La legge delega 26 novembre 2021, n. 206 per la riforma del processo civile e le controversie di lavoro

15 Dicembre 2021

La Gazzetta ufficiale del 9 dicembre 2021 n. 292 ha pubblicato la legge 26 novembre 2021 n. 206, recante “delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”...
Gli obiettivi e l'iter parlamentare della legge delega

La Gazzetta ufficiale del 9 dicembre 2021 n.

292 ha pubblicato la

legge 26 novembre 2021, n.

206

, recante “delega al governo per

l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata

”.

Il disegno di legge fu presentato dal Governo Conte II al Senato il 9 gennaio 2020 con il n.

1662 A/S con oggetto la delega “per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie”.

Il successivo 17 febbraio, nel presentare al Parlamento le sue dichiarazioni programmatiche, il Presidente del Consiglio designato Draghi, affrontando il programma dell'adesione dell'Unione europea denominato

Recovery Fund

ed il tema connesso degli interventi legislativi da applicazione, rilevava che le istituzioni europee, tra l'altro, “ad aumentare l'efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l'efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l'efficienza del sistema giudiziario civile, riformare in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell'arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici”.

Ottenuta dal Governo la fiducia, la Ministra della giustizia nominò una Commissione di studio presieduta da F.P. Luiso (Vicepresidente F. Danovi) con l'incarico di elaborare “proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi”, avendo a riferimento i citati impegni presi con l'Europa e il d.d.l 1662 già agli atti del Parlamento, (1).

La Commissione di studio concluse i lavori nel successivo mese di maggio e il 16 giugno 2021 il Governo presentò una serie di emendamenti al testo originario del d.d.l. 1662. Concluso l'esame in Commissione giustizia, in Assemblea il Governo presentava un maxiemendamento al testo della Commissione, ponendo la questione di fiducia sull'approvazione. Il Senato il 21 settembre successivo concesse la fiducia ed approvo il testo emendato (2). Il disegno di legge, approdato alla Camera dei deputati con il n. 3289/C/XVIII, fu definitivamente approvato il 25 novembre 2021.

Nel frattempo – dopo l'approvazione del Piano Nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR) da parte degli organi UE (3), ma prima del d.d.l. 3289/C – il Parlamento aveva già convertito il d.l. 9 giugno 2021 n. 80, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa della P.A. (legge 6 agosto 2021 n. 113), ed aveva approvato il disegno di legge 2253/S recante la delega al Governo per la riforma del processo penale (legge 27 settembre 2021 n. 134). Si trattava di provvedimenti anch'essi diretti all'efficienza della giustizia e all'attuazione del PNRR.

Il contenuto della delega

Il PNRR prevede quali ambiti prioritari di intervento: a) l'ufficio del processo e il potenziamento dell'amministrazione; b) la riforma del processo civile e il ricorso agli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie (Alternative Dispute Resolution - ADR); c) la riforma della giustizia tributaria; d) la riforma del processo penale; e) la riforma dell'Ordinamento giudiziario, lasciando ampio spazio agli ulteriori interventi funzionali a tali obiettivi (4). Pertanto, la delega in materia di giustizia civile è particolarmente ampia e prevede l'adozione entro un anno dall'entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi “recanti il riassetto formale e sostanziale del processo civile” per una lunga serie di materie, ognuna enucleata da un comma dell'articolo unico di cui è composta la legge, nel rispetto dei criteri partitamente indicati.

Alle deleghe (a questo punto è meglio usare il plurale), contenute nei commi da 4 a 26, fa seguito una serie di interventi sui Codici civile e di procedura civile (commi da 27 a 36) recanti nuove disposizioni che si applicheranno ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge.

Le deleghe spaziano nei campi più vari del diritto sostanziale e processuale e dell'ordinamento giudiziario, dalle modifiche alla procedura di mediazione e di negoziazione assistita (c. 4) all'introduzione del “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie” (c. 23) (5).

