultato del compenso liquidato per i singoli accertamenti.

La seconda ipotesi è quella degli accertamenti accessori che si ha quando al c.t.u. è demandato un accertamento principale rientrante in una certa voce di tabella, per il cui espletamento si rendono però necessari accertamenti strumentali, rientranti in altra voce di tabella.

In questi casi si applica il principio dell'unitarietà dell'incarico, in virtù del quale il compenso dovuto al consulente comprende non solo la prestazione principale, ma anche tutte le prestazioni accessorie che si rendono necessarie per rispondere al quesito. Così, ad esempio, è stato affermato che l'incarico avente ad oggetto la predisposizione di un progetto divisionale e in funzione di tale risultato, la preventiva stima di un compendio immobiliare, costituito da beni, deve essere considerato non solo unitario ma unico.

Gli accertamenti sono invece autonomi quando vertano su ambiti di indagine tra loro nettamente distinti, come ad esempio l'incarico di accertare la sussistenza dei vizi di un'opera e di ricostruire la contabilità dei lavori. In questo caso al c.t.u. vanno liquidati compensi distinti atti per ciascuna delle attività svolte

Gli accertamenti si considerano invece assorbiti quando involgano materie previste dalle singole voci del d.m. che abbiano un rapporto di specialità, nel senso che la prestazione prevista da un articolo è anche necessariamente contemplata in un altro articolo. In questo caso il compenso per il c.t.u. sarà unico

Nel caso in cui al consulente siano demandate più valutazioni della stessa specie l'incarico va considerato come unitario ai fini della liquidazione.

In particolare, nel caso di stima di più immobili con valutazione degli stessi anche con riferimento ad epoche diverse, la Cassazione (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1991, n. 5858) ha ritenuto che debba essere liquidato un unico compenso a percentuale, determinato con riferimento al valore della controversia, e non un compenso per ognuna delle stime effettuate, anche nell'ipotesi in cui la pluralità di valutazioni sia afferente ai danni subiti da diversi immobili di distinti proprietari, rilevando soltanto la pluralità di valutazioni nella determinazione giudiziale del compenso tra la misura minima e massima fissata dalla legge.

Per converso se al c.t.u. sia richiesto di stimare beni con caratteristiche radicalmente diverse (Cass. civ., sez. II, 17 marzo 2016, n. 5325) o di rideterminare il saldo di distinti rapporti di conto corrente bancario (Cass. civ., sez. VI-2, 21 dicembre 2017, n.30720) la liquidazione può avvenire attraverso una applicazione cumulativa del criterio a percentuale previsto.

Nel caso in cui la consulenza richieda l'esame di una pluralità di bilanci, l'onorario va liquidato globalmente e non per singole annualità se, avuto riguardo alla natura dell'incarico conferito all'ausiliare, è unico il risultato finale da fornire al giudice (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2007, n. 7186 e, in termini analoghi anche Cass. civ., sez. VI, 22 aprile 2016, n. 8148).

Invece, nel caso che non sia ravvisabile una sostanziale unicità dell'incarico nelle plurime valutazioni ed attività affidate al consulente, come quando il consulente ponga in essere un'attività diversa e non strumentale rispetto a quella in forza della quale viene effettuata la liquidazione, è legittimo procedere a distinte valutazioni per le differenti prestazioni effettuate dall'ausiliare (Cass. civ., sez. I, 23 settembre 1994, n. 7837, nella quale la Corte ha ritenuto legittima la liquidazione effettuata cumulando quanto dovuto per la perizia relativa alla stima di immobili con la liquidazione a vacazioni dell'attività di redazione di planimetrie, considerando quest'ultima come attività non strettamente strumentale alla prima).

Il criterio della liquidazione tabellare è cumulabile con quello delle vacazioni nel caso in cui, in risposta ai quesiti sottoposti al consulente, siano state compiute plurime attività che prevedano uno o diversi criteri di liquidazione tabellare e altre che siano prive di riferimento a qualsiasi parametro tabellare e rispetto alle quali appare illogica e quindi non percorribile una estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione sicché rispetto ad esse si rende necessaria la liquidazione a vacazioni (Cass. civ., sez. VI, 22 aprile 2016, n. 8148).

Per quanto riguarda gli onorari a tempo, come già accennato, l'art. 50, comma 3, T.U., detta i criteri che le emanande tabelle dovranno applicare.

In ogni caso, allo stato e in attesa dell'attuazione del disposto normativo di cui all'art. 50 T.U. mediante l'emanazione delle tabelle ivi previste, non vi è dubbio sulla residualità del criterio di calcolo degli onorari in base al tempo, considerato il disposto, oltre che del già richiamato art. 4 l. 319/1980, dell'art. 1 delle tabelle di cui al d.m. 30 maggio 2002 (Cass. civ. sez. II, 23 luglio 1999, n. 17333, Cass. civ. sez. II, 28 luglio 2010, n.17685).

Nella pratica si pone sovente il problema della possibilità di ricorrere alla liquidazione a tempo, secondo il criterio delle vacazioni, pur in presenza di prestazioni che potrebbero astrattamente rientrare nell'ambito della previsione delle tabelle, al fine di adeguare il compenso all'attività svolta dall'ausiliare.

In particolare, con riferimento alla c.t.u. medica, il d.m. 30 maggio 2002 prevede, all'art. 20, onorari in misura fissa per la perizia in materia medico-legale, nel caso di immediata espressione del giudizio raccolta a verbale, e onorari in misura variabile tra un minimo e un massimo predeterminati (che va da euro 48,03 a euro 145,12 per visite medico-legali, e da euro 116,20 a euro 387,86 per accertamenti su cadavere), mentre l'art. 21 dello stesso d.m. prevede per la consulenza tecnica avente ad oggetto accertamenti medici, diagnostici, identificazione di agenti patogeni, riguardanti la persona, un onorario da euro 48,03 a euro 290,77.

La Cassazione ha chiarito che detti criteri sono applicabili esclusivamente agli accertamenti aventi ad oggetto lo stato di salute della persona, mentre «ove la consulenza abbia avuto ad oggetto la verifica della correttezza, secondo le regole della scienza medica, dell'operazione chirurgica cui è stata sottoposta una delle parti, tale indagine ha una sua propria specificità, per cui in tal caso, mancando un'apposita previsione in tabella, il giudice può legittimamente fare ricorso al criterio fondato sulle vacazioni» (Cass. civ. sez. II, 25 novembre 2011, n. 24992).

Pertanto, secondo la Suprema corte, è possibile ricorrere al criterio delle vacazioni, anziché quello a percentuale, non solo quando manca una specifica previsione della tariffa, ma altresì quando, in relazione alla natura dell'incarico ed al tipo di accertamento richiesti dal giudice, non sia logicamente giustificata e possibile un'estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione secondo il criterio della percentuale.

L'utilizzo di tale criterio rispetto all'espletamento di consulenze mediche complesse nei giudizi di responsabilità professionale del medico, poiché permette di considerare la consulenza tecnica resa in un giudizio di responsabilità professionale conseguente ad un intervento chirurgico come avente un oggetto diverso e più esteso di quello dell'accertamento dello stato attuale di salute. Esso consiste infatti nella valutazione dell'attività medica e della cura erogata al paziente e la sua rispondenza ai principi tecnico-scientifici e di diligenza che sovrintendono l'esercizio della relativa professione, sicché non può essere ricondotta, nemmeno in forza dell'analogia, alla consulenza medica diagnostica cui si riferisce la previsione tabellare.

La sentenza ha affermato un principio che può essere esteso in via generale alla liquidazione delle consulenze tecniche nei giudizi di responsabilità professionale del medico, così da superare il problema dell'inadeguatezza del compenso previsto dagli artt. 20 e 21 d.m. 30 maggio 2002, evitando che l'applicazione dei criteri tabellari comporti una liquidazione eccessivamente penalizzante per il professionista e una ingiustificata sperequazione fra retribuzioni professionali e giudiziali che abbiano ad oggetto attività analoghe, con conseguente perdita di qualità degli ausiliari del giudice.

Con riferimento al rapporto tra liquidazione ex art. 11 e liquidazione ex art. 12 d.m., la Corte ha escluso la possibilità di applicare in via analogica la norma dell'art. 12 d.m. 30 maggio 2002, ritenendo che si tratti di norma speciale rispetto all'art. 11 stesso decreto, per cui se l'indagine affidata all'ausiliare non è limitata a operazioni di mero controllo o verifica, ma si estende ad altri tipi di accertamenti, il criterio di liquidazione è quello fissato in via generale dall'art. 11 (Cass. civ. sez. II, 18 settembre 2009, n. 20235).

