La rilevanza del dolo ai fini di una (eventuale) maggiorazione del risarcimento del danno da lesione dei valori della persona

14 Dicembre 2021

Che rilevanza ha il dolo nella quantificazione del risarcimento del danno in caso di lesione della salute e degli altri valori costituzionalmente tutelati? La sua presenza giustifica una maggiorazione a titolo di personalizzazione del danno biologico? L'Autrice prova a dare una primissima risposta al quesito, offrendo alcuni spunti per allargare lo sguardo, non senza nascondere le incertezze e le difficoltà in cui l'interprete si imbatte quando si tratta di mettere in pratica gli insegnamenti della Suprema Corte e di monetizzare il vulnus a beni che non sono ontologicamente traducibili in danaro.
Introduzione

L'interrogativo da cui prendono l'abbrivio le presenti note può essere così sintetizzato: in caso di illecito doloso che comprometta la salute della persona si può pensare di riconoscere, ai fini di una integrale compensazione, una maggiorazione del risarcimento a titolo di “personalizzazione” (ultima colonna della Tabella di Milano)?

Il tema appare estremamente complesso e chi scrive non ha certo la pretesa di rispondere “in modo rotondo” ad un quesito così impegnativo. Qui verranno solo svolte alcune brevi osservazioni che mirano ad introdurre il dibattito, e lo fanno per lancem saturam, toccando appena la varietà e profondità delle questioni che in quell'interrogativo parrebbero implicate.

Prima suggestione: riconoscere una maggiorazione a titolo di personalizzazione del risarcimento in presenza di dolo significa dare ingresso ad un danno punitivo?

Una prima obiezione potrebbe nascere dalla considerazione per cui, alla luce di Cass. SS.UU. n. 16601/2017, nel nostro ordinamento lo spazio per un danno punitivo è rigorosamente delimitato, essendo necessari i requisiti della tipicità, prevedibilità e dei limiti quantitativi.

Secondo la Cass. SS.UU. 16601/2017: «Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico».

Si potrebbe peraltro replicare che nel caso di illecito doloso non si va a sanzionare l'aggressore in ragione del disvalore della sua condotta: al contrario, il punto di vista è quello della vittima, la cui sofferenza potrebbe ragionevolmente dirsi più intensa ove accompagnata dalla consapevolezza che l'azione era caratterizzata dalla specifica intenzionalità lesiva; il danno morale potrebbe dirsi maggiore poiché chi ha subito l'offesa sa che non si trattava di una condotta colposa, ma di un gesto specificamente rivolto contro di sé al fine preordinato di nuocere.

Del resto, se si dà uno sguardo alla giurisprudenza, non sono poche le decisioni in cui si afferma che nella liquidazione del danno morale il Giudice deve tener conto anche della gravità del fatto; si veda Cass. civ. sez. III, 12 dicembre 2008, n. 29191: «il principio vincolante per il giudice del rinvio è dunque il seguente: nella valutazione del danno morale contestuale alla lesione del diritto della salute, la valutazione di tale voce, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona (..) deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della gravità del fatto, senza che possa considerarsi il valore della integrità morale una quota minore del danno alla salute. (Cass. 19 agosto 2003, n. 12124; Cass., 27 giugno 2007 n. 14846 tra le più significative vedi ora Cass. SS.UU. 11 novembre 2008 n. 9672 - punto 2.10)».

Nello stesso senso si vedano anche Cass. 29 maggio 1998, n. 5366; Cass. 19 gennaio 2010, n. 702; Cass. 16 febbraio 2012, n. 2228; Cass. 15 ottobre 2015, n. 20895.

Il dolo come coscienza e volontà del fatto tipico, “oltre il bene salute”

La seconda riflessione si muove lungo un piano di indagine parallelo e mira a verificare se il risarcimento della maggior sofferenza provata dalla vittima (che, come si è visto, deriverebbe dalla presa d'atto della intenzionalità della condotta dell'aggressore) possa davvero trovare risposta nell'incremento per personalizzazione previsto dall'ultima colonna della Tabella milanese.

A parere di chi scrive, qualche dubbio si pone, quanto meno se si prova a calare il discorso entro uno scenario allargato.