La delega in materia di diritto del lavoro

Il comma 11 dell'articolo unico della legge delega, con riferimento alla materia del lavoro, prevede che “il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di controversie di lavoro e previdenza” rispettino il criterio di “unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, adottando le opportune norme transitorie”, con specifica indicazione che:

a) la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro abbia carattere prioritario;

b) le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche ove consegua la cessazione del rapporto associativo, siano introdotte con ricorso ai sensi degli articoli 409e seguenti c.p.c.;

c) le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell'art. 414 c.p.c., possano essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali di cui agli articoli 38 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198), e 28 del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150, stabilendo che la proposizione dell'azione, nell'una o nell'altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso.

Gli interventi in materia di licenziamento

La riforma dell'art. 18 stat.lav. ad opera della legge 28 giugno 2012 n. 92 ha ridotto le situazioni in cui il lavoratore licenziato può richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro. Pertanto, la disposizione del capo a) del comma 11 non ha un significato genericamente acceleratorio di quel tipo di controversie, ma mira alla creazione di un effettivo canale di trattazione prioritaria di quel tipo di controversie (che interessi tutti i gradi della giurisdizione) da attuare mediante l'integrazione dell'art. 7 ter della legge di ordinamento giudiziario e delle circolari del CSM a proposito dell'assegnazione degli affari ai singoli magistrati e ai collegi giudicanti.

Tanto premesso, appare opportuno svolgere alcune considerazioni circa l'unificazione e il coordinamento della disciplina processuale dell'impugnazione dei licenziamenti.

A) Ilcontenuto di gran lunga più importante dell'intervento è quello di mettere ordine nelle questioni nascenti dal c.d. rito Fornero. È noto, infatti, che la legge n. 92 del 2012 (art. 1, commi da 47 a 68) prevede un rito speciale di natura acceleratoria per le controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (6), “anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”, e che l'art. 11 del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23 (emanato per la delega contenuta nel Jobs Act) prevede che detto rito speciale non trova più applicazione ai licenziamenti concernenti i rapporti di lavoro a tutele crescenti regolati dal decreto stesso.

Il d.lgs. 23 del 2015, dunque, non ha abrogato il rito speciale, ma ha lasciato che per i contratti di lavoro subordinato sorti prima della data della propria entrata in vigore (7 marzo 2015) il rito rimanga applicabile ai soli licenziamenti ricadenti nelle previsioni dell'art. 18 dello statuto. Per le impugnazioni dei licenziamenti concernenti i rapporti di lavoro sorti dopo la data in questione e, quindi, regolati dalla disciplina delle tutele crescenti introdotta dal d.lgs. 23, il rito processuale è, invece, unificato e trovano applicazione solo le disposizioni degli artt. 409 e segg. c.p.c.

Con tutta evidenza, il delegante, nel ricondurre ad unum il sistema e prevedere l'unificazione e il coordinamento della disciplina dell'impugnazione dei licenziamenti, intende superare le problematiche insorte in sede di applicazione del rito Fornero e allo stesso tempo mantenere quel carattere acceleratorio che ne aveva raccomandato l'introduzione. Pertanto, il comma 11 della delega prevede quali criteri informatori della nuova norma processuale che le (eventuali) questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro siano proposte allo stesso giudice dell'impugnazione e che “la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro abbia carattere prioritario” (lett. a) (7).

In particolare, l'innovazione dovrebbe dare beneficio alla gestione giudiziale dell'impugnazione dei licenziamenti irrogati a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo. L'art. 1, c. 47 della legge n. 92 del 2012, infatti, sembra escludere dal rito speciale l'impugnazione dei licenziamenti irrogati nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, non menzionati nell'art. 18. Tuttavia, dato che i vizi della procedura e la violazione dei criteri di scelta si riverberano formalmente sui singoli licenziamenti, l'impugnazione del recesso ha pur sempre carattere individuale, il che pone le stesse esigenze di contestualizzazione e di accelerazione presenti nei licenziamenti individuali veri e propri. Non a caso, dunque, dottrina e giurisprudenza si sono espressi in senso positivo all'applicazione anche in questo caso del rito speciale (8). Anche per i licenziamenti collettivi, inoltre, l'unificazione e il coordinamento della disciplina consentiranno di dipanare la matassa dei contenziosi, in cui coesistono cause soggette al rito speciale perché aventi ad oggetto l'impugnazione di licenziamenti intimati dopo il 18 luglio 2012 (entrata in vigore della legge n. 92 del 2012), ma riferibili a rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015, e cause soggette al rito ordinario per i licenziamenti riferibili a rapporti di lavoro instaurati dopo tale data (9).

B) La lettera b) del comma 11, prevede che “le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche ove consegua la cessazione del rapporto associativo, siano introdotte con ricorso ai sensi degli articoli 409 e seguenti del Codice di procedura civile”.

La disposizione trova la sua ragione nella questione, che si trascina tra il campo sostanziale e quello processuale, della natura dualistica del rapporto giuridico esistente tra il socio lavoratore e la società cooperativa. In questo ambito il rapporto di lavoro (non necessariamente subordinato) ha una funzione collaterale e non condizionante del rapporto societario (10), tanto che dopo l'eventuale recesso di una delle parti dal rapporto di lavoro non si estingue automaticamente il rapporto sociale (11).

L'art. 5, c. 2, della legge n. 142 del 2001 stabilisce che solo “le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”. Pertanto, la maggioritaria giurisprudenza lavoristica sostiene che, trovando solo la prestazione mutualistica titolo diretto nel contratto di società, le controversie che riguardano l'attività lavorativa del socio debbono essere di competenza del giudice del lavoro (12). D'altro canto, in diversa prospettiva, si obietta che il rapporto mutualistico ha per oggetto proprio la prestazione dell'attività lavorativa del socio e si afferma che grazie a questa preminenza del rapporto societario le controversie riguardanti l'attività lavorativa del socio avrebbero dovuto (e dovrebbero) essere ricondotte (non solo al giudice ordinario, ma) al rito societario originariamente previsto dal d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 e, ora, alla competenza del tribunale delle imprese (13).

Anche in questo caso, dunque, la disposizione della legge delega eviterà le incertezze insite nella particolare conformazione del rapporto del socio-lavoratore.

C) Gli atti discriminatori in danno dei lavoratori sono colpiti dalla sanzione della nullità, ai sensi dell'art. 15 stat. lav. (che indica un'ampia serie di fattispecie). Quando la discriminazione è causa del licenziamento, alla sanzione della nullità dell'atto l'art. 18 dello stesso statuto aggiunge l'obbligo di reintegrazione nei casi previsti dall'art. 3 della legge 11 maggio 1990 n. 108 (che richiama gli artt. 4 della legge n. 604 del 1966 e 15 stat. lav.), dall'art. 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 (licenziamento a causa di matrimonio), dall'art. 54 del t.u. sul sostegno della maternità e della maternità 26 marzo 2001 n. 151, nonché nel caso di licenziamento “riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'art. 1345 c.c.”.

I lavoratori colpiti da discriminazione in violazione dei divieti del d.lgs. 198 del 2006 hanno a disposizione il procedimento speciale previsto dal successivo art. 38 per ottenere “la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”, che sulla falsariga dell'art. 28 stat. lav. prevede una prima fase in via di urgenza, che si conclude con ordinanza, ed una successiva eventuale che, in caso di opposizione all'ordinanza, si conclude con sentenza.

L'art. 28 del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150, inoltre, prevede che sia regolata dal rito sommario di cognizione (artt. 702 bis e segg. c.p.c.) tutta una serie di controversie caratterizzate da discriminazione, in modo da fornire uno strumento unico di tutela processuale per le fattispecie ricollegabili a discriminazione di genere, di origine etnica o razziale, di handicap, ivi comprese quelle concernenti la prestazione di lavoro (14).

L'esposta pluralità dei mezzi processuali può dar luogo a sovrapposizioni e incertezze per l'individuazione del giudice competente, in quanto in forza dell'art. 28 del d.lgs. 150 il ricorso per far dichiarare la nullità di un atto discriminatorio afferente un rapporto di lavoro potrebbe pur sempre essere proposto dinanzi al giudice ordinario (15). Per i licenziamenti discriminatori l'ipotesi del giudice ordinario è tuttavia teorica, in quanto sono preferibili il rito del lavoro (che, in forza di specifica disposizione, dell'art. 18 st. dir. lav. consente al giudice di disporre la reintegrazione), o il procedimento speciale dell'art. 38 del d.lgs. 198 (in quanto già in sede di urgenza il giudice può dichiarare nullo comportamento discriminatorio e disporne la cessazione).

In ogni caso la legge delega, in linea con l'obiettivo di coordinamento normativo, per le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori intende superare ogni incertezza interpretativa circa la competenza del giudice e consente la scelta di entrambe le vie, prevedendo che le azioni ove non proposte con ricorso ex art. 414 c.p.c., possano essere introdotte con i riti speciali sopra indicati, nel rispetto però del principio generale che la proposizione dell'azione, nell'una o nell'altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso.

Gli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie

Il progetto di riforma della giustizia civile contenuto nel PNRR prevede largo ricorso agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie e ne incrementa l'utilizzo mediante un maggior ricorso all'arbitrato, alla negoziazione assistita e alla mediazione, per “una giustizia preventiva e consensuale, necessaria per il contenimento di una possibile esplosione del contenzioso presso gli uffici giudiziari” (16).

L'art. 1 della legge n. 206, tra i criteri di delega, al c. 4, lett. b), prevede modifiche alla disciplina della mediazione (d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28) (17) e della negoziazione assistita (d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv. dalla l. 10 novembre 2014n. 162) (18), ed al c. 15 modifiche alla disciplina dell'arbitrato. Con riferimento alle prime due è prevista una sostanziale riscrittura della normativa e la raccolta delle relative disposizioni in un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione (acronimo: TUSC) (c. 4, lett. b); l'obiettivo è quello di estendere l'applicazione della negoziazione assistita e di consentire garantire una migliore applicazione dell'istituto della mediazione (c. 4, lett. da b a h).

Per l'arbitrato l'intervento mira a rafforzare le garanzie di imparzialità, fissando il dovere di rendere noti tutti i rapporti con le parti che potrebbero compromettere la imparzialità dell'arbitro (c.d. dovere di disclosure) e a puntualizzare ed ampliare le sue attribuzioni processuali, il tutto allo scopo di “portare a compimento la natura di equivalente giurisdizionale attribuita all'istituto e garantire un maggior grado di effettività della tutela arbitrale, in linea con gli altri ordinamenti a noi più vicini” (19).

Fatta questa premessa generale, qui interessa esaminare l'incidenza che tale riforma avrà sulle controversie di lavoro.

Le ADR oggi applicabili alle controversie di cui all'art. 409 c.p.c. sono quelle previste dagli artt. 410-411- 412-412 ter -412 quater c.p.c., introdotte dalla l. 4 novembre 2010 n. 183, che prevedono un sistema misto di definizione stragiudiziale: mediante conciliazione, in sede amministrativa, dinanzi alle commissioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro (artt. 410-411) o, alternativamente, in sede sindacale secondo le modalità previste dai contratti collettivi (art. 412 ter); oppure mediante arbitrato, nel caso le parti, non addivenendo alla conciliazione, intendano devolvere la definizione della lite in via arbitrale direttamente alla commissione di conciliazione amministrativa, la quale è chiamata a svolgere, in tempi successivi, dapprima la funzione di terzo conciliatore e subito dopo, nel caso la conciliazione non riesca, quella di terzo arbitro (art. 412). E', infine prevista, una procedura stragiudiziale dinanzi ad un collegio di conciliazione ed arbitrato nominato dalle parti (art. 412 quater).

La Commissione Luiso nel raccomandare di estendere anche alle controversie di lavoro gli strumenti di soluzione stragiudiziale, aveva proposto di consentire il ricorso alla mediazione e alla negoziazione assistita “con gli effetti previsti dall'ultimo comma dell'articolo 2113 del Codice civile”. La soluzione adottata dalla legge delega al comma 4, lett. q) esclude però la mediazione e prevede per le controversie di cui all'art. 409 c.p.c, la possibilità di ricorrere alla sola negoziazione assistita, così rimuovendo il divieto previsto dall'art. 2, c. 2, lett. b) del d.l. legge 132 del 2014 (per il quale l'oggetto della controversia in negoziazione non deve “vertere in materia di lavoro”) (20).

Tale previsione, da accogliere con favore per la sua carica innovativa, pone il problema collaterale della sorte dell'attuale complesso apparato conciliativo previsto dagli artt. 410 e segg. c.p.c., sopra sintetizzato. Al riguardo la legge delega non prende una posizione espressa: le uniche condizioni poste alla nuova disciplina sono che essa sia adottata “fermo restando quanto disposto dall'art. 412-ter e senza che ciò costituisca condizione di procedibilità dell'azione”; mancano però riferimenti alle vigenti disposizioni.

Il criterio di delega potrebbe essere interpretato nel senso dell'adozione di un nuovo sistema di ADR, in cui accanto agli strumenti conciliativi previsti in sede collettiva – destinati a permanere in ragione del riferimento all'art. 410 ter c.p.c. – coesista l'agile e già sperimentato strumento della negoziazione assistita, in alternativa al macchinoso (e poco praticato) attuale apparato codicistico.

Tale sensazione pare avvalorata da una serie di considerazioni che collocano la funzione acceleratoria della negoziazione nella logica propria del sistema processuale del lavoro, di apprestare strumenti di riequilibrio sostanziale a favore della parte debole del rapporto. Innanzitutto, sul piano sistematico, la circostanza che la richiesta di negoziazione non costituisca condizione di procedibilità dell'azione, conferisce autonomia all'istituto in campo lavoristico rispetto alla sua conformazione generale (21). Inoltre, la nuova procedura assicura al lavoratore la consistente tutela costituita dalla presenza del proprio avvocato (circostanza questa condizionante la validità della procedura) e di poter essere assistito (requisito facoltativo) da un consulente del lavoro, a differenza che nelle procedure conciliative attuali, in cui formalmente tale obbligo e tale facoltà non sono previsti. Ulteriore sostegno alla tesi della possibile soppressione del sistema attuale è dato dalla disposizione di delega che assicura all'accordo conclusivo della negoziazione il regime di stabilità protetta di cui all'art. 2113, c. 4, c.c., al pari di quanto attualmente previsto per le conciliazioni intervenute dinanzi al giudice (art. 185 c.p.c.) o nelle ridette attuali sedi stragiudiziali.

In mancanza di esplicite preclusioni, inoltre, alla negoziazione assistita nelle controversie di lavoro si applicheranno inoltre anche le innovazioni previste dal ripetuto comma 4, alle lett. p (svolgimento della negoziazione da remoto), r (semplificazioni procedurali e facoltativo utilizzo dei modelli convenzionali utilizzati dal Consiglio nazionale forense), s-t (attività di istruzione stragiudiziale) dellalegge delega, nonché le norme procedurali del d.l. 132 del 2014 non incise dalla riforma.

Per concludere

Al netto delle suggestioni derinanti dal PNRR, siamo di fronte all'ennesima legge delega che intende deflazionare la giustizia civile e, questa volta, pare che ci si muova con decisione e larghezza di risorse.

Nel campo della giustizia del lavoro, se l'intervento su alcuni nodi in materia di licenziamento adempie al meritorio obiettivo di semplificare la gestione di quei delicati contenziosi, sul piano generale molto inciderà la gestione delle procedure di soluzione stragiudiziale. L'esigenza di deflazionare energicamente gli uffici in tempi brevi richiede, dunque, interventi che per quantità e qualità rivitalizzino i due istituti extraprocessuali (conciliazioni e negoziazione) introdotti con scarso profitto negli anni passati, inserendoli in maniera funzionale nel progetto di riforma.

