La vendita della quota del socio moroso rientra tra le azioni vietate dall'art. 168 l.fall.

Gabriele Piccinini
10 Dicembre 2021

La vendita coattiva della quota del socio moroso, disciplinata dall'art. 2466 c.c. rientra a pieno titolo tra le azioni esecutive contemplate dall'art. 168 l. fall., appartenendo a tale categoria tutte quelle volte a conseguire il soddisfacimento coattivo del credito.
Massima

La vendita coattiva della quota del socio moroso, disciplinata dall'art. 2466 c.c. rientra a pieno titolo tra le azioni esecutive contemplate dall'art. 168 l. fall., appartenendo a tale categoria tutte quelle volte a conseguire il soddisfacimento coattivo del credito. Lo scopo dell'art. 168 l. fall. è principalmente quello di proteggere il patrimonio del debitore da aggressioni di singoli creditori che possano ostacolare il tentativo di composizione della crisi e di consentire quindi di realizzare la par condicio creditorum evitando la concorrenza tra le azioni esecutive dei singoli creditori e quella collettiva.

Il caso

Da quanto risulta ricostruibile della sentenza in esame, appare che la società “A”, sulla scorta del disposto dell'art. 2466 c.c., abbia provveduto a vendere a mezzo rogito notarile la quota del 30% del proprio capitale sociale intestata al socio moroso società “B”, al tempo in concordato preventivo, alla società “C”.

La società “B”, in seguito fallita, ha impugnato la vendita innanzi il Tribunale di Venezia, ottenendo la dichiarazione di inefficacia di tale atto, sulla base della natura esecutiva della detta vendita e del contrasto con il precetto di cui all'art. 168 l. fall. che vieta il compimento e la prosecuzione di attività esecutive sul patrimonio del debitore a tutela della par condicio creditorum. Anche la Corte di Appello di Venezia investita del gravame aveva confermato tale impostazione, accogliendo l'impugnazione solo in punto quantificazione della quota del socio moroso a seguito di un intervenuto aumento di capitale, quantificazione determinata nella percentuale del 15% del capitale sociale post aumento.

Il ricorso per Cassazione che ha dato luogo alla sentenza in commento, proposto dalle società “A” e “C”, è stato anch'esso rigettato, fornendo la possibilità di analizzare le ragioni per cui il diritto di cui all'art. 2466 c.c. (e, quindi, in ultima analisi, l'interesse all'effettività e alla tutela del capitale sociale) deve intendersi recessivo rispetto al divieto previsto dall'art. 168 l. fall. (e, quindi, rispetto all'interesse dei creditori del socio moroso e della par condicio creditorum).

Le questioni

Come noto, l'art. 2466 c.c., nella formulazione introdotta con la riforma del diritto societario del 2003, a tutela dell'effettività del capitale e dei terzi, prevede uno specifico e speciale procedimento diretto a consentire alla società di recuperare le somme necessarie per coprire i centesimi del capitale mancanti in caso di omesso versamento da parte del socio.

In particolare, se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori sono tenuti a diffidare il socio moroso a eseguirlo nel termine di trenta giorni. Decorso inutilmente tale termine, gli amministratori, qualora non ritengano utile promuovere azione ordinaria per l'esecuzione dei conferimenti dovuti, possono vendere agli altri soci, in proporzione alla loro partecipazione, la quota del socio moroso.

In mancanza di offerte per l'acquisto, se l'atto costitutivo lo consente, la quota è venduta all'incanto.

Qualora la vendita non possa avere luogo per mancanza di compratori, gli amministratori escludono il socio, trattenendo le somme riscosse. Come conseguenza, il capitale sociale deve essere ridotto in misura corrispondente, al fine di evitare una falsa rappresentazione nei confronti dei terzi.

Si ricorda che il socio moroso, fintanto che perdura tale situazione, non può partecipare alle decisioni dei soci (anche se comunemente si ritiene possa esercitare gli altri diritti sociali. Sul punto tra le più recenti Cass. 15.1.2015, n. 585, in Diritto&Giustizia, 2, 2015, 85, per cui il mancato versamento dei centesimi mancanti nel termine previsto comporta di per sé la perdita del diritto di voto, a prescindere dalla messa in mora o dalla diffida prevista dall'art. 2466 c.c., diffida che è invero solo prodromica all'inizio della procedura di vendita della quota in danno al socio moroso).

