Il socio illimitatamente responsabile tra diritto di difesa e “interesse” all'impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento della società

09 Dicembre 2021

Nel procedimento prefallimentare non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci illimitatamente responsabili, non potendo questi ultimi contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente opporsi alla estensione del fallimento nei loro confronti, facendo valere l'eventuale estraneità alla compagine sociale. La sentenza dichiarativa di fallimento della società con soci illimitatamente responsabili va notificata dal cancelliere alla società e ai soli soci dichiarati falliti secondo la decisione assunta nella pronuncia stessa, non potendo la nozione di debitore, nella lettura corrente della l. fall., artt. 17 e 18, includere altri soci illimitatamente responsabili, i quali, sebbene destinatari delle istanze di fallimento nel corso dello stesso procedimento, non siano stati dichiarati falliti all'esito, per essi pertanto decorrendo il termine d'impugnazione della sentenza, quali interessati, dalla iscrizione della stessa nel registro delle imprese.
Massime

Nel procedimento prefallimentare non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci illimitatamente responsabili, non potendo questi ultimi contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente opporsi alla estensione del fallimento nei loro confronti, facendo valere l'eventuale estraneità alla compagine sociale.

La sentenza dichiarativa di fallimento della società con soci illimitatamente responsabili va notificata dal cancelliere alla società e ai soli soci dichiarati falliti secondo la decisione assunta nella pronuncia stessa, non potendo la nozione di debitore, nella lettura corrente della l. fall., artt. 17 e 18, includere altri soci illimitatamente responsabili, i quali, sebbene destinatari delle istanze di fallimento nel corso dello stesso procedimento, non siano stati dichiarati falliti all'esito, per essi pertanto decorrendo il termine d'impugnazione della sentenza, quali interessati, dalla iscrizione della stessa nel registro delle imprese.

Il caso

Il Tribunale di Pisa dichiarava il fallimento di una società in accomandita semplice e di uno solo dei soci accomandatari, stante la ritenuta non regolare notifica verso l'altro, che veniva quindi dichiarato fallito non unitamente alla società e all'altro socio, ma successivamente, all'esito di un'ulteriore udienza fissata al fine di disporne la riconvocazione.

Nella specie, trattandosi di italiano residente all'estero, la notifica lo aveva raggiunto oltre il termine fissato dal tribunale, dopo l'audizione dell'altro socio accomandatario e prima della camera di consiglio deliberativa del fallimento della sola società e dell'altro socio. Il socio illimitatamente responsabile impugnava la sentenza dichiarativa di fallimento della società sostenendo che:

(i) non aveva potuto contestare tempestivamente, all'udienza prefallimentare, l'istanza di fallimento della società,

(ii) la fase prefallimentare si era illegittimamente svolta senza la sua partecipazione, e

(iii) il suo reclamo era tempestivo non essendogli ancora stata notificata la sentenza di fallimento della società e non essendo quindi neppur iniziato a decorrere il termine di 30 giorni per il relativo reclamo in appello.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 393/2018, respinge il reclamo; la Corte di Cassazione, con il provvedimento in commento, conferma tale pronuncia: il motivo essenziale del rigetto del reclamo da parte dei giudici delle impugnazioni consiste nel fatto che non essendo stato il socio illimitatamente responsabile dichiarato fallito, egli non è da considerare, ai sensi dell'art. 18 l. fall., un debitore ma un mero interessato alla impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento della società e, conseguentemente, egli deve impugnare la sentenza nel termine di 30 giorni dall'iscrizione della sentenza nel registro delle imprese, termine spirato nel caso di specie.

Inoltre, non viene neppure ravvisata la violazione del contraddittorio nei confronti del socio non sentito prima della declaratoria di fallimento della società e non dichiarato fallito nel corso di tale procedimento, in quanto l'obbligo di convocazione del socio trova giustificazione, secondo la Suprema Corte, non in un generico interesse riferito alla dichiarazione di fallimento della società, ma nella circostanza che detta dichiarazione produca anche il fallimento del socio.