Il T.U., come già la l. 319/1980, prevede due ipotesi di aumento degli onorari.

La prima, prevista dall'art. 51, comma 2, si applica solo agli onorari fissi e variabili, allorché l'autorità giudiziaria dichiari, con provvedimento motivato, l'urgenza dell'adempimento affidato al consulente, fissando, per il compimento, un termine inferiore a quello ordinariamente ritenuto necessario. In tal caso l'onorario liquidato dal giudice può essere aumentato fino al venti per cento.

Nonostante la norma sembri richiedere un provvedimento ad hoc del giudice l'urgenza dell'accertamento può essere desunta anche dalle caratteristiche del giudizio in cui viene disposto, ad esempio perché di natura cautelare, a condizione che si ritenga la c.t.u. compatibile con tale tipo di giudizio.

La giurisprudenza ha poi giustamente escluso che possa riconoscersi l'aumento per l'urgenza allorquando si verta in ipotesi di deposito dell'elaborato in un termine «prorogato», cioè concettualmente non coincidente con quello originario, rispetto al quale solo può porsi ragionevolmente una questione di «urgenza» (Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2009, n. 7093).

La seconda ipotesi, prevista dall'art. 52, comma 1, si applica a tutti i tipi di liquidazione dell'onorario e ricorre qualora l'incarico affidato al consulente comporti una prestazione di eccezionale importanza, complessità e difficoltà, caso in cui gli onorari possono essere aumentati fino al doppio. La ratio della disposizione è quella di apprestare una retribuzione adeguata a prestazioni che, per la presenza di un qualche elemento di eccezionalità, risulterebbero non sufficientemente compensate in base ai criteri ordinari di liquidazione.

L''uso della congiunzione «e» può indurre a ritenere che l'aumento sia possibile solo quando la prestazione abbia tutte le caratteristiche sopra citate mentre secondo un'altra lettura sufficiente la presenza anche di una sola di esse.

I presupposti per il riconoscimento dell'aumento sono stati chiariti da tempo dalla Suprema Corte nei termini riportati nel riquadro sottostante.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO: presupposti per il riconoscimento dell'aumento del compenso del CTU

In tema di compensi spettanti a periti e consulenti tecnici a norma degli artt. 50 e segg. del d.P.R. 115/2002, la determinazione dei relativi onorari costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, e pertanto, se contenuta tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non è soggetta al sindacato di legittimità, se non quando l'interessato deduca la violazione di una disposizione normativa oppure un vizio logico di motivazione, specificando le ragioni tecnico giuridiche secondo le quali debba ritenersi non dovuto un certo compenso oppure eccessiva la liquidazione.

Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2014, n. 27126

Al giudice è consentito, ai sensi dell'art. 52 d.P.R. 115/2002, l'aumento degli onorari del consulente fino al doppio dell'importo massimo, quando costui abbia posto in essere prestazioni eccezionali; prestazioni cioè che, pur non presentando aspetti di unicità o di assoluta rarità, risultino comunque avere impiegato l'ausiliario in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà. Tale riconoscimento impone tuttavia congrua e specifica motivazione.

Cass. civ., sez. II, 18 novembre 2019, n. 29876

La possibilità di aumentare fino al doppio i compensi liquidati al consulente tecnico d'ufficio, prevista dall'art. 5 l. 8 luglio 1980 n. 319, costituisce oggetto di un potere discrezionale attribuito al giudice, che lo esercita mediante il prudente apprezzamento di pertinenti elementi di giudizio, quali l'oggetto ed il valore della controversia, la natura e l'importanza dei compiti di accertamento in fatto, il tempo e l'impegno profusi dall'ausiliare giudiziale.

Cass. civ., Sez. II 18 marzo 2007, n.6414

Secondo la Cassazione, fermo restando l'obbligo di motivazione nel caso di esercizio del suddetto potere di aumento, il cui difetto è sindacabile in sede di legittimità, nell'eventualità del suo omesso esercizio (e, perciò, di istanza non accolta), la natura prettamente discrezionale del potere esclude la necessità di una specifica motivazione, dovendosi ritenere implicita una valutazione negativa dell'opportunità di avvalersene, con conseguente sottrazione a qualsiasi titolo al sindacato di legittimità (Così Cass. civ. sez. II, 18 marzo 2007, n. 6414; Cass. civ. sez. II, 17 maggio 2010, n. 12027).