Limitandosi ai punti di maggiore interesse in relazione alla sentenza in commento e rinviando per gli approfondimenti a rimandi bibliografici, è evidente che si sia al cospetto di un procedimento speciale, il cui rigore è giustificato dall'esigenza di assicurare la garanzia patrimoniale prevista dall'ordinamento per i terzi che vengono in contatto con la società a responsabilità limitata tramite l'effettività dei conferimenti promessi dai soci.

La specialità è ravvisabile nel fatto che si tratta di una vendita a trattativa privata o all'incanto cui la società può accedere senza necessità di ottenere un titolo esecutivo, senza necessità di rivolgersi agli organi giurisdizionali e senza alcuna collaborazione da parte del socio moroso (sul punto ex multis, Zanarone, Art. 2466, in Commentario Schlesinger, II, 2010, 378).

La nuova formulazione dell'art. 2466 c.c. peraltro è sicuramente diretta a tutelare coloro che vengono in contatto con la società in punto effettività del capitale, ma viene altresì coordinata con l'interesse dei soci residui a mantenere il controllo sulla composizione della compagine sociale, tenuto conto che nella fase delle trattative private per la vendita è prevista una vera e propria riserva a favore dei soci (e non già una mera prelazione) e la fase dell'incanto a favore di terzi è possibile solo se l'atto costitutivo lo consenta (sintonicamente con quanto previsto in sede di vendita della quota del socio receduto ai sensi dell'art. 2473 c.c. e diversamente da quanto previsto nel modello azionario).

Il particolare rimedio in parola è espressamente indicato come aggiuntivo rispetto all'ordinaria azione di adempimento, che può essere scelta dagli amministratori (o dall'organo cui è statutariamente deputata la delibera) qualora sia ritenuta di maggiore utilità (come nel caso in cui il socio moroso abbia beni di maggior valore o più facilmente aggredibili o appetibili rispetto alla quota sociale).

Per quanto riguarda invece l'ordinaria azione di risoluzione, quest'ultima non viene espressamente indicata nella norma in parola e, così come in passato, la tesi predominante è nel senso di escludere la possibilità di tale rimedio non già per l'argomento della non applicabilità dell'istituto della risoluzione ai contratti plurilaterali, ma in base al principio della lex specialis, in quanto il legislatore ha predisposto lo specifico istituto dell'esclusione, in modo da non lasciare spazio al generale rimedio della risoluzione e nulla ha detto in merito, a differenza dell'azione di adempimento, espressamente richiamata (Zanarone, op. cit., 402; Santini, La società a responsabilità limitata, in Trattato Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992, 94).

Si deve precisare che gli amministratori non sono mandatari ex lege del socio, come si riteneva nel vigore della precedente formulazione dell'art. 2477 c.c., ora 2466 c.c. La norma attuale ha infatti cura di precisare che la vendita avviene “a rischio e pericolo” e non già “per conto” del socio moroso e gli amministratori non sono tenuti a perseguire l'interesse del socio alla massimizzazione del valore di vendita (considerato che quest'ultimo ha comunque diritto a ottenere l'eventuale differenza positiva tra il ricavato e il dovuto), ma solo a perseguire l'interesse della società e dei creditori di recuperare quanto necessario per coprire i conferimenti dovuti. D'altronde, il valore al quale la quota è posta in vendita non è quello di mercato o quello derivante dall'utilizzo dei criteri per la liquidazione della quota in sede di recesso, ma quello risultante dall'ultimo bilancio approvato.

Nel caso in cui non sia possibile procedere alla vendita o alla fruttuosa azione ordinaria, come sopra visto, gli amministratori procedono con l'esclusione (che è efficace dal momento in cui viene comunicata al socio), trattenendo le somme riscosse e riducendo il capitale in misura corrispondente nelle forme della riduzione nominale.

La giurisprudenza ha recentemente precisato che la disciplina dell'art. 2466 c.c. si applica tanto in sede di costituzione, quanto in sede di successivi aumenti di capitale e che, in quest'ultimo caso, salvo che lo statuto abbia previsto l'indivisibilità della quota, il socio moroso non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società e l'assemblea della società è tenuta a deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'aumento non onorato (Cass. 21.1.2020, n. 1185, in Diritto&Giustizia 2020, 22 gennaio e Giust. Civ. Mass., 2020. Contra Trib. Roma 3.9.2020, n. 11887, in Foro it., 2021, 2, I, 731).

La medesima giurisprudenza ha anche specificato che il socio moroso non può esercitare il diritto di voto, ma non perde il diritto al controllo sugli affari sociali, così come gli altri diritti amministrativi, fino a che permane nella compagine societaria (cfr. Cass. 21.1.2020, n. 1185 cit.).

