L'esdebitazione nel sovraindebitamento

14 Dicembre 2021

L'articolo approfondisce l'istituto dell'esdebitazione, muovendo dall'inquadramento (l.fall.; L. 3/2012, come modificata dalla legislazione emergenziale; CCI) e dagli effetti, si sofferma sulle fonti dell'esdebitazione per il “sovraindebitato capiente”; sui presupposti soggettivi e oggettivi e sulle tematiche che hanno suscitato il maggiore dibattito in dottrina e giurisprudenza nella disamina delle condizioni ostative al beneficio dell'esdebitazione.
L'esdebitazione: inquadramento ed effetti

L'esdebitazione è un istituto del diritto concorsuale, il cui effetto tipico è la liberazione dai debiti: in particolare dai debiti in tutto o in parte non soddisfatti.

La liberazione dai debiti è effetto automatico del concordato preventivo così come degli accordi di ristrutturazione (artt. 184 e 182-bis ss. l. fall.) ed è invece disposta con provvedimento del tribunale a beneficio del debitore fallito personalmente (artt. 142 ss. l. fall.).

L'istituto è stato ripreso anche dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3, che negli artt. 6 ss. disciplina le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Il beneficio, infine, è previsto dal Codice della Crisi e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019), che pure ha introdotto sul tema alcune significative modifiche (cfr. R. Brogi, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della Crisi, in Fall., 2021, 3, 293).

Una “complicazione normativa” è intervenuta di recente a seguito del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella l. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha anticipato alcune previsioni del CCI, inserendo le modifiche nel testo della l. n. 3/2012.

È importante notare che la c.d. “liberazione dai debiti” disposta dal tribunale non assume effetto estintivo dell'obbligazione: i debiti non subiscono una vicenda estintiva per effetto dell'esdebitazione, ma risultano “solo” inesigibili.

Così. Infatti, si esprime l'art. 143 l. fall. (“il tribunale … dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente”) e negli stessi termini l'art. 14 terdecies, comma 4, l. n. 3/2012 (“il giudice … dichiara inesigibili nei suoi confronti i debiti non soddisfatti integralmente”); la medesima espressione è poi ripresa dall'art. 278 CCI, che disciplina l'istituto nell'ambito della liquidazione sia giudiziale che controllata: “l'esdebitazione consiste nella liberazione dai debiti e comporta la inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura concorsuale che prevede la liquidazione dei beni”.

D'altro canto, la possibilità che il beneficio sia revocabile “in ogni momento” al presentarsi di determinati presupposti, quindi anche dopo che il provvedimento non sia più reclamabile, presuppone proprio che l'esdebitazione non intervenga con un effetto estintivo definitivo sull'obbligazione (in tali termini si esprime l'art. 14-terdecies, comma 5; analogo principio normativo non è invece contemplato dalla normativa fallimentare).

All'assenza di un effetto estintivo degli obblighi consegue, in primo luogo, che l'eventuale pagamento del debito oggetto di esdebitazione non è ripetibile, giacché, analogamente a quanto stabilito per l'irrepetibilità del pagamento del debito prescritto (art. 2940 c.c.), anche l'obbligo oggetto di esdebitazione è assimilabile all'obbligazione naturale (art. 2034 c.c.) (cfr. A. Ghedini e M.L. Russotto, L'esdebitazione ex art. 14 terdecies l. 3/2012, in ilcaso.it; N. Nisivoccia, L'esdebitazione del consumatore, in questo portale, 30 settembre 2020).

In secondo luogo, l'esdebitazione non coinvolge i garanti, i fidejussori e gli obbligati in via di regresso, che restano tenuti al pagamento, da cui viene liberato solo il debitore principale: così dispongono espressamente l'art. 142 u.c. e l'art. 184, comma 2, l. fall. rispettivamente in tema di fallimento e di concordato preventivo; così dispongono, ancora, l'art. 11, comma 3 e l'art. 12-ter, comma 3, l. n. 3/2012 rispettivamente in tema di accordo e di piano del consumatore; infine, così stabilisce l'art. 278, comma 6, CCI.

In sostanza, non opera l'art. 1301 c.c., che stabilisce invece che la remissione a favore di uno dei debitori in solido liberi anche gli altri debitori.

Al riguardo va peraltro segnalata una modifica introdotta dal d.l. n. 137/2020, che, anticipando in parte qua il CCI, ha stabilito che “l'accordo di composizione della crisi della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili” (art. 7, comma 2 ter, L. n. 3/2012).

A parte tale variante, l'esdebitazione, pur trovando disciplina in parte diversa a seconda dei singoli istituti concorsuali in cui viene calata, presenta natura ed effetti identici: e di questa identità dobbiamo tenere conto per risolvere i dubbi interpretativi e le lacune normative.

Ma vi è di più.