Si potrebbe sostenere che il dolo è un elemento che accompagna, connota e rivela la lesione di un diritto ulteriore (rispetto alla integrità psico-fisica), si atteggia cioè come manifestazione, come epifania della compromissione di un valore costituzionale che va oltre la salute e tocca le sfere più profonde dell'io-persona.

Nel caso della violenza sessuale, per es., senza la coscienza e volontà di porre in essere la condotta tipica, non si configurerebbe neppure il reato: il che significa che quella azione, per ledere il bene protetto dalla norma incriminatrice (la libertà sessuale), deve appunto essere caratterizzata dalla intenzionalità (l'art. 609-bis c.p. al comma 1 stabilisce che “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”).

Un raffronto è forse utile a chiarire il concetto: se Tizio sferra un pugno a Caio con l'animo di umiliarlo, magari di fronte ad una platea e in un contesto in cui l'offeso è ben conosciuto, si avrà non solo una compromissione della salute, ma anche un vulnus alla dignità ed alla reputazione della vittima. Lo stesso non potrebbe dirsi ove Tizio, incautamente, nel togliersi con gesto energico e repentino il cappotto, colpisca violentemente con il gomito il naso di Caio, seduto accanto in metropolitana.

Si vuole con ciò dire che, in questi casi, il dolo è caratterizzante e rivelatore: esprime la coscienza e volontà di aggredire un bene ulteriore, ed è elemento necessario perché la lesione stessa (a quel diverso valore) possa concretizzarsi (nell'esempio appena fatto viene in linea di conto l'onore; se c'è colpa, si avrà solo incisione della integrità fisica).

Così, con riguardo all'abrogato reato di ingiuria, la giurisprudenza Cass. pen. n. 3371/1998 rilevava che: «Il reato di ingiuria è punibile a titolo di dolo generico, inteso come volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza dell'attitudine offensiva delle parole usate. La configurabilità del delitto prescinde, quindi, dai motivi a delinquere e dall'animus nocendi vel iniuriandi che è del tutto irrilevante perché estraneo alla struttura della fattispecie legale. In conseguenza, il dolo è configurabile, senza necessità di una particolare dimostrazione, qualora l'espressione usata sia autonomamente e manifestamente offensiva, tale, cioè, da offendere, con il suo significato univoco, la dignità della persona» (Cass. pen., sez. V, 5 ottobre 1998, n. 3371).

Ancora, per es., il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone il dolo, che consiste in un «atteggiamento volitivo che non si risolva in manifestazioni, seppur ripetute, di contingente aggressività, ma comprovi il consapevole perseverare in condotte lesive della dignità della persona offesa» (Cass. pen. 12196/2019).

Con riguardo, poi, alla fattispecie della violenza sessuale, la Cassazione sottolinea che «è sufficiente il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della vittima non consenziente, mentre è irrilevante l'eventuale fine ulteriore» (Casa., 9 maggio 2008, n. 28815; nello stesso la giurisprudenza di merito, Trib. Savona, 12 aprile 2006: «il dolo è coscienza e volontà di ledere la libertà sessuale della vittima»).

Prendendo allora spunto da questo ultimo esempio sorge spontaneo un interrogativo: il Giudice che abbia già autonomamente liquidato sia il danno alla salute che quello alla libertà sessuale (nei riflessi interiore – morale - ed esteriore - dinamico relazionale -), potrà poi riconoscere in via aggiuntiva, e per il solo fatto che si tratta di reato doloso, una maggiorazione del quantum (applicando una personalizzazione)?

Una prima risposta potrebbe essere negativa: se, come afferma la giurisprudenza, è vero che il dolo esprime già la coscienza e volontà di ledere la libertà sessuale, nell'esempio appena fatto ammettere un quid pluris (oltre alle poste già riconosciute) per la mera ragione che la condotta è stata accompagnata dalla intenzionalità significherebbe, forse, aprire le porte ad una indebita duplicazione.

Ma la prospettiva potrebbe cambiare se si arriva ad ipotizzare che la violenza sessuale non incide solo sulla integrità psico–fisica e sulla libertà di autodeterminazione, ma compromette in profondità la dignità stessa della persona, perché chi pone in essere la condotta considera la vittima al pari di una cosa, che può essere tranquillamente usata, annientata, cancellata, schiacciata, colpita nel suo io, come se non avesse, appunto, alcun “valore". In tal caso, verrebbe allora in rilievo un ulteriore diritto, la compromissione del quale dovrebbe giustificare la liquidazione di una separata posta risarcitoria (da capire però se attraverso l'ultima colonna della Tabella milanese o in altro modo, sul punto si tornerà infra).