In letteratura, per quanto più interessa in questa sede, è già stato sostenuto che la vendita ex art. 2466 c.c. non è più procedibile in caso di fallimento del socio moroso, poiché la legittimazione a disporre del patrimonio passerebbe al curatore ai sensi dell'art. 42 l. fall. e comunque troverebbe applicazione l'art. 51 l. fall., così come non sarebbe più procedibile nel caso di pignoramento ex art. 2471 c.c. (Zanarone, op. cit., 407; Portale, La mancata attuazione dei conferimenti in denaro, 656),

Così brevemente ricostruita la disciplina prevista dall'art 2466 c.c., si può procedere con una sintetica ricostruzione della disciplina di cui all'art. 168 l. fall.

Quest'ultimo, nella formulazione di cui alla novella del 2012 (cfr. art. 33 del D.L. 22.6.2012, n. 83, conv. con mod. dalla L. 7.8.2012, n. 134), per quanto più interessa in questa sede, stabilisce, al primo comma, che dalla data di pubblicazione del ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

La norma ha avuto il pregio di precisare tanto il termine iniziale quanto il termine finale del divieto e di includere espressamente anche le procedure cautelari. Per il periodo successivo all'omologa secondo la dottrina predominante trova applicazione l'art. 184 l. fall. (in questo senso Bosticco, Art. 168, in Comm. G.U. Tedeschi, 1997, II, 130. In giur. Cass. 16.4.1996, n. 3588, in Fall. 1996, 1189, Cass. 21.7.1994, n. 6809, in Fall. 1995, 259. Vi è chi, invero, ritiene che il divieto dell'art. 168 l. fall. si estenda anche in sede esecutiva del concordato: cfr. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 112. In giur. Trib. Reggio Emilia, 6.2.2013, in Ilfallimentarista.it, 20 gennaio 2014; Trib. Siracusa, 11.11.2011, in Ilfallimentarista.it, 2014).

La sanzione comminata è espressamente la nullità rilevabile d'ufficio dal Giudice dell'Esecuzione ovvero dal debitore o da parte dei creditori con l'opposizione all'esecuzione. In caso di esecuzioni pendenti si è ritenuto corretto procedere con pronunce di improponibilità o di improcedibilità [Rivolta- Pajardi, Art. 168, in Piero Pajardi (a cura di Manuela Bocchiola e Alida Paluchowski), Codice del fallimento, VII, Milano, 2013, 1950], tenendo conto che sono stati emessi anche provvedimenti di sospensione fino alla definizione dell'omologa, per l'ipotesi di mancata omologa e mancata dichiarazione di fallimento (Trib. Bologna, 19.12.2006, in Giur. Merito, 2007, 9, 2272).

La ratio della disposizione viene tradizionalmente ravvisata nell'esigenza di assicurare ai creditori del debitore in concordato, da un lato, la conservazione del patrimonio di quest'ultimo contro la disgregazione derivante da iniziative singolari e, dall'altro lato, la par condicio creditorum per quanto concerne il soddisfacimento (Lo Cascio, Il concordato preventivo, 2008, 443; Ferro, Art. 168, in Massimo Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014, 2258).

Da un punto di vista soggettivo, a seguito della citata novella il divieto riguarda i creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e rientra nel cosiddetto “automatic stay”, trattandosi di effetto ex lege non derivante da un provvedimento giurisdizionale.

Sono ritenuti crediti anteriori quelli i cui atti o fatti costitutivi siano avvenuti prima della detta pubblicazione, ancorché divengano esigibili o vengano accertati successivamente.

Il divieto in parola non si può estendere ai crediti per atti o fatti posteriori alla pubblicazione della domanda di concordato o comunque sorti in corso di procedura che, invero, devono essere soddisfatti integralmente (cfr. Bosticco, op. cit., 137; Bonsignori, Concordato preventivo, in Comm. Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1979, 248), approdo ermeneutico che non può essere posto in dubbio neppure a seguito della modifica dell'art. 51 l. fall. per cui il divieto di inizio e prosecuzione di azioni esecutive e cautelari è stato esteso anche ai crediti maturati in costanza di fallimento, a fronte delle differenze tra le due procedure e, in particolare, dello spossessamento attenuato nel caso di procedura di concordato preventivo (Maffei Alberti, op. cit., 1124; Caffi, Il concordato preventivo, in Schiano di Pepe, (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, 2007, 633).