La Direttiva UE 2019/1023 detta agli Stati membri linee guida anche in tema di esdebitazione, auspicando una disciplina uniforme nei vari Stati dell'Unione, che consenta all'imprenditore (ed in particolare al c.d. imprenditore onesto o che non sia disonesto o non abbia agito in malafede, come recitano il considerando 78 e l'art. 23) un ritorno all'attività economica dopo un contenuto lasso di tempo (al massimo tre anni) ed una procedura semplificata (considerando 73), senza distinguere il beneficio accordato alla società o all'imprenditore individuale ed anzi auspicando che le previsioni unionali in tema di esdebitazione siano estese dai singoli Stati nazionali anche al consumatore (considerando 21), alla luce della difficoltà di distinguere in capo alla persona fisica l'origine e la natura dei singoli debiti.

Infine, il considerando 78 prescrive che non sia reso “inutilmente difficile e gravoso l'accesso alla procedura di esdebitazione con riferimento all'onere della prova dei presupposti soggettivi di accesso al beneficio”.

Cosicché anche di questi principi guida bisognerà tenere conto per interpretare il sistema in modo armonico e coerente, sia con le fonti normative nazionali che con le fonti unionali.

Le fonti dell'esdebitazione per il “sovraindebitato capiente”

Occupandoci in questa sede delle sole ipotesi di esdebitazione connesse ad una preesistente procedura di sovraindebitamento, e tralasciando l'esdebitazione dell'incapiente (art. 14-quaterdecies l. n. 3/2012 come introdotto dal d.l. n. 137/2020), va preliminarmente segnalata la notevole differenza nell'attivarsi del beneficio a seconda della concreta procedura in discussione.

Nell'accordo di composizione della crisi, l'esdebitazione – al pari di quanto avviene nel concordato preventivo – è un effetto dell'accordo con i creditori. L'approvazione del piano di composizione da parte della maggioranza dei creditori e la sua successiva omologa da parte del tribunale determinano l'inesigibilità dei crediti non soddisfatti: quindi il beneficio dell'esdebitazione è un effetto che si collega al voto favorevole dei creditori e all'omologa.

Nel piano del consumatore non vi è un accordo coi creditori, che non hanno infatti facoltà di esprimersi col voto: è il tribunale in sede di omologa a sostituirsi a costoro, giungendo in caso di opposizione a valutare la convenienza del piano medesimo rispetto all'alternativa liquidatoria (art. 12-bis, comma 4, l. n. 3/2012). Ma anche in questo caso l'esdebitazione è una conseguenza del provvedimento di omologa, quindi è un effetto automatico dell'accesso alla procedura concorsuale.

In estrema sintesi, in entrambi i casi descritti la sussistenza dei presupposti per l'accesso alla procedura varrà a garantire al debitore anche il beneficio finale dell'inesigibilità dei crediti non soddisfatti.

Nel caso della liquidazione del patrimonio invece l'esdebitazione non è effetto automatico del felice accesso alla procedura, ma un effetto eventuale e successivo, svincolato da una prestazione destinata ai creditori, subordinato ad una domanda dell'interessato e connesso ad una specifica pronuncia giudiziale. Solo, infatti, in caso di liquidazione del patrimonio l'art. 14-tercedies l. n. 3/2012 disciplina espressamente il (sub)procedimento ed il provvedimento finalizzati alla pronuncia del beneficio, che quindi sottostà alla verifica di presupposti ulteriori rispetto al vaglio condotto in sede di apertura della procedura medesima.

Quanto meno con riferimento alla liquidazione del patrimonio, che prenderà il nome di liquidazione controllata, l'art. 282 CCI ha introdotto importanti novità, stabilendo che il beneficio vada sì dichiarato con decreto del tribunale, ma operi di diritto o con la chiusura della procedura ovvero decorsi tre anni dalla sua apertura: quindi anche quando la liquidazione non sia ancora terminata.

Ci si deve quindi domandare se sia venuta meno la necessità di una soddisfazione per i creditori, atteso che il beneficio opera anche prima ed a prescindere dall'intervenuto riparto ai creditori: non che la soddisfazione rimanga circostanza irrilevante, ma la stessa sarà solo prospettica, valutata al momento dell'apertura della procedura.

I presupposti oggettivi e soggettivi dell'esdebitazione

Dalla distinzione tra esdebitazione c.d. concordataria ed esdebitazione giudiziale (per quanto con riferimento al piano del consumatore l'accordo coi creditori sia in effetti una fictio), discende anche il diverso corredo dei presupposti del beneficio nell'uno e nell'altro caso.

Come anticipato, poiché l'esdebitazione discende quale effetto dell'omologa dell'accordo di composizione o del piano del consumatore, i presupposti per l'accesso al beneficio sono del tutto identici ai presupposti per l'accesso a ciascuna delle due procedure: cioè, chi ha visto omologato il piano (di composizione o del consumatore) accederà automaticamente anche al beneficio della liberazione dai debiti.