Non a caso, sempre con riguardo alla violenza sessuale, la Suprema Corte ha sottolineato (in una fattispecie in cui la vittima era una minorenne) che la valutazione deve essere compiuta tenendo conto della «particolare natura del danno che è da lesione di vari diritti umani fondamentali: in primo luogo il diritto alla integrità morale della minore ed al rispetto della sua dignità e dell'armonioso e sano sviluppo del suo carattere (art. 2, 3 e 32 Cost., tra di loro coordinati), in secondo luogo per la privazione della libertà e delle possibilità di autodeterminarsi (art. 13 e 32 Cost.) durante gli episodi di atti di libidine e pedofilia (consumati in un luogo chiuso e sotto la minaccia morale di mantenere il segreto); in terzo luogo la lesione della salute psichica, con la determinazione di un danno gravissimo (..)» (Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530).

Si veda anche Cass. civ., 21 giugno 2011 n. 13611 secondo cui «È noto (..) che nella violenza carnale la persona offesa, tanto più se si tratta di minore infraquattordicenne, (..) è contemporaneamente soggetto passivo ed oggetto di violenza e il soggetto passivo è degradabile ad oggetto. Il degrado inferto dal violentatore (..) non attiene soltanto al corpo, ma anche alla dimensione spirituale dell'offeso, la cui persona è dall'agente (o dagli agenti) vista, come ritiene specifica dottrina, con un neologismo icastico, nella sua “coseità”, per cui il danneggiato da tale odioso reato si trova a vivere non solo nel momento in cui lo subisce , ma si porta dentro per il resto un frammento di vita spezzato dal fatto criminoso e da cui con fatica, come riconosce anche la specialistica psico-criminologica, proverà ad uscire».

Anche la Cassazione penale ha avuto modo di evidenziare che «La comprensione del baricentro dell'incriminazione di cui all'art. 609-bis c.p. deve partire dalla differente collocazione di questi reati fra i delitti contro la persona invece che tra quelli contro la moralità pubblica ed il buon costume e dall'intitolazione della legge n. 66 del 1996 alla violenza sessuale, sicché la sfera della sessualità cessa di appartenere al generico patrimonio collettivo della moralità o del buon costume e diviene diritto della persona umana di gestire liberamente la propria sessualità e la violazione di detto diritto costituisce offesa alla dignità della persona» (Cass. pen. 27 aprile 1998, n. 6651).

Con riferimento, in particolare, ai rapporti tra coniugi la Cassazione ha rilevato che «Sul tema va scandito che il concetto di violenza sessuale, nella oggettività della tutela apprestata dalla previsione normativa, ha una sua sostanziale ed immodificabile unitarietà, che non consente di distinguere tra violenza sessuale consumata tra estranei e violenza sessuale consumata all'interno di un rapporto coniugale. L'esistenza di un tale rapporto o di altro di contenuto similare, al di là del concreto atteggiarsi della relazione intersoggettiva secondo alternativi modelli di armoniosa convivenza o di acceso contrasto, non autorizzano alcun uso irrispettoso - e tantomeno "proprietario" o violento - del corpo altrui né limitazioni che valgano in alcun modo a deprimere la libertà della persona o ad umiliarne la dignità» (Cass. pen. 26 marzo 2004, 14789).

Per tracciare una connessione tra dolo e lesione di un diritto che va oltre la salute, si potrebbe anche provare a ragionare al contrario e sostenere che è la compromissione stessa della dignità umana che presuppone l'intenzionalità della condotta: per reificare una persona, per colpire e ferire la sua dimensione spirituale, intellettuale, il suo valore occorre una precisa e ben diretta consapevolezza; tant'è vero che il corrispondente reato neppure si configurerebbe se mancasse tale elemento soggettivo (per es. in presenza di colpa). Ciò accade ad es. nella violenza sessuale, nei maltrattamenti in famiglia, nella schiavitù; e nel medesimo contesto potrebbe inserirsi anche il reato di cui all'art. 583-quinquies c.p. di “deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, ove a venire in linea di conto non pare sia solo la lesione della salute, quanto piuttosto la volontà di annientare e colpire l'altro, come se si trattasse, appunto, di un quid da distruggere e mortificare.

