Finanziamenti dei soci nell'ambito del concordato preventivo

26 Novembre 2021

La disciplina dei finanziamenti dei soci in esecuzione di un concordato è ancora oggi contenuta, in attesa dell'entrata in vigore del CCI, nell'art. 182-quater L.F.. Parallelamente, l'art. 182-quinquies l.fall. regola i finanziamenti interinali, ma diversamente dall'art. 182-quater, la norma non contiene alcuna disposizione che contempli specificatamente l'apporto finanziario dei soci. Viene approfondito il tema sia con riferimento alla disciplina contenuta nella legge fallimentare - evidenziando alcune questioni ancora insolute – sia con riguardo al CCI, che, pur non essendo ancora entrato in vigore, è dato già scorgere una prima incidenza della disciplina che esso introdurrà.
Introduzione

La disciplina dei finanziamenti dei soci in esecuzione di un concordato è ancora oggi contenuta – in attesa del Codice della Crisi dell'impresa, la cui entrata in vigore è stata recentemente differita al prossimo 15 maggio 2022 –nell'art. 182-quater della legge fallimentare.

In breve, il comma 3 dell'art. 182-quater l.fall. – in combinato disposto con i primi due commi del medesimo articolo – prevede che, in deroga alla disciplina civilistica prevista per le srl all'art. 2467 c.c., sono prededucibili fino alla concorrenza dell'80% i finanziamenti in qualsiasi forma effettuati dai soci in esecuzione di un concordato preventivo (disciplinati in generale, per qualsiasi altro soggetto finanziatore, dal comma 1 dell'art. 182-quater l.fall.), ovvero i finanziamenti erogati dai soci in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo (cd. finanziamenti-ponte, disciplinati in generale dal comma 2 dell'art. 182-quater l.fall.), se previsti dal piano e purché la prededuzione sia espressamente disposta dal provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo.

Parallelamente, l'art. 182-quinquies l.fall. disciplina i finanziamenti interinali – cioè gli apporti finanziari (dichiarati anch'essi prededucibili) all'impresa in crisi che abbia chiesto l'ammissione al concordato preventivo – che un professionista indipendente attesti come “funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori” sino all'omologazione del concordato preventivo. Per tale forma di finanziamenti, tuttavia, l'art. 182-quinquies l.fall., diversamente dall'art. 182-quater l.fall., non contiene alcuna disposizione che contempli specificatamente l'apporto finanziario dei soci: di qui il dubbio, sorto in dottrina e in giurisprudenza, se anche questi ultimi godano del regime della prededucibilità di cui al comma 3 dell'art. 182-quater l.fall., ovvero debba applicarsi la disciplina civilistica di cui all'art. 2467 c.c.

La disciplina civilistica dei finanziamenti dei soci di srl

Come ampiamente noto, la partecipazione finanziaria dei soci alle società di capitali non si esaurisce unicamente nella disciplina dei conferimenti, ma si esplica in operazioni e forme di intervento diversificate, come quella dei finanziamenti dei soci, quali i versamenti effettuati a copertura di perdite (presenti e future) o in conto aumento capitale.

Si tratta di una tecnica di finanziamento permessa dalla disciplina delle società di capitali, volta a consentire la massima apertura verso l'acquisizione di apporti finanziari anche “atipici” e che spesso si lega al fenomeno di sottocapitalizzazione delle società di capitali: in tal modo si procura liquidità a queste ultime concedendo tuttavia al socio un diritto alla restituzione del finanziamento più sicuro di quanto non sia il conferimento a titolo di capitale di rischio.

Già da questa prima considerazione appare evidente come tale tecnica di finanziamento – soprattutto nel contesto di una S.r.l. – possa costituire la fonte di un latente conflitto di interessi tra soci-finanziatori e gli altri creditori sociali: i primi infatti, per il loro inserimento nella compagine sociale, sono posti nella migliore condizione per soppesare lo stato finanziario della società e per valutare la forma del proprio apporto finanziario, eventualmente preferendo – in situazione di crisi – un intervento in capitale di debito piuttosto che di rischio, in modo tale da concorrere per il rimborso del finanziamento con gli altri creditori sociali che, al contrario, non potrebbero vantare nessuna pretesa su liquidità che non sia entrata nel patrimonio sociale a tale titolo di capitale di rischio.

