Trasferimento d'azienda in crisi e vincoli europei: sulla legittimità ed i limiti posti dalla direttiva 2001/23 agli Stati membri

Marta Filippi
29 Novembre 2021

Secondo l'orientamento della Corte di giustizia, premesso che lo stato di crisi non costituisce causa di riduzione dell'occupazione né valida ragione di deroga al principio per cui il trasferimento d'impresa non rappresenta motivo di licenziamento, l'art. 5 n. 3 della direttiva 2001/23...
Massima

Secondo l'orientamento della Corte di giustizia, premesso che lo stato di crisi non costituisce causa di riduzione dell'occupazione né valida ragione di deroga al principio per cui il trasferimento d'impresa non rappresenta motivo di licenziamento, l'art. 5 n. 3 della Direttiva 2001/23 consente agli Stati membri di poter modificare le condizioni di lavoro se ciò risulta necessario alla salvaguardia dell'occupazione con il limite della garanzia dei diritti previsti dai precedenti artt. 3 e 4.

Ne consegue che le suddette modifiche non possono riguardare il diritto del lavoratore al trasferimento presso la società cessionaria.

Il caso

Con ricorso ex art. 1, commi 47 e seguenti della legge n. 92/2012 una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole dalla società datrice di lavoro cedente, a seguito di procedura di licenziamento collettivo, in quanto ritenuto illegittimo per contrarietà all'art. 2112 c.c., al diritto UE e posto in essere da soggetto a ciò non legittimato. Sosteneva, infine, a fondamento delle proprie ragioni l'inefficacia soggettiva dell'accordo ex art. 47 legge 428/90. Per l'effetto domandava al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, la condanna della società cessionaria alla reintegra nel posto di lavoro ed il pagamento del risarcimento del danno in solido tra le due aziende.

Nel corso del giudizio la società cessionaria veniva dichiarata fallita ed all'esito della riassunzione del processo rimaneva contumace.

Al termine della fase sommaria, propria del rito azionato, il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda nuova tesa alla reintegra e al risarcimento del danno ed improponibili le ulteriori domande di risarcimento del danno. Avverso l'ordinanza emessa al termine della fase sommaria la lavoratrice proponeva opposizione. Con sentenza n. 1367/2019 il giudice dell'opposizione, diversamente da quanto precedentemente sancito, accoglieva le domande dell'opponente dichiarando la continuazione del rapporto lavorativo della ricorrente presso la cessionaria, l'illegittimità del recesso esercitato dalla cedente in amministrazione straordinaria e la solidarietà tra le due relativamente alla retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra.

A fronte delle conclusioni espresse dal Tribunale la società cedente proponeva reclamo davanti la Corte d'Appello di Torino chiedendo la riforma della predetta sentenza.

Ebbene, all'esito del giudizio, esaminate le motivazioni avanzate dalla società cedente, anche a seguito del richiamo alla giurisprudenza comunitaria in materia di Direttiva 2001/23, il giudice di secondo grado riteneva fondato il reclamo e quindi legittimo il licenziamento.

Due in particolare sono le questioni giuridiche che vengono in rilievo e sulle quali si sofferma l'attenzione del collegio. La prima ha ad oggetto i limiti della competenza del giudice del lavoro in caso di azione volta all'accertamento dell'illegittimità del licenziamento nei confronti del datore di lavoro in amministrazione straordinaria ed il relativo regime di improcedibilità delle connesse domande patrimoniali.

La seconda riguarda, invece, i limiti entro i quali attraverso l'accordo di cui alla legge 428/90, art. 47, comma 4-bis, le parti possano derogare alla disciplina contenuta all'art. 2112 c.c. in tema di trasferimento d'azienda ed automaticità del passaggio del rapporto di lavoro.

Le soluzioni

Come premesso le conclusioni a cui giunge la Corte d'Appello differiscono totalmente da quelle a cui era giunto il Tribunale nella fase successiva all'opposizione proposta dalla lavoratrice.

Più nel dettaglio in tema di competenza del giudice del lavoro il collegio, anche sulla scorta della giurisprudenza maggioritaria, ricorda come sussista la sua competenza in relazione alla domanda volta all'accertamento dell'illegittimità del licenziamento nei confronti del datore di lavoro fallito mentre le domande aventi ad oggetto il riconoscimento di pretese creditorie, discendenti dalla declaratoria di illegittimità del primo, restino di competenza del giudice fallimentare. Nel caso di azienda in amministrazione straordinaria, invece, il giudice del lavoro rimane competente per le domande di mero accertamento e costitutive mentre per quelle aventi natura di condanna al pagamento di somme, seppur accompagnate da domande di accertamento strumentali, si applica la regola della loro temporanea improcedibilità, non valendo il principio della vis attractiva del foro fallimentare.

La seconda questione giuridica affrontata dal collegio ha ad oggetto, invece, l'accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice da parte della società cedente in quanto ritenuta soggetto privo di legittimazione per violazione dell'art. 2112 c.c.

Al fine di giungere ad un corretta soluzione della problematica la Corte d'Appello parte dall'analisi degli accordi sindacali stipulati durante la procedura di trasferimento con i quali le parti avevano da un lato individuato il numero di lavoratori da trasferire alla dipendenze della cessionaria, dei quali faceva parte anche la lavoratrice, ed i relativi criteri di scelta e dall'altro concordato il mantenimento dei livelli occupazionali.

Sul punto osserva il collegio come la lavoratrice, pur essendo compresa nei lavoratori oggetto di passaggio presso la cessionaria, avesse rifiutato la proposta di lavoro formulatale da quest'ultima sulla base dei detti accordi. In tal modo non avendo aderito all'accordo sindacale la stessa era stata posta, prima, in CIGS a zero ore e poi licenziata per cessazione dell'attività da parte della cedente.

In punto di diritto il giudice di seconde cure evidenzia, invece, come la reclamata si sia limitata a supporre l'illegittimità del licenziamento quale conseguenza della sua retrocessione alla dipendenze della cedente in violazione dell'art. 2112 c.c., senza invece impugnare eventuali violazioni della procedura di licenziamento collettivo.

Da tale constatazione prende spunto la Corte d'Appello per richiamare i principi posti dalla giurisprudenza comunitaria in tema di accordi sindacali stipulati ex art. 47, comma 4-bis, legge 428/90. Con la sentenza C-56/07, 11 giugno 2009, la Corte di giustizia ha, infatti, ricordato come lo stato di crisi non costituisca motivo di riduzione dell'occupazione né di deroga al disposto dell'art. 2112 c.c. Nondimeno, precisa il giudice europeo che l'art. 5 n.3 della Direttiva 2001/23 autorizza gli stati membri a prevedere che le condizioni di lavoro possano essere modificate per salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa senza tuttavia privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dai precedenti artt. 3 e 4. Ne consegue che la modifica delle condizioni di lavoro, autorizzata dall'art. 5 n. 3 della direttiva, non può riguardare il diritto del lavoratore al trasferimento presso il cessionario.

Nel caso di specie nessuna sostanziale modifica sembra essere stata prevista dagli accordi sindacali stipulati ex art. 47, comma 4-bis, ne la lavoratrice ha provveduto a dedurne l'eventuale illegittimità limitandosi a sostenere esclusivamente la violazione dell'art. 2112 c.c sotto il profilo della lesione del diritto al passaggio automatico alle dipendenze della cessionaria. Per il collegio, dunque, non essendosi perfezionato il trasferimento della lavoratrice alle dipendenze della cessionaria la società cedente doveva ritenersi legittimata all'intimazione del recesso dal rapporto di lavoro.

Precisa, infine, come trattandosi di accordi gestionali l'efficacia soggettiva degli accordi ex art. 47, comma 4-bis, legge 248/90 non possa essere contestata.

Osservazioni

Appare interessante notare come le questioni giuridiche sottese al provvedimento in commento siano passate sotto il vaglio di tre giudici differenti, i quali hanno espresso posizioni diverse sia in relazione alla competenza del giudice del lavoro circa le domande aventi natura patrimoniale quando rivolte nei confronti di società in amministrazione straordinaria, sia in relazione alla violazione dell'art. 2112 c.c. da parte degli accordi sindacali di cui alla legge 248/90, art. 47, comma 4-bis.

A fronte della decisione presa dal Tribunale chiamato a decidere sull'opposizione presentata dalla lavoratrice, che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento e la solidarietà delle due società, ritenendo che l'accordo sindacale stipulato ai sensi dell'art. 47 comma 4-bis legge 428/90 non possa derogare all'incondizionato passaggio dei lavoratori alle dipendenze del cessionario ed alla solidarietà rispetto ai crediti del lavoratore sanciti dall'art. 2112 c.c., la Corte d'Appello propende per la tesi opposta riconoscendo l'improcedibilità delle domande aventi natura patrimoniale e la legittimità del licenziamento.

In particolare sostiene tale conclusione sulla base del riferimento alla giurisprudenza comunitaria in tema di trasferimento di impresa in crisi ai sensi della quale è consentita la modifica delle condizioni di lavoro, quando l'accordo è volto alla tutela dei livelli occupazionali, ma tali modifiche non possono riguardare il diritto al trasferimento del lavoratore.

Ebbene, nel caso di specie tali modifiche non erano avvenute e comunque non erano state oggetto di specifica impugnazione per violazione dei diritti riconosciuti ai lavoratori dagli art. 3 e 4 della Direttiva 2001/23.

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