La competenza cautelare

Francesco Agnino
10 Dicembre 2021

Le Riforme del 2005 e del 2009 non hanno intaccato il sistema di individuazione della competenza cautelare allestito negli artt. 669-ter e 669-quater c.p.c., radicato sullo stretto collegamento con la competenza in ordine alla causa di merito...
Inquadramento

Le Riforme del 2005 e del 2009 non hanno intaccato il sistema di individuazione della competenza cautelare allestito negli artt. 669-ter e 669-quater c.p.c., radicato sullo stretto collegamento con la competenza in ordine alla causa di merito.

Stando alla ratio dell'art. 669-ter c.p.c., la competenza cautelare dovrebbe appartiene al giudice competente per il merito anche allorché quest'ultimo sia stato scelto per accordo delle parti ai sensi dell'art. 28 c.p.c.

Il criterio di attribuzione della competenza cautelare sposato dall'art. 74 l. 353/1990, era, peraltro, del tutto coerente con la costruzione originaria del procedimento uniforme ex artt. 669-bis ss., ispirato dalla rigida strumentalità della fase cautelare rispetto all'immancabile sentenza di merito. Il legislatore del 1990 considerava la tutela cautelare richiesta anche prima dell'instaurazione del giudizio di merito come forma anticipata di quella che eventualmente verrà fatta valere nell'ambito del giudizio medesimo, configurando il provvedimento che accolga la richiesta (con le eccezioni relative alle specifiche ipotesi di cui all'art. 669-ter, comma 2 e 3) come se fosse un atto emesso dal giudice del merito (Cass. civ., n. 16328/2007).

Il ripristino di una sostanziale autonomia dei provvedimenti anticipatori, ovvero l'elisione del vincolo di subordinazione di essi al procedimento di merito (secondo la previsione del rinnovato art. 669-octies), fanno, tuttavia, dubitare dell'effettiva permanente opportunità di dotare di capacità attrattiva la competenza dell'ormai eventuale fase a cognizione piena.

È stato precisato in giurisprudenza che l'omessa rilevazione dell'incompetenza (derogabile od inderogabile) da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare ante causam non determina comunque il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adìto anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38, in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena. Ciò comporta che il giudizio proposto ai sensi degli artt. 669-octies e 669-novies, all'esito della fase cautelare «ante causam», può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela (Cass. civ., n. 797/2015).

Pertanto, nel sistema processuale innovato dal c.d. rito competitivo (d.l. 35/2005), la strumentalità della cautela al merito è stata attenuata, non essendo più doverosa, ma solo facoltativa, l'instaurazione del relativo giudizio di merito (art. 669-octies, comma 6, c.p.c.).

Ciononostante, l'indicazione della domanda di merito sottesa alla cautela è tuttora doverosa, anche agli effetti dell'individuazione della competenza per territorio e materia del giudice adito (art. 669-ter c.p.c.), a pena di inammissibilità del ricorso stesso (Trib. Modena, 28 maggio 2014).

L'inderogabilità del foro per i procedimenti cautelari, prevista dall'art. 28 c.p.c., rinvia implicitamente alla previsione della necessaria coincidenza tra giudice competente per il merito e giudice competente per l'azione cautelare ante causam; essa vieta quindi alle parti di spezzare consensualmente tale legame funzionale, ma non impedisce che, invece, esse deroghino alla competenza territoriale per il merito (com'è avvenuto nella specie), con conseguente attrazione del processo cautelare presso il foro convenzionale (Trib. Roma, 13 agosto 2018).

Nella giurisprudenza di merito si è rilevato che il giudice competente per il procedimento cautelare introdotto in corso di causa è titolare, ai sensi degli artt. 28 e 669-quater c.p.c. di una competenza funzionale ed inderogabile, senza che possano valere in senso contrario eventuali rischi di forum shopping (Trib. Milano, 10 marzo 2016, nella fattispecie il giudice del merito emetteva il provvedimento cautelare richiesto, nonostante l'eccezione di incompetenza per clausola compromissoria sollevata dalla parte).