Per correggere tale effetto distorsivo della proliferazione dei finanziamenti dei soci, la riforma del diritto societario operata con d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ha regolato la materia, inserendo nel codice civile la previsione dell'art. 2467 (insieme all'art. 2497-quinquies, c.c., dedicato specificatamente ai finanziamenti infragruppo), il quale stabilisce al primo comma, che: “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”.

La postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. è dunque volta a prestare tutela ai terzi creditori, disincentivando il comportamento del socio che, conoscendo o potendo conoscere lo stato di crisi finanziaria della società, decida di sostenerla economicamente – al di fuori di qualunque soluzione concordataria – con una tecnica di finanziamento non adeguata.

I presupposti di operatività della postergazione e della “restituzione” del rimborso del finanziamento erogato dai soci è individuato dal secondo comma in un duplice ordine di condizioni, che devono essere accertate come sussistenti – in considerazione del tipo di attività svolta in concreto dalla società – al momento in cui il finanziamento è stato erogato: che risulti cioè “un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, ovvero che la società versi in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

Al di là della variegata casistica giurisprudenziale che è dato rinvenire, può generalmente affermarsi che tale presupposto coincida con una declinazione, specificatamente applicata alle società, di quella condizione di crisi che – per usare le parole impiegate dal CCI all'art. 2, comma 1, lett. a) – si sostanzia in uno “stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

Una delle questioni maggiormente dibattute in passato in riferimento all'art. 2467 c.c. è se esso codificasse un principio generale sul finanziamento delle società che potesse trovare applicazione – oltre che alle società a responsabilità limitata, nel cui ambito la disposizione è collocata – anche alle altre società di capitali e, in particolare a quelle per azioni.

Come si è visto, l'art. 2467 c.c. non mette totalmente al bando i finanziamenti erogati dai soci, i quali possono anzi rappresentare uno strumento importante nella gestione anticipata negoziale della crisi, in particolare nel contesto di un concordato preventivo (specialmente se in continuità), trattandosi della modalità più tempestiva e conveniente per reperire nuova finanza nel mercato creditizio. Ferma dunque restando la postergazione dei finanziamenti dei soci sorti prima del concordato preventivo, il legislatore ha progressivamente previsto una disciplina derogatoria dei finanziamenti dei soci delle imprese in crisi nell'ambito del concordato preventivo, in una fase dove risultano largamente colmate le asimmetrie informative che giustificano la previsione di cui all'art. 2467 c.c.

E' dunque alla regolamentazione speciale dettata in materia di crisi di impresa che bisognerà prestare attenzione per delineare, nella sua interezza, la disciplina dei finanziamenti dei soci.

I finanziamenti (in particolare quelli dei soci) nelle società in crisi in base all'attuale legge fallimentare: finanziamenti in esecuzione, finanziamenti funzionali e finanziamenti interinali

La disciplina di riferimento in materia di finanziamenti dei soci nell'ambito di un concordato preventivo risulta ancora oggi collocata all'art. 182-quater L.fall. : dopo aver previsto nei primi due commi la prededucibilità dei “crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione di un concordato preventivo” (cd. finanziamenti in esecuzione ai sensi del comma 1 dell'art. 182-quater) e dei “crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo” (cd. finanziamenti funzionali o finanziamenti-ponte ai sensi del comma 2 dell'art. 182-quater), il terzo comma dello stesso articolo stabilisce che “in deroga agli articoli 2467 [e 2497-quinquies] del codice civile, il primo e il secondo comma si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare”.

Il combinato disposto delle norme riferite ha dunque agevolato l'erogazione di nuova finanza alle società in crisi da parte dei soci, introducendo una deroga al regime dei finanziamenti dettato dall'art. 2467 c.c. I finanziamenti erogati in base alle disposizioni dell'art. 182-quater l.fall. da chi era socio già prima del deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo, sono pertanto trattati come crediti prededucibili fino alla concorrenza dell'80 % del loro ammontare; mentre la restante quota del 20% continua ad essere assoggettata al regime della postergazione di cui all'art. 2467 c.c.

Inoltre, l'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 182-quater l.fall. prevede che lo stesso regime della prededuzione integrale di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo si applichi anche “quando il finanziatore ha acquisito la qualità di socio in esecuzione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo”, favorendosi in tal modo anche l'apporto di nuova finanza da parte di finanziatori che – contestualmente – apportano capitale di rischio nell'ambito di un intervento di risanamento entrando a far parte della compagine sociale (attraverso il meccanismo del c.d. debt for equity swap).

In buona sostanza la prededucibilità dei finanziamenti dei soci è condizionata a un duplice ordine alternativo di condizioni: per i finanziamenti in esecuzione del concordato da effettuarsi dopo la omologazione, la prededucibilità deve essere espressamente prevista nel piano di concordato sulla base della proposta approvata dagli altri creditori concordatari. Per i finanziamenti-ponte (in funzione della presentazione della domanda), la prededuzione è subordinata ad una duplice forma di controllo: l'inclusione della previsione nel piano ex art. 160 l. fall., nonché l'esplicito richiamo all'interno del provvedimento con cui il Tribunale apre la procedura di concordato preventivo.

La disciplina generale dei finanziamenti all'impresa in crisi è completata dall'art. 182-quinquies l. fall., che sancisce la prededucibilità dei finanziamenti, successivi al deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo, autorizzati dal tribunale nel corso della procedura e muniti dell'attestazione di un professionista indipendente che li qualifichi come funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori, una volta verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione (cd. finanziamenti interinali).

Come ben si vede, il regime della prededucibilità dei finanziamenti dei soci è in sostanza subordinato al venir meno delle esigenze che ne impongono la postergazione ai sensi dell'art. 2467 c.c.: per il finanziamento in esecuzione, il venir meno delle asimmetrie informative tra soci finanziatori e altri creditori della società (che sono comunque chiamati ad approvare la prededuzione prevista dal piano); per le altre forme di finanziamento si prevede invece un sistema di controlli “esterni” costituito dalla autorizzazione del Tribunale (nel decreto di ammissione alla procedura per il finanziamento-ponte o in un provvedimento ad hoc per il finanziamento interinale) nonché dalla attestazione di un professionista indipendente

Alcune questioni insolute della disciplina dei finanziamenti dei soci delle imprese in crisi

Il quadro normativo che si è riferito e che è ancora attualmente in vigore non è andato esente da diversi dubbi interpretativi.

In particolare, in riferimento alla finanza cd. interinale prevista dall'art. 182-quinquies l.fall, mancando in tale norma alcun riferimento espresso ai finanziamenti effettuati dai soci, si è manifestato il dubbio – variamente risolto in dottrina – se anche per essi potesse trovare applicazione il regime della prededuzione o se – in mancanza di disposizione derogatoria – dovesse trovare applicazione la disciplina dell'art. 2467 c.c., assunta come regime generale dei finanziamenti dei soci.

Proprio tale (preteso) carattere generale dell'art. 2467 c.c. ha rappresentato a ben vedere il pomo della discordia della dottrina, discutendosi in particolare se tale disciplina potesse trovare applicazione anche a tipi sociali diversi dalle società a responsabilità limitata, come per esempio le società per azioni, e se la complessiva disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 2467 c.c. e 182-quater e 182-quinquies l.fall., potesse essere derogata in sede di risoluzione negoziale della crisi di impresa.

Su quest'ultimo punto, in particolare, sembra doversi convenire con la posizione di quanti ritengono che la disciplina risultante dal combinato disposto degli articoli riferiti non possa essere derogata con una previsione di maggior favore per i soci. Deve escludersi pertanto – in ossequio alla ratio che informa la disciplina legale – che possa essere disapplicato il regime della postergazione dei finanziamenti dei soci contratti prima della domanda di concordato ai sensi dell'art. 1467 c.c., ovvero che possa disporsi la prededucibilità del finanziamento in esecuzione del concordato per una quota maggiore dell'80%, come sancito dal comma 3 dell'art. 182-quater l.fall.

Per le altre questioni sorte in relazione alla regolamentazione del finanziamento dei soci nell'ambito del concordato preventivo può essere utile riferire la nuova disciplina contenuta nel Codice della Crisi d'impresa, il quale, ancorché non sia entrato in vigore, può costituire il punto di riferimento per rispondere ad alcuni dubbi interpretativi lasciati aperti dall'attuale disciplina.

La disciplina dei finanziamenti dei soci nel Codice della crisi d'impresa

Il CCI ha, in primo luogo, riformato la disposizione contenuta nell'art. 2467 c.c., espungendo da essa la previsione della necessaria restituzione, da parte del socio, del rimborso del finanziamento effettuato a favore della società se avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento.

Tale disposizione, a ben vedere, è stata semplicemente ricollocata nei commi 2 e 3 dell'art. 164 CCI (corrispondente all'attuale art. 65 l.fall), dove il rimborso dei finanziamenti dei soci, effettuato nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento, è stato inquadrato nel più generale fenomeno della inefficacia relativa ipso jure, al pari dei pagamenti dei crediti non scaduti e degli atti a titolo gratuito. Dunque, il rimborso del finanziamento operato dalla società al socio è considerato inefficace nei confronti dei creditori concorsuali e deve essere da quest'ultimo restituito al curatore fallimentare.

A voler dare un senso alla ricollocazione della disciplina nel suo complesso, dovrebbe dedursene che mentre la regola civilistica sulla postergazione di cui all'art. 2467 c.c. è destinata ad essere applicata alle sole S.r.l., al contrario la previsione di cui all'art. 164 CCI– con la inefficacia relativa del rimborso del finanziamento dei soci effettuato nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento – dovrebbe applicarsi indistintamente a tutte le società.

Ne risulterebbe in sostanza destituita di fondamento la lettura che si è voluta dare, da una parte della dottrina, all'art. 2467 c.c. come norma di carattere generale applicabile in mancanza di deroghe ed estensibile ad ogni altra ipotesi non espressamente regolamentata, come quella dei finanziamenti dei soci nelle società per azioni. E, in effetti, la disciplina della società per azioni non ingenera quella stessa asimmetria informativa tra soci e altri creditori che per la S.r.l. ha invece imposto l'introduzione dell'art. 2467 c.c.

Nello specifico ambito della disciplina del concordato preventivo, il nuovo codice della crisi regolamenta i finanziamenti alle imprese in crisi agli artt. 99 ss. CCI, dove si menzionano – proprio all'art. 99 CCI – finanziamenti “funzionali all'esercizio dell'attività aziendale sino all'omologa del concordato” che possono essere autorizzati dal tribunale “quando è prevista la continuazione dell'attività aziendale, anche se unicamente in funzione della liquidazione”.

Inoltre, il comma 5 del medesimo articolo contempla anche i finanziamenti cd. ponte, erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo (reintrodotti dal decreto correttivo 26 ottobre 2020, n. 147), che devono essere in ogni caso – come nell'attuale disciplina – previsti dal piano, dovendo la prededuzione essere espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo.

Di particolare rilievo appare il fatto che la formula usata dal legislatore in riferimento alla “funzione della liquidazione” dei finanziamenti contemplati all'art. 99, comma 1, CCI – che sembrerebbero coincidere con gli attuali finanziamenti cd. interinali – porta a pensare che tali apporti finanziari possano essere autorizzati anche all'infuori del concordato con continuità aziendale.

Di ciò si trae conferma dal comma 3 del medesimo art. 99 CCI, che prescrive al creditore di “indicare le ragioni per cui l'assenza di finanziamenti determinerebbe un grave pregiudizio per l'attività aziendale o per il proseguo della procedura”: da tale ultima precisazione dovrebbe dedursene che la continuità aziendale non debba costituire la ragione unica della fruizione della finanza interinale, potendo questa essere funzionale anche alla liquidazione e alla miglior soddisfazione dei creditori.

Quanto si è appena detto acquista indubbio rilievo se si confronta – anche dal punto di vista del tenore letterale – la disposizione dell'art. 101 CCI, la quale a regime disciplinerà i finanziamenti effettuati in esecuzione del concordato preventivo.

La norma richiamata, infatti, diversamente da quella dell'art. 99 CCI, si apre con il circostanziato riferimento all'ipotesi in cui sia “prevista la continuazione dell'attività aziendale”, senza alcuna menzione alla “funzione della liquidazione”. Se si prestasse rigorosa attenzione al significato delle parole, ne risulterebbe che il ricorso alla finanza in esecuzione del concordato – non solo da parte dei soci, ma di ogni altro investitore – dovrebbe essere circoscritta ad un contesto, successivo all'omologazione, di continuità aziendale, e dunque ad un concordato in continuità aziendale.

Se tale interpretazione della nuova disciplina – che probabilmente è da leggere sullo sfondo della tendenza giurisprudenziale ad ampliare le maglie della disciplina del concordato con continuità aziendale (da ultimo, Cass. 15 gennaio 2020, n. 734) – fosse corretta, è certo che una simile ed incisiva novità applicativa avrebbe meritato maggiore chiarezza ed una più nitida formulazione ad opera del recente legislatore della crisi di impresa.

In riferimento precipuo ai finanziamenti dei soci, è stata invece prevista una specifica disposizione, l'art. 102 CCI, il quale reitera in parte l'attuale disposizione dell'art. 182-quater, comma 3, l.fall., prevedendo al primo comma che “in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., il beneficio della prededuzione previsto agli arttt. 99 e 101 si applica ai finanziamenti erogati dai soci in qualsiasi forma, inclusa l'emissione di garanzie e controgaranzie, fino all'ottanta per cento del loro ammontare”. Al secondo comma si dispone invece che “il medesimo beneficio (della prededuzione, n.d.a.) opera per l'intero ammontare dei finanziamenti qualora il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione del concordato preventivo ”.

La rilevante novità relativa alla disposizione da ultimo citata risiede nella espressa previsione che il regime della prededucibilità del finanziamento dei soci, derogatorio rispetto all'art. 2467 c.c., si applichi sia ai finanziamenti dei soci in esecuzione del concordato preventivo (art. 101 CCI), sia ai finanziamenti interinali (art. 99 CCI)

Conclusione provvisoria: la nuova disciplina del CCII quale criterio interpretativo della vecchia disciplina

Nonostante il CCI non sia ancora entrato in vigore (come si è detto, quest'ultima è stata rinviata al 15 maggio 2022), è dato già scorgere una prima incidenza della disciplina che esso introdurrà.

Se, infatti, la posizione prevalente assunta dagli interpreti e dagli operatori del diritto, almeno fino ad oggi, era nel senso di escludere che la deroga apportata dall'art. 182-quater l.fall. potesse essere estesa ai finanziamenti interinali concessi dai soci anche ai sensi dell'art. 182-quinquies l.fall. (in tal senso ad esempio, in giurisprudenza, Trib. Rimini, 13.05.2013, in Fall., 2013, con nota di Balestra: secondo il giudice riminese, infatti, “la prededuzione contemplata dall'art. 182-quater, comma 3, l. fall., in deroga agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c., per il finanziamento dei soci nei limiti dell'80% dell'importo, non è applicabile alla fattispecie dei finanziamenti di cui all'art. 182-quinquies, R.D. n. 267/1942”), al contrario sembra che la nuova disciplina del CCI sia stata intesa come una sorta di interpretazione autentica anche della legge fallimentare, per cui si è potuto affermare di recente che “nel concordato preventivo, i crediti derivanti da finanziamenti c.d. interinali, contratti dal debitore ai sensi dell'art. 182 quinquies l.fall. ed erogati dai soci, devono ritenersi prededucibili ai sensi dell'art. 111 l.fall. fino alla concorrenza dell'ottanta per cento del loro ammontare” (in questo senso Trib. Ravenna, 6.02.2020, in Il fallimento, 2020).

Tale approccio ermeneutico è stato di recente fatto proprio anche dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali hanno chiarito che il codice della crisi e dell'insolvenza, pur non applicabile direttamente ratione temporis alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, può costituire nondimeno un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare nel caso sia possibile configurare – nella specifica disciplina presa in considerazione – “un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro" (principio affermato da Cass., Sez. Un., 12476/2020 e successivamente seguito da Cass., Sez. Un. 8504/2021 in materia di trattamento obbligatorio dei debiti tributari in un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall.; nonché da Cass., Sez. Un., 12154/2021, in riferimento all'art. 143 CCII e al momento di decorrenza del termine di riassunzione del processo interrotto per il fallimento di una della parti).

Tale approdo ermeneutico dovrebbe essere accompagnato peraltro anche da un ridimensionamento della portata dell'art. 2467 c.c., il quale dovrebbe essere interpretato non più come una norma che codifica un principio di carattere generale e di portata espansiva, ma una disposizione volta specificatamente a disciplinare l'assetto finanziario delle società a responsabilità limitata.

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