Questioni giuridiche e soluzione cui è giunta la Suprema Corte

1. Socio illimitatamente responsabile: contraddittorio e litisconsorzio necessario nel giudizio per la dichiarazione di fallimento della società

La Suprema Corte, in aderenza ai propri precedenti, afferma che nel procedimento prefallimentare sussiste l'obbligo di integrare il contraddittorio soltanto con riferimento ai soggetti per i quali possa essere dichiarato il fallimento, pertanto con la società, nella persona dei soggetti che ne hanno la legale rappresentanza, e nei confronti dei soci nei confronti dei quali si voglia dichiarare il relativo fallimento. In particolare, l'interesse dei soci a contestare il fallimento della società, secondo la Corte di Cassazione, non si ravvisa in un generico interesse riferito alla dichiarazione di fallimento della società, ma sussiste solo se l'impugnativa è strumentale alla impugnazione del proprio fallimento (che nella specie non viene proposta, non essendo ancora stato dichiarato al momento dell'impugnativa). Inoltre, nel caso di specie, afferma la S.C., era stato idoneamente integrato il contraddittorio sia nei confronti della società, in quanto sentito l'altro socio legale rappresentante della società, sia verso il socio reclamante, in quanto, pur avendo egli ricevuto la notifica se pur tardiva ma precedente alla deliberazione di fallimento della società ed essendo stato messo in condizione di partecipare all'istruttoria prefallimentare, aveva deciso di non espletare alcuna difesa al riguardo.

I giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, affermano poi, citando un proprio precedente (Cass. n. 17765/2016), che non sussiste litisconsorzio necessario tra la società e i soci illimitatamente responsabili, in quanto non vi è possibilità per i soci, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento della società, di contestare il fondamento di tale dichiarazione di fallimento (contestazione che spetta alla società nella persone dei suoi legali rappresentanti), ma solo di opporsi alla estensione del fallimento nei loro confronti ad esempio facendo valere la loro estraneità alla compagine sociale.

2. Possibile coesistenza di due cause separate per la dichiarazione fallimento della società e del socio

Prosegue la Corte specificando che, con riferimento alla declaratoria di fallimento del socio, non vi è un obbligo di un procedimento unico e unitario a quello della dichiarazione di fallimento della società. Ciò che conta, secondo i giudici di legittimità, è che il resistente possa difendersi nel procedimento che lo riguarda: il tribunale potrà così dichiarare, sussistendone i presupposti, il fallimento della società e del socio illimitatamente responsabile presente, o rinviare questa dichiarazione ad altro procedimento separato se il socio non risulta presente.

La Corte afferma quindi che la ratio del fallimento della società ne impone la sua celere e pronta dichiarazione, imputando l'attività economica al soggetto-imprenditore realmente insolvente, senza che il procedimento per la dichiarazione di fallimento della società possa subire un arresto a causa della impossibilità di procedere immediatamente anche alla declaratoria di fallimento del socio illimitatamente responsabile. Risulta infatti possibile la sussistenza di un procedimento per la declaratoria di fallimento della società (con l'integrazione del contraddittorio nei confronti di almeno un soggetto che ne abbia la legale rappresentanza, ma non nei confronti dei soci che non verranno dichiarati falliti) e, a seguito della declaratoria di fallimento della società, di un successivo procedimento nei confronti del socio illimitatamente responsabile, nel quale al socio dovrà essere garantito il diritto di difesa e nel quale eventualmente potrà partecipare anche la società, mediante il proprio legale rappresentante, al fine di contrastare l'iniziativa.

3. Impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento: il socio illimitatamente responsabile non fallito non è debitore ma interessato e non gli deve essere notificata la sentenza di fallimento della società

La Suprema Corte conclude quindi sui primi due motivi di impugnazione affermando che la posizione del socio impugnante deve essere valutata come posizione del socio che impugna non il proprio fallimento, in quanto non dichiarato, ma il fallimento della società. La S.C. ritiene quindi che il socio abbia impugnato la sentenza per motivi relativi alla sua posizione non come socio fallito in estensione, ovvero come debitore, ma come mero soggetto interessato.

Egli non può, al fine di essere qualificato debitore, secondo la tesi dei giudici di legittimità, avvalersi della circostanza che possa essere chiamato a rispondere dei debiti della società: se non è stato dichiarato fallito, egli è solo un interessato, come tale non gli deve essere notificata la sentenza di fallimento della società e quindi è soggetto al termine di impugnazione decorrente dalla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese. Precisa la Corte che nel caso di specie il socio non avrebbe agito neppure come legale rappresentante della società, ma in proprio, ovvero come soggetto diverso dal fallito interessato a dolersi della sentenza, in quanto non ancora dichiarato fallito.

Osservazioni

La pronuncia in commento fa sorgere qualche perplessità sulla concreta portata del diritto di difesa del socio e sulla sua qualificazione come “interessato” alla proposizione del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.

1. Dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile: non necessità dei presupposti di fallibilità, sufficienza del vincolo sociale

Al fine di esaminare i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte, che si potranno applicare anche al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza quando entrerà in vigore, poiché non prevede nella sua formulazione attuale sostanziali modifiche alle norme rilevanti in questa sede, giova svolgere alcune preliminari considerazioni sui presupposti per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile. Sembrerebbe, ai sensi dell'art. 147 l. fall., che la dichiarazione di fallimento della società determini "automaticamente” il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, previa loro convocazione ai sensi dell'art. 15 l. fall.

A tale riguardo la dottrina si è interrogata circa la necessità della sussistenza in capo al socio dei presupposti di fallibilità ai sensi degli artt. 1 e 5 l. fall., fornendo soluzioni divergenti: secondo alcuni autori (cfr. Galgano) il socio illimitatamente responsabile è da qualificare imprenditore individuale, al più indiretto, e il suo fallimento deve essere ricondotto ad uno stato di insolvenza personale; secondo la dottrina maggioritaria (cfr. Bonelli, Ricci, Satta, Vassalli, Lo Cascio, Bonsignori), al contrario, il fallimento in estensione non si può ricondurre al normale fallimento individuale poiché il socio fallisce non in quanto imprenditore ma quale socio illimitatamente responsabile, con il suo patrimonio in rafforzamento della garanzia patrimoniale della società, e automaticamente, per effetto della dichiarazione di fallimento della società indipendentemente dal suo stato di insolvenza personale. L'orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza ritiene quindi il fallimento in estensione una eccezione rispetto agli artt. 1 e 5 l. fall. e, conseguentemente, sufficiente per la declaratoria di fallimento del socio illimitatamente responsabile la sussistenza di un vincolo sociale, senza necessità di verificarne la qualità di imprenditore commerciale e lo stato di insolvenza. A tale riguardo la giurisprudenza ha precisato che il riferimento da operare è al patrimonio della società, in quanto determina il fallimento del socio come conseguenza della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali e della sua responsabilità patrimoniale ai sensi dell'art. 2740 c.c., indipendentemente dallo stato di insolvenza personale.

Coerentemente con tale indirizzo, la Corte afferma, nella pronuncia in commento, che il fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile può definirsi "automatico", per consuetudine lessicale, in quanto applicativo di una regola di statuto per le società con soci illimitatamente responsabili, ma con l'avvertenza che la citata ordinaria produzione di effetti è intermediata processualmente dal contraddittorio e, sul piano sostanziale, dal duplice criterio del non decorso dell'anno (da scioglimento del rapporto sociale o cessazione della responsabilità immediata) e della insolvenza qualificata.

