Si può distrarre il patrimonio aziendale anche con una scissione societaria

Ciro Santoriello
03 Dicembre 2021

Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, a favore di altra società alla quale siano conferiti beni di rilevante valore, qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la società al momento della scissione, si riveli volutamente depauperatoria...
Massima

Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, a favore di altra società alla quale siano conferiti beni di rilevante valore, qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la società al momento della scissione, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 ss. c.c. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie.

Il caso

Due imputati erano ritenuti, uno quale amministratore di fatto e l'altro quale amministratore di diritto, in sede di merito responsabili dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di bancarotta impropria da operazioni dolose. La prima ipotesi delittuosa era contestata in relazione alla distrazione di beni della società fallita in favore di tre società costituite per scissione, cui venivano intestati tutti i beni patrimoniali ed i contratti di servizio facenti capo alla prima società, a carico della quale invece rimanevano la gran parte delle posizioni debitorie, previdenziali ed erariali.

In sede di ricorso per cassazione, si sosteneva dovesse escludersi fermamente che un'operazione di scissione potesse integrare un'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione, che evoca la diminuzione fittizia del patrimonio dell'impresa. Invece, l'operazione di scissione non determina alcuna forma di disposizione del patrimonio, bensì comporta esclusivamente la divisione della società cui detto patrimonio appartiene; una tale operazione si risolve in una vicenda meramente evolutiva e modificativa, priva di qualsivoglia efficacia traslativa: l'operazione di scissione risulta, infatti, funzionale alla riorganizzazione dell'ente, ma nell'ottica della continuità patrimoniale e di impresa, senza che possa conseguentemente profilarsi il trasferimento dei suoi cespiti patrimoniali, mentre i connotati distrattivi della manovra scissoria avrebbero dovuto essere ravvisati in relazione alla assenza di un concreto vantaggio economico o alla impossibilità di continuare l'attività di impresa

Dopo avere analizzato una serie di circostanze di fatto, i ricorrenti sostengono che la descritta operazione di scissione non potesse dirsi né astrattamente né concretamente idonea ad arrecare pregiudizio alla garanzia patrimoniale generica di cui all'articolo 2740 c.c. Tutt'al più la scissione, per come articolata, poteva aver avuto l'effetto di instaurare una particolare relazione privilegiata atipica tra le ragioni creditorie confluite nelle società beneficiarie e i beni nelle stesse conferiti: tale relazione, tuttavia, risultava chiaramente estranea al concetto giuridico di "titolo di prelazione", che potrebbe porsi a fondamento di una contestazione di bancarotta preferenziale.

Con il secondo motivo, relativo all'elemento materiale del reato di bancarotta impropria mediante le operazioni dolose consistite nel progressivo e sistematico omesso pagamento dei debiti previdenziali ed erariali, i ricorrenti lamentano che la delibera scissoria, posta a fondamento della contestazione di bancarotta per distrazione acquisirebbe in tale diverso ambito il significato di mero segmento di una più ampia e unica condotta delle ritenute operazioni dolose, con la conseguenza di una inammissibile duplicazione della rilevanza penale del fatto – oltre a contestarsi la mancanza di un sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali, di consistenza e natura tale da potersi qualificare come consapevole scelta gestionale e contestabile, al più, quale ipotesi di bancarotta semplice.

La questione

Da tempo la giurisprudenza ha riconosciuto che anche condotte apparentemente lecite e consentite, nonché regolamentate dall'ordinamento – come la scissione di una società – possono integrare il reato di bancarotta per distrazione, quando l'operazione di scissione si risolva nel conferimento a favore di altra società di beni di rilevante valore e si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per creditori, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 ss. c.c. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie.

Più volte la Cassazione (Cass., sez. V, 17 aprile 2018, n. 17163) ha affermato infatti che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale – si pensi al fenomeno societario della 'scissione' di una società in crisi, che, allo scopo di superare lo stato di difficoltà in cui versa l'impresa, separa le passività (il c.d. badwill), lasciato nella c.d. bad company, dalle attività (il c.d. goodwill), che vengono trasferite alla società di nuova costituzione, la c.d. new company.

Sebbene in dottrina (BUONOCORE, La scissione societaria e i reati di bancarotta, in Giur. Comm. 2016, II, 79; CRENCA, Scissione societaria e bancarotta fraudolenta per distrazione, in Il Caso, 2015, 23 febbraio 2015; CAVALLINI, La tipicità penalfallimentare della scissione parziale tra archetipo distrattivo e ipotipo preterintenzionale, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2015, 613; TRAVERSI, Le scissioni possono integrare il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, in Corr. Trib., 2011, 2179; CIANCI – IMPERATO, I rapporti tra il negozio del leveraged buy-out c.d. "a doppia newco" e la fattispecie di bancarotta per effetto di operazioni dolose, in Le Soc., 2021, 211) sia stato osservato che le fattispecie incriminatrici che astrattamente possono venire in rilievo ai fini della qualificazione sono tre (la bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, la bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, in riferimento all'art. 2629 c.c., che punisce le scissioni contra legem, e la bancarotta per effetto di operazioni dolose), la giurisprudenza di regola ritiene che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale (Cass., sez. V, 21 gennaio 2015, n. 13522; Cass., sez. V, 13 giugno 2014. n. 42272).

Infatti, anche un'operazione astrattamente riconducibile ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento può essere, per le modalità con le quali è stata realizzata, produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio ed in prospettiva pregiudizievole per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale (in proposito può richiamarsi a titolo esemplificativo l'affitto di azienda, in determinate condizioni, avente ad oggetto l'intero complesso aziendale della fallita, in modo da privare quest'ultima della concreta possibilità di proseguire nella propria attività). Con particolare riferimento alla scissione, le tutele normative accordate ai creditori risultano inidonee ad escludere interamente il danno, o quanto meno il pericolo, per le ragioni dei creditori, in quanto, se è vero che ad essi è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono obbligate per i relativi debiti, è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni e che, soprattutto, all'esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese (Cass., sez. V, 10 aprile 2015, n. 20370).

Ciò posto, e ricostruita in questi termini la possibilità di attribuire ad una condotta apparentemente lecita e consentita, nonché regolamentata, dall'ordinamento – quale appunto la scissione di una società – una rilevanza penale, la Cassazione richiede tuttavia un approfondimento avente ad oggetto la valutazione, in concreto, dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società poi fallita al momento della scissione, giacché in assenza di tale situazione di insolvenza non potrebbe attribuirsi ad uno schema civilisticamente lecito (come la scissione) la finalità di realizzare uno scopo penalmente illecito.

Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, infine, la Cassazione chiarisce che la finalità perseguita dall'imprenditore di consentire, mediante trasferimento dei beni e delle attività ad una nuova società, la prosecuzione delle attività imprenditoriali della società poi fallita non sarebbe, di per sé, elemento in grado di escludere la coscienza e volontà del fatto), trattandosi del mero movente dell'azione, della causa psichica della condotta umana, dello stimolo che ha indotto l'autore ad agire, facendo scattare la volontà. In proposito, è pacifico che il movente dell'azione, pur potendo contribuire all'accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con la coscienza e volontà del fatto, della quale può rappresentare, invece, il presupposto; viceversa, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass., sez. un, 31 marzo 2016, n. 22474).

Osservazioni

Con riferimento alle parti di nostro interesse, il ricorso è stato rigettato.

Quanto alla qualificazione dell'operazione di scissione come ipotesi di bancarotta fraudolenta, la Cassazione – richiamando anche considerazioni dei giudici di merito – evidenzia come tale operazione di scissione avesse comportato lo "spoglio" del patrimonio della società fallita, alla quale rimanevano sostanzialmente solo i debiti (in particolare, quelli nei confronti dell'Erario, dell'INPS e dell'INAIL), peraltro senza avere i mezzi necessari per far fronte agli impegni assunti, visto che i contratti con i clienti erano passati alle tre nuove società, e dunque l'operazione fraudolenta di scissione era stata strutturata con modalità tali da vanificare le tutele predisposte dagli artt. 2506 e ss. c.c., giacché alle società derivate era stato conferito un patrimonio in cui elementi attivi ed elementi passivi si equivalevano, determinando un saldo contabile pari a zero. Di conseguenza, le possibilità per i creditori della società scissa di agire nei confronti delle società beneficiarie erano praticamente annullate, essendo la responsabilità delle stesse prevista solo nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato e l'operazione scissoria si rivelava meramente fittizia e cartolare e, quindi, geneticamente inidonea a realizzare la propagandata finalità di creazione di strutture più piccole e snelle, quanto piuttosto strumentale alla dispersione delle energie patrimoniali della società scissa in frode alle ragioni creditorie – il tutto in assenza di alcuna congrua logica imprenditoriale.