Alla consonanza tra competenza cautelare e competenza di merito pongono tuttora eccezione i commi 2 e 3 dell'art. 669-ter c.p.c., per le ipotesi della causa di merito appartenente al giudice di pace e della giurisdizione straniera; l'art. 688, comma 1, c.p.c. (che rinvia all'art. 21), per le denunce di nuova opera e di danno temuto; l'art. 693, comma 2, c.p.c. per le istanze di istruzione preventiva in caso di eccezionale urgenza.

Ricorso cautelare ante litem

In applicazione della regola generale, ai sensi dell'art. 669-ter c.p.c. la domanda cautelare ante causam si propone al giudice competente a conoscere della causa nel merito.

Derivano da tale principio alcune questioni problematiche.

In primo luogo, in presenza di fori alternativi ai sensi degli artt. 18-20 c.p.c., è discusso se la scelta di un determinato giudice ai fini della proposizione della domanda cautelare spieghi effetti anche in ordine al successivo giudizio di merito, nel senso che lo stesso dovrà essere instaurato necessariamente dinanzi allo stesso giudice. Se tale è, infatti, in accordo con un primo orientamento, la conseguenza che dovrebbe essere riconnessa alla scelta di un determinato giudice della cautela in presenza di fori alternativi (Verde, 436), secondo una diversa posizione, stante la volontà legislativa di dettare regole uniformi in tema di competenza cautelare e non anche di stabilire un'ontologica coincidenza tra giudice della cautela, alla scelta tra i fori concorrenti compiuta in sede di cautela non possono attribuirsi effetti vincolanti per il giudizio di merito (Merlin, 394).

Nel primo senso sembra orientata la giurisprudenza per la quale il lavoratore che abbia proposto ricorso d'urgenza dinanzi ad uno dei tre fori alternativamente previsti dall'art. 669-ter c.p.c., attraverso il richiamo al giudice competente a conoscere del merito, in occasione della successiva proposizione del giudizio di merito è necessariamente condizionato, nell'individuazione del giudice, alla scelta effettuata nella fase d'urgenza (Trib. Milano, ord., 7 settembre 1999, in D.L. Riv. critica dir. lav., 2000, 257).

Distinta questione problematica è quella che attiene alla valenza, ai fini della competenza cautelare ante causam, di una clausola di deroga convenzionale della competenza territoriale ex artt. 28-29 c.p.c., in quanto l'art. 669-ter c.p.c. non precisa se per giudice compente a conoscere del merito – cui va indirizzata anche l'istanza cautelare – debba intendersi quello in astratto competente a decidere del merito ovvero quello a ciò deputato in concreto, magari a seguito di un accordo delle parti volto a derogare alla competenza territoriale (Giordano, 2)

In particolare, si è osservato, in senso contrario all'operatività della clausola di deroga convenzionale della competenza in materia cautelare, che: a) stante il principio di inderogabilità convenzionale della competenza sancito dall'art. 6 c.p.c. devono considerarsi eccezionali i casi nei quali è possibile una deroga della stessa in forza di un accordo tra le parti (Montesano – Arieta, 124); b) l'art. 28 c.p.c. nella parte in cui pone il divieto di deroga della competenza per territorio in materia di procedimenti cautelari è ancora vigente, in quanto non può considerarsi implicitamente abrogato a seguito dell'introduzione del procedimento cautelare uniforme dal momento che nelle ipotesi in cui il legislatore ha manifestato la volontà di abrogare disposizioni in materia cautelare l'ha fatto espressamente (Simonelli, 1487 ss.); c) in ogni caso attribuire la competenza cautelare anteriormente all'instaurazione del giudizio di merito al giudice scelto convenzionalmente dalle parti per siffatto giudizio amplia indebitamente l'oggetto della convenzione tra le stesse che ha invece riguardo soltanto alla deroga della competenza territoriale per la causa di merito (Simonelli, 1487 ss).