2. Litisconsorzio tra società e soci nel procedimento per la declaratoria di fallimento della società e diritto di difesa del socio

Considerato quindi che il socio non deve essere insolvente per fallire, ma deve sussistere solo un vincolo sociale con la società fallita, si ritiene opportuno svolgere qualche considerazione al fine di comprendere se sussista effettivamente la necessità di ravvisare un caso di litisconsorzio necessario nei suoi confronti. A tale riguardo infatti la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, sembra svolgere considerazioni non univoche o in ogni caso non di chiara interpretazione: dapprima afferma che il socio illimitatamente responsabile che ha proposto reclamo avverso alla sentenza dichiarativa di fallimento della società avrebbe potuto partecipare al procedimento per la dichiarazione di fallimento della società esprimendo “una completa difesa avverso la domanda di fallimento” anche “per ipotizzarne astratti limiti di tutela dell'interesse societario”, se pur a seguito di una notifica tardiva ma comunque anteriore alla emissione della sentenza, scegliendo invece di non assumere nessuna posizione processuale, nonostante avesse avuto il tempo di depositare memorie scritte prima della decisione in camera di consiglio; successivamente, affermando il principio di diritto, cita un proprio precedente (Cass. 8 settembre 2016, n. 17765) nel quale sostiene espressamente che non vi è litisconsorzio necessario del socio nel procedimento prefallimentare della società, precisando peraltro che il socio non può contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma solo opporsi alla estensione del fallimento nei suoi confronti facendo valere la sua estraneità alla compagine sociale.

Una lettura della pronuncia in commento, finalizzata anche a interpretare in modo costruttivo e costituzionalmente orientato i suddetti precetti della Corte, porta a ritenere che la S.C. con la pronuncia in commento abbia inteso consentire al socio di svolgere difese circa il fallimento della società, quanto meno mediante memorie scritte, con ciò sostenendo che il litisconsorzio è necessario, ma non l'udienza prefallimentare quanto meno se sia stato altrimenti garantito il diritto alla difesa.

A tale riguardo si consideri infatti quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale nelle storiche pronunce del 16 luglio 1970, nn. 141 e 142 e l'evoluzione giurisprudenziale conseguente. Con la prima la Corte ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 15 l.fall. nella parte in cui non prevede l'obbligo del tribunale di disporre la comparizione personale dell'imprenditore in camera di consiglio per l'esercizio del diritto di difesa in confronto con i creditori istanti, nei limiti compatibili con la natura di tale procedimento: ciò in quanto, considerata la gravità delle conseguenze della sentenza dichiarativa di fallimento, occorre che il debitore possa contrastare, già nella prima fase processuale in camera di consiglio, la veridicità dell'asserito stato di dissesto e l'assoggettabilità a fallimento; a tale scopo non è sufficiente il contraddittorio differito alla fase di impugnazione, se pur l'obbligo di disporre la comparizione del debitore deve essere contemperato con l'esigenza di urgenza e celerità del procedimento di fallimento anche allo scopo di conservare il patrimonio del debitore. Analogamente e con le stesse motivazioni, la seconda sentenza della Corte costituzionale afferma la illegittimità dell'art. 147, comma 2, l.fall. laddove non consente ai soci illimitatamente responsabili l'esercizio del diritto di difesa nei limiti compatibili con la natura del procedimento di camera di consiglio per la dichiarazione di fallimento.

Con sentenza n. 110 del 27 giugno 1972 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale anche del comma 1 dell'art. 147 l. fall. per le stesse considerazioni, ritenendo che prima della dichiarazione del fallimento della società con soci a responsabilità illimitata, il tribunale debba ordinare la comparizione in camera di consiglio dei soci illimitatamente responsabili nei cui confronti produce effetto la sentenza che dichiara il fallimento della società, al fine di dar modo ai soci di contrastare la veridicità dell'asserito stato di insolvenza e l'assoggettabilità all'esecuzione fallimentare.