Per quanto riguarda il novero delle azioni esecutive vietate, tema che appare particolarmente interessante a fronte del decisum della sentenza in commento, risultano certamente precluse tutte le azioni esecutive tout court previste dal codice di procedura civile a carattere espropriativo e quelle cautelari che, per loro natura sfociano in ultima analisi in un'esecuzione forzata, come il sequestro conservativo, avverso i beni e crediti che fanno parte del patrimonio del debitore. Pertanto, sicuramente vietate sono le esecuzioni mobiliari, immobiliari e presso terzi, mentre non è così scontata l'ammissibilità delle azioni che mirano a recuperare i beni detenuti dal debitore. In passato erano stato ritenuto tendenzialmente ammissibile il sequestro giudiziario, per il fatto di essere prodromico all'accertamento della proprietà e non già all'esecuzione. Tale conclusione interpretativa risulta oggi essere posta in dubbio dalla formulazione dell'art. 168 l. fall. che estende il divieto, senza distinzioni, a tutte le azioni cautelari (Maffei Alberti, op. cit., 1123; Cass. 26.7.2012, n. 13302, in Giust. Civ. Mass. 2012, 7-8, 975).

In passato erano state ritenute non rientranti nel divieto ex art. 168 l. fall. le azioni di rivendicazione, di rilascio e di sfratto, le azioni di nuova opera o di danno temuto, le azioni possessorie, le esecuzioni per gli obblighi di fare o di non fare. Come per il sequestro giudiziario, a fronte della modifica del testo a seguito della novella, anche l'ammissibilità di tali azioni appare più che discutibile. A tal proposito, risulta altresì opportuno rilevare come si stia sviluppando un indirizzo giurisprudenziale che, ai fini dell'applicazione dell'art. 168 l. fall., estende la nozione di patrimonio dell'imprenditore non solo ai beni di proprietà di quest'ultimo ma anche a tutti i beni che siano nella sua disponibilità a prescindere dal titolo, al fine di conservare l'unitarietà e la funzionalità del complesso aziendale in vista del recupero dell'equilibrio economico-finanziario. In particolare, si è precisato che la nozione di patrimonio del debitore assoggettato alla procedura di concordato preventivo rilevante ai sensi dell'art. 168 l. fall. debba intendersi riferita a tutti i beni comunque organizzati in funzione dell'esercizio dell'impresa e quindi ricomprendente tutte le situazioni giuridiche attive e passive facenti capo a un soggetto, ivi comprese le mere aspettative e i diritti di credito (cfr. Trib. Verona, 15.4.2019, in ilcaso.it; Trib. Udine, 26.9.2017; Trib. Frosinone, 24.10.2014, in Fall., 2014, p. 836; Trib. Milano, 17.7.2015). Per esempio, nel rigettare un'azione exart. 700 c.p.c. per la restituzione di un bene trasferito a una società in concordato preventivo in forza di un contratto di affitto di azienda, è stato rilevato che “L'interpretazione restrittiva del ‘patrimonio' come costituito di soli beni di proprietà del debitore – anacronistica rispetto all'obiettivo perseguito dalle più recenti riforme della legge fallimentare e all'ampiezza dei casi di utilizzo di beni di proprietà di terzi nell'attività aziendale – depotenzierebbe fortemente il divieto delle azioni esecutive e cautelari, finalizzato alla cristallizzazione delle posizioni dei creditori e all'attuazione della par condicio, compromettendo le possibilità di successo del concordato. Il divieto in parola deve necessariamente essere riferito a tutti i beni che, pur essendo di proprietà di terzi soggetti, sono funzionali all'attività d'impresa e alla sua ristrutturazione, quindi all'adempimento della proposta concordataria” (cfr. Trib. Udine, 26.9.2017, cit.).

Pertanto, l'ammissibilità di azioni su beni eventualmente di terzi che il debitore per cui è pendente la domanda di concordato detenga a titolo diverso dalla proprietà per l'esercizio dell'azienda non è più così scontata. E' pertanto necessario un ripensamento dei precedenti approdi interpretativi, considerata la natura lato sensu cautelare e l'attitudine a modificare la composizione del patrimonio delle azioni sopra indicate, che indurrebbero a ritenere queste ultime ricomprese nel divieto de quo.

Sono ritenute, invece, ritenute pacificamente ammissibili, anche in pendenza di concordato, in generale, le azioni di accertamento e di condanna e anche quelle costitutive (considerato, inoltre, che nella procedura di concordato preventivo, come noto, non esiste una fase di verifica dello stato passivo come nel fallimento).

Sono considerate procedibili anche le domande di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, in considerazione della vigenza dei contratti non ancora eseguiti (Maffei Alberti, op. cit., 1137; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tratt. Cottino, 11, I, Padova, 2007, 102. In giur. Cass. 1.3.2002, n. 3022, in Dir. Fall. 2003, II, 187) e salvo il ricorso alla facoltà di chiedere la sospensione e lo scioglimento ex art. 169-bis l. fall.

Non sono invece considerate ammissibili le azioni di risoluzione proposte dopo la pubblicazione della domanda di concordato e purché non finalizzate all'ottenimento della restituzione della prestazione, mentre sono considerate lecite le azioni intraprese anteriormente alla pubblicazione della domanda di concordato e quelle di accertamento della risoluzione proposta per atti e fatti verificatisi prima della domanda di concordato.

Ciò detto, appare opportuno sottolineare che, mentre l'art. 51 l. fall. prevede una clausola di salvezza di diverse disposizioni di legge (sul punto si ricorda l'esecuzione immobiliare fondiaria ex R.D. 646/05 e oggi quella ex art. 41 TUB che sono ammesse espressamente anche in presenza di fallimento) e l'art. 53 l. fall. consente, previa ammissione allo stato passivo e nell'ambito della procedura fallimentare, l'esercizio di alcune esecuzioni speciali da parte dei creditori (per esempio quella dei creditori pignoratizi o privilegiati ex artt. 2756 e 2761 c.c.), l'art. 168 l. fall. non ammette invece eccezioni.

Per quanto più rileva in relazione alla sentenza in commento, sono stati considerati assoggettati al divieto in parola anche i rimedi di autotutela contrattuale o autotutela esecutiva, ossia tutte le iniziative del creditore dirette a realizzare al di fuori del concorso il contenuto dell'obbligazione del debitore concordatario. Ne deriva che i creditori ipotecari fondiari e i creditori pignoratizi o privilegiati ex artt. 2756 e 2761 c.c. soggiacciono in caso di concordato al divieto di cui all'art. 168 l. fall. senza alcuna eccezione, a fronte della differenza funzionale rispetto al fallimento, che è diretto, a differenza del concordato, alla sola liquidazione del patrimonio (Cass. 16.4.1996 n. 3588 cit.; Trib. Biella 9.10.2009, in Fall., 10, 625; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 552).

Inoltre, in particolare, sono stati ritenuti rientranti nel divieto gli strumenti di cui agli artt. 1515 e 1519 c.c., in quanto anch'essi incidono sul patrimonio del debitore al pari delle azioni esecutive (Bonsignori, op. cit., 222, contra in merito all'art. 1516 c.c. in caso di inadempimento del debitore-venditore Trib. Bari, 9.6.1981, in Fall. 1982, 253).

Le soluzioni giuridiche

Come anticipato, nel caso di specie tutti i giudici che si sono occupati della vicenda e, infine, la Corte di Cassazione con il provvedimento in commento, hanno ritenuto che la vendita della quota sociale eseguita nell'ambito delle previsioni di cui all'art. 2466 c.c. fosse in ogni caso in contrasto con il divieto di azioni esecutive (e cautelari) disciplinato dall'art. 168 l.fall. in presenza di socio moroso assoggettato alla proceduta di concordato preventivo.

In particolare, nonostante le difese dei ricorrenti, la Corte di Cassazione ha ritenuto che:

(i) l'ambito delle azioni esecutive vietate dall'art. 168 l.fall. non deve essere considerato limitato a quelle previste e regolate dal codice di procedura civile (artt. 474 e ss.), ma si estende anche a tutte le iniziative del creditore volte a realizzare unilateralmente al di fuori della procedura concorsuale il contenuto dell'obbligazione del debitore concordatario, come per esempio quelle disciplinate dagli artt. 1515 (esecuzione coattiva per inadempimento del compratore), 1516 (esecuzione coattiva per inadempimento del venditore), 2756 (crediti privilegiati per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento), 2761 (crediti privilegiati del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario), 2796 e 2797 (vendita della cosa data in pegno) del Codice Civile;

(ii) alla speciale procedura di cui all'art. 2466 c.c. non può essere attribuita natura risolutoria che al limite è coesistente con la predominante natura esecutiva in quanto rientra tra le azioni dirette a conseguire il soddisfacimento coattivo e unilaterale del credito e rientra quindi nell'ambito di operatività dell'art. 168 l. fall;

(iii) l'art. 168 l.fall., diretto a tutelare la possibilità di composizione della crisi e la sopravvivenza dell'impresa, è persino più rigido rispetto alle similari previsioni previste per il fallimento, in quanto, in sede di concordato preventivo non sono ammesse deroghe per le azioni esecutive speciali (per esempio per crediti fondiari o pignoratizi) e per i crediti assisiti da pegno o privilegio a norma degli artt. 2756 e 2761 c.c. come, invece, risulta per il fallimento a fronte delle deroghe al divieto previsto dall'art. 51 l.fall. concesse dall'art. 53 l. fall.;

(iv) l'interesse sotteso alla regolazione della crisi è, quindi, predominante rispetto alla tutela dell'integrità del capitale sociale e, conseguentemente, l'interesse dei creditori del debitore in stato di concordato preventivo risulta maggiormente meritevole di tutela rispetto all'interesse dei creditori della società di cui è socio il debitore moroso.

La sentenza appare rilevante poiché, a quanto consta, è la prima che espressamente stabilisce, a livello nomofilattico, che la procedura di cui all'art. 2466 c.c. ha natura esecutiva e deve pertanto considerarsi soggetta al divieto di cui all'art. 168 l. fall.

Ciò detto, la decisione in commento e le motivazioni che la sorreggono, come emerso dall'excursus sopra riportato, appaiono coerenti con le interpretazioni maggioritarie e più recenti delle previsioni di cui all'art. 2466 c.c. e all'art. 168 l. fall.

In particolare, la speciale procedura di cui all'art. 2466 c.c. è stata ritenuta avere una prevalente natura esecutiva e rientrare a pieno titolo nella nozione di azione esecutiva al pari delle azioni speciali coattive e unilaterali come quelle regolate dagli artt. 1515, 1516, 2756, 2761, 2796 e 2797 c.c., già da tempo ritenute soggiacenti nel divieto di cui all'art. 168 l.fall.

A tal proposito, appare interessante sottolineare come la pronuncia abbia confutato la tesi della natura meramente risolutoria della vendita in danno al socio moroso, privilegiandone la funzione esecutiva. In merito, si ricordi altresì che l'art. 2466 c.c. consente la scelta tra la procedura speciale e l'ordinaria azione esecutiva per il recupero del capitale promesso e non versato, mentre nulla dice in merito alla generale azione di risoluzione, che, come sopra visto, per tale ragione non è considerata ammissibile dalla dottrina.

D'altro canto, sempre in letteratura, era già stata sottolineata la recessività della procedura speciale prevista dall'art. 2466 c.c. rispetto al divieto previsto dall'art. 51 l. fall. (Zanarone, op. cit., 407). Scelta interpretativa che non può che privilegiarsi in sede di concordato, in considerazione del fatto che il divieto di cui all'art. 168 l. fall. appare ancora più severo di quello previsto dall'art. 51 l.fall., in quanto, come giustamente sottolineato dalla pronuncia in commento, non temperato dalle deroghe per le esecuzioni speciali disciplinate dall'art. 53 l.fall.

Pertanto, dall'assetto predisposto dal Legislatore, la Cassazione ha tratto la conclusione per cui l'interesse della massa dei creditori del debitore in concordato e l'interesse alla fruttuosa regolazione della crisi tramite la procedura concordataria sia da considerare prevalente rispetto all'interesse all'integrità del capitale sociale della società partecipata dal debitore e a quello dei creditori di questa società.

Osservazioni

Se è, quindi, vero che le conclusioni cui è giunta la sentenza in commento appaiono coerenti con il sistema e con le interpretazioni dominanti, sembra opportuno accennare, seppur brevemente, alle conseguenze operative dei principi espressi in relazione alla società il cui socio moroso abbia proposto domanda di concordato.

A tal proposito, risulterebbe che gli amministratori di tale società non potranno né giovarsi della procedura di cui all'art. 2466 c.c., né, ovviamente, di quella ordinaria per il recupero dei centesimi mancanti a fronte del divieto dell'art. 168 l. fall.

A un primo esame e salvo ogni migliore approfondimento, non pare neppure possibile ipotizzare il ricorso all'esclusione, ostandovi, da un lato, il tenore dell'art. 2466 c.c. che ricollega la medesima al caso in cui non si riesca a vendere la quota e, dall'altro lato, le previsioni di cui all'art. 186-bis l. fall. per cui i contratti in essere non si possono sciogliere per il fatto che il contraente abbia domandato l'accesso alla procedura concordataria.