Ma un discorso analogo potrebbe forse farsi anche – a parere di chi scrive – nell'omicidio o nelle lesioni che siano volontari.

Si pensi ad esempio al caso del marito che tenta di uccidere la moglie: la donna sopravvive, ma l'offesa subita andrà ben oltre la menomazione della integrità (es. ferita grave riportata all'esito della aggressione), dovendosi qui ritenere implicata - a mio dimesso avviso - anche la violazione della dignità, in ragione del gesto di estremo disprezzo per la persona, quale espressione della assoluta negazione del suo valore e della volontà di azzerarne ogni dimensione.

Come liquidare?

Tornando allora all'interrogativo di partenza, in tali casi parrebbe giusto incrementare il quantum (andando oltre il valore del vulnus alla salute); resterebbe semmai da capire quale tecnica utilizzare: questo aumento va concesso attraverso una personalizzazione del biologico in ragione della (ritenuta) presenza di circostanze eccezionali e specifiche (secondo le coordinate di Cass. 7513/2018 e succ. conf., tra cui Cass. 10 novembre 2020, n. 25164)?

O, piuttosto, occorre procedere ad un autonomo ristoro, svincolato dalla Tabella milanese, in considerazione del fatto che il dolo attesta l'avvenuta compromissione di un altro bene (es. la dignità), la cui tutela è rimessa (per la sua gravità) anche alla sanzione penale?

Sempre esemplificando, nel caso della violenza sessuale su minorenne, si potrebbero individuare più vulnera: la lesione fisica e/o psichica, la compromissione della libertà sessuale, ma anche – trattandosi di persona in giovanissima età - la violazione del diritto “a crescere in un ambiente accogliente e sereno nonché ad intraprendere un normale e libero percorso di maturazione sessuale ed affettiva” (in questi termini Trib. Varese, sez. I, 10 dicembre 2010).

Nel caso deciso dalla sentenza appena citata il Giudice ha ritenuto di liquidare alla bambina, rimasta vittima di atti di pedofilia, oltre al danno biologico (sub specie di ITT per come valutata dal CTU per il «profondo disagio psico-emotivo che ha determinato una significativa, seppur temporanea, alterazione del suo persistente equilibrio psichico” ), una somma di Euro 200.000,00 = a titolo di risarcimento per la lesione di “diritti ulteriori e diversi” rispetto alla salute, tenuto conto “della gravità e della sostanziale irrimediabilità del pregiudizio così brutalmente inferto alla vita dell'attrice, il dolore dalla stessa provato -sia nella componente transeunte che in quella permanente- per i singoli episodi di violenza sessuale patiti, lo stato di apprensione in cui è stata costretta a vivere a fronte delle reiterate condotte criminose perpetrate dal convenuto nell'arco di più anni (..) “ e considerata altresì la “incisione brutale nell'inviolabile sacrario che è l'animo di ogni bambino, quando questi, a seguito delle violenze, sia costretto a custodire nel silenzio più assoluto il suo insopportabile segreto e il suo dolore per il timore che il suo aguzzino possa rivolgere le sue perverse attenzioni nei confronti della sorella mettendo in atto una minaccia più volte adombrata. La minaccia di usare violenza contro la sorella, se la vittima primaria confessi i reati subiti e subendi causa uno sconvolgimento della sua fanciullezza ed adolescenza che deve trovato completo ristoro».

In una recente decisione, che si lascia apprezzare per l'equilibrio, la ponderatezza e l'attenta considerazione delle posizioni coinvolte nella triste vicenda esaminata, il Tribunale di Milano (Tribunale di Milano, G.U. Dott. D. Spera, 11 agosto 2021 n. 6963 in Ridare.it, con nota di P. Ziviz, “Violenza sessuale: il danno biologico va liquidato oltre i limiti tabellari (ma non esaurisce il pregiudizio da risarcire alla vittima”, 14 settembre 2021) ha seguito un percorso ancora diverso.

