L’esdebitazione dell'incapiente tra codice della crisi e L. 3/2012 novellata

16 Dicembre 2021

La crisi economica degli ultimi anni ha reso sempre più attuale la necessità per il legislatore di garantire nuove forme di “ripartenza” tramite l'esdebitazione per ogni sorta di debitore, dall'imprenditore al consumatore al professionista. Si è sentita l'esigenza di estendere tale possibilità ai piccoli imprenditori ed ai consumatori, anche a mezzo di istituti innovativi come il piano del consumatoree, per quanto riguarda la legge fallimentare, disponendosene l'applicabilità anche ai fallimenti di “vecchio rito”.
L'esdebitazione nella dottrina concorsualistica

La crisi economica degli ultimi anni ha reso sempre più attuale la necessità per il legislatore di garantire nuove forme di “ripartenza” tramite l'esdebitazione per ogni sorta di debitore, dall'imprenditore al consumatore al professionista. Infatti il modello dell'esdebitazione tramite le tradizionali procedure concorsuali ha mostrato la corda e comunque si è sentita l'esigenza di estendere tale possibilità ai piccoli imprenditori ed ai consumatori, anche a mezzo di istituti innovativi come il piano del consumatore (che costituisce una forma di concordato c.d. coattivo, in quanto non supportato dal voto ma da un giudizio di meritevolezza) e, per quanto riguarda la legge fallimentare, disponendosene l'applicabilità anche ai fallimenti di “vecchio rito”.

Da tale esigenza è dunque sorta la necessità di estendere un istituto che deroga ampiamente ai principi dettati dall'art. 2740 c.c., stravolgendo il significato stesso della responsabilità patrimoniale del debitore, fino a giungere a conseguenze impensabili fino a qualche anno fa: l'esdebitazione appunto (sull'argomento dell'esdebitazione, S. DE MATTEIS, L'esdebitazione del sovraindebitato nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in Corriere giur., 2020, 1379 ss.; L. NIVARRA, Sovraindebitamento e responsabilità patrimoniale, in Europa e diritto privato, 2020, 2, 313 ss.; S. PAGLIANTINI, L'esdebitazione tra normativa vigente e codice della crisi d'impresa, in Leggi civ. comm., 2019, 692 ss.; D. BENINCASA, L'esdebitazione, in Giur. it., 2019, 2033 ss.; D. VATTERMOLI, L'esdebitazione tra presente e futuro, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2018, 477 ss.; E. NORELLI, L'esdebitazione, in Crisi d'impresa e procedure concorsuali diretto da O. Cagnasso - L. Panzani, Milano, 2016, I, 1025 ss.).

In altre parole, si è passati dalla concezione “sanzionatoria” delle procedure fallimentari alla loro trasformazione in beneficio (appunto dato dall'esdebitazione) per il debitore, per finire addirittura all'esdebitazione senza procedura concorsuale, passando attraverso l'estensione del beneficio stesso a categorie di soggetti non fallibili.

Tradizionalmente si distingue tra l'effetto esdebitatorio proveniente dall'esecuzione delle procedure concordatarie e l'esdebitazione vera e propria, ma la giurisprudenza ha omologato le due situazioni (in particolare nel senso di un effetto esdebitatorio proprio ricollegato all'esecuzione di procedure concordatarie Cass. 17 ottobre 2018, n. 26006). Storicamente proprio il concordato costituisce la matrice dell'effetto esdebitatorio, basato sul piano soggettivo sul consenso dei creditori espresso tramite voto, ed infatti esso dipendeva anzitutto dall'avvenuta omologazione della proposta e, in via definitiva, dall'esecuzione delle procedure di natura concordataria.

Esso poi, sul piano oggettivo, si basava sul soddisfacimento parziale (o in alcuni casi dilazionato o differenziato anche nell'oggetto), con effetto liberatorio relativamente al debito per la differenza (cioè oltre la percentuale oggetto della proposta concordataria).

Viene peraltro fatto rimarcare come non si tratterebbe di effettiva estinzione dell'obbligazione, dal momento che permane la stessa in capo ai garanti (il SC a quest'ultimo proposito ha anche affermato la non derogabilità della loro responsabilità con la proposta concordataria, Cass. 6 settembre 2019, n. 22382), come stabilito dall'art. 184 l.f. (e per l'esdebitazione in materia fallimentare dall'art. 142 l.f.). L'osservazione, in sé condivisibile, va completata con la natura di soluti retentio che ha l'obbligazione oggetto di esdebitazione (M. SPIOTTA, L'esdebitazione fallimentare, in Fallimento e Concordato fallimentare a cura di A. Jorio, Milano, 2016, 2643), oltre a doversi chiarire come l'effetto non sia definitivo (in caso di procedure concordatarie) fino all'esecuzione del piano (in caso di risoluzione o annullamento), e addirittura – come si vedrà – nel caso dell'esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCI) o di quella anticipata (art. 281, commi 5 e 6, CCI) possa verificarsi un'autentica reviviscenza dell'obbligazione.

Certo è che, in tema di esdebitazione, di effetto “liberatorio” parlano esplicitamente gli artt. 142 l.f. e ora l'art. 278 CCI.

In ogni caso l'esdebitazione comporta l'effetto di paralizzare le azioni dei creditori e l'irrilevanza della sopravvenuta scoperta di atti in frode (salva l'ipotesi dell'art. 14 terdecies, comma 5, l. 3/2012 in tema di rilