Riforma processo civile: procedimenti in camera di consiglio
15 Dicembre 2021
La legge delega approvata dal Senato
In esecuzione del decreto ministeriale 12 marzo 2021 è stata costituita presso l'ufficio legislativo del Ministero della Giustizia la Commissione per l'elaborazione di proposte di interventi sul processo civile e di strumenti allo stesso alternativi. Per migliorare l'efficienza dell'amministrazione della giustizia, la Commissione presieduta dal prof. Luiso ha elaborato il testo di una legge delega, tra le cui linee direttrici vi è quella di affidare la materia non contenziosa o dichiarativa a soggetti non appartenenti alla magistratura, in conformità all'art. 102 Cost., che preclude questa possibilità solo per la materia contenziosa. In attuazione dell'enunciato intento è stato proposto che materie come l'esecuzione forzata e la volontaria giurisdizione, per le parti che siano prive di collegamento con l'esercizio della giurisdizione siano trasferite a professionisti qualificati ovvero alle amministrazioni interessate. In particolare, con riferimento alla volontaria giurisdizione la Commissione Luiso ha suggerito l'attribuzione dei procedimenti nei quali al tribunale ordinario o dei minori sono riservati compiti di controllo o gestionali alla Pubblica Amministrazione o a pubblici ufficiali, come notai. A titolo esemplificativo potrebbero essere affidati alle amministrazioni molti controlli oggi di competenza del giudice, quali l'iscrizione, l'integrazione o correzione dei registri dello stato civile; ai notai la gestione delle eredità giacenti, le autorizzazioni ad negotia o a stare in giudizio, oltre ad alcune funzioni del giudice tutelare prive di contenuto decisorio. Questa misura, ad opinione della Commissione, avrebbe un sicuro effetto deflattivo del carico della magistratura, senza che venga corso alcun rischio per la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti. Infatti, nel caso in cui l'attività svolta dalla P.A. o dal pubblico ufficiale dovesse incidere su diritti, vi sarebbe la possibilità di ricorre, dopo l'adozione del provvedimento, all'autorità giudiziaria mediante ricorso giurisdizionale, che sarebbe così solo eventuale. Il Senato della Repubblica in data 21 settembre 2021 ha approvato il disegno di legge di iniziativa governativa n. 1662 che ‹‹Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata››. Al comma 13, dell'art. 1 del suddetto testo si prevedono i criteri direttivi ai quali si dovrebbe attenere il Governo nell'elaborare il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio, consistenti nel: a) ridurre i casi in cui il tribunale provvede in composizione collegiale, limitandoli alle ipotesi in cui è previsto l'intervento del pubblico ministero ovvero ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni, operando i conseguenti adattamenti delle disposizioni di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile e consentendo il rimedio del reclamo di cui all'art. 739 c.p.c. ai decreti emessi dal tribunale in composizione monocratica, individuando per tale rimedio la competenza del tribunale in composizione collegiale; b) prevedere interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai e ad altri professionisti dotati di specifiche competenze alcune delle funzioni amministrative, nella volontaria giurisdizione, attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, individuando altresì gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni. La legge delega n. 206 del 2021 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 9 dicembre 2021. La volontaria giurisdizione tra giurisdizione ed amministrazione
Nella legge delega vi è un uso promiscuo dei termini tecnici «volontaria giurisdizione» e «procedimento in camera di consiglio», mentre nella proposta di legge delega della Commissione Luiso si è parlato esclusivamente di volontaria giurisdizione; è necessario fare chiarezza sui due termini, che tra di loro non sono sinonimi. Partiamo dal concetto di volontaria giurisdizione. Il provvedimento di volontaria giurisdizione ha effetti costitutivi che possono esplicarsi nella costituzione di una nuova fattispecie di diritto sostanziale o di un suo elemento costitutivo, sotto forma di autorizzazione o omologazione; in ogni caso l'importante è che il giudice realizzi, autorizzi o omologhi la modificazione giuridica corrispondente al miglior assetto fattuale possibile per gli interessi tutelati. Interessi non impersonali, non genericamente pubblici, ma facenti capo ad un determinato soggetto privato. Già prima dell'entrata in vigore della Costituzione si era dubitato della natura propriamente giurisdizionale di tale attività. Nel vigore del vecchio codice di rito, il terzo libro agli artt. 778 ss. disciplinava tra i procedimenti speciali quelli di giurisdizione volontaria. Questi ultimi avevano caratteristiche comuni, simili al procedimento in camera di consiglio attuale, ed erano affidati in parte agli organi giudiziari in parte agli organi amministrativi. Il fatto che la materia avesse una gestione ibrida consentì alla dottrina dell'epoca di collocarla nell'ambito dell'attività amministrativa, ponendo l'accento su altre sue evidenti caratteristiche: l'assenza di un conflitto tra privati, che riguarderebbe, invece, la giurisdizione contenziosa, e conseguentemente la mancanza del giudicato a porre termine alla lite tra le parti (Saredo, Del procedimento in camera di consiglio e della volontaria giurisdizione, Roma, 1827, 73 ss.). Ciò avrebbe consentito di colmare le lacune dei procedimenti di volontaria giurisdizione mediante l'applicazione analogica delle disposizioni proprie del procedimento amministrativo. Zanobini (Sull'amministrazione pubblica del diritto privato, in Riv. dir. pubbl., 1918, I, 169 ss.) la definì «l'amministrazione pubblica del diritto privato», intendendo con l'espressione indicare l'attività statale con due caratteristiche: 1) si tratterebbe di una sorta di «sigillo» dato ad attività dei privati, allo scopo di dare consistenza o efficacia ad atti che essi vogliono compiere, previa valutazione della liceità e moralità degli stessi; 2) sarebbe sostanzialmente amministrativa, a prescindere da chi la dovesse esercitare, volta all'attuazione di interessi pubblici, legati ad interessi privati. Allorio (Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 510 ss.) ha individuato il quid caratteristico della giurisdizione nel giudicato, che differenzierebbe gli atti giurisdizionali da quelli amministrativi; questo dato ha portato l'autore a ribadire la sostanza amministrativa della volontaria giurisdizione. Altra parte della dottrina ha tentato di relegare la volontaria giurisdizione in un tertium genus, diverso dall'amministrazione e dalla giurisdizione. Si è notato, infatti, che nonostante la sostanza amministrativa, tali atti avrebbero una disciplina processuale propria: non sarebbe affatto irrilevante l'attribuzione della competenza in materia ad un giudice piuttosto che ad un organo amministrativo. Questo avrebbe come conseguenza l'impossibilità di integrare le eventuali lacune del procedimento mediante il ricorso alla disciplina del procedimento amministrativo. Il procedimento di volontaria giurisdizione avrebbe regole proprie (Fazzalari, Giurisdizione volontaria, Padova, 1953, 175). Questa costruzione, tuttavia, non corrisponde al disposto della nostra Carta costituzionale, che per i giudici non prevede funzioni diverse da quelle giurisdizionali. Con l'entrata in vigore del nuovo codice le funzioni di volontaria giurisdizione furono interamente attribuite al giudice. Opportunamente parte della dottrina (Micheli, Significato e limiti della giurisdizione volontaria, in Riv. dir. proc., 1957, 526 ss.; Pajardi, La giurisdizione volontaria, Milano, 1963, 9 ss.; Montesano, voce Giurisdizione volontaria, in Enc. giur., Roma, 1989, 3), allora, ha messo in evidenza come non possa essere indifferente l'attribuzione di un'attività, anche con sostanza amministrativa, ad un giudice piuttosto che ad un funzionario della P.A.: a differenza della P.A., un giudice non è portatore di alcun interesse pubblico specifico, se non il generico interesse a che venga fatta giustizia; il giudice si pone davanti alle parti ed al P.M. come terzo imparziale attuatore del diritto oggettivo. Anche in sede di volontaria giurisdizione, come nella giurisdizione contenziosa, il giudice deve attuare l'interesse che è stato fissato dalla norma, non reintegrando, però, l'ordine sostanziale violato, ma creando le condizioni perché si possano produrre determinati effetti sostanziali al fine della realizzazione di specifici interessi privati, che pur hanno una