Tali sentenze hanno quindi trasformato da facoltativa a obbligatoria l'audizione del debitore in sede prefallimentare: tale precetto è talmente rilevante da comportare la nullità della sentenza assunta con violazione del diritto di difesa; tale nullità coinvolge l'intera procedura fallimentare. Inoltre, sembrerebbe che la Consulta abbia ammesso la possibilità per il socio di fornire osservazioni circa i presupposti di fallimento della società. A tale riguardo, si osserva che, coerentemente con la circostanza pacificamente riconosciuta in dottrina e in giurisprudenza che il socio subisce il fallimento in estensione in conseguenza dei presupposti di fallibilità della società (oltre che del suo rapporto con la società di socio illimitatamente responsabile), pare logico ritenere che egli non possa opporre alla declaratoria di fallimento della società circostanze attinenti alla sua situazione economico-patrimoniale personale, ma possa, contrariamente a quanto affermato dalla S.C. nella pronuncia in commento nella parte in cui cita il precedente giurisprudenziale sopra illustrato, svolgere difese con riferimento alla declaratoria di fallimento della società, perché se è vero che egli risulta interessato dalla circostanza che la dichiarazione di fallimento della società produce il suo personale fallimento, è proprio sulla base di questa circostanza che il socio dovrebbe essere posto in grado di contraddire anche sull'antecedente logico del suo fallimento, senza il quale egli non potrebbe venir dichiarato fallito (e infatti la nullità della sentenza che dichiara il fallimento della società, secondo costante indirizzo giurisprudenziale - ex multis Cass. n. 25140/2018 -, comporta la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento del socio in estensione, che proprio sulla prima trova il suo presupposto e ne risulta collegata da un rapporto di dipendenza unidirezionale).

Con il tempo il precetto della Consulta è stato contemperato alle esigenze di celerità del processo e si è spostata l'attenzione dall'oggetto dell'obbligo (l'audizione del debitore in camera di consiglio) al fine (l'esercizio del diritto di difesa) equiparando l'effettivo esercizio alla mera possibilità di difesa (nel senso di essere messo in grado di conoscere e contraddire le ragioni che hanno dato avvio al procedimento prefallimentare) e si è ritenuto in certi casi che si possa perfino prescindere dall'audizione del debitore ad esempio assicurandogli la facoltà di presentare memorie difensive e allegare documenti.

Nella pronuncia in commento la Cassazione sembra essersi spinta ancora oltre, deformalizzando sempre più quell'obbligo di convocazione sancito dalla Corte costituzionale: ha ritenuto infatti non leso il diritto di difesa e al contraddittorio, pur essendo la pronuncia di fallimento intervenuta prima della data fissata per l'audizione del socio illimitatamente responsabile, ritenendo probabilmente questa formalità necessaria per la dichiarazione del suo fallimento, e invece sufficiente per il diritto di difesa della società la presenza in udienza dell'altro socio legale rappresentante e l'astratta possibilità per il socio non presente di presentare scritti difensivi prima della pronuncia di fallimento della società, anche in assenza dell'assegnazione di un preciso termine per il deposito di tali memorie difensive che garantisca che effettivamente tali memorie giungano prima della declaratoria di fallimento.

Si procede sempre più verso una progressiva compressione del diritto di difesa (anteriore alla pronuncia di fallimento mediante una interlocuzione efficace con il magistrato) e erosione della “comparizione in camera di Consiglio”, cercando un bilanciamento tra i prevalenti interessi pubblicistici alla pronta qualificazione giudiziaria dell'insolvenza e l'interesse del singolo soggetto a contraddire la formazione del relativo convincimento giudiziale, interesse che a tale fine può essere compresso.

3. Il socio illimitatamente responsabile non fallito non è debitore ma solo soggetto interessato a reclamare contro la sentenza dichiarativa di fallimento della società

Infine, la S.C., nella pronuncia in commento afferma, in linea con i propri precedenti, che il socio non fallito non è debitore ai fini di cui all'art. 18 l. fall.. Questa affermazione merita tuttavia qualche considerazione.

In termini generali è stato autorevolmente sostenuto (Nigro) che, poiché non occorre lo stato di insolvenza del socio illimitatamente responsabile affinché egli venga dichiarato fallito in estensione, si potrebbe perfino parlare di una procedura esecutiva collettiva idonea ad attuare quella garanzia patrimoniale generica peculiare delle società con soci a responsabilità illimitata, che vede rispondere delle obbligazioni sociali la società e i soci illimitatamente responsabili con tutti i loro beni presenti e futuri.

In tale ottica la responsabilità patrimoniale viene allargata a chi non è debitore ma è responsabile di tutte le obbligazioni. In forza di ciò è stato sostenuto da una parte della dottrina (Amatore) che, posto che il socio illimitatamente responsabile ha interesse ad accorrere in soccorso della società al fine di impedirne il fallimento e il proprio in estensione, l'inerzia del socio e pertanto la declaratoria di fallimento della società indicherebbe che un dissesto è presente anche nel suo patrimonio, pertanto che lo stato di insolvenza del socio è presunto iure et de iure dall'insolvenza della società da lui non sanata, tanto da giustificare la mancanza di preventiva escussione dei patrimoni dei soci prima della declaratoria di fallimento della società. È stato sostenuto che il fallimento del socio è automatico e prescinde dall'accertamento del suo stato di insolvenza, essendo comunque da censurare l'ipotesi in cui, pur capiente, non si sia adoperato per “salvare” la società estinguendone le posizioni debitorie con l'apporto di sue risorse personali. In tale senso il socio andrebbe quindi considerato debitore, ma di tale considerazione la giurisprudenza (compresa la Cassazione in commento), per tutto quanto sopra illustrato, non pare tenere conto, attenta più al dato formale della avvenuta dichiarazione di fallimento dei soci. Ecco quindi, nel ragionamento della Corte, che il socio illimitatamente responsabile non fallito diviene un mero “interessato” al reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della società, in quanto portatore di un interesse generico alla rimozione di tale provvedimento giurisdizionale che, pur non incidendo in modo diretto sul suo diritto, lo può di fatto vanificare esponendolo ad un pregiudizio di tipo concreto.

Secondo la Corte, infatti, la nozione di “debitore” di cui agli artt. 17 e 18 l. fall. non può allargarsi fino a comprendere il soggetto che, per regole civilistiche, risponde o può essere chiamato a rispondere dei debiti della società, ad esempio in quanto socio illimitatamente responsabile. In tale ottica al socio illimitatamente responsabile non fallito non deve quindi essere notificata la sentenza dichiarativa di fallimento della società ed egli potrà opporvisi solo in qualità di interessato. Seguendo tale ragionamento, il socio quale “interessato” non ricevendo la notifica della sentenza dovrà attivarsi per verificarne la iscrizione nel registro delle imprese pena il decorso del termine per la sua impugnazione, e inoltre, non trattandosi di una impugnazione in senso stretto, come avviene invece nel caso della impugnazione da parte del debitore, il ricorrente non potrà contestare i presupposti della dichiarazione di fallimento.

Conclusioni

La Suprema Corte sembra quindi dapprima applicare al caso di specie la soluzione che necessariamente opera, ai sensi dell'art. 147, comma 4, l. fall., per il fallimento del socio occulto scoperto successivamente al fallimento della società: il socio occulto non deve ovviamente essere necessariamente scoperto e convocato affinché possa essere pronunciata la declaratoria di fallimento della società (il socio occulto non è infatti ritenuto litisconsorte necessario di quello palese e il suo fallimento può essere dichiarato in qualsiasi momento).

Tuttavia nel caso di specie non si tratta di un socio occulto, ma palese e risultante come tale dal registro delle imprese, oltretutto amministratore in quanto socio accomandatario: l'interesse a contestare il fallimento della società pare debba quindi riconoscersi in capo al socio illimitatamente responsabile e venire pienamente rispettato, così come la S.C. sembra poi spingersi ad affermare, se pur in modo non chiaro e univoco, sostenendo che il socio illimitatamente responsabile non presente all'udienza prefallimentare avrebbe potuto svolgere piene difese presentando memorie scritte.