In un caso di violenza sessuale (ripetuta nel tempo ad opera di uno zio), alla piccola vittima il Tribunale ha riconosciuto una somma per la lesione del diritto alla salute (in relazione alla ITT ed alla IP accertati dal CTU), ed ha poi applicato una maggiorazione, pari al doppio della personalizzazione prevista dall'ultima colonna della Tabella, proprio in ragione della natura dolosa dei reati commessi, muovendo dalla considerazione della “maggiore intensità delle sofferenze psicofisiche e delle conseguenze dinamico- relazionali patite dalla vittima rispetto al medesimo punto percentuale di invalidità temporanea o definitiva subita a seguito di un sinistro stradale, di reati colposi o altri atti/ fatti anche privi di rilevanza penale”.

Il Tribunale ha dunque incrementato il quantum ricorrendo alla personalizzazione del danno da lesione della salute proprio al fine di tener conto della maggior sofferenza che viene collegata alla natura “dolosa” dei reati commessi: l'aumento si giustifica in ragione del fatto che nelle fattispecie “normalmente” registrate nella prassi (e considerate nei precedenti utilizzati nella costruzione stessa della Tabella) a venire in linea di conto sono fattispecie per lo più colpose o di responsabilità oggettiva (la cui diversità, in termini di offensività ed afflittività pare evidente).

Il Giudicante ha tuttavia chiarito che “il danno biologico così liquidato non deve però ritenersi esaustivo di ogni conseguenza dannosa non patrimoniale subita (…)” ed ha quindi riconosciuto, in via ulteriore e separata, una somma a titolo di risarcimento per la violazione del diritto alla autodeterminazione sessuale poiché “il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del bene salute non esaurisce i pregiudizi non patrimoniali conseguenti all'illecito dovendosi in questi casi procedere ad un'autonoma e separata liquidazione del diverso danno non patrimoniale patito dal danneggiato”.

La modalità liquidatoria adottata dal Tribunale fa riflettere perché, per un verso, dimostra la profonda sensibilità, lo scrupolo e la consapevolezza del Giudicante circa la insufficienza di una riparazione standard, proprio in ragione delle peculiarità del caso; dall'altro, porta a chiedersi se anziché procedere ad una maggiorazione del danno da compromissione della integrità psico-fisica (applicando appunto la “personalizzazione”), non si possa / debba dare corso ad una quantificazione autonoma, “intervenendo” sul diverso bene costituzionalmente protetto che risulti parimenti inciso dalla condotta illecita.

Il dolo, insomma, potrebbe anche essere considerato non come una circostanza eccezionale che giustifica l'aumento del risarcimento per vulnus alla salute previsto dall'ultima colonna della Tabella di Milano, ma come un indice che rivela la (coscienza e volontà della) violazione di un altro valore (es. la dignità, la libertà ecc.), che merita un separato ed autonomo ristoro (e che, se già liquidato, non va duplicato).

Ci si potrebbe allora chiedere se le sofferenze e i riflessi dinamico relazionali (paura, afflizione, smarrimento, angoscia, rifiuto dei rapporti con il mondo esterno, ansia ecc.) patiti dalla piccola vittima delle violenze sessuali, a fronte di un così terribile, odioso, nefasto ed abominevole crimine siano “conseguenza” della lesione del corpo e della psiche piuttosto che della compromissione del diverso diritto alla autodeterminazione sessuale (e debbano dunque trovare in questa seconda sede la loro “personalizzazione”); o, ancora, se quelle ripercussioni non siano il portato della violazione di valori ancora diversi, sempre tutelati dalla Costituzione (e la cui violazione merita di essere anch'essa riparata), come la dignità, ovvero ancora il diritto a crescere in un ambiente accogliente e sereno e ad intraprendere un normale e libero percorso di maturazione sessuale ed affettiva.

Ma in termini ancor più generali, il vero problema è che nel momento in cui si individuano più vulnera che fanno tutti capo alla persona, è estremamente arduo discernere, in concreto, quali ricadute pregiudizievoli (sia nella sfera interiore che in quella esteriore) derivano dall'uno piuttosto che dall'altro di essi. Come distinguere? Eppure, tale “selezione” dovrebbe rappresentare il primum movens per capire se, come e dove (in che tabella) liquidare, oltre che per evitare duplicazioni.