rilevanza pubblica, o quantomeno superindividuale. In un recente studio su cosa siano gli «interessi» oggetto della volontaria giurisdizione (I procedimenti camerali ‹‹senza diritti››, I, Torino, 2018., 51 ss.) si è giunti ad una conclusione che si discosta dalle posizioni della dottrina tradizionale. L'autore ha ritenuto che le situazioni oggetto della giurisdizione cosiddetta non contenziosa abbiano un peso considerevole nella vita delle persone, non certo inferiore a quelle che siamo soliti classificare come diritti. Partendo da questa idea si è tratta la conclusione che le tecniche di tutela giurisdizionale non possano essere meno attente di quelle destinate ai tradizionali «diritti». Ciò non significa che i modelli processuali debbano coincidere, ma che qualsiasi sostanziale riduzione di garanzie vada giustificata in modo rigoroso. Perciò, ad esempio, l'autore critica l'opinione dominante che nega il ricorso in cassazione contro i provvedimenti camerali non contenziosi. La tesi dell'autore è interessante perché si snoda intorno al confronto tra tutela riservata agli interessi dei privati nel procedimento amministrativo e con il processo amministrativo e trae forza anche dalla maggiore protezione riconosciuta oggi ad essi davanti alla P.A., per arrivare alla conclusione della necessità di attribuire maggior protezione agli interessi privati compressi dai provvedimenti di volontaria giurisdizione. Quest'ultima posizione sembra andare in senso totalmente opposto rispetto ai principi dettati nel disegno di legge delega, che vorrebbero una semplificazione del procedimento in camera di consiglio e finanche la delega dei procedimenti che non hanno a che fare con l'esercizio della funzione giurisdizionale strettamente intesa alla P.A. ovvero ad un pubblico ufficiale. La problematica è stata da tempo affrontata e superata dalla dottrina tedesca, la quale proprio per superare la difficoltà di far rientrare nel concetto di giurisdizione le attività di controllo e gestionali attribuite formalmente al magistrato, ma svolte dal notaio o dal cancelliere, ha elaborato la teoria della giurisdizione in senso proprio e stretto e la teoria della giurisdizione negli altri sensi. L'essenza della giurisdizione è quello della decisione per la risoluzione di conflitti o contrapposizioni che dir si voglia; in tutti gli altri tipi di attività attribuite al magistrato possono essere da questo delegate a suoi collaboratori, che le svolgono sotto il suo controllo (Habscheid, Grundfragen der freiwillige Gerichtsbarkeit, Rpfleger, 1957, 317). In accordo con tale insegnamento, nel disegno di legge delega si prevede che possano essere trasferite a soggetti diversi dagli appartenenti alla magistratura solo funzioni di carattere amministrativo e non certo con una clausola generale: il testo parla di individuare gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni. Il riferimento dell'art. 1, comma 13, lett. b), «ad altri professionisti dotati di specifiche competenze», fa ritenere che si possa trattare di avvocati ed in alcuni ambiti anche di dottori commercialisti, come avviene in altri settori del processo civile, l'esecuzione forzata, ovvero nell'ambito delle procedure concorsuali. La volontaria giurisdizione e il procedimento in camera di consiglio
Il precedente codice di procedura civile disciplinava i procedimenti di volontaria giurisdizione (artt. 778 ss.), con una struttura analoga all'attuale procedimento in camera di consiglio. Nel codice di procedura civile vigente viene disciplinato in generale il procedimento in camera di consiglio agli artt. 737 ss., senza alcun riferimento esplicito alla materia che esso dovrebbe accogliere. Il procedimento è indubbiamente adatto ad accogliere una materia che ha come scopo quello di raggiungere il miglior assetto possibile di interessi, più che un accertamento destinato all'incontrovertibilità propria del giudicato, perché flessibile, atipico, con poche regole d'ordine. Le note caratteristiche del procedimento camerale sono essenzialmente: l'atipicità dell'istruttoria; la conclusione con decreto; l'impugnabilità ridotta del provvedimento con il quale si conclude; la possibilità della sua revoca o disapplicazione con conseguente assenza di qualsiasi incontrovertibilità. Questo procedimento, tuttavia, è stato utilizzato anche per