Con riferimento invece al procedimento di liquidazione del patrimonio, l'art. 14-terdecies condiziona il beneficio alla sussistenza di specifici presupposti, che andremo ad esaminare.

In primo luogo, il beneficio è a disposizione delle sole persone fisiche e non delle persone giuridiche, nonostante la procedura liquidatoria sia accessibile anche agli enti, purché evidentemente non fallibili: il CCI ha peraltro eliminato questa condizione, giacché l'art. 282 non limita più il beneficio dell'esdebitazione di diritto alle persone fisiche, anche se il Legislatore non ha inteso anticipare questa previsione con il citato d.l. n. 137/2020.

Ancora, art. 14-terdecies, comma 1, richiede alla lett. c) che il debitore non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti alla domanda.

Sempre l'art. 14-terdecies, comma 1, l. n. 3/2012 pretende alla lett. d) che il sovraindebitato non sia stato condannato per un reato previsto dall'art. 16, che sanziona il fatto di chi, al fine di accedere ad una procedura di composizione della crisi (accordo o piano del consumatore), abbia aumentato o diminuito il passivo, sottratto o dissimulato l'attivo o simulato attività inesistenti.

Il medesimo art. 16 colpisce poi una serie di condotte attinenti alla fase esecutiva dell'accordo o del piano del consumatore e, con riferimento alla liquidazione del patrimonio, l'intenzionale omissione nella compilazione dell'elenco dei propri beni ai sensi dell'art. 14-ter.

Le condotte descritte dalle lett. c) e d) assumono natura ostativa - nella loro formulazione letterale - solo con riferimento al debitore che acceda alla liquidazione del patrimonio e non configurano invece requisiti di ammissibilità per l'accesso alle altre procedure di sovraindebitamento.

Sotto un primo profilo va però sottolineato che le condotte c.d. decettive possono interrompere la fisiologica esecuzione del piano, attivando il subprocedimento di risoluzione dell'accordo o revoca dell'omologa del piano del consumatore (artt. 14 e 14-bis l. n. 3/2012); sotto altro profilo l'art. 7, comma 2, lett. b), indica tra le cause di inammissibilità delle procedure di composizione della crisi un precedente accesso alle medesime procedure nei cinque anni anteriori: quindi, seppure non vi sia una perfetta sovrapponibilità delle preclusioni agganciate a parametri temporali, senz'altro il Legislatore ha inteso ridurre fortemente un accesso ripetuto agli istituti in esame e quindi al loro effetto esdebitatorio.

Con riferimento poi alla normativa che verrà, l'art. 282 CCI stabilisce che il consumatore, che pure esca da una procedura di liquidazione controllata, non possa beneficiare dell'esdebitazione se ne abbia già beneficiato nei cinque anni precedenti alla domanda (da intendersi quale domanda di liquidazione e non di esdebitazione, atteso che l'art. 69 CCI richiamato intende riferirsi alla domanda di ammissione al procedimento di ristrutturazione dei debiti del consumatore) o sia stato esdebitato già due volte o infine risulti sovraindebitato con colpa grave, mala fede o frode; norma analoga è presente con riferimento al concordato minore, ove l'art. 77 CCI statuisce l'inammissibilità della domanda in ipotesi del tutto sovrapponibili.

Il meccanismo normativo quindi si ripete: ciò che è preclusivo per l'esdebitazione successiva alla liquidazione del patrimonio (o liquidazione controllata) opera (seppure con alcuni adattamenti) quale causa di inammissibilità della domanda di accesso alle procedure di composizione della crisi o di interruzione della fase esecutiva.

Configurano poi elementi ostativi all'esdebitazione post liquidazione del patrimonio alcune condotte del debitore da collocarsi cronologicamente in un tempo anteriore all'accesso in procedura: l'avere fatto ricorso al credito in modo colposo e sproporzionato rispetto alle proprie capacità reddituali (comma 2, lett. a) ovvero l'avere compiuto nei 5 anni anteriori atti in frode ai creditori o altre condotte (pagamenti, atti dispositivi, atti simulati) volte a favorire alcuni creditori ai danni degli altri (comma 2, lett. b).

Mentre torneremo nel prossimo paragrafo sul primo tema, va segnalato che l'ultima condizione ostativa indicata ricorre anche quale causa di inammissibilità della domanda di accesso alla procedura di accordo di composizione (art. 10) e di piano del consumatore (art. 12-bis): tema ripreso con il concetto di frode anche dai citati artt. 69 e 77 CCI in tema di impedimenti all'accesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Ancora, l'esdebitazione pretende che siano soddisfatti almeno parzialmente i creditori concorsuali (comma 1, lett. f): se questo tema, che pure sarà approfondito al paragrafo successivo, vede decisioni differenziate da parte dei tribunali, vale ricordare che lo stesso perderà la sua attualità con la piena efficacia del CCI, giacché l'art. 282 – come anticipato – non lo inserisce tra i presupposti del beneficio, ipotizzando che l'esdebitazione scatti (di diritto) una volta decorso il triennio dall'apertura della procedura, anche a prescindere – stando alla lettera della norma - dal fatto che siano stati già eseguiti dei riparti.

Ciò peraltro non significa che la liquidazione sia ammissibile anche nella prospettiva di un nullo soddisfacimento ai creditori, giacché l'istituto va calato nel contesto normativo, che disciplina a livello nazionale specificamente l'esdebitazione del debitore incapiente (art. 14-quaterdecies l. n. 3/2012) ed a livello unionale contempla tra le ipotesi in cui “potrebbe essere giustificata” una deroga all'accesso alla procedura di ristrutturazione il caso in cui “non sono coperti i costi della procedura che porta a un'esdebitazione” (dir. UE 2019/1023, considerando 80), nel senso che non risulta giustificata una procedura che si esaurisca nella soddisfazione dei “diritti spettanti alle autorità giudiziarie e amministrative e ai professionisti”.

È infine richiesta al debitore una condotta che potremmo sinteticamente definire di collaborazione sia con la procedura che con la “massa”.

Innanzitutto, il debitore deve fornire informazioni complete e documenti utili all'efficace svolgimento della procedura (comma 1, lett. a): pensiamo alle informazioni sui redditi ed alle complessive esigenze familiari o ai documenti necessari al recupero dei crediti), senza ritardare lo svolgimento delle operazioni (comma 1, lett. b).

Detto corredo informativo, per la verità, integra un presupposto di ammissibilità della procedura di liquidazione, atteso che l'art. 14-ter chiede che la relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi si concluda con un giudizio di completezza della documentazione depositata a corredo della domanda, come del resto l'art. 7, comma 2, lett. d) esclude l'ammissibilità dell'accordo di composizione o del piano del consumatore quando la documentazione non consenta una compiuta ricostruzione della situazione economica del sovraindebitato.

In pratica, trattandosi di debitore civile, non potrà pretendersi un eccessivo rigore formale nella documentazione: i documenti però dovranno consentire la ricostruzione di tutte le voci attive e passive e di come si è infine creata la situazione di sovraindebitamento; e, soprattutto, i documenti dovranno presentare una coerenza intrinseca ed estrinseca, cosicché, ad esempio, la completezza potrà escludersi in assenza di specifiche spiegazioni quando lo stato di quasi totale impossidenza dichiarato non sia coerente col tenore di vita tenuto fino alla formulazione della domanda di accesso alla procedura (il caso più eclatante ricorre quando l'elenco delle spese mensili della famiglia risulti superiore alle entrate dichiarate).

In secondo luogo, da parte del debitore ammesso alla liquidazione del patrimonio è richiesta una condotta diligente ed anzi proattiva, dovendosi verificare che nei quattro anni in cui si è sviluppata l'attività liquidatoria e di riparto abbia svolto un'attività produttiva di reddito adeguata alle competenze o quanto meno che abbia cercato un'occupazione e non abbia rifiutato proposte di impiego coerenti alla sua professionalità (art. 14-terdecies, comma 1, lett. e) l. n. 3/2012).

La criticità principale al riguardo non è tanto e solo la natura della condotta richiesta quanto la modalità di accertamento.

Nel senso che pare chiaro che la norma chieda al debitore che vuole liberarsi da tutti i debiti non soddisfatti una condotta diligente, imponendogli quindi un onere di iniziativa: ciò sia per garantire una minima soddisfazione ai creditori, sia al fine di innescare un meccanismo virtuoso, contenendo il rischio che la situazione di sovraindebitamento si ripeta e consentendo il reinserimento attivo del soggetto nel mercato (in tema di plurimi vantaggi generali connessi all'esdebitazione del singolo si legga A. Ferri, Conviene incentivare l'esdebitazione, in questo portale, 20 giugno 2016). Si vuole in sintesi evitare che il debitore si adagi nella prospettiva dell'esdebitazione, innescando un meccanismo di autoresponsabilità, realizzando così appieno lo scopo della norma.

Il problema principale diventa - a mio avviso - la fonte delle informazioni ed il loro monitoraggio.

Il tribunale investito della domanda di esdebitazione dovrà chiedere una relazione al liquidatore in ordine all'attività lavorativa svolta dal debitore: ed in effetti alcuni tribunali istruiscono il subprocedimento di esdebitazione acquisendo il fascicolo della procedura di liquidazione del patrimonio e chiedendo al liquidatore una relazione nei termini suddetti, che si nutrirà delle informazioni rese dal debitore.

A mio avviso dette informazioni potrebbero anche essere anticipate: nello stesso provvedimento con cui si apre la liquidazione alcuni tribunali pongono a carico del liquidatore una relazione periodica, che potrebbe avere ad oggetto anche l'attività lavorativa svolta dal debitore, monitorando quindi con attenzione entrate ed uscite.

Facendo un ulteriore passo indietro, sarà utile che il tribunale già in sede di apertura della liquidazione avvisi il debitore che tra i requisiti per l'esdebitazione gli sarà chiesto di dar conto dell'attività lavorativa svolta nei quattro anni o quanto meno diligentemente cercata: evidenziando così il suo onere di attivarsi al riguardo.

In particolare: la soddisfazione dei creditori

Le tematiche che hanno suscitato il maggiore dibattito in dottrina e giurisprudenza nella disamina delle condizioni ostative al beneficio dell'esdebitazione post liquidazione del patrimonio sono – come anticipato - la misura della soddisfazione dei creditori e la natura colposa nel sovraindebitamento.

Per quanto riguarda in primo luogo la soddisfazione dei creditori, l'art. 14-terdecies, comma 1, lett. f) l. n. 3/2012 è molto sintetico nel chiedere tra le condizioni del beneficio che “siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione”: a fronte di ciò dottrina e giurisprudenza oscillano tra quanti ritengono sufficiente una percentuale anche simbolica e quanti invece ritengono necessaria addirittura una percentuale di soddisfazione assimilabile a quella prevista per le procedure di concordato preventivo (cfr. al riguardo A. Ghedini e M. L. Russotto, cit.).

Nell'ottica di una lettura sistematica dell'istituto, pare utile partire dalle decisioni che si sono occupate dell'esdebitazione in ambito fallimentare e prima di tutto da Cass. SS.UU. n. 24214/2011, che ha posto un punto fermo almeno su una questione: ovvero che “il beneficio della inesigibilità verso il fallito persona fisica dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti richiede, ai sensi dell'art. 142, comma 2, l.fall., che vi sia stato il soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali, dovendosi intendere realizzata tale condizione, in un'interpretazione costituzionalmente orientata e coerente con il "favor" per l'istituto già formulato dalla legge delegante (art. 1, comma 6, lett. a), n. 13, l. 14 maggio 2005, n. 80), anche quando taluni di essi non siano stati pagati affatto, essendo invero sufficiente che, con i riparti almeno per una parte dei debiti esistenti, oggettivamente intesi, sia consentita al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, una valutazione comparativa di tale consistenza rispetto a quanto complessivamente dovuto”.

Quindi “soddisfazione parziale” va intesa come “soddisfazione parziale del ceto creditorio” e non “soddisfazione parziale di tutti i creditori”, ben potendosi riconoscere l'esdebitazione anche in caso di soddisfazione del solo ceto privilegiato o anche solo di alcune categorie di creditori privilegiati, con totale insoddisfazione del ceto chirografario (per evitare che si crei una disparità di trattamento tra le procedure - e quindi i relativi soggetti falliti - a seconda della composizione del ceto creditorio); dopodiché la valutazione della non irrisorietà della soddisfazione andrà verificata tenendo conto dell'intero ceto creditorio, cosicché ad esempio il pagamento del 100% dei due primi gradi di privilegio generale mobiliare potrà tradursi nella soddisfazione del 40% o 6% del complessivo debito concorsuale a seconda dell'entità e della composizione del ceto creditorio.

Il concetto è stato ribadito negli anni successivi dalla Suprema Corte (Cass. n. 9767/2012, Cass. n. 16620/2016), che ha anzi individuato un'ulteriore declinazione del favor verso il debitore, affermando che il presupposto della soddisfazione dei creditori va escluso solo qualora “i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti o siano stati soddisfatti in percentuale affatto irrisoria” (Cass. n. 7550/2018).

A questo punto si pone il problema di ricostruire il concetto di “percentuale irrisoria”, prendendo atto che sul punto la giurisprudenza di merito ha registrato posizioni variegate, contandosi plurime decisioni che hanno negato il beneficio a fronte della soddisfazione dei creditori in sede fallimentare per una percentuale complessiva di circa il 5% o addirittura il 9%: è prevedibile che a breve, man mano che le procedure di liquidazione del patrimonio raggiungeranno la soglia temporale del quadriennio, analogo dibattito coinvolgerà la giurisprudenza di merito chiamata a pronunciarsi sull'esdebitazione del debitore civile.

Senza pretesa di risolvere la questione, mi pare utile ripartire da Cass. SS.UU. n. 24214/2011, che sottolinea come l'esdebitazione sia effetto automatico dell'omologa del concordato preventivo nonché del concordato fallimentare. Quindi, il tema della percentuale di soddisfazione dei creditori quale presupposto dell'esdebitazione non può essere disciplinato in maniera da creare tra i debitori differenze di trattamento irragionevoli a seconda del tipo di procedura concorsuale, nonostante per talune operi quale beneficio automatico e per altre sia oggetto di specifica discrezionale pronuncia giudiziale.

Ma allora, se entriamo nell'ottica di individuare sull'argomento una disciplina coerente all'unitario sistema normativo concorsuale, mi pare che un concreto contributo interpretativo possa venire da un'altra importante pronuncia della Cassazione, che nell'invocare il concetto di causa concreta del concordato, ha chiarito che la stessa “non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori” (Cass. SS.UU. n. 1521/2013).

Ad un primo esame degli istituti, le analogie appaiono minime, atteso che nella liquidazione del patrimonio non vi è un vero e proprio superamento della crisi, che dovrebbe invece connotare la soluzione concordataria. Ma, se consideriamo in estrema sintesi che la qualificazione del concordato in continuità è ormai riservata anche all'ipotesi di continuità indiretta, ove l'attività imprenditoriale prosegue in altre mani e l'imprenditore debitore concluderà la sua vicenda concorsuale con l'integrale liquidazione dei propri asset, dovremo concludere che anche nell'ipotesi concordataria le vicende in fatto liquidatorie ma disciplinate dall'art. 186-bis l. fall. potranno concludersi con una soddisfazione davvero contenuta dei creditori.

Infatti, l'art. 160, u.c., l. fall. ha sì introdotto quale requisito di ammissibilità dei concordati liquidatori la previsione di soddisfazione del 20% del ceto chirografario, che ovviamente si aggiunge alla soddisfazione integrale del ceto privilegiato salva la falcidia di cui all'art. 160, comma 2: ma detta qualifica, secondo l'orientamento ad oggi prevalente, va riservata a quei concordati che non contemplino tra i propri asset anche compendi aziendali in esercizio.

Di più: il Legislatore post pandemico ha introdotto un nuovo istituto, che affianca l'esdebitazione automatica tipica del concordato ad una attività puramente liquidatoria, senza alcuna soglia di soddisfazione. Il d.l. n. 118/2021 ha infatti introdotto all'art. 18 il concordato liquidatorio semplificato, che, in caso di fallimento della composizione negoziata della crisi, consente di accedere ad una soluzione concordataria che contempla esclusivamente la liquidazione del patrimonio: senza garantire una percentuale minima di soddisfazione ai creditori, peraltro privi del diritto di voto, come nel piano del consumatore, ma titolari del solo potere di opporsi all'omologa.

Tornando quindi al requisito dell'art. 14-terdecies, comma 1, lett. f), se è condivisa l'esigenza di simmetria tra i diversi istituti di diritto concorsuale e se è vero che non sono giustificate con riferimento alla soglia quantitativa di soddisfazione dei creditori disparità di trattamento tra i debitori che accedono al concordato e quelli che risolvono la loro definitiva crisi economica col concordato fallimentare o ancora con la liquidazione del loro patrimonio, non potremo non tenere conto del fatto che il Legislatore non contempla una soglia minima di soddisfazione per il ceto creditorio chirografario nell'ipotesi concordataria e che la giurisprudenza ha addirittura affermato che non possa in assoluto escludersi una per quanto minima soddisfazione anche nel caso di pagamento dell'1% dei crediti chirografari (Cass. n. 3863/2019).

In conclusione sul punto, a mio avviso è giustificato quell'orientamento che riconosce l'accesso al beneficio pur in presenza di una percentuale minimale di soddisfazione, verificata – come anticipato – non in considerazione della percentuale garantita ai creditori soddisfatti, ma ricostruita sull'intero ceto creditorio.

È innegabile che concordato e liquidazione del patrimonio sono istituti del tutto diversi per affrontare la crisi e registrano significative differenze di disciplina, prima tra tutte la presenza del voto dei creditori, cui è demandata ogni valutazione sulla soluzione prospettata per il superamento della crisi (il concordato semplificato però abbiamo visto che ha di recente eliminato detto passaggio procedurale): ma stiamo discutendo della disciplina dedicata ad un aspetto specifico della vicenda concorsuale, ovvero la liberazione dai debiti che il debitore non è più in grado di pagare, nonostante abbia già ceduto l'intero suo patrimonio per quattro anni.

Ebbene, sotto questo specifico aspetto, una volta appurato che non esistono gli altri molteplici elementi ostativi di natura soprattutto soggettiva, non pare giustificata una disparità di trattamento nell'accesso al beneficio basata sulla sola percentuale di soddisfazione garantita al ceto creditorio. Cosicché, in assenza di ulteriori elementi ostativi, la deroga all'art. 2740 c.c. interverrebbe soprattutto sul profilo temporale, limitando la responsabilità patrimoniale del debitore ai suoi beni presenti e futuri entro il termine quadriennale di durata della procedura liquidatoria.

In particolare: il sovraindebitamento non colposo

Altro argomento di acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di condizioni ostative all'esdebitazione è il c.d. sovraindebitamento non colposo: ci si domanda cioè quando possa parlarsi di ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle capacità patrimoniali, che l'art. 14-terdecies, comma 2, lett. a), indica tra le cause ostative del beneficio.