Una prima sintesi: dubbi e prospettive

È forse impossibile dare una risposta certa al quesito di partenza; i punti di vista possono essere molteplici e la complessità della questione trova tutta la sua ontologica giustificazione in un problema di fondo: la difficoltà di trasformare in moneta ciò che non è traducibile in denaro, ossia i valori della persona che siano compromessi dall'altrui illecito.

Come si è osservato più sopra, il dolo potrebbe anche essere considerato non come circostanza eccezionale (sub specie di “modalità della condotta”) idonea a giustificare una maggiorazione, a titolo di personalizzazione, della lesione della salute, quanto piuttosto come indice, come espressione della incisione di un bene ulteriore (rispetto alla integrità psico-fisica), come ad es. la libertà sessuale, la dignità ecc. Aggressioni queste ultime, che postulano la intenzionalità della condotta, ossia intanto possono configurarsi in quanto appunto vi sia la coscienza e volontà di quella condotta tipica.

In tali casi, il risarcimento dovrebbe avere ad oggetto anzitutto il biologico e le sofferenze ad esso correlate, e poi tutti gli altri pregiudizi conseguenti alla lesione dei diritti “ulteriori” che quella azione ha travolto (dignità, libertà sessuale ecc.): il Giudice sarà allora chiamato ad un compito estremamente complesso perché dovrà individuare e distinguere – per poterle adeguatamente “monetizzare” – le ripercussioni che siano derivate da ciascuno dei vulnera verificatisi. Ma qui si pone un problema.

Nella nota “sentenza decalogo” n. 7513/2018 la Cassazione al punto 10 ha sottolineato che: «Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell'uno come nell'altro caso, senza automatismi risarcitori e dopo accurata ed approfondita istruttoria».

Facendo allora l'esempio della violenza sessuale subita da un minore, si potrebbe dire che l'azione del reo ha colpito non solo la integrità fisica e psichica, ma anche la libertà sessuale, la dignità della persona, che viene trattata come un oggetto, ovvero il diritto a crescere in un ambiente accogliente e sereno e ad intraprendere un normale e libero percorso di maturazione sessuale ed affettiva.

Ebbene, ci dovrebbe essere una liquidazione per ciascuna delle sofferenze (la sfera interiore, il dentro) e per ognuna delle conseguenze dinamico relazionali (il fuori) connesse alla violazione di ciascuna delle diverse posizioni soggettive vulnerate? Ma come si fa ad individuarle e separarle? E non si rischia di duplicare?

Forse, la via da seguire muove dalle allegazioni e dalle prove (anche presuntive): sarà sulla base della attenta valutazione delle risultanze istruttorie , in ragione di ciò che le parti hanno specificamente dedotto e chiesto di dimostrare, che il Giudice avrà modo di orientarsi: una volta individuate le concrete ripercussioni subite dalla vittima, diverrà poi operazione qualificatoria ricondurle nel novero degli “effetti” della lesione della salute piuttosto che in quelle derivanti dalla violazione di altri diritti: l'importante è non liquidarle due volte.

In definitiva, aumentare il quantum in presenza di dolo utilizzando la “personalizzazione” potrebbe, per un verso, apparire come una soluzione “convenzionale” (intesa come scelta condivisa in mancanza di altri riferimenti) da percorrere ove il fine sia quello di trovare un parametro di riferimento omogeneo.

D'altro canto, però, ci si potrebbe chiedere se così facendo non si corra il rischio di considerare e trattare come “conseguenze del biologico” ripercussioni (“interne” ed “esterne”) che potrebbero essere, in realtà, il “portato” della lesione di diritti diversi e che, dunque, andrebbero monetizzate secondo altre scale.

E va considerato che tale metodo potrebbe portare a risultati non condivisibili quando sussista una IP molto ridotta (es. 4 o 5 punti): il Giudice che, anziché liquidare autonomamente il pregiudizio alla libertà sessuale (per tornare all'esempio di partenza), si limiti a riconoscere il quid pluris dell'ultima colonna della Tabella, riconoscerebbe, verosimilmente, un risarcimento irrisorio a fronte della compromissione (ben più grave) di altri valori costituzionalmente protetti.