Per altri, invece, avrebbe rilevanza la deroga pattizia della competenza per territorio (Capponi, 201 ss.), in quanto: a) in omaggio alla ratio alla base delle disposizioni del procedimento cautelare uniforme, introdotte dalla l. 353/1990, deve sempre essere privilegiata l'interpretazione che favorisca un costante raccordo tra procedimento cautelare e procedimento di merito, ovvero, nella fattispecie in discussione, una coincidenza tra giudice della cautela e giudice del merito (Guarnieri, 299); b) una problematica analoga si era già posta prima della novella del 1990 per i sequestri e sussiste ancora oggi per i provvedimenti di istruzione preventiva e la giurisprudenza è incline a considerare validi, ai fini della proposizione dei ricorsi cautelari ante causam, gli accordi di deroga della competenza territoriale (Cecchella, in Vaccarella – Capponi, 355).

I fautori della tesi dominante favorevole all'operare della deroga pattizia alla competenza per territorio anche ai fini dell'individuazione del giudice competente a conoscere delle istanze cautelari proposte ante causam giustificano, poi, con diverse argomentazioni l'apparente contrasto di tale opzione interpretativa con l'inderogabilità della competenza territoriale in tema di procedimenti cautelarisancita dall'art. 28 c.p.c.. In particolare, se alcuni non esitano a ritenere che tale regola è stata implicitamente abrogata a seguito dell'introduzione del procedimento cautelare uniforme (Olivieri, 699 ss.), altri sottolineano che, a prescindere dalla questione dell'abrogazione, attualmente l'unica regola di competenza per territorio avente carattere funzionale e quindi inderogabile è proprio quella sancita dall'art. 669-ter, comma 1, c.p.c., la quale individua per relationem, anche nelle ipotesi di deroga pattizia della stessa, la competenza cautelare rispetto a quella per il giudizio di merito (Merlin, 394).

Competenza cautelare in corso di causa

Ai sensi dell'art. 669-quater, comma 1, c.p.c. quando già pende la causa di merito la domanda cautelare deve essere proposta al giudice della stessa.

A tal fine è importante individuare il momento in cui può considerarsi pendente la causa di merito: pertanto, per il processo ordinario di cognizione occorre aver riguardo alla notifica dell'atto di citazione ovvero, per i riti speciali da ricorso, a quello del deposito dello stesso presso la cancelleria del giudice competente.

In linea di principio in corso di causa la competenza a decidere sull'istanza cautelare spetta ad un giudice monocratico, anche nell'ipotesi di controversia riservata alla decisione del collegio ex art. 50-bis c.p.c. e nonostante in concreto la causa sia stata già rimessa in decisione (App. Milano 29 giugno 2004, in Giur. Merito, 2006, n. 2, 352).

Tale orientamento si giustifica non solo perché coerente con le esigenze di speditezza processuali proprie dei procedimenti cautelari ma anche per l'espresso riferimento della lettera dell'art. 669-quater, comma 1, c.p.c., al “giudice” della causa di merito (Merlin, 395).

La regola della monocraticità del giudice deputato a trattare e decidere i ricorsi cautelari è derogata soltanto nei due casi in cui ciò avviene anche con riferimento alle domande cautelari proposte ante litem, ovvero nell'ipotesi di istanza proposta dinanzi alla Corte d'appello ed allo stesso giudice di primo grado tutte le volte che anche per il giudizio di fronte allo stesso la legge preveda una trattazione collegiale (Dalmotto, 1104 ss.).

Tuttavia, l'articolo indicato lascia irrisolta la questione se debba essere verificata la concreta competenza per il giudizio di merito in capo al giudice adito.

A tal proposito si contendono il campo due orientamenti dottrinari.

Secondo un orientamento il giudice istruttore, investito della causa di merito, sarebbe privo del potere di valutare la propria competenza in sede di richiesta cautelare (Consolo (- Luiso – Sassani) 1996, 592).

Di conseguenza, se la causa di merito pendesse innanzi ad un giudice incompetente, allo stesso, cionondimeno, spetterebbe ugualmente la competenza cautelare.

Altri autori, al contrario, in replica alla posizione sopra esposta, hanno evidenziato che tale soluzione sarebbe, innanzitutto, in contrasto con la lettera dell'art. 669-quater c.p.c. in quanto questo farebbe riferimento al giudice della causa di merito, cioè al giudice effettivamente competente per il merito e non al giudice, di fatto, già investito del merito anche se incompetente (Guaglione 2006, 61).