Giova al riguardo anticipare che l'art. 282, comma 2, CCI ha rimodulato la previsione richiamando l'art. 69 CCI per il consumatore: quindi il consumatore che acceda alla liquidazione del patrimonio non potrà beneficiare dell'esdebitazione se ha “determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode”: quindi la “colpa” si è trasformata in “colpa grave”.

Anche al riguardo si registrano orientamenti dottrinali e giurisprudenziali variegati: da chi “sanziona” la sproporzionata assunzione di debiti solo quando sia intenzionalmente creata col proposito di non tener fede ai propri impegni e chi invece (con interpretazione più rigorosa) nega il beneficio ogniqualvolta la condizione economica del debitore fosse tale da lasciar ben prevedere la successiva incapacità di far fronte ai debiti contratti. Questo orientamento più rigoroso viene mitigato da quanti riconoscono che la natura colposa del sovraindebitamento venga elisa dalle esigenze che il debitore intendeva soddisfare con il ricorso al credito: cosicché ad esempio non troverebbe ostacoli il debitore che abbia sì contratto successivi finanziamenti personali sproporzionati rispetto ai propri debiti, ma al fine di soddisfare esigenze primarie proprie e della propria famiglia (vitto ed alloggio, esigenze scolastiche dei figli, ecc.).

La casistica conosce poi un'altra categoria di debitori che solleva delicate problematiche: ovvero tutti coloro che hanno fatto ricorso sproporzionato al credito in presenza di vere e proprie patologie, quali la ludopatia o la tossicodipendenza.

La giurisprudenza prevalente propone al riguardo di attribuire rilievo al modo in cui il debitore stesso ha inteso affrontare la propria patologia: escludendo quindi la natura colposa del credito sproporzionato ogniqualvolta il debitore abbia intrapreso un percorso di recupero che gli consenta di superare la patologia e quindi di neutralizzare definitivamente la fonte dei propri debiti. Cosicché l'accezione negativa viene traslata dalla condotta dell'accesso al credito alla condotta inerte di fronte alla patologia che ha condotto il debitore allo sproporzionato accesso al credito: al debitore ludopatico viene preclusa l'esdebitazione non tanto perché ha contratto debiti in modo sproporzionato, quanto perché non ha reagito e non reagisce in modo responsabile alla condizione personale che lo ha condotto a contrarre debiti sproporzionati.

Torniamo quindi al quesito iniziale: il sovraindebitamento è colposo e quindi ostativo all'esdebitazione ex art. 14-terdecies, comma 2, lett. a) ogniqualvolta sia consapevole?

Se riprendiamo anche a questo proposito il parallelismo con l'esdebitazione a disposizione del fallito, si noterà immediatamente che l'art. 142 l. fall., pur elencando una serie di condotte ostative al beneficio, non si occupa della condotta tenuta dall'imprenditore al momento in cui ha contratto i debiti che hanno poi condotto al fallimento (cfr. A. Ghedini e M. L. Russotto, op. cit.).

Anzi, le condizioni di accesso all'esdebitazione per il fallito sono più favorevoli rispetto alla disciplina disegnata per il sovraindebitato che acceda alla liquidazione del patrimonio: basti considerare che l'art. 142 l. fall. non attribuisce rilievo ostativo alla bancarotta semplice, ma solo alla condanna per bancarotta fraudolenta.

Ebbene, se consideriamo che tra le condotte sanzionate dall'art. 217 l. fall. (bancarotta semplice) vi è anche l'avere effettuato spese eccessive rispetto alla propria condizione economica o l'avere consumato il patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti, non sfugge la similitudine tra le spese eccessive rispetto alla condizione economica dell'imprenditore poi fallito – cui non è attribuita alcuna rilevanza – ed il ricorso al credito sproporzionato rispetto alle condizioni patrimoniali.

Anche il parallelismo con il piano del consumatore offre utili spunti di riflessione al riguardo, alla luce delle recenti modifiche normative introdotte dal d.l. n. 137/2020.

Sotto un primo profilo l'art. 7, come modificato, prevede oggi quale ostacolo all'ammissione della procedura tipica del consumatore il fatto che il debitore abbia “determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, mala fede o frode” (art. 7, comma 2, lett. d-ter l. n. 3/2012), anticipando quindi l'art. 69 CCI, già ricordato: e bisogna pur attribuire un significato alla scelta del Legislatore di trasformare l'originario presupposto della “colpa” in “colpa grave”.

Inoltre, l'art. 9 con una disposizione innovativa, sempre riferita al piano del consumatore, ha stabilito che la relazione particolareggiata precisi anche se “ai fini della concessione del finanziamento, il soggetto finanziatore abbia tenuto o meno conto del merito creditizio del debitore”.

È stato osservato al riguardo che l'attenzione alla condotta del finanziatore non assume rilievo ai fini dell'esdebitazione, ma solo per la disciplina del diritto del creditore di opposizione all'omologa del piano, giacché alla luce della parallela modifica dell'art. 12-bis, comma 3 bis, l. n. 3/2012 (al “creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi” sul merito creditizio “non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, né far valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore”).

L'osservazione – seppure indubbiamente formalmente corretta – a mio parere va però portata alle conseguenze ulteriori ed inserita nel contesto della complessiva disciplina dell'istituto.

Si è infatti già detto che una volta omologato il piano del consumatore, l'esdebitazione consegue come suo effetto automatico: il che significa che, nel momento in cui si disinnesca il potere di opposizione di un creditore, si apre la via non solo all'accesso alla procedura concorsuale, ma anche al suo effetto ultimo, che è la liberazione dai debiti non soddisfatti. Ora, privare del potere di opposizione il creditore che abbia violato l'obbligo di verificare il merito creditizio, implicitamente significa che ci troviamo in presenza di un debitore che ha contratto uno o più finanziamenti senza essere in grado di farvi fronte e senza che l'ente finanziatore abbia doverosamente evidenziato la criticità: il che implicitamente significa anche che stiamo discutendo dell'omologa di un piano del consumatore proposto da un debitore che abbia assunto debiti sproporzionati rispetto alle proprie capacità reddituali.

Nel senso che, se abbiamo un finanziatore che non ha verificato il merito creditizio e che va per questa ragione “sanzionato”, precludendogli il potere di opposizione, evidentemente il debitore ha ottenuto finanziamenti sproporzionati: è proprio del piano di questo debitore che il tribunale si sta occupando e che non ha ritenuto inammissibile.

Cosicché o ci si fa carico di giustificare la disparità di disciplina tra le figure di debitori tratteggiate (imprenditore fallito, consumatore che acceda al piano, debitore che chieda la liquidazione del patrimonio) o dovrà offrirsi una lettura costituzionalmente orientata della preclusione pur descritta dall'art. 14-terdecies: sostanzialmente anticipando la modifica introdotta dall'art. 69 CCI, che attribuisce rilievo non alla mera colpa nel sovraindebitamento, ma alla colpa grave, escludendo che la mera originaria sproporzione tra debiti e sostanze sia di per sé fatto ostativo all'esdebitazione.

Cosicché la sproporzione ostativa ricorrerebbe solo quando il ricorso al credito è stato o intenzionalmente sproporzionato o assunto con totale indifferenza rispetto alla successiva capacità di restituzione: cioè quando il debitore ha mostrato una condotta addirittura spregiudicata, proseguendo nel contrarre debiti senza minimamente porsi il problema di come farvi fronte.

Una interpretazione non letterale della norma, che invece richiama sic et simpliciter la mera colpa (“ricorso al credito colposo”), consentirebbe di liberare dalla morsa dei debiti non soddisfatti quanto meno una nutrita categoria di persone sovraindebitate che hanno contratto successivi finanziamenti personali ab origine sovradimensionati rispetto alle capacità reddituali, ma allo scopo di far fronte alle esigenze familiari, senza che emergano spese di carattere meramente voluttuario.

L'accesso al beneficio così declinato implica, da un lato, un rigoroso adempimento degli obblighi informativi da parte del debitore, che deve mettere il tribunale nelle condizioni di svolgere una effettiva verifica di destinazione delle somme ricevute, sulla base di un corredo informativo che, per quanto non debba essere esclusivamente documentale, quanto meno deve connotarsi per un ragionevole canone di plausibilità.

Dall'altro lato, risulta ampliata la platea di quanti siano ammessi ad un effettivo fresh start: se vengano condotte in modo rigoroso le verifiche in ordine alle effettive disponibilità del debitore, l'estensione del beneficio non arreca danno ai creditori, che in una situazione di incapienza non verrebbero soddisfatti neanche negando l'esdebitazione, mentre potrebbe favorire il mercato, che vedrebbe il reinserimento attivo di un soggetto che ne era stato espulso, soprattutto se, insistendo sulla necessità di rendersi parte diligente nel reperire una nuova attività lavorativa, il debitore raggiungesse un nuovo equilibrio finanziario.

In concreto, a mio avviso, nell'ottica dei principi sottesi alla normativa nazionale ed unionale ed al fine di non aprire la strada a trattamenti diversi per posizioni analoghe, è giustificata una lettura non eccessivamente rigorosa delle condizioni ostative agganciate alle condotte passate, ovvero a quella fase della vita del debitore in cui lo stesso versava in situazioni di difficoltà economiche e non solo; mentre sarebbe giustificabile un maggior rigore nell'interpretazione delle condizioni agganciate al presente ed al futuro: ovvero una completa discovery informativa ed una diligente iniziativa occupazionale, anche al fine di innescare un meccanismo virtuoso e ridurre il rischio che la situazione di sovraindebitamento possa nuovamente verificarsi.

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