Per altro verso, tuttavia, resta il fatto che se si esce dalle maglie dei parametri Milanesi, la quantificazione non potrà che essere rimessa alla valutazione equitativa, suscettibile, come tale, di condurre a disparità di trattamento e a sensibili differenze da foro a foro (in mancanza, appunto, di criteri predeterminati).

Il dolo e le Tabelle di legge

Un discorso a parte dovrebbe poi farsi per le fattispecie che rientrino nell'ambito di operatività degli artt. 138 e 139 cod. ass. priv. (per le macropermanenti si veda la bozza della Tabella Unica Nazionale (TUN): per una lucida, approfondita, adamantina disamina del quadro attuale e delle prospettive future si veda D. Spera “Con l'approvazione della Tabella Unica Nazionale verrà meno la supplenza della Tabella milanese da lesione macro-permanente del bene salute?” in Ridare.it, 3 Novembre 2021).

In base alle tabelle di legge ove si volesse ritenere che il dolo denota la compromissione di un bene ulteriore rispetto alla integrità psico-fisica (la dignità della persona), si potrebbe dire che il Giudice può andare oltre il limite del 20 % e del 30% previsto dalla norma speciale, perché quel che sta liquidando è un pregiudizio diverso ed ulteriore rispetto alla lesione della salute.

Si pensi ad es. ad un investimento doloso: ci si potrebbe chiedere se la condotta di chi con l'auto tenta di uccidere una persona (magari non riuscendoci e provocando solo gravi lesioni) violi solo l'integrità psico-fisica o colpisca piuttosto anche la dignità dell'uomo, arrivando al punto di considerare la vittima come un insetto da schiacciare (e l'offeso ben si sentirà trattato come tale…).

Ma si consideri altresì, in relazione all'art. 7 della l. n. 24/2017 (L. Gelli), la fattispecie della paziente che durante il ricovero subisca una violenza sessuale da parte del medico curante (si veda Cass. civ. 22 settembre 2017 n. 22058 in Ridare.it, “Violenza sessuale del medico ai danni di una paziente: anche l'ASL deve risarcire la vittima”: qui la condotta era stata realizzata addirittura dopo che il sanitario stesso aveva anestetizzato la vittima ai fini dell'esecuzione di un intervento programmato).

Credo non vi siano dubbi che, oltre alla integrità psico-fisica, si abbia in tal caso la compromissione di valori che vanno oltre e che attengono alla profondità dell'essere: la dignità, la libertà sessuale, il pudore e, verrebbe da pensare, il diritto di affidarsi a chi, per professione e per vocazione, dovrebbe tutelare, accogliere, curare e non certo biecamente e brutalmente tradire.

Resterebbe poi da capire se, trattandosi di ipotesi dolosa, il risarcimento possa essere addossato alla compagnia assicurativa (piuttosto che al solo danneggiante); per i sinistri stradali la giurisprudenza ha dato risposta affermativa (Cass. 20 agosto 2018, n. 20786, che richiama Cass. 19368/2017: «in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, la garanzia assicurativa copre anche il danno dolosamente provocato dal conducente nei confronti del terzo danneggiato, il quale, pertanto, ha diritto di ottenere dall'assicuratore del responsabile il risarcimento del danno, non trovando applicazione la norma di cui all'art. 1917 c.c. - che non costituisce il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione , stradale, rinvenibile, invece, nelle leggi della RCA e nelle direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato - salva la facoltà della compagnia assicuratrice di rivalersi nei confronti dell'assicurato - danneggiante, per il quale la copertura contrattuale non opera»).

Nel caso del medico, il problema si porrebbe, ovviamente, solo in relazione alla Compagnia che garantisce la r.c. personale del professionista; non invece per la struttura (e per l'assicuratore di questa) poiché soccorrerebbe l'art. 1900, co. 2, c.c. in forza del quale “l'assicuratore è obbligato per il sinistro cagionato da dolo o da colpa grave delle persone del fatto delle quali l'assicurato deve rispondere” (la struttura è tenuta al risarcimento ex art. 1228 cc. per il fatto del medico proprio “ausiliario”).

Conclusioni

Resta comunque sullo sfondo – e non si può qui che farne un breve cenno – il problema della opportunità/necessità di allargare gli orizzonti e di verificare la possibilità di trovare forme alternative alla mera corresponsione di somme di denaro per compensare il pregiudizio non patrimoniale patito dalla vittima di illecito.