Secondo l'art. 52, comma 2, T.U., se l'ausiliario non compie la prestazione entro il termine originario o prorogato, per gli onorari a tempo o a vacazione non si tiene conto, ai fini della liquidazione del compenso, del periodo successivo alla scadenza del termine mentre gli onorari fissi o variabili sono ridotti di un terzo.

La riduzione di un terzo, quindi, opera solo nella ipotesi di onorario determinato secondo tariffa, mentre sia nel caso cli quantificazione a tempo che in ipotesi di calcolo a vacazione può soltanto operarsi lo scomputo delle prestazioni eseguite successivamente alla scadenza (così espressamente (Cass. civ. sez. II 12 febbraio 2020, n. 3464), laddove il consulente tecnico abbia depositato la propria relazione peritale senza rispettare il termine stabilito dal giudice.

La Cassazione recentemente (Cass. civ. sez. II, 10 settembre 2019, n. 22621) ha anche precisato che la decurtazione degli onorari di un terzo prevista per gli onorari fissi o variabili è sottratta al potere di graduazione del giudice, dovendo trovare applicazione nella misura fissa predeterminata dal legislatore anche in caso di ritardo minimo nel deposito della relazione, soluzione che però appare obiettivamente iniqua.

La norma in esame è utile anche a disciplinare la proroga del termine concesso per l'espletamento dell'opera dell'ausiliare, ricavandosi da essa che questa, da richiedersi prima della scadenza del termine originario, ai sensi dell'art. 154 c.p.c., può essere concessa solo in caso di circostanze sopravvenute al conferimento dell'incarico e non imputabili all'ausiliario.

Infine, l'art. 53 T.U. stabilisce i criteri di liquidazione da adottare nell'ipotesi di conferimento di incarico ad un collegio di ausiliari, prevedendo che il compenso globale sia determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, a meno che il magistrato abbia disposto che ognuno degli incaricati debba svolgere personalmente, o per intero, l'incarico affidatogli.

Tale aumento, secondo un indirizzo giurisprudenziale (sul punto sia pure implicitamente Cass. pen., sez. III, 1 aprile 2009, n, 18356), non è cumulabile con quello per le prestazioni di eccezionale importanza di cui all'art. 52, comma 1, d.P.R. 115/2002, essendo i due criteri tra loro alternativi.

Se nel provvedimento di nomina non sia stato precisato se l'incarico era collegiale ovvero plurimo, il dubbio va risolto tenendo presente che la collegialità costituisce la regola e pertanto non va necessariamente esplicitata al momento del conferimento dell'incarico.

Una deroga a tale criterio era stata introdotta dall'art. 15, comma 4, della l. n. 24/2017 (c.d. legge Gelli-Bianco) che aveva stabilito che nelle controversie di responsabilità sanitaria l'incarico è conferito al collegio e che, nella determinazione del compenso globale, non si applicasse il predetto aumento.

Orbene, con la sentenza n. 102/2021 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di tale norma ritenendola in contrasto con l'art. 3 Cost.,sulla base della condivisibile considerazione che, «a fronte dell'introduzione, nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, del principio di necessaria collegialità a presidio della correttezza dell'indagine peritale, non trova giustificazione la scelta del legislatore di determinare l'onorario globale spettante al collegio in misura pari a quella che verrebbe riconosciuta in caso di conferimento di incarico al singolo».

In evidenza

Né il t.u.s.g. né il d.m. 30 maggio 2002 prevedono dei criteri specifici per la determinazione del compenso da riconoscersi al c.t.u. per l'attività conciliativasvolta su incarico del giudice, da ritenersi implicita nella nomina in un procedimento ex art. 696-bis c.p.c., a differenza di quanto accade per l'avvocato, cosicchè, qualora essa non conduca ad un esito positivo (se la causa si conclude invece con un accordo transattivo in esso sarà anche concordata l'entità del compenso del ctu), non resta che utilizzare il criterio residuale delle vacazioni.

Esso però non è remunerativo cosicchè la sua applicazione può disincentivare il c.t.u. dall'impegnarsi in quel tipo di attività se non intraveda in breve tempo delle concrete prospettive conciliative.

Indennità e spese

Secondo l'art. 49 T.U. agli ausiliari del magistrato spettano, oltre all'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio ed il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico.

L'art. 55 T.U. equipara gli ausiliari del giudice, ai fini della liquidazione dell'indennità di viaggio e di soggiorno, ai dipendenti statali dirigenti di seconda fascia del ruolo unico, fatta salva la maggiore indennità spettante all'ausiliario dipendente pubblico.

Pertanto al consulente tecnico che, per l'esecuzione dell'incarico, debba trasferirsi fuori della propria residenza, si applicano le disposizioni della l. 417/1978 concernenti l'indennità di trasferta che spetta ai dipendenti pubblici in caso di missione.

L'indennità va liquidata in aggiunta all'onorario ed alle spese e costituisce un compenso per la maggiore gravosità che comporta l'adempimento di un incarico al di fuori del proprio luogo di residenza.

Qualora il giudice si avvalga del potere di scegliere il consulente fra quelli iscritti negli albi di un altro tribunale (della stessa o di una diversa corte d'appello), al medesimo deve riconoscersi, con l'indennità di trasferta, anche il rimborso delle spese per i necessari trasferimenti fuori della circoscrizione del tribunale presso il quale è iscritto, da liquidarsi secondo i parametri generali (Cass. civ., sez. I, 27 aprile 1985, n. 2743).

Secondo il disposto dell'art. 55, comma 2, T.U., il rimborso delle spese di viaggio, anche in assenza di una specifica documentazione a sostegno, va concesso in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, escluso il servizio aereo.

L'utilizzo di quest'ultimo, come quello di mezzi «straordinari» è rimborsato solo se preventivamente autorizzato da parte del magistrato. Anche l'uso della propria autovettura da parte del consulente va considerata come mezzo «straordinario» e quindi preventivamente autorizzato (previa istanza, accompagnata dalla consueta assunzione di ogni responsabilità ed esonero dell'amministrazione e del magistrato).

Non è invece necessario che il consulente presenti documentazione giustificativa, in quanto la liquidazione della relativa spesa è effettuata in base ad un'indennità chilometrica ragguagliata ad un quinto del prezzo della benzina super vigente al tempo in cui è stata effettuata la prestazione (art. 8 l. 417/1978).

Sul punto si veda Cass. civ. sez. VI, 18 settembre 2015, che ha escluso la necessità del corredo di documentazione giustificativa dei costi di trasporto ove lo studio professionale o la residenza del consulente non siano nelle vicinanze dell'ufficio giudiziario o degli altri luoghi in cui l'ausiliare si debba recare a cagione dell'incarico, potendosi, in tal caso presumere la spesa

E' invece necessaria la documentazione giustificativa ai fini del rimborso del pedaggio autostradale a cui il consulente ha diritto in aggiunta alla indennità chilometrica (art. 8, comma 5, l. 417/1978).

Per le altre spese affrontate, l'art. 56 T.U. stabilisce che gli ausiliari devono presentare una nota specifica, allegando la documentazione relativa, sulla base della quale il magistrato accerta le spese sostenute ed esclude dal rimborso quelle ritenute non necessarie, salvo che per le spese che non richiedono fatturazione o ricevuta fiscale, perché insite nella prestazione dell'elaborato (Cass. civ., sez. VI, 18 settembre 2015, che ha escluso la necessità del corredo di documentazione giustificativa per la spesa per carta, inchiostro e materiale di cancelleria).

Pertanto le spese sostenute per l'espletamento dell'incarico, pur non dovendo essere preventivamente autorizzate dal giudice, sono rimborsabili solo se quest'ultimo accerta la loro necessità, e nei limiti di quest'ultima.

La prestazione del consulente tecnico, nominato dal giudice civile fra i professionisti iscritti negli appositi albi professionali, integra servizio espletato nell'esercizio abituale di lavoro autonomo, secondo la previsione dell'art. 5 del d.P.R. 633/1972 (e successive modificazioni) istitutivo dell'i.v.a., e, pertanto, lo obbliga a versare allo Stato detta imposta sul compenso liquidatogli, con rivalsa, ai sensi dell'art. 18 di detto decreto, nei confronti del soggetto a cui carico il giudice pone l'anticipazione del relativo onere (Cass. civ., sez. I, 27 marzo 1987, n. 2997).