Nelle controversie di lavoro esistono le condizioni di fondo perché si arrivi ad una concreta deflazione ed all'accelerazione dei giudizi, vertendosi per la maggior parte dei casi in questioni di esclusivo carattere economico aperte alla composizione negoziale. È necessario, però, adottare strumenti (anche stragiudiziali) che per la loro conformazione e la loro concreta gestione rispettino la condizione preliminare della giustizia del lavoro: assicurare il raggiungimento di un'equa composizione di interessi tra datore e lavoratore, nonostante lo squilibrio delle posizioni delle parti in causa.

Non è poco, ma si può fare.

Note

(1) Compito della Commissione era quello di procedere “a) alla stesura di un documento nel quale siano delineate, anche mediante la prospettazione di alternative, le misure più idonee ad assicurare maggiore efficienza al processo civile e agli strumenti ad esso alternativi; b) alla formulazione di proposte di possibili emendamenti al disegno di legge delega AS1662, anche tenendo conto di quanto già elaborato dagli uffici tecnici del Ministero della giustizia” (v. d.m. 12 marzo 2021).

(2) Il d.d.l. 1662 fu discusso assieme al d.d.l. 311/S/XVIII (“Istituzione e funzionamento delle camere arbitrali dell'avvocatura”) di iniziativa parlamentare, che all'esito della votazione finale fu dichiarato assorbito. La relazione della Commissione Luiso è reperibile in www,giustizia,it., sez. Commissioni di studio.

(3) Avvenuta il 13 luglio 2021 con la Decisione di esecuzione del Consiglio UE.

(4) V. il documento in www.governo.it, pag. 54.

(5) Le materie interessate dalla delega, oltre quelle dette nel testo, possono essere sinteticamente indicate in: modifiche al giudizio di merito (c. 5-6-7-8) e di cassazione (c. 9); introduzione di un profilo revocatorio ad hoc per il recepimento delle sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (c. 10); unificazione e coordinamento della disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti (c. 11); interventi in materia di esecuzione civile (c. 12), procedimenti in camera di consiglio (c. 13), procedimento sommario (c. 14), arbitrato (c. 15), consulenti tecnici (c. 16), giudizio telematico e contributo unificato (c. 17), ufficio per il processo (c. 18-19), procedimento notificatorio (c. 20), leale collaborazione delle parti (c. 21). Sono, infine, previsti il coordinamento formale della riforma “anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del Codice di procedura civile, del Codice civile e delle norme contenute in leggi speciali” (c. 22), e la rimodulazione della giurisdizione in materia di giustizia minorile (c. 23-24), nonché le conseguenti disposizioni transitorie (c. 25) e di ulteriore coordinamento (c. 26).

(6) In sintesi, è prevista una prima fase, al termine della quale il giudice emette un'ordinanza, immediatamente esecutiva, di accoglimento o di rigetto della domanda, con successiva eventuale opposizione medesima. L'efficacia esecutiva dell'ordinanza non può essere sospesa o revocata fino alla pronuncia della sentenza che definisce l'eventuale giudizio di opposizione.

(7) La relazione della Commissione ministeriale Luiso prevede che la previsione “contribuirà, da un lato, a semplificare ed a chiarire il quadro normativo della disciplina processuale nella materia dei licenziamenti, superando la scelta attuale – peraltro di dubbia compatibilità con il principio di ragionevolezza – di prevedere discipline processuali molto diverse fra loro sulla base del solo elemento formale dell'assunzione del lavoratore interessato dal licenziamento avvenuta in date differenti; dall'altro lato, a superare le difficoltà interpretative e applicative che ha fatto emergere l'ar. 1, commi 48 ss., della l. 12 giugno 2012, n. 92, fin dalla sua introduzione, con inevitabili ricadute per i rapporti fra datore di lavoro e lavoratore. D'altro canto, la previsione di un unico rito per le controversie in materia di licenziamenti determinerà anche il superamento delle difficoltà a trattare unitariamente le controversie che riguardino lavoratori assunti in tempi diversi, con inevitabili ricadute sia sull'economia processuale, sia sulle possibilità di successo di eventuali proposte conciliative” (pag. 98).