Tali circostanze rendono, conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenza, configurabile il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (Cass., sez. V, 1 luglio 2020, n. 27930; Cass., sez. V, 14 aprile 2015, n. 20370. In senso parzialmente diverso, Cass., sez. V, 18 gennaio 2013, n. 10201).

E', infatti, indiscutibile che l'operazione societaria di scissione sia regolarmente disciplinata dagli artt. 2506 e ss. c.c. in termini che consentono anche, come segnatamente disposto dall'art. 2506-bis, comma 2, l'assegnazione alla società beneficiaria dell'intero patrimonio della società scissa, prevedendo l'ordinamento tutele per i creditori della società scissa, da un lato con la possibilità di opposizione degli stessi al progetto di scissione, e dall'altro con la previsione della responsabilità della società beneficiaria, nei limiti del suo patrimonio netto, per gli elementi del passivo non assegnati, ai sensi dell'art. 2506-bis, comma 3, e comunque per i debiti della società scissa dalla stessa non soddisfatti, secondo l'art. 2506-quater, comma 3, c.c.; posto ciò, tuttavia, non può sostenersi che la scissione non possa assumere connotazioni di rilevanza penale in materia fallimentare, con particolare riguardo all'ipotesi della bancarotta fraudolenta per distrazione.

Ciò che infatti rileva per la sussistenza di tale illecito è che le condotte assunte dall'imprenditore presentino connotati intrinseci di offensività nei confronti della garanzia generica che il patrimonio dell'imprenditore, secondo la previsione dell'art. 2740 c.c., offre ai creditori, garanzia messa in pericolo dalla destinazione di componenti del patrimonio a finalità diverse da quelle inerenti all'attività imprenditoriale prescindendo dall'eventuale, astratta riconducibilità della condotta ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento. L'intervento del giudice penale dunque va sollecitato quando una determinata operazione, per le modalità con le quali è stata realizzata, si presenti come produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio (connotazione che distingue la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione da quella della bancarotta semplice per compimento di operazioni manifestamente imprudenti di cui all'art. 217, comma 2, n. 2 legge fall.) ed in prospettiva pregiudizievoli per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale.

Queste caratteristiche di pericolosità possono rinvenirsi anche nelle operazioni di scissione e non rileva in senso contrario la previsione normativa di alcuni strumenti posti a tutela dei creditori, giacché tale disciplina prevista dal codice civile non risulta inidonea ad escludere interamente il danno o quanto meno il pericolo per le ragioni dei creditori della società scissa, nel caso in cui venga dichiarato il fallimento di quest'ultima. Se è vero, infatti, che ai creditori è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono obbligate per i relativi debiti, è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni; inoltre, all'esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese.

Relativamente alla censura mossa dalle difese con riferimento alla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta impropria mediante operazioni dolose, relative al progressivo e sistematico omesso pagamento dei debiti previdenziali ed erariali, la decisione in commento perviene analogamente ad un giudizio di infondatezza del motivo.

In proposito, le difese sostenevano che la delibera scissoria, posta a fondamento della contestazione di bancarotta per distrazione, avrebbe acquisito in tale diverso ambito il significato di mero segmento di una più ampia ed unica condotta delle ritenute operazioni dolose, con la conseguenza di una inammissibile duplicazione della rilevanza penale del fatto. Tuttavia, fra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di bancarotta impropria per causazione del dissesto con operazioni dolose, ove contestati in relazione alla medesima procedura fallimentare, non è configurabile il concorso formale, rimanendo pertanto il secondo reato assorbito nel primo, solo nel caso in cui la relativa condotta sia individuata nell'imputazione con riguardo agli stessi fatti addebitati nell'accusa di bancarotta fraudolenta (Cass., sez. V, 27 giugno 2016, n. 44103), giacché le operazioni dolose, in quanto causa del dissesto, per acquisire autonoma rilevanza penale ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 2 legge fall., devono consistere in fatti diversi da quelli contestati nell'imputazione di bancarotta fraudolenta, in termini tali da integrare un concorso materiale con questi ultimi (Cass., sez. V, 14 ottobre 2016, n. 533). Proprio questa circostanza si sarebbe verificata nel caso di specie, posto che le operazione dolose erano consistite (non in atti di disposizioni di beni societari, qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione, caratterizzate, secondo una valutazione ex ante, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata, bensì) nel "non pagare i contributi previdenziali all'INPS per l'importo di euro 5.456.856,02, non pagare i contributi assistenziali all'INAIL per l'importo di euro 496.096,62 e non versare i tributi erariali all'Agenzia delle Entrate per l'importo di euro 16.613.823,45", così da cagionare il fallimento la cui “entità del dissesto - dunque del fallimento - era infatti molto maggiore di quella che altrimenti sarebbe stata, così pure diversa era la data del fallimento da quella che altrimenti sarebbe stata"; questa differenza fra la distrazione realizzata con la scissione e le operazioni dolose non potrebbe essere obliterata per il fatto che "il carattere progressivo e sistematico dell'omesso pagamento dei debiti previdenziali ed erariali rilevato dal curatore fallimentare con una significativa stabilizzazione dell'inerzia solutoria [si è verificata] proprio in concomitanza con l'assunzione della delibera assembleare scissoria”.

È, d'altronde, incontroverso che le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (tra le tante, Cass., sez. V, 19 febbraio 2018, n. 24752) – dovendosi peraltro ricordare che il reato de quo non esige per la sua configurabilità che la volontarietà dell'inadempimento si spinga sino ad includere la determinazione del dissesto in quanto è sufficiente la mera prevedibilità dell'evento.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione in commento non presenta profili di novità rispetto alla consolidata giurisprudenza in tema di rapporti fra le operazioni straordinarie di riassetto societario – fra cui, per l'appunto, la cessione – ed il delitto di bancarotta fraudolenta.

Va tuttavia precisato che con tale orientamento la Cassazione non giunge certo a “criminalizzare”, in quanto tale, la scelta di scindere la società mediante costituzione di nuova persona giuridica (Cass., sez. V, 18 gennaio 2013, n. 10201). Tuttavia, tale operazione di conferimento di tutti gli elementi attivi alla società beneficiaria ha natura distrattiva qualora detta operazione sulla base di una valutazione in concreto, avuto riguardo alla situazione di dissesto dell'originaria società al momento della scissione, si riveli avulsa dalle finalità dell'impresa fallita, volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo in tal caso le tutele previste dagli artt. 2506 ss. c.c. di per sé idonee ad escludere il danno o il pericolo per le ragioni creditorie (Cass., sez. V, 8 ottobre 2014, n. 6404).

In sostanza, per comprendere se dietro scelte aziendali di questo tipo si annidi un fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale occorre verificare se tali manovre assumano i connotati dell'operazione distrattiva per l'assenza di un concreto vantaggio economico e per l'impossibilità di continuare l'attività di impresa (Cass., sez. V, 28 novembre 2013, n. 15715).

A tale soddisfacente ed equilibrata conclusione giunge anche la pronuncia in esame che – richiamando alcuni precedenti (Cass., sez. B, 18 gennaio 2013, n. 10201) - osserva che la previsione normativa della praticabilità della scissione e delle garanzie per i creditori esclude che il giudice penale possa pervenire sempre ed indefettibilmente alla conclusione secondo cui il conferimento di beni alla società beneficiaria, nel caso dell'intervenuto fallimento della società scissa, è condotta inevitabilmente produttiva di pericolo gli interessi dei creditori della fallita e idonea ad integrare gli estremi del reato di bancarotta per distrazione. Di contro, viene sottolineata la necessità, ai fini del giudizio sulla ravvisabilità del reato di bancarotta fraudolenta, di una valutazione in concreto, che tenesse conto dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società poi fallita al momento della scissione» ed in fatti nel caso di specie tale valutazione è stata adeguatamente operata, sia tenendo conto dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società fallita al momento della scissione, sia della indiscriminata cessione alle tre società derivate della totalità dei contratti di vigilanza ovvero delle risorse prioritarie.

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