Pertanto, la società non potrà che attendere le scelte che emergeranno nel concordato.

A tal proposito, si ricorda che, a mente dell'art. 182, comma 5, l.fall., alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter l.fall. nei limiti della compatibilità. Per quanto più rileva, l'art 106 l.fall. precisa che per la vendita della quota di società a responsabilità limitata si applica l'art. 2471 c.c., ragione per cui qualora la partecipazione non sia liberamente trasferibile e non vi sia accordo tra creditore, debitore e la società, la vendita ha luogo all'incanto. Nel caso in cui la società presenti un altro acquirente gradito (alla compagine sociale) che offra il medesimo prezzo entro dieci giorni dall'aggiudicazione, la vendita al terzo non ha effetto.

Pertanto, gli organi della procedura, vuoi fallimentare, vuoi di concordato preventivo, a fronte dei richiami anzidetti, possono procedere a vendere la quota detenuta dal debitore in una società a responsabilità limitata, senza essere impediti dagli eventuali vincoli alla circolazione della partecipazione (come invece accade nell'ambito della procedura ex art. 2466 c.c.).

Si può ipotizzare che nell'ambito del concordato la vendita della quota possa avvenire in via straordinaria a seguito di autorizzazione ex art. 167 l.f. prima ancora dell'omologa qualora ve ne siano i presupposti, ovvero successivamente a quest'ultima, nell'ambito dell'esecuzione del piano concordatario, con i tempi e i modi ivi previsti.

Ulteriore tema da affrontare sarà il valore al quale la quota sarà posta in vendita, se quello indicato dall'art. 2466 c.c. o altro determinato sulla base di perizia realizzata ad hoc per la cessione del cespite. A tal proposito e in via di prima approssimazione, in considerazione della finalità della procedura di concordato, ritenute preponderanti rispetto all'interesse della società all'integrità del capitale sociale e della peculiarità della disciplina di cui all'art. 2466 c.c., appare più coerente con il sistema che gli organi del concordato del socio moroso potranno porre in vendita la quota al prezzo ritenuto equo sulla base delle loro autonome valutazioni e tenuto conto che il prezzo di vendita potrà anche eventualmente essere ridotto in casi di plurimi esperimenti di procedure competitive. Invero, il prezzo dovrebbe anche scontare la circostanza che viene posta in vendita una quota non integralmente liberata.

Invero, occorre tenere conto del fatto che il credito della società verrà eventualmente pagato in via chirografaria, non potendosi sostenere che il credito per decimi mancanti possa essere considerato prededotto o privilegiato, in mancanza di espresse previsioni in merito. Ne deriva che, salvo l'ipotesi residuale ed eccezionale del pagamento integrale del ceto chirografario, la società non potrà mai ottenere in toto le somme occorrenti per coprire i centesimi mancanti, pur in presenza del nuovo socio acquirente. Si pone quindi il problema dell'effettività del capitale sociale e della rappresentazione del medesimo, in quanto la società si troverebbe con un nuovo socio che ha acquistato legittimamente la quota dal debitore in procedura e versato a quest'ultimo il prezzo, ma senza i centesimi mancanti, coperti se non parzialmente con il pagamento in misura concordataria, dovendosi quindi in ipotesi ridurre il capitale in misura corrispondente, a tutela dei terzi che vengono in contatto con la società ma in danno dell'acquirente.

A tal proposito, al fine di evitare il circolo vizioso testé descritto, si dovrà valutare l'applicabilità delle previsioni di cui all'art. 2472 c.c., in modo tale che l'acquirente, oltre a pagare il prezzo al debitore in concordato, sia altresì tenuto al versamento dei centesimi mancanti, tenuto conto che nella procedura competitiva si dovrà dare atto del fatto che si tratta di vendita di una quota non integralmente liberata.

Altro tema di non minore importanza, cui si può solo accennare in questa sede, è il fatto che il socio moroso non può esercitare il diritto di voto. Circostanza che diviene rilevante qualora la quota del socio moroso sia indispensabile per i quorum decisionali, se si vuole accedere a quella giurisprudenza per cui la quota del socio moroso non viene computata per quanto riguarda il quorum deliberativo, ma viene considerata per il quorum costitutivo (in ultimo, in motivazione Cass. 21.10.2020, n. 1185, cit.) e che potrebbe condurre alla paralisi della società ed eventualmente allo scioglimento della medesima in caso di prolungata impossibilità di funzionamento degli organi sociali ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 3, c.c., nel caso non infrequente in cui la procedura di concordato si protragga per alcuni anni.