Inoltre l'interpretazione qui criticata consentirebbe alla parte di scegliersi, per il provvedimento cautelare, il giudice che più le aggrada, proponendo, magari, il procedimento di merito innanzi al giudice incompetente così potendosi ”scegliere” il giudice della cautela (anche mettendo in conto di dover corrispondere alla controparte le spese legali conseguenti alla dichiarazione di incompetenza (Balestra, 1).

Secondo questa posizione, che a parere di chi scrive sembra essere preferibile, il giudice istruttore a seguito della proposizione dell'istanza cautelare dovrà accertare, sebbene in via di cognizione sommaria, la sussistenza della propria competenza anche nel merito.

Dal canto suo la giurisprudenza non si è sempre espressa in modo univoco.

Infatti, per alcune pronunce: il comma 1 dell'art 669-quater c.p.c., in ipotesi di palesata incompetenza del giudice adito per la trattazione nel merito, va interpretato nel senso che non spetta la competenza al giudice adito incompetente nel merito a statuire sulle richieste cautelari articolate nel corso del giudizio (Trib. S. Maria Capua V., 6 maggio 2011); ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c. giudizio pendente per il merito è quello proposto innanzi al giudice effettivamente competente; qualora pertanto il giudice innanzi al quale penda un giudizio di merito si ritenga incompetente, non può adottare misure cautelari, in quanto la relativa competenza spetta al giudice innanzi al quale la causa avrebbe dovuto proporsi (Trib. Napoli, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 14 luglio 2004).

Al contrario, per altra pronuncia: la licenziante di un marchio ha diritto di rivendicare, per il periodo successivo alla scadenza del contratto di licenza, la piena disponibilità del proprio marchio, al fine anche di concederlo in licenza d' uso a terzi e di agire contro usi illegittimi da parte del soggetto non più licenziatario. L'istanza cautelare, ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., deve essere proposta al giudice al quale pende la causa a cognizione piena, anche se questi non risulti effettivamente competente per il giudizio di merito. Lo stesso giudice, in sede di pronuncia sulla domanda cautelare, non deve verificare la propria competenza per il merito, essendogli la competenza cautelare attribuita per relationem con riguardo alla sola attuale investitura per il merito. Avendo la licenziante già concluso con un terzo un nuovo contratto di licenza, le comunicazioni dell'attuale licenziataria e della nuova sono idonee a creare confusione sulla futura titolarità della licenza, fondando il periculum in mora (Trib. Roma, sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 25 ottobre 2005).

A tal riguardo si osserva che il giudice ambrosiano ha affermato la inderogabilità dell'art. 669-quater c.p.c. che, come noto, dispone la competenza del giudice dinanzi al quale sia pendente la causa di merito avente ad oggetto l'accertamento della pretesa in relazione alla quale il ricorrente chiede l'emissione del provvedimento cautelare (Trib. Milano, 10 marzo 2016).

Secondo il Tribunale meneghino, pertanto, la norma de qua prevede un'ipotesi di competenza territoriale c.d. funzionale, non derogabile dalle parti neppure tramite la previsione di una clausola compromissoria, come peraltro confermato dal disposto dell'art. 28 c.p.c. (Cass. civ., n. 6603/1996; Cass. civ., n. 9740/1994; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Latina, 26 ottobre 2010; Trib. Bari, 23 settembre 2005).

La soluzione in parola, dunque, rappresenta una soluzione obbligata, considerata la littera dell'art. 669-quater c.p.c., tanto da potersi prescindere dalla competenza del giudice adito a decidere la controversia a cognizione ordinaria.

Ciò detto quanto alla imperatività della disposizione citata, il Tribunale non nasconde i propri interrogativi in merito agli inconvenienti conseguenti alla scelta operata dal Legislatore, primo tra tutti il – pure insuperabile – rischio di un legalizzato abuso del processo, sub specie di forum shopping.

Nello specifico, l'ordinanza in esame ha sottolineato come il ricorrente potrebbe introdurre la causa di merito dinanzi ad un giudice incompetente e davanti a costui introdurre altresì il procedimento cautelare, senza che il resistente possa eccepire (né il giudice rilevare) l'incompetenza, ostativo essendo al riguardo proprio il summenzionato meccanismo previsto dal primo allinea dell'art. 669-quater c.p.c..