Non vi è lo spazio materiale per dilungarsi sul tema (che ha formato oggetto, tra gli altri, di un recente Convegno tenutosi il 5 novembre 2021, organizzato da Medicina e Diritto presso l'Aula Magna della Università Statale di Milano), ma può valer la pena “gettare un sasso nello stagno” e dare conto di quella (coraggiosa) ed innovativa pronuncia del Tribunale penale di Roma che, per risarcire il danno subito dalla giovanissima persona offesa nel reato di prostituzione minorile, ha ritenuto di condannare il reo all'acquisto di libri e video sulla storia ed il pensiero delle donne, di letteratura femminile e sugli studi di genere (Tribunale di Roma n. 266/2016, GUP Paola Di Nicola in Ridare.it, con nota di R. Polidoro e C: Cavaliere “Una sentenza innovativa sulla prostituzione minorile. Alla ricerca di un'effettiva tutela della vittima e dello stesso condannato”).

Ed è estremamente efficace, vivida e potente la giustificazione che il Magistrato ha voluto dare al suo provvedimento: «Un risarcimento liquidato in termini (esclusivamente o principalmente) economici (..) contrasterebbe con l'obbligo dell'Autorità giudiziaria di impedire la vittimizzazione secondaria perché accrescerebbe e confermerebbe in L. la convinzione che, anche per lo Stato, il suo valore non è la sua unicità e dignità di persona, in quanto tale non monetizzabile e non compensabile, ma è, ancora una volta, un valore quantificabile ed indennizzabile solo attraverso il denaro cioè lo strumento attraverso il quale l'imputato l'ha resa una merce, negandole il riconoscimento di essere una persona unica ed irripetibile. (…). Come può il denaro proveniente dal Rossi, sotto il profilo della stretta logica, agli occhi dei protagonisti della vicenda, essere da un lato elemento costitutivo della fattispecie penale (il prezzo della prestazione sessuale) e dell'altro rappresentare, per quella stessa condotta, risarcimento del danno? Per evitare questa evidente discrasia, al cui centro è il denaro come misura di tutte le cose, si ritiene che soccorra solo un criterio equitativo tale da risarcire il grave pregiudizio patito da una vittima vulnerabile, in una forma che non la pregiudichi e che non la vittimizzi per la seconda volta, ovverosia ai sensi dell'art. 2058 cc attraverso un obbligo di facere dell'imputato consistente nell'acquisto di ben individuati libri e film».

La sentenza citata si propone dunque di restituire dignità e libertà alla vittima attraverso un percorso culturale che possa portarla a prendere coscienza del proprio valore, sul presupposto che l'unico strumento capace di restituire dignità e libertà nel caso di specie è la conoscenza. Questa è in grado di creare idonee ed adeguate difese rispetto alle storture che hanno generato la soggezione, l'assenza di libertà l'apparente carenza di alternative di un'adolescente romana, per come risultanti dalla lettura degli atti processuali.

Il Tribunale ha cura di precisare che si tratta di una offerta, e non di un “inammissibile indottrinamento”, che la vittima del reato sarà libera di cogliere o meno: “la consegna a L. dei testi e dei film indicati nel dispositivo non ha alcuna valenza rieducativa o impositiva di un modello ma costituisce (..) esclusivamente una modalità risarcitoria in forma specifica che appare essere l'unica adeguata al caso di specie”.

Al di là della davvero peculiare fattispecie di cui si è occupato il GUP (e se si vuole, a parte il dubbio, almeno in astratto e in generale, sulla effettiva possibilità di un risarcimento in forma specifica di una perdita non patrimoniale), la decisione appena ricordata riporta dritti al problema di fondo: tradurre in moneta il valore della persona (attraverso la corresponsione di somme ingenti, che talvolta l'interessato non è in grado di amministrare da solo e convenientemente) è sempre la scelta giusta? o bisognerebbe forse considerare anche meccanismi compensativi di tipo diverso, che prendano in carico, accompagnino, sostengano per es. la vittima in un percorso di recupero, verso la sua (auspicabile) rinascita dopo un evento traumatizzante? Il dibattito resta aperto.

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