Guida all'approfondimento

In generale, sull'art. 2466 c.c. post riforma del 2003, si possono vedere:

Bertolotti, Art. 2466, in Commentario Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, 2, Bologna, 2004, 1782 e ss.

Bertolotti, La disciplina dei conferimenti, in Sarale (opera diretta da), Le nuove S.r.l., Bologna, 2008, 80 e ss.

Cacchi Pessani, Art. 2466, in Bianchi (a cura di), Società a responsabilità limitata, artt. 2462-2483 c.c., Milano, 2008, 207 e ss.

Corsini, Mancato versamento da parte del socio del capitale sottoscritto: quid iuris?, in Diritto e Pratica delle Società, n. 12/2006, 20 e ss.

Tassinari, Art. 2466, in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, III, 2005, 1803 e ss.;

Valzer, La mancata esecuzione dei conferimenti, in Dolmetta- Presti (a cura di), S.r.l.| Commentario, Milano, 2011, 214 e ss.

Zanarone, Della società a responsabilità limitata, 1, artt. 2462-2474, in Commentario Schlesinger, Milano, 2010;

Prima della novella del 2003, sull'art. 2477 c.c.

Paolucci, La società a responsabilità limitata, in Trattato Rescigno, Torino, 1994, 272.

Portale, La mancata attuazione dei conferimenti in denaro, 656;

Rivolta, La società a responsabilità limitata, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1982;

Santini, La società a responsabilità limitata, in Trattato Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1992;

Spolidoro, I conferimenti in denaro, 457;

In giurisprudenza

Cass. 21.1.2020, n. 1185, in Diritto&Giustizia 2020, 22 gennaio e Giust. Civ. Mass., 2020; Cass. 15.1.2015, n. 585, in Diritto&Giustizia, 2, 2015, 85.

Trib. Roma 3.9.2020, n. 11887, in Foro it., 2021, 2, I, 731.

Sull'art. 168 l. fall.

In generale, sull'art. 168 l. fall. si rinvia a:

Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tratt. Cottino, 11, I, Padova, 2007, 102;

Audino, Art. 168, in Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, pagg. 1120 e ss.;

Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, 2011;

Bonsignori, Concordato preventivo, in Comm. Scialoja-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1979;

Bosticco, Art. 168, in Comm. G.U. Tedeschi, 1997, II, 130;

Caffi, Il concordato preventivo, in Schiano di Pepe, (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, 2007, 633;

Celentano, Gli effetti per i creditori, in Fauceglia-Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 1, 2009, Milano, 481 e ss.

Ferro, Art. 168, in Massimo Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014, 2258

Filocamo, Art. 168, in Massimo Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014, 1263 e ss.

Lo Cascio, Il concordato preventivo, 2008, 443;

Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013;

Rivolta-Pajardi, Art. 168, in Piero Pajardi (a cura di Manuela Bocchiola e Alida Paluchowski), Codice del fallimento, VII, Milano, 2013, 1949 e ss.;

Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, I, Milano, 2016, 1075 e ss.;

Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006;

Zanichelli, Gli effetti del fallimento per il fallito e i creditori, in Alberto Jorio - Bruno Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, II, Il Fallimento. Effetti – Stato Passivo, 53 e ss.

In giurisprudenza:

Cass. Cass. 26.7.2012, n. 13302, in Giust. Civ. Mass. 2012, 7-8, 975;

Cass. 1.3.2002, n. 3022, in Dir. Fall. 2003, II, 187;

Cass. 16.4.1996, n. 3588, in Fall. 1996, 1189;

Cass. 21.7.1994, n. 6809, in Fall. 1995, 259;

Trib. Verona, 15.4.2019;

Trib. Udine, 26.9.2017;

Trib. Milano, 17.7.2015;

Trib. Frosinone, 24.10.2014, in Fall., 2014, 836;

Trib. Reggio Emilia, 6.2.2013, in Ilfallimentarista.it, 20 Gennaio 2014;

Trib. Venezia, 10.2.2012, n. 321, in Ilfallimentarista.it, 19 Ottobre 2012;

Trib. Siracusa, 11.11.2011, in Ilfallimentarista.it, 2014;

Trib. Biella 9.10.2009, in Fall., 10, 625;

Trib. Bologna, 19.12.2006, in Giur. Merito, 2007, 9, 2272;

Trib. Bari, 9.6.1981, in Fall. 1982, 253.

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