La littera perentoria della disposizione da ultimo citata non pare consentire altra soluzione rispetto a quella adottata nel caso di specie (Polizzi, 2).

Il rischio evidenziato dall'ordinanza esaminata, peraltro, risulta ancora più denso di implicazioni se si considera che il meccanismo ex art. 669-quater c.p.c. risulta essere ispirato alla necessità di evitare “dispersioni giudiziarie” e, in ultima analisi, di tutelare la concentrazione tra il processo a cognizione piena in fieri e l'esigenza di tutela cautelare del ricorrente, nell'ottica della speditezza processuale auspicata dall'art. 111 Cost.

Il regolamento di competenza

Il giudice di legittimità ha in plurime occasioni ribadito il principio della inammissibilità del regolamento di competenza avverso provvedimenti aventi natura cautelare (Cass. civ., n. 12403/2020).

Infatti, in tema di procedimenti cautelari è inammissibile la proposizione del regolamento di competenza, sia in ragione della natura giuridica dei provvedimenti declinatori della competenza inidonei, in quella sede, ad instaurare la procedura di regolamento, in quanto caratterizzati dalla provvisorietà e dalla riproponibilità illimitata - sia perchè l'eventuale decisione, pronunciata in esito al procedimento disciplinato dall'art. 47 c.p.c., sarebbe priva del requisito della definitività, atteso il peculiare regime giuridico del procedimento cautelare nel quale andrebbe ad inserirsi (Cass. civ., sez. un., n. 18189/2013; Cass. civ., sez. un., n. 16091/2009).

In particolare, l'omessa rilevazione dell'incompetenza (derogabile od inderogabile) da parte del giudice nel procedimento cautelare ante causam non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 c.p.c., in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena (Cass. civ., n. 2505/2010).

Ne consegue che il giudizio di merito instaurato all'esito della fase cautelare ante causam, può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela. Anzi, questa rappresenta la corretta via processuale per dedurre, in un giudizio a cognizione piena, la questione della competenza territoriale.

Solo qualora, dichiaratosi incompetente il primo giudice, anche il secondo, successivamente adito, abbia pronunciato un analogo provvedimento negativo della propria competenza, la giurisprudenza di legittimità ha talvolta ritenuto applicabile, rispetto a tale decisione, la norma generale di cui all'art. 42 c.p.c. e, conseguentemente, ha ammesso l'istanza di regolamento di competenza, non essendo ipotizzabile che l'ordinamento non preveda alcuno strumento processuale attraverso il quale dirimere una situazione in cui non vi sia, di fatto, un giudice obbligato, alfine, a conoscere della domanda cautelare, a meno di non ipotizzare, nel sistema così delineato, un potenziale vulnus ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost. (Cass. civ., n. 1613/2017; Cass. civ., n. 17299/2008).

Ricorso proposto durante il giudizio di impugnazione

L'art. 669-quater c.p.c. rimane invece silente in ordine al giudice deputato a conoscere delle istanze cautelari proposte nell'ambito dei giudizi di impugnazione.

Viene innanzitutto in rilievo l'ipotesi in cui il ricorso cautelare sia stato proposto nel corso del giudizio di appello, dinanzi al tribunale ovvero alla Corte d'appello. Nel primo caso, la permanente competenza del giudice monocratico ai fini della decisione nel merito dell'appello avverso le sentenze del giudice di pace induce a ritenere che anche del ricorso cautelare proposto in sede di gravame debba decidere un giudice monocratico. Nella diversa situazione nella quale il giudizio sia stato proposto dinanzi alla Corte d'appello, stante il disposto dell'art. 350 c.p.c., è consolidato l'orientamento secondo cui la competenza ad emanare le misure cautelari spetta al collegio e non al giudice singolo (cfr., tra le altre, App. Milano 19 gennaio 1995, in Foro it., 1995, I, 2254; analogamente, in dottrina, Recchioni 390).