accogliere la materia contenziosa. Laddove il procedimento camerale sia esteso alla tutela dei diritti, si riconosce da più parti la necessità di un'attività adeguatrice, in via interpretativa, del procedimento. Tanto La Corte Costituzionale (tra le altre: Cost. 14 dicembre 1989, n. 543; Id., 22 dicembre 1989, n. 573, in Foro it., 1990, I, 366, con nota critica Proto Pisani; Id. 27 ottobre 2006, n. 341, ivi, 2007, I, 18; Id. 29.5.2009, n. 170, in Fall., 2009, 1268], che la Corte di cassazione (Cass. civ., 19 giugno 1996, n. 5629, in Giur. it., 1996, I, 1, 3, con nota critica di Carratta; Id. 30 dicembre 1989, n. 5831; Id., 28 luglio 2004, n. 14200; Id. 12 gennaio 2007, n. 565; Id. 22 maggio 2007, n. 11859; Id. 31 dicembre 2008, n. 30688) che la dottrina (Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova 1994, 225; Lanfranchi, La roccia non incrinata. Garanzia costituzionale del processo civile e tutela dei diritti, Torino 2012, 136; Montesano, Sull'efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. proc., 1986, I, 602; Proto Pisani, Usi e abusi della procedura camerale ex art. 737 ss. c.p.c., in Riv. dir. proc., 1990, I,404; in senso difforme si veda però Denti, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Studi Allorio, I, Milano 1989, 190) hanno riconosciuto la necessità di rispettare le garanzie costituzionali per qualsiasi procedimento che sia relativo a diritti o status, oggi previste dall'art. 111 Cost. Perciò, anche nel processo camerale su diritti o status deve essere rispettato il principio del contraddittorio, garantita la difesa tecnica, assicurata un'istruzione probatoria in cui sia possibile l'assunzione di qualsiasi mezzo di prova, compatibile con le forme del rito camerale, previsti i termini d'impugnazione propri del rito ordinario. Si possono omettere, invece, attività inutili come lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. La legge delega fa pensare che ci potrebbero essere ben quattro tipi di procedimenti in camera di consiglio, modulati sulla base della complessità della materia che accolgono: 1) il procedimento in camera di consiglio davanti al tribunale in composizione collegiale con la partecipazione del P.M., con oggetto la volontaria giurisdizione; 2) il procedimento in camera di consiglio davanti al tribunale in composizione collegiale, senza la partecipazione del P.M., con oggetto la volontaria giurisdizione ed in particolare l'attendibilità di stime effettuate o la buona amministrazione di cose comuni; 3) il procedimento in camera di consiglio davanti al tribunale in composizione collegiale con la partecipazione del P.M., con oggetto la giurisdizione contenziosa; 4) il procedimento in camera di consiglio davanti al tribunale in composizione collegiale, senza la partecipazione del P.M., con oggetto la giurisdizione contenziosa. A questi elencati si dovrebbero aggiungere i procedimenti da svolgersi davanti alla P.A. ovvero ad un pubblico ufficiale. Una precisazione va fatta in ordine al procedimento di cui al numero 2). Si ritiene che l'espressione «ovvero ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni» di cui all'art. 1, comma 13, lett. a), del disegno di legge delega, debba essere interpretata come una precisazione della precedente espressione, per cui possono essere attribuiti al tribunale in composizione monocratica solo i procedimenti in cui non partecipi il P.M. e con quello specifico oggetto. In conclusione
Le linee guida della legge delega per il riassetto dei procedimenti in camera di consiglio perseguirebbero uno scopo deflattivo con un duplice strumento: l'attribuzione dei procedimenti meno complessi, senza il P.M., nell'ambito dei quali il giudice svolga funzioni di controllo, alla competenza del tribunale monocratico; il trasferimento alla P.A., al notaio o ad altro professionista con specifiche competenze, di funzioni formalmente giurisdizionali, ma sostanzialmente amministrative, con la passibilità di ricorrere in un secondo momento al giudice. Per evitare che l'eventuale futuro assetto della volontaria giurisdizione e della procedura camerale sia disordinato ed incompleto, il Governo, nell'esercizio della delega, dovrebbe tenere in adeguato conto la precedente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Riferimenti
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