Sull'intervento in causa della società incorporante ex art. 105 c.p.c.

Sergio Matteini Chiari
16 Dicembre 2021

La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, che non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 105 c.p.c.; nondimeno, ove la fusione intervenga in corso di causa, non si determina l'interruzione del processo, esclusa ex lege dall'art. 2504-bis c.c.
Massima

La fusione per incorporazione estingue la società incorporata, che non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 105 c.p.c.; nondimeno, ove la fusione intervenga in corso di causa, non si determina l'interruzione del processo, esclusa ex lege dall'art. 2504-bis c.c.

Il caso

La società AAA s.r.l. proponeva, innanzi al Tribunale di […], domanda di accertamento della simulazione o, in subordine, di revoca ex art. 2901 c.c., di due successivi contratti di compravendita, conclusi a distanza brevissima (quattro giorni) l'uno dall'altro, aventi ad oggetto il medesimo immobile, il primo stipulato tra i venditori BBB e CCC e l'acquirente DDD, ed il secondo tra quest'ultimo ed EEE.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda di simulazione assoluta dei due contratti di compravendita.

La sentenza veniva confermata in sede di gravame dalla competente Corte di merito.

Per gli aspetti di rito, tale Corte riteneva che non fosse inesistente, né nullo l'atto introduttivo del giudizio di primo grado, proposto dalla società AAA, sebbene tale società fosse stata cancellata dal registro delle imprese già da alcuni anni, a seguito di fusione per incorporazione in altra s.r.l., e ciò sia in quanto la fusione comporterebbe, ai sensi dell'art. 2504-bis c.c., una mera vicenda evolutivo-modificativa del medesimo soggetto, che permane e conserva la propria identità, pur in un diverso assetto organizzativo, sia, in ogni caso, in quanto l'incorporante si era costituita in giudizio nella fase di primo grado, ratificando l'operato dell'incorporata, donde l'efficacia sanante degli atti compiuti dal falsus procurator.

Nel merito, la Corte riteneva l'infondatezza del gravame.

Avverso questa sentenza i soccombenti proponevano ricorso per cassazione.

La Sesta Sezione della Suprema Corte, ritenendo sussistere contrasto di giurisprudenza con riguardo alla legittimazione processuale della società incorporata cancellata dal registro delle imprese, rimetteva gli atti al Primo Presidente, che disponeva l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

La questione

Alle Sezioni Unite è stata rimessa la questione di stabilire se una società incorporata per fusione in un'altra e cancellata dal registro delle imprese fosse da ritenere legittimata ad agire in giudizio e, in termini di principio, quale fosse la natura dell'operazione di fusione societaria per incorporazione e quali fossero gli effetti processuali di tale operazione.

Le soluzioni giuridiche

i) In via principale, i ricorrenti deducevano che l'atto di citazione in primo grado e l'intero procedimento dovevano ritenersi inesistenti o, in subordine, viziati da nullità assoluta, giacché la vocatio in ius era provenuta da soggetto inesistente, vale a dire una società (in persona del suo ex amministratore unico), quella distinta nel § 1. con le lettere AAA, cancellata dal registro delle imprese a seguito di incorporazione in altra società, ed essendosi, quindi, estinta, e giacché, inoltre, la sentenza di primo grado era stata resa nei confronti della stessa vocante.

ii) Dopo avere preso in esame il «fenomeno della fusione di società», le Sezioni Unite si sono poste il problema di stabilire se, a seguito della cancellazione dal registro delle imprese, la società originaria, incorporata o fusa, si estingua come organizzazione e come soggetto dell'ordinamento giuridico, oppure no.

iii) Le S.U. hanno, dapprima, ricostruito lo stato della giurisprudenza in materia, riferendo che si erano affrontate due opposte tesi, quella (tesi modificativa-evolutiva) secondo cui la fusione per incorporazione non comporterebbe l'estinzione della società incorporata, né creerebbe – nell'ipotesi di fusione paritaria – un nuovo soggetto di diritto, ma semplicemente un nuovo assetto organizzativo dello stesso, che conserverebbe la propria identità, e quella (tesi estintiva) secondo cui, invece, la fusione per incorporazione produrrebbe l'estinzione della società incorporata, con effetto devolutivo-successorio.

Con differenti effetti, nei due casi, sul piano processuale: a) non interruzione della causa nel primo caso, interruzione nel secondo; b) legittimazione attiva e passiva della società incorporata nel primo caso, nessuna legittimazione nel secondo; c) etc.

iv) Le S.U. hanno, successivamente, effettuato ricostruzione del sistema; hanno osservato, preliminarmente, che il nostro legislatore non ha dettato disposizioni specifiche volte alla qualificazione giuridica della fusione societaria, né ha indicato i suoi effetti sul piano soggettivo; hanno affermato che l'attuale disposto dell'art. 2504-bis c.c., secondo cui «La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione» ha una formulazione alquanto anodina, che non consente di dare effettivo fondamento ad una tesi così radicale come quella secondo cui la società incorporata o fusa avrebbe «vita sempiterna», nonostante la irreversibile riorganizzazione - materiale e giuridica - operata.