In una prospettiva differente, autorevole dottrina ritiene, invece, che la lacuna normativa in tema di individuazione del giudice competente sull'istanza cautelare in sede di appello dovrebbe essere colmata applicando analogicamente l'ultimo comma dell'art. 351 c.p.c., conferendo al Presidente la facoltà di emanare provvedimenti inaudita altera parte soggetti a conferma, modifica o revoca da parte del collegio dopo l'udienza in camera di consiglio (Proto Pisani, 17).

Occorre per altro verso individuare il giudice competente a provvedere sulle istanza di tutela cautelare proposte nel corso del giudizio di cassazione.

É bene premettere che la circostanza per la quale esigenze di tutela cautelare possano sorgere anche nel corso del giudizio di legittimità è stata implicitamente confermata dalla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 383, 669-ter, quater, quinquies, c.p.c. nella parte in cui non consentirebbero di individuare il giudice competente a conoscere delle richieste cautelari durante la pendenza del giudizio di cassazione, evidenziando che tale individuazione è demandata ai giudici di merito, i quali possono effettuarla facendo ricorso agli ordinari strumenti ermeneutici. In concreto, tuttavia, la proposizione di domande cautelari nel corso del giudizio di legittimità è una circostanza difficilmente configurabile in quanto la relativa istanza, formulata dal soccombente in appello, dovrebbe avere ad oggetto i motivi che inficiano la legittimità della decisione ovvero, per il caso di istanza del vincitore, dovrebbe ipotizzarsi l'insorgere di un nuovo periculum in mora correlato alla illegittima sospensione della decisione di merito (Consolo (- Luiso – Sassani) 1996, 598).

Peraltro, appare prevalente l'orientamento volto a negare che la Corte di cassazione disponga di poteri cautelari, in quanto si tratta di un organo istituzionalmente preposto soprattutto allo svolgimento della propria funzione nomofilattica e per questo strutturalmente inidoneo allo svolgimento di ogni attività istruttoria e, più in generale, deputata all'accertamento dei fatti (Attardi 1991, 234). Di conseguenza, anche in armonia con quanto previsto dall'art. 373 c.p.c. per le inibitorie (Merlin 1996, 397), si può affermare che le domande cautelari vanno proposte, nel corso del giudizio di legittimità, al giudice che ha emanato la sentenza impugnata (App. Genova 11 luglio 1997, in Giur. Merito, 1998, 8).

Competenza sul merito del giudice di pace

La regola generale della coincidenza tra giudice della cautela e giudice del merito ha alcune significative eccezioni, talvolta sancite dallo stesso art. 669-ter c.p.c., talaltra desumibili da diverse disposizioni normative.

In primo luogo, a norma del secondo comma dell'art. 669-ter c.p.c., quando competente per il merito è il giudice di pace, la domanda cautelare, sia ante causam sia in corso di causa, si propone al tribunale del luogo nel quale ha sede il giudice di pace che dovrà essere adito per il merito.

Tale regola dipende dall'assenza nel nostro sistema processuale di una potestà giurisdizionale cautelare in capo ai giudici di pace, e più in generale ai giudici onorari, correlata alla sfiducia nutrita dal legislatore verso i giudici non togati soprattutto per le minori garanzie di indipendenza che gli stessi possono assicurare (sulla legittimità di tale scelta del legislatore ordinario, Corte cost., 14 marzo 1997, n. 63, in Giur. Cost., 1997, 662).

Secondo alcuni, i giudici di pace, sebbene privi del potere di concedere misure cautelari, possano comunque revocare e/o modificare le stesse o dichiararne l'inefficacia: tale interpretazione, invero, renderebbe del tutto irrazionale l'assenza di una competenza cautelare in capo al giudice di pace, il quale sarebbe comunque munito di poteri cautelari.

Competenza sul merito del giudice straniero

Specifiche regole sono poi dettate anche per la competenza cautelare, sia ante causam che in corso di causa, quando competente per il merito è un giudice straniero: in tal caso, la domanda cautelare va proposta al giudice competente per materia o valore del luogo nel quale deve essere eseguito il provvedimento cautelare. Tale criterio appare condivisibile, poiché il collegamento con il luogo di esecuzione della misura cautelare consente di evitare i problemi pratici che potrebbero sorgere, nell'ipotesi considerata, ove si volessero applicare le regole poste dagli artt. 18 ss. c.p.c. (cfr. Raiti, 768 ss.).