Conseguentemente dovrebbe quindi ritenersi sussistente l'obbligo di notifica sia della convocazione per l'udienza prefallimentare, che, e specialmente, della sentenza dichiarativa di fallimento della società, ciò proprio per garantirgli il diritto di difesa in quanto se la sentenza passasse in giudicato e successivamente intervenisse il suo fallimento, egli non potrebbe più difendersi pienamente, stante l'intervenuto giudicato sull'insolvenza della società.

Guida all'approfondimento

Circa la natura del fallimento in estensione e il relativo interesse dei soci: cfr. in dottrina M. Sandulli - G. D'Attorre, Manuale delle procedure concorsuali, Torino, 2016, 197 ss.; G. Garesio, Il fallimento in estensione, in O. Cagnasso - L. Panzani, Crisi di impresa e procedure concorsuali, Torino, 2016, 2747 ss.; R. Amatore, Le dichiarazioni di fallimento, Milano, 2014, 21 ss.; F. Vassalli, sub articolo 147 l. fall., in A. Nigro - M. Sandulli, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 1927 ss.; AE. Ricci, Lezioni sul fallimento, Milano, 1997, 107 ss.; A. Bonsignori, Fallimento delle società in Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare a cura di f. Galgano, Bologna-Roma, 1997, 148 ss.; S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996, 32 ss.; M. Pizzigati, Fallimento del socio e tutela dei creditori, Padova, 1990, 28 ss.; F. Bonelli, Del fallimento, III, Milano, 1923, 231 ss.. In giurisprudenza cfr. Cass. 17 dicembre 2012, n. 23213; Cass. 3 marzo 2006 n. 4705; Cass. 11 dicembre 2000, n. 15596; Cass. 24 luglio 1997, n. 6925.

Sul diritto al contraddittorio del socio nel procedimento per la dichiarazione di fallimento della società: cfr. R. Bellè in O. Cagnasso G.Cottino Fallimento e concordato fallimentare a cura di A. Jorio, Milano 2016, 632 ss.; G. Garesio, Il fallimento in estensione, in O. Cagnasso - L. Panzani, Crisi di impresa e procedure concorsuali, Torino, 2016, 2800 ss.; P. Pajardi - A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 787 ss.; C. Proto, Diritto del socio alla personale convocazione e conseguenze sulla dichiarazione di fallimento della società personale, Il Fallimento, 2004, 25 ss.; M. Ferro, L'istruttoria prefallimentare, Torino, 2001, 7 ss. e 95 ss.; C. Carano, L'apertura del fallimento, Milano, 2001, 135 ss.. In giurisprudenza cfr. Cass. 10 ottobre 2018, n. 25140; Cass. 21 gennaio 2016, n. 1105; Cass. 6 novembre 2014, n. 23718; Cass. 3 settembre 2013, n. 20170; Cass. 21 marzo 2013, n. 7181; Cass. 18 novembre 2010, n. 23344; Cass. 5 febbraio 2003, n. 1751; Cass. 12 novembre 1999, n. 225; Cass. 22 febbraio 1994, n. 1721; Cass. 1 aprile 1993 n. 3912; Cass. 24 luglio 1992 n. 8924. In giurisprudenza sulla possibilità per il socio di svolgere solo eccezioni sulla sua posizione come socio cfr. ex multis Cass. 21 ottobre 2020, n. 22956; Cass. 27 marzo 2017, n. 7769; Cass. 8 settembre 2016, n. 17765; Cass. 25 novembre 2015, n. 24112.

Sul diritto a impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento come interessato, cfr. Cass. 13 marzo 2019, n. 7190; Cass. 21 novembre 2018, n. 30107; Corte Appello Torino 6 maggio 2014.

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