Le S.U. hanno dato supporto a tale pensiero con molteplici argomenti:

a) L'avversata tesi potrebbe ritenersi in contrasto con lo stesso dettato letterale della disposizione citata, ove, pur essendo stata eliminata la parola «estinte» (prima della modifica il 1° comma dell'art. 2504-bis recitava: «la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte»), ha tuttavia, nel contempo, anche stabilito che tutti i rapporti,sia sostanziali, sia processuali, proseguono in capo al nuovo titolare (la società incorporante o risultante dalla fusione), pur restando inalterato l'oggettivo rapporto.

In altri termini, l'espressione «proseguendo in tutti i rapporti» non autorizzerebbe in alcun modo a ritenere che il soggetto incorporato non sia estinto, sia ex se, sia in considerazione degli effetti dati dal diritto positivo, in specie processuale, a tale espressione.

b) Il disconoscimento dell'effetto «estinzione» è ancora meno giustificato laddove si consideri la veracemente innovativa soluzione sancita nel contempo dall'art. 2495, comma 2, c.c., in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, vale a dire l'estinzione dell'ente; non potendosi pretendere il contrario quanto alla società incorporata o fusa, che pur abbia provveduto - a seguito dell'iscrizione dell'atto di fusione ai sensi dell'art. 2504 c.c. - alla cancellazione dal suddetto registro.

c) Né argomenti in contrario alla tesi prescelta sono ritraibili da quelle altre disposizioni in cui, nell'ordinamento positivo o nel «diritto vivente» si sancisce la prosecuzione di tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società incorporata, fusa o scissa.

Viene fatto richiamo all'art. 10 l. fall., all'art. 1902 c.c., sulla fusione tra imprese assicuratrici, agli artt. 29 e 42 d.lgs. 231/2001, sulla responsabilità delle persone giuridiche, all'art. 57, comma 4, d.lgs. 385/1993 (T.U.B.), all'art. 127-quater d.lgs. 58/1998 (T.U. dell'intermediazione finanziaria), all'art. 172, comma 4, d.P.R. 917/1986 (T.U.I.R.).

Con riguardo a tali disposizioni, le S.U. chiariscono che «si tratta di disposizioni speciali, rispetto al quadro generale disegnato dall'art. 2504-bis c.c., le quali palesano null'altro che la continuità nei rapporti giuridici: non certamente, invece, la contestuale sopravvivenza del loro originario titolare».

d) Ulteriori riscontri alla tesi prescelta si traggono dalla normativa comunitaria, cui è d'obbligo (in forza della primautè delle norme unionali) allinearsi.

Una pluralità di direttive attribuisce alla fusione per incorporazione effetti traslativi successori quanto ai rapporti ed estintivi quanto alle società incorporate.

Vengono richiamate direttive in tema di fusione tra società per azioni (dir. 78/855/CEE del 9 ottobre 1978, artt. 3, 19 e 23, e l'abrogante dir. 2011/35/UE del 5 aprile 2011, art. 23; dir. 2005/56/CE del 26 ottobre 2005, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali, art. 14; dir. 2017/1132/UE del 14 giugno 2017, codificatrice del diritto europeo societario, come da ultimo novellata dalla dir. 2019/2121/UE del 27 novembre 2019, artt. 105, 109 e 131.

v) Quanto agli aspetti «sostanziali» della vicenda della fusione societaria, le S.U. elencano a) la «concentrazione giuridica ed economica» per tutti i soggetti societari che vi partecipano, con imputazione di tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, ad un diverso soggetto giuridico, vale a dire la società incorporante, e la cancellazione della società incorporata dal registro delle imprese; b) la necessitatamente conseguente «estinzione» della società incorporata; c) la «successione», a titolo universale, della società incorporante in tutti i rapporti giuridici, attivi e passivi, già di titolarità della società incorporata.

vi) Quanto agli effetti processuali, gli stessi si producono sulla legittimazione processuale, attiva e passiva, da attribuire in esclusiva all'incorporante, con riguardo ai rapporti originariamente facenti capo alla società incorporata.

Per quanto inerente all'ipotesi di fusione divenuta efficace in corso di causa, le S.U. ritengono che, in mancanza di disposizioni derogatorie, dovrebbe, in via di principio, trovare applicazione il regime degli artt. 110 e 300 c.p.c., con l'interruzione del processo e la sua prosecuzione dal successore universale o in suo confronto (art. 110 c.p.c.).

Tuttavia, la dizione dell'art. 2504-bis c.c., secondo cui in tutti i rapporti giuridici delle società incorporate, «anche processuali», è sancita una «prosecuzione», da ritenere senza soluzione di continuità, da parte dell'incorporante, varrebbe ad evitare ex lege l'interruzione del processo.

vii) Andando al caso di specie, le S.U. hanno affermato che, giusta la soluzione data in linea di principio alla questione proposta, non è consentita l'introduzione di una causa da parte di una società venuta meno per incorporazione in altra società, giacché - avendo l'incorporazione prodotto l'estinzione dell'incorporata - priva della relativa legittimazione processuale, né è applicabile l'istituto della ratifica degli atti compiuti dal falsus procurator, perché tale non può essere considerato il «rappresentante» (nel caso: l'ex amministratore delegato) della società incorporata, diverso essendo l'effettivo titolare del diritto.

Peraltro, a quest'ultimo non può disconoscersi la facoltà di intervenire in giudizio, ex art. 105 c.p.c., una volta che il medesimo sia stato ormai instaurato dal soggetto non legittimato (v., in tal senso, Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2010, n. 7300).

Osservazioni

i) Precedentemente alla modifica dell'art. 2504-bis c.c. introdotta dal d.lgs. 6/2003, atteso il tenore della norma (il cui 1° comma dettava: «la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte»), era decisamente maggioritaria, sia in giurisprudenza che in dottrina, la teoria c.d. estintiva, secondo cui la fusione di società (sia per incorporazione, sia paritaria) comportava un fenomeno successorio equivalente alla successione universale mortis causa, producendosi l'effetto dell'estinzione della società incorporata (o delle società partecipanti alla fusione nei casi di fusione paritaria), divenendo l'incorporante (oppure il nuovo soggetto risultante dalla fusione), oltre che titolare dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche dei rapporti processuali dell'incorporata , assumendo la legittimazione a proseguire il processo ai sensi dell'art. 110 c.p.c., nella medesima veste processuale della parte cui era succeduta (v., da ultimo, Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2006, n. 1413 e Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2011, n. 474).

Sotto il profilo processuale, stando alla teoria in esame, la fusione implica(va) molteplici conseguenze, in particolare:

a) interruzione del processo ex art. 300 c.p.c.;

b) spettanza della legittimazione attiva e passiva alla società incorporante (o al nuovo soggetto giuridico in caso di fusione paritaria).

Peraltro, qualora l'evento incorporazione fosse avvenuto nella fase attiva del giudizio di primo grado o nelle more del giudizio di gravame (inclusa la fase di rinvio) e non fosse dichiarato o notificato alle altre parti dal procuratore della parte cui esso si riferiva, veniva ritenuto valido l'atto di appello (o il ricorso per cassazione) proposto nei confronti della società incorporata notificato al procuratore costituito (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2007, n. 15234; Cass. civ., sez. V, 6 agosto 2008, n. 21161; Cass. civ., sez. un., 14 settembre 2010, n. 19509).

ii) Successivamente, a seguito della riforma societaria (d.lgs. 6/2003), venendo ritenuto che nella nuova formulazione dell'art. 2504-bis c.c. fosse stato eliminato ogni riferimento all'estinzione delle società, la fusione per incorporazione venne ritenuta non più come un fenomeno implicante l'estinzione delle società incorporate, bensì come una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, «che conserva la propria identità, pur se in un nuovo assetto organizzativo» (Cass. civ., sez. un., ord., 8 febbraio 2006, n. 2637 e, in senso conforme, ex multis e da ultimo, Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2016, n. 1376; Cass. civ., sez. lav., 16 settembre 2016, n. 18188; Cass. civ., sez. V, 12 febbraio 2019, n. 4042).

E sul piano processuale vennero ritenuti non più ipotizzabili gli effetti conseguenti alla teoria c.d. estintiva, sopra ricordati.

iii) Nell'attualità e nel futuro, salvo interventi del legislatore o di ulteriormente nuovo diritto vivente, la vicenda della fusione societaria dovrà essere disciplinata, sia per gli aspetti sostanziali che per quelli processuali, secondo le indicazioni date dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento, appieno condivisibile. Si dovrà, quindi, tornare alle regole enunciate dalla teoria c.d. estintiva, peraltro con la «deroga» indicata dalle stesse Sezioni Unite (intervento «sanante», in corso di causa, ad opera dell'effettivo titolare del diritto, cioè la società incorporante o il nuovo soggetto scaturito da fusione paritaria) e con l'ulteriore «deroga» descritta nella lettera b) del precedente punto i), nei casi di sopravvenienza dell'evento incorporazione (o fusione paritaria) nel corso della fase attiva del giudizio di primo grado o nelle more del giudizio di gravame.

Ed invero, è ormai consolidato il principio secondo cui, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione (v., in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. un., 4 luglio 2014, n. 15295; Cass. civ., sez. V, 17 dicembre 2014, n. 26495; Cass. civ., sez. V, ord. 9 maggio 2018, n. 11072; Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2018, n. 20964; Cass. civ., sez V, ord., 23 marzo 2021, n. 8037; Cass. civ., sez. III, ord. 7 maggio 2021, n. 12183).

Con la pronuncia citata infra parentesi, le Sezioni Unite hanno, ulteriormente specificato che: a) la notificazione della sentenza fatta al procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale (v. anche Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2018, n. 20964) - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso il procuratore, ai sensi dell'art. 330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. da parte del notificante.

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