(8) V. Frasca N., Applicabilità ai licenziamenti collettivi del rito Fornero e delle tutele previste dall'art. 18 Stat. dir. lav., in Arg. dir. lav. 2014, 1195 ss.

(9) V. le considerazioni di Giubboni-Colavita, I licenziamenti collettivi dopo le controriforme, in www.questionegiustizia.it, 2015, fasc. 3.

(10) L'art. 1 della l. 3 aprile 2001 n. 142 definisce il socio-lavoratore come colui che presta attività lavorativa in base a previsioni regolamentari che definiscono l'organizzazione del lavoro dei soci, precisando che egli “stabilisce, con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo, un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali”.

(11) Il che accade, invece, nel caso contrario, dato che la legge n. 142 all'art. 5 prevede che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 c.c.

(12) Questa soluzione giurisprudenziale è seguita soprattutto dai giudici di merito. In dottrina v. Meliadò, Nuove incertezze per il lavoro cooperativo, in Foro it., 2003, I, col. 134.V. anche Cass. 18 gennaio 2005 n. 850 (ord.), in Riv. it. dir. lav. 2005, II, 706, per la quale tra le controversie concernenti la prestazione mutualistica rimesse al tribunale ordinario non rientra l'attività lavorativa resa dal socio della cooperativa di lavoro ed attinente all'oggetto sociale, di modo che le controversie

Concernenti tale ultima attività rientrerebbero nella competenza funzionale del giudice del lavoro.

(13) V. De Angelis, L'esclusione ed il licenziamento del socio lavoratore e la Corte di cassazione: brevi riflessioni critiche, in WP CSDLE “Massimo D'Antona”.it, n. 409/2020, pag. 7, nonché, in fattispecie di impugnazione congiunta del provvedimento di esclusione e di quello di licenziamento, Cass. 6 dicembre 2010 n. 24692 (ord.), in Riv. it. dir. lav. 2011, II, pag. 1206 (nt. Vincieri), per la quale, l'accertamento della legittimità dell'esclusione è pregiudiziale a quello della legittimità del licenziamento, per cui, essendo quest'ultima controversia connessa alla prima, tutta la causa avrebbe dovuto essere trattata dal giudice ordinario.

(14) L'ambito di applicazione è indicato dallo stesso art. 28, con riferimento alle controversie previste dall'art. 44 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (t.u. sull'immigrazione), dagli artt. 4 dei dd.lgs. 9 luglio 2003 n. 215 (motivi razziali ed etnici) e 216 (motivi inerenti religione, handicap, età, orientamento sessuale), dall'art. l. 1° marzo 2006 n. 67 (motivi legati alla disabilità),

(15) In questo caso la giurisprudenza prevede la competenza del giudice del lavoro essendo la condotta discriminatoria pur sempre attuata nell'ambito di un rapporto di lavoro, v. Filì, sub art. 28 l. 150 del 2011, in AA.VV. (a cura di Mazzotta e De Luca Tamajo) Commentario breve alle leggi sul lavoro, pag. 2637, e la giurisprudenza ivi citata.

(16) V. PNRR, cit., pag. 56.

(17) Mediazione è “l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” (art. 1, lett. a).

(18) “La convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocatiè un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'articolo 6 deldecretolegislativo2 febbraio2001, n. 96” (art. 2).

(19) V. PNRR, loc. cit.

(20) In origine l'art. 2 del testo del decreto-legge n. 132 escludeva dalla negoziazione assistita solo le controversie in materia di diritti indisponibili, ma non quelle in materia di lavoro. Fu la legge di conversione n. 162 del 2014 ad aggiungere nell'art. 2 dopo “l'oggetto della controversia, … non deve riguardare diritti indisponibili” le parole “o vertere in materia di lavoro. V. al riguardo Giannetti, La promettente ma "breve vita" della negoziazione assistita in materia lavoro, www.ilGiuslavorista.it, 14 dicembre 2014.

(21) Per l'art. 3 del d.l. n. 132 del 2014 la mancata formulazione della richiesta di negoziazione è preclusiva della domanda (con riferimento alle domande fino a 50.000 euro).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario