Tribunale di Brescia: per licenziare una madre in gravidanza non è sufficiente l'esistenza di una giusta causa

Francesco Meiffret
06 Dicembre 2021

Nel periodo indicato dall'art. 54 comma 3 lett. a) del D.lgs. 151/2001 le madri non possono essere licenziate con il semplice accertamento di una condotta costituente giusta causa secondo il contratto collettivo applicabile...
Massima

Nel periodo indicato dall'art. 54 comma 3 lett. a) del D.lgs. 151/2001 le madri non possono essere licenziate con il semplice accertamento di una condotta costituente giusta causa secondo il contratto collettivo applicabile.

E', invece, necessario che venga accertato in giudizio una condotta di una gravità tale da superare la tutela rafforzata che deve essere garantita alla madre gestante o puerpera la quale si trova a vivere una rivoluzione dei propri ritmi di vita che si ripercuotono inizialmente anche nell'attività lavorativa.

Il caso

Con ricorso Fornero una madre lavoratrice impugnava dinnanzi al Tribunale di Brescia il licenziamento a lei intimato perché nullo in quanto in contrasto con l'art. 54 comma 3, lett. a) del D.lgs. del 26 marzo 2021. Evidenzia, infatti, che, dopo aver usufruito anche del periodo di maternità facoltativo, era stata collocata in ferie dal datore di lavoro in quanto negli anni di lavoro addietro aveva maturato periodi di riposo non goduti.

Sosteneva che, proprio durante il periodo di ferie comunicatole per telefono, il proprio datore le aveva notificato una contestazione disciplinare per assenze ingiustificate al quale seguiva il licenziamento impugnato.

Rilevava, inoltre, che, con medesime motivazioni e al seguito della gravidanza, era stata licenziata sua sorella, anch'essa dipendente della società odierna resistente.

Si costituiva la società datrice di lavoro negando che alla ricorrente fosse stato comunicato di smaltire le ferie in arretrato.

Confermava che vi fosse stato effettivamente un colloquio telefonico nel quale, circostanza omessa dalla ricorrente, le parti avevano di comune accordo fissato come data del rientro al lavoro il giorno 31 agosto 2020. Evidenziava che la ricorrente non si fosse presentata per la data programmata e che nei giorni successivi si fosse recata sul luogo di lavoro con la propria sorella effettuando delle registrazioni e comunicando ai dipendenti con i quali aveva interloquito di non voler riprendere a lavorare. Alla luce della ricostruzione dei fatti fornita concludeva per la legittimità del licenziamento irrogato.

La questione

Le locuzioni “giusta causa” e “colpa grave”, presenti nella lettera a) dell'art. 54 del D.lgs. 150/2001 che regola il licenziamento disciplinare della madre nel periodo intercorrente dalla gestazione sino ad un anno di età del bambino, implicano che ai fini della legittimità del provvedimento espulsivo, il datore di lavoro debba provare la sussistenza di una colpa qualificata, che attiene a situazioni più gravi rispetto alle comuni ipotesi previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva come giusta causa di licenziamento?

La soluzione

Il Giudice accoglie il ricorso. La società si era, infatti, limitata a contestare l'assenza ingiustificata continuativa per oltre 5 giorni che costituisce giusta causa di licenziamento ai sensi all'art. 42 del CCNL applicato dalla società. Nella lettera di contestazione non vi era alcun riferimento al fatto che la condotta della lavoratrice fosse connotata da particolari gravità.

Neppure vi erano indicate le ragioni in base alle quali sarebbe stato inoperante il divieto di licenziamento per la madre ai sensi del più volte citato art. 54 del D.lgs. 150/2001.

Pertanto il Giudice accoglie l'orientamento di merito e di legittimità in base al quale il licenziamento disciplinare della madre nel periodo indicato dall'art. 54 del D.lgs. 26 marzo 2001 ha un perimetro più ristretto rispetto alla giusta causa tipizzata dall'art 2119 c.c. e dalla contrattazione collettiva. Non è sufficiente, infatti, che il datore provi ed accerti la sussistenza di una delle condotte tipizzate dalla contrattazione collettiva, ma è necessario che l'azione posta in essere dalla madre o dalla gestante presenti un grado di colpa ancora maggiore e possa, quindi, sostenersi che la gravità dell'azione posta in essere superi la necessaria tutela rafforzata stabilita dal Legislatore alle madri lavoratrici in applicazione dell'art. 37 Cost.

Il Giudice, quindi, non affronta nemmeno la questione se si trattasse o meno di assenza ingiustificata rilevando come in un caso del tutto analogo (Cass. Sez. lav., 26 gennaio 2017 n. 2004) la Suprema Corte avesse stabilito c he l'assenza ingiustificata dal lavoro della madre nel periodo indicato dall'art 54 comma 3 lett. a) del D.lgs. 151/2001 non potesse costituire causa di licenziamento.

Osservazioni

L'ordinanza in commento, come già precisato, riprende l'orientamento consolidato in base al quale il licenziamento disciplinare della madre nel periodo nel quale si applica l'art. 54 comma 3 lett. a) del D.lgs. 151/2001 sia legittimo solo ove sussista una colpa qualificata.

Il caso esaminato dal Giudice di Brescia non richiede ulteriori approfondimenti sul concetto di colpa qualificata dal momento che la difesa di parte datoriale si era limitata ad evidenziare una condotta che giustifica un licenziamento per giusta causa senza allegare e di seguito provare l'esistenza di un ulteriore disvalore nell'azione perpetrata dalla madre della ricorrente.

Occorre brevemente analizzare come la Cassazione abbia interpretato il concetto di colpa grave che giustifica il licenziamento disciplinare della lavoratrice madre o incinta.

Secondo la Suprema Corte (Cass., sez. lav., 20 gennaio 2000, n. 610, Cass., sez. lav., 26 gennaio 2017. n. 2004; Cass., sez. lav., 11 giugno 2003 n. 9405) il licenziamento è ingiustificato qualora il comportamento avente rilevanza disciplinare trovi giustificazione nel particolare stato psicofisico in cui la donna si trova nel periodo intercorrente dalla gestazione sino al primo anno di età della prole. Qualora il comportamento censurato possa trovare un nesso di causalità o di concausalità con le suddette condizioni, questo deve essere comunque giustificato. Nel caso in cui tale condotta sia del tutto estranea allo stato di gravidanza o dalla condizione di madre nel primo anno di età della prole e presenti un particolare disvalore il licenziamento può considerarsi legittimo.

Dunque secondo l'esegesi fornita dalla Suprema Corte il licenziamento disciplinare della madre è illegittimo purché la condotta sia anche soltanto parzialmente ricollegabile allo stato di gestazione o al ruolo di madre e non sia connotato da particolare gravità.

A parere di chi scrive la soluzione alla quale è giunta la Suprema Corte desta perplessità in quanto lascia i giudici di merito sprovvisti di indicazioni sul come valutare la sussistenza della particolare gravità della colpa. Se pare corretto effettuare un collegamento allo stato psicofisico della madre, resta di difficile interpretazione stabilire in che cosa possa consistere un comportamento ancora più grave rispetto ad uno che giustifichi l'interruzione del rapporto di lavoro senza preavviso.

In buona sostanza la giurisprudenza si è trovata a dover interpretare una norma di difficile applicazione a causa del suo scarso tecnicismo.

In ultimo occorre evidenziare come la particolare tutela della madre o della gestante stabilita dalla lettera a) non richieda la conoscenza da parte del datore dello stato di gravidanza della lavoratrice o che questa abbia un bambino di età inferiore ad un anno, il tutto come osservato dal Tribunale di Roma, sez. lav., nella sentenza 1035 del 5 febbraio 2019.

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