Atteso ciò sotto un profilo generale, sorgono nondimeno talune problematiche interpretative con riferimento al criterio di collegamento della competenza cautelare per le ipotesi in cui la giurisdizione nel merito appartenga ad un giudice straniero.

Con riferimento alla competenza cautelare ante causam si è osservato, infatti, che non è sufficiente per il ricorrente affermare che sussiste la giurisdizione del giudice straniero piuttosto che quella del giudice italiano e che quindi l'istanza è proposta dinanzi al giudice del luogo di esecuzione della misura: occorrerà infatti una verifica da parte del giudice adito in ordine alla sussistenza in astratto della giurisdizione cautelare italiana (cfr. Merlin, 400, la quale sottolinea che tale esigenza nuova legge perché prima l. 218/1995 più agevolmente la giurisdizione del giudice straniero era ancorata al criterio della nazionalità del convenuto).

Competenza cautelare ed arbitrato

Nella sua originaria formulazione, l'art. 669-quinquies c.p.c. si limitava a colmare il vuoto di potestà cautelare tradizionalmente affliggente gli arbitri (art. 818), attribuendo la cognizione della domanda di cautela proposta prima o nel corso del giudizio arbitrale al giudice che sarebbe stato altrimenti competente per il merito.

Con una modesta aggiunta all'art. 669-quinques c.p.c., la l. 80/2005 ha poi chiarito l'interrogativo dell'ammissibilità della domanda giudiziale di tutela cautelare allorché la controversia sia devoluta alla cognizione di arbitri irrituali. Sia l'arbitrato irrituale che l'arbitrato rituale, del resto, risultano riconducibili all'autonomia privata ed alla legittimazione delle parti a derogare alla giurisdizione per ottenere una decisione di fonte consensuale della lite, da collocarsi in posizione del tutto autonoma ed alternativa rispetto al giudizio civile. Piuttosto, mentre nell'arbitrato rituale le parti intendono ottenere un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c. , con l'osservanza del regime procedimentale di cui agli artt. 816 e ss. c.p.c., in quello irrituale esse si propongono di rimettere all'arbitro la soluzione di controversie insorte o insorgendo soltanto mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento, impegnandosi le parti stesse ad accettare la decisione come espressione della loro volontà. In tale senso, non poteva certamente più ammettersi che il compromesso per arbitrato irrituale, determinando una rinuncia dei contraenti alla tutela giudiziaria dei diritti relativi al rapporto litigioso, comporti il difetto del potere del giudice di statuire sulla domanda giurisdizionale, tanto in via ordinaria, quanto in via cautelare.

Di tal che, l'ammodernamento in chiave interpretativa dell'art. 669-quinquies c.p.c. appare meritevolmente diretto ad impedire che la scelta dell'arbitrato irrituale dissimuli un'intollerabile rinuncia al diritto, preservandone perciò la tutelabilità mediante gli strumenti cautelari.

Il legislatore del 2005, tuttavia, ha sottovalutato le complicazioni dell'adattamento del procedimento cautelare uniforme alla struttura ed ai contenuti dell'arbitrato irrituale. L'interesse delle parti ad ottenere la tutela cautelare può essere soddisfatto sempre nei limiti imposti dal negozio compromissorio e dalle caratteristiche volontarie del modus operandi degli arbitri liberi (Scarpa, 985).

Pertanto, ai sensi dell'art. 669-quinquies c.p.c. se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri, anche non rituali, o se è pendente il giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito.

La disposizione si ricollega al divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari, sancito dall'art. 818 c.p.c.: tale regola, in quanto espressione di una risalente concezione tendente a negare a soggetti diversi dai giudici togati il potere di emanare provvedimenti suscettibili di immediata attuazione coattiva, è stata aspramente criticata da una parte della dottrina (Carpi 1990, 1259).

É discusso se l'indicazione nella clausola compromissoria di una sede dell'arbitrato diversa da quella del foro del giudice che sarebbe stato competente in mancanza della stessa a conoscere della controversia costituisca una convenzione di deroga alla competenza territoriale ai sensi dell'art. 28 c.p.c.

La tesi sfavorevole ad attribuire la valenza di accordo di deroga della competenza territoriale alla sede dell'arbitrato, è stata avallata anche dalla giurisprudenza di merito all'interno della quale si è affermato che la previsione nella clausola compromissoria che l'arbitrato avrà sede in un determinato luogo non configura un accordo sulla competenza territoriale ex art. 28 c.p.c. e pertanto, poiché - come indicato dall'art. 669-quinquies c.p.c. - occorre fare astrazione dalla clausola compromissoria il giudice competente per i fini cautelari deve essere determinato come se tale clausola non fosse stata apposta e non sussiste la competenza cautelare del giudice indicata al solo fine dello svolgimento dell'arbitrato (Trib. Napoli, 5 maggio 2001, in Dir. industriale, 2002, 31, con note di Peroni e Giunchino; contra, prima dell'emanazione della l. 353/1990, Trib. Milano, 13 giugno 1988, in Nuova giur. civ. comm., 1988, 575).

L'art. 669-quinquies c.p.c. tace in ordine alla questione del giudice competente a conoscere dell'istanza cautelare proposta in pendenza dei termini per impugnare il lodo arbitrale.

La possibilità di domandare tutela cautelare al giudice competente per il merito una volta stipulata una clausola compromissoria per arbitrato irrituale ovvero nel corso di tale procedimento, è stata invece riconosciuta expressis verbis dal legislatore soltanto in sede di modifica del testo dell'art. 669-quinquies con la l. 80/2005.

La riforma, peraltro, lascia aperti alcuni problemi interpretativi derivanti dalla necessità di coordinare il principio della compatibilità tra arbitrato irrituale e tutela cautelare con la natura strumentale, anche sotto il profilo strutturale, dei provvedimenti cautelari di carattere conservativo. In effetti, già prima del richiamato intervento del legislatore sull'art. 669-quinquies c.p.c., la dottrina che propendeva per la compatibilità tra arbitrato libero e tutela cautelare si era domandata anche come assicurare in questi casi il rispetto della regola, posta dall'art. 669-octies, per la quale, concessa una misura cautelare ante litem va poi dato inizio, a pena di inefficacia della stessa, al giudizio di merito entro un determinato termine.

Le soluzioni erano state articolate. In particolare, in accordo con un primo orientamento, la concessione della tutela cautelare avrebbe travolto il patto compromissorio, con la conseguente necessità di instaurare la causa dinanzi al giudice ordinario (Arieta, 744 ss.). Per la dottrina dominante, nel termine previsto per l'instaurazione del giudizio di merito a pena di inefficacia della misura cautelare le parti sarebbero state onerate di proporre la domanda di arbitrato irrituale (Sassani 710 ss.).

Più complesso è il problema del coordinamento dell'odierno art. 669-quinques c.p.c., nella parte in cui riconosce la possibilità di domandare tutela cautelare anche nell'ipotesi di sottoscrizione di un patto compromissorio per arbitrato irrituale, con l'art. 669-novies, comma 4, c.p.c.,il quale equipara la sentenza al lodo arbitrale, nell'ipotesi di conclusione dell'arbitrato irrituale con una pronuncia favorevole alla parte che aveva ottenuto la cautela poiché il lodo irrituale ha valore di determinazione negoziale di per sé insuscettibile di exequatur (Saletti, 62).Secondo alcuni deve ritenersi che la misura cautelare sopravviva al lodo, fermo restando che, qualora si tratti di misura conservativa e quindi a strumentalità forte, nel termine di sessanta giorni di cui all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c.la parte beneficiaria della stessa sarebbe onerata di agire in sede giudiziale per l'adempimento (Trib. Civitavecchia 11 marzo 2005, in Corr. Merito, 2005, 514).

Sotto altro aspetto, nella giurisprudenza di merito, si è sostenuto che, allorché le parti abbiano deferito le controversie contrattuali ad arbitrato estero, tale deferimento si estende anche alla materia cautelare e pertanto va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano (Trib. Frosinone 19 settembre 2017, in Riv. arb., 2017, 4, 759).

Riferimenti
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