L'amministratore di società a responsabilità limitata: questo illustre sconosciuto

29 Novembre 2021

In tema di compenso spettante all'amministratore di s.r.l., la società può fare valere in via di eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l'inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi assunti dall'amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall'atto costitutivo, la violazione dei quali integra la responsabilità di tipo contrattuale ex art. 2476, comma 1, c.c...
Massima

In tema di compenso spettante all'amministratore di società a responsabilità limitata, la società può fare valere in via di eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l'inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi assunti dall'amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall'atto costitutivo, la violazione dei quali integra la responsabilità di tipo contrattuale ex art. 2476, comma 1, c.c., non venendo in rilievo, a tali fini, il rapporto societario di immedesimazione organica esistente, verso l'esterno, tra amministratore e società, bensì il nesso sinallagmatico, tipico del rapporto contrattuale, intercorrente tra il corretto svolgimento dell'attività di gestione dell'impresa e la maturazione del diritto al compenso in capo all'amministratore medesimo.

Il caso

Il Tribunale di Ascoli Piceno, in accoglimento del ricorso monitorio proposto dall'ex amministratore unico di una società a responsabilità limitata, ingiungeva a quest'ultima di pagare il compenso maturato per l'incarico svolto.

La società proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, eccependo, tra l'altro, la sistematica violazione dei doveri di amministratore, ma sia in primo che in secondo grado l'opposizione era respinta: in particolare, veniva escluso che, stante il rapporto di immedesimazione organica sussistente tra la società e l'amministratore, l'eccezione di inadempimento sollevata dalla prima avesse determinato, sulla scorta delle regole probatorie valevoli in materia di responsabilità contrattuale, l'insorgenza, in capo al secondo, dell'onere di provare il corretto adempimento dei propri obblighi, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso, a maggior ragione in quanto non era stata proposta l'azione di responsabilità ex art. 2476 c.c.

La società proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di merito avessero erroneamente negato il diritto di sollevare, nei confronti dell'amministratore, l'eccezione di inadempimento per paralizzare la sua pretesa avente per oggetto il diritto al compenso, indipendentemente dall'avvio di un'azione di responsabilità.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la società è legittimata a opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dall'ex amministratore per il pagamento del compenso, allegando, in via di eccezione, il suo inadempimento, pur senza avere proposto l'azione di responsabilità di cui all'art. 2476, comma 1, c.c.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi:

1) pur sussistendo, nei rapporti esterni verso i terzi, un rapporto di immedesimazione organica tra la società a responsabilità limitata e l'amministratore, nei rapporti interni tra gli stessi si instaura, con l'accettazione dell'incarico, una relazione obbligatoria di tipo contrattuale, caratterizzata da sinallagmaticità;

2) l'amministratore può, pertanto, azionare in giudizio, nei confronti della società, il proprio diritto al compenso;

3) la responsabilità dell'amministratore nei confronti della società ha natura contrattuale, con la conseguenza che spetta al primo, qualora la seconda abbia contestato – in via di eccezione – il mancato o inesatto adempimento degli obblighi stabiliti dalla legge o dall'atto costitutivo, dimostrare di essersi attenuto ai propri doveri, secondo la regola generale dettata dall'art. 1218 c.c.;

4) a tale riguardo, non rileva che la società abbia proposto o meno l'azione di responsabilità ex art. 2476 c.c., giacché ciò che può essere fatto valere in via di azione, può essere fatto valere anche in via di mera eccezione.

Osservazioni

La Corte di cassazione pone un ulteriore tassello nella ricostruzione del complesso rapporto che si instaura tra amministratore e società a responsabilità limitata e lo fa con una pronuncia che esamina nel dettaglio tutte le implicazioni che derivano dalla poliedrica conformazione di tale rapporto.

Di qui l'interesse ad analizzare con attenzione i passaggi nei quali si compendia l'articolato percorso motivazionale che, nel caso di specie, ha condotto i giudici di legittimità a individuare in capo all'amministratore che agisce per ottenere il pagamento del compenso l'onere di dimostrare di avere correttamente adempiuto gli obblighi scaturenti dall'accettazione dell'incarico, qualora ciò venga contestato dalla società, sulla scorta delle regole concernenti il riparto dell'onere probatorio dettate in materia di responsabilità contrattuale.

La premessa del ragionamento svolto è il corretto inquadramento del rapporto in questione.

In ambito dottrinario si sono fronteggiate, a tale proposito, due teorie: quella organica (in base alla quale l'immedesimazione dell'organo amministrativo nella persona giuridica che rappresenta esclude la configurabilità di un rapporto negoziale intersoggettivo, fonte di reciproci diritti e obblighi) e quella contrattualistica (che, al contrario, ravvisa nel regolamento negoziale sotteso al conferimento e all'accettazione dell'incarico la fonte del potere rappresentativo dell'amministratore, costituente un centro d'interessi autonomo rispetto alla società).

La giurisprudenza di legittimità, pur con diverse sfumature, ha sempre mostrato di aderire alla teoria contrattualistica, valorizzando – in questo senso – i rapporti obbligatori (diversi da quelli di immedesimazione organica, rilevanti nei confronti dei terzi estranei all'organizzazione societaria) scaturenti dallo svolgimento dell'attività amministrativa nei confronti dell'ente e riconoscendo, nell'ambito di tali rapporti, la configurabilità di due centri d'interessi tra loro distinti e contrapposti.

Questo orientamento, consolidatosi con particolare riguardo alle controversie concernenti la remunerazione dell'amministratore e la pignorabilità dei relativi corrispettivi, non ha mai realmente approfondito le implicazioni che la teoria contrattualistica esplica sotto il profilo dei rimedi azionabili in caso di inosservanza dei doveri imposti all'amministratore.

In effetti, la dicotomia esistente tra i poteri e le funzioni dell'amministratore che discendono direttamente dalla legge e dal contratto sociale, da un lato e i diritti e i doveri connessi al loro esercizio, dall'altro lato, rappresenta un ulteriore sviluppo della configurabilità di una relazione obbligatoria tra società e amministratore, che si pongono, tra loro, in quella posizione duale e contrapposta che è tipicamente riconducibile ai contratti sinallagmatici: lo testimoniano, del resto, le norme dalle quali emerge chiaramente tale contrapposizione (si vedano, in particolare, l'art. 2475-ter c.c., nonché gli artt. 2476, 2485 e 2486 c.c. in tema di responsabilità degli amministratori verso la società).

Con specifico riguardo al diritto al compenso degli amministratori delle società a responsabilità limitata, una volta superato il dubbio circa la persistente presunzione di onerosità dell'incarico (ingenerato dalla soppressione, ascrivibile alla riforma del 2003, del rinvio all'art. 2389 c.c. prima contenuto nell'art. 2487, comma 2, c.c. e dalla mancata introduzione di una disciplina ad hoc), la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che esso origina direttamente dall'accettazione della carica, quale diritto soggettivo perfetto (e disponibile, come tale derogabile ovvero rinunciabile) alla remunerazione dell'attività svolta.

Anche sotto questo aspetto, la giurisprudenza di legittimità ha sempre fatto leva sull'esistenza di un rapporto, avente lato sensu natura contrattuale, che lega l'amministratore alla società a responsabilità limitata: in tale prospettiva, il diritto al compenso, pur originando nel contesto di un rapporto di immedesimazione organica (per effetto del quale gli atti compiuti dall'amministratore sono direttamente imputabili alla società, in forza della rappresentanza generale attribuitagli dall'art. 2475-bis c.c.), ha titolo in una relazione di tipo contrattuale, in seno alla quale è ravvisabile un nesso sinallagmatico di corrispettività con gli obblighi che l'amministratore deve osservare e che, se violati, generano responsabilità verso la società.

Così, nell'ambito del rapporto associativo che origina dal contratto di società ex art. 2247 c.c., se ne innesta uno di tipo contrattuale, a prestazioni corrispettive, che lega l'amministratore alla società e che è caratterizzato dall'obbligo del primo (inteso quale persona fisica investita delle funzioni proprie dell'organo amministrativo cui è preposto) di rispettare i doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo in materia di amministrazione della società e dal corrispondente diritto (disponibile e rinunciabile) di conseguire il compenso per l'attività svolta.

Nell'affermare ciò, i giudici di legittimità, nell'ordinanza che si annota, hanno cura di precisare che tale rapporto non può essere ricondotto a un vero e proprio contratto (tipico o atipico) ed è questo il profilo che desta maggiore interesse, soprattutto se posto a confronto con le elaborazioni riguardanti la figura dell'amministratore di società per azioni: nel senso che va escluso che la relazione tra amministratore e società a responsabilità limitata si ponga in termini di completa autonomia rispetto al rapporto associativo, in cui, al contrario, si inserisce, venendo a rappresentare, piuttosto, un segmento di esso o – se vogliamo – una sua appendice, strutturalmente e funzionalmente collegata, sebbene distinta quanto alla causa (caratterizzata non già dalla comunione di scopo sottesa al contratto associativo, ma dalla corrispettività delle prestazioni, ossia dalla reciproca sinallagmaticità che le lega).

In altre parole, tra amministratore e società non viene concluso, a seguito dell'accettazione dell'incarico, un vero e proprio contratto (con le connesse problematiche che ne deriverebbero in termini di qualificazione giuridica), ma si instaura una relazione (avente natura corrispettiva) che viene icasticamente definita di tipo contrattuale, perché assoggettata alle medesime regole che disciplinano i rapporti negoziali, alla stregua di quanto avviene allorché la responsabilità discende da quella particolare fonte di obbligazioni individuata nel cosiddetto contatto sociale, ravvisabile ogni volta che l'ordinamento impone a un soggetto di tenere un determinato comportamento nell'interesse altrui.

Riprendendo le parole usate dai giudici di legittimità, “il diritto al compenso dell'amministratore di società – per vero nemmeno contemplato dalle norme codicistiche in tema di s.r.l. – va ricondotto non tanto alla causa concreta del contratto di società (al cui interno pur si inscrive), quanto al rapporto sinallagmatico che si instaura tra amministratore e società, che prende origine dal rapporto di immedesimazione organica, ma se ne distacca concettualmente nel momento in cui il primo, con l'accettazione della nomina, assume verso la seconda l'obbligo di adempiere ai propri doveri, secondo il paradigma legale o pattizio del rapporto sociale cui corrisponde la responsabilità contrattuale verso la società per il caso di inadempimento o non corretto adempimento delle correlate prestazioni e matura al tempo stesso nei confronti della seconda il diritto al compenso, secondo un nesso di corrispettività rispetto all'attività gestoria svolta”.

Di qui, l'ulteriore conseguenza (costituente la regola di diritto enunciata dalla Corte di cassazione per la risoluzione del caso sottoposto al suo esame) secondo cui la società convenuta in giudizio per il pagamento del corrispettivo richiesto dall'amministratore è senz'altro legittimata a sollevare, ai sensi dell'art. 1460 c.c., l'eccezione di inadempimento, onde paralizzare l'altrui pretesa, facendo sorgere in capo all'amministratore l'onere di dimostrare di essersi attenuto, nello svolgimento dell'incarico, agli obblighi stabiliti dalla legge e dall'atto costitutivo a presidio della funzione gestoria, ovvero che la loro mancata osservanza non gli è imputabile o non è legata da un nesso di causalità rispetto al danno lamentato.

È proprio dalla qualificazione in termini contrattuali della relazione che, con l'accettazione dell'incarico, si instaura tra amministratore e società (e che esclude, di converso, la configurabilità di un rapporto di subordinazione o di parasubordinazione) che discendono le regole – anche di carattere probatorio – da osservare per dirimere le relative controversie.

Più precisamente, la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società comporta l'applicazione dell'art. 1218 c.c., quale precipitato del nesso sinallagmatico che intercorre tra il diritto al compenso e l'adempimento dei doveri discendenti dall'accettazione dell'incarico, con la conseguenza che spetta all'amministratore cui sia contestata la loro violazione dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso.

Conclusioni

L'ordinanza che si annota rappresenta indubbiamente un passo in avanti nel definitivo superamento di un indirizzo che, mercè una lettura più formalistica che sostanziale del rapporto che lega amministratore e società a responsabilità limitata, determinava – di fatto – lo scardinamento dei principi che presiedono la disciplina delle obbligazioni.

Non vi è dubbio, infatti, che l'accettazione della nomina ad amministratore comporta, oltre all'acquisto dei poteri inerenti all'incarico e propedeutici all'esplicazione della funzione gestoria, la nascita di doveri e di responsabilità nei confronti – innanzitutto – della società (nell'interesse della quale deve svolgere il proprio incarico) e dei soci (che lo hanno nominato); obliterare tale dato, in nome dell'immedesimazione organica che riguarda piuttosto la proiezione esterna dell'agire sociale nei confronti dei terzi, significherebbe perdere di vista la dimensione interna della relazione che lega amministratore e società, che, da questo punto di vista, li vede quali soggetti giuridici distinti, ciascuno portatore di propri specifici interessi, come tali potenzialmente in conflitto e suscettibili di sfociare in una vera e propria contrapposizione nel momento in cui, nell'esecuzione dell'incarico o a valle della stessa, emerga una fase patologica.

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