Nel caso che l'ausiliare svolga lavoro dipendente il compenso, invece, non è assoggettabile all'i.v.a.

Per il consulente iscritto negli albi professionali, vige anche l'obbligo del versamento dei contributi alla cassa previdenziale sul compenso liquidato per l'adempimento dell'incarico, con diritto, in questo caso, di rivalsa parziale nei confronti del soggetto a carico del quale il giudice ha posto l'onere di anticipazione o il carico definitivo delle spese processuali.

Spese per l'utilizzo di altri prestatori d'opera

L'art. 56, commi 3 e 4, T.U. prevede che, se gli ausiliari sono stati autorizzati dal magistrato a servirsi di altri prestatori d'opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle degli onorari degli stessi ausiliari.

Peraltro se le prestazioni demandate agli ausiliari implichino una elaborazione tecnica ed intellettuale autonoma e abbiano quindi una loro autonomia rispetto all'incarico affidato, il magistrato è tenuto a conferire a tali soggetti autonomo incarico, eventualmente nelle forme dell'incarico collegiale.

Se invece l'ausiliare nominato necessiti di un supporto meramente strumentale, di contenuto materiale ed esecutivo rispetto all'attività demandatagli, e privo di giudizio tecnico, il magistrato si può limitare ad autorizzarlo a servirsi di un collaboratore, di regola scelto dallo stesso ausiliare, con la conseguenza che l'operato del collaboratore sarà ascrivibile al c.t.u. sotto ogni aspetto giuridico, ed il suo compenso sarà determinato secondo le medesime tabelle dettate dal T.U. per gli ausiliari configurandosi come una «spesa» sostenuta dal c.t.u. (Cass. civ., sez. II, 11 giugno 2008, n. 15535).

Pertanto, il collaboratore, per l'opera svolta, è creditore esclusivamente dell'ausiliare, non essendo legittimato a chiedere ed ottenere direttamente dal magistrato la liquidazione delle proprie spettanze, che verranno determinate esclusivamente a seguito della liquidazione degli onorari e delle spese del c.t.u., sia pure secondo le tabelle per la determinazione dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell'autorità giudiziaria (d.m. 30 maggio 2002).

La spesa rappresentata dalle spettanze del collaboratore dell'ausiliare può essere rimborsata al c.t.u. solo se il magistrato abbia preventivamente autorizzato l'utilizzo del primo (così Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2006, n. 7499).

Può al contempo escludersi l'efficacia di una ratifica ex post alla luce del disposto del comma 2 dell'art. 56 T.U. che, con la locuzione «se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi…» sembra fare riferimento ad una autorizzazione preventivamente concessa.

Infine, posto che l'uso di un collaboratore del c.t.u., in considerazione del principio della personalità dell'incarico, trova un limite invalicabile nell'impossibilità del consulente d'ufficio di procedere all'affidamento all'ausiliare del compito di esperire tutte le indagini a lui commissionate o di rispondere al quesito formulato dal giudice, la giurisprudenza ha precisato che, qualora i collaboratori del c.t.u. abbiano in ipotesi svolto l'intera attività necessaria per l'espletamento dell'incarico, il consulente d'ufficio non può pretendere l'intero rimborso di quanto da lui corrisposto ai collaboratori, ma il compenso dovuto a questi ultimi deve essere proporzionato all'attività consentita e non a quella effettivamente svolta (Cass. civ., sez. I, 7 luglio 1981, n. 4435).

Ancora, va segnalato che il rimborso delle attività svolte dai prestatori d'opera di cui il consulente tecnico d'ufficio sia stato autorizzato ad avvalersi va effettuato applicando le medesime tabelle con cui si determina la misura degli onorari del consulente medesimo, attesa la natura di «munus publicum» che caratterizza l'incarico assegnato a quest'ultimo, del quale il professionista ausiliario non può ignorare l'esistenza e che, inevitabilmente, si riflette anche sul suo rapporto con il consulente (Cass. civ., sez. II, 21 settembre 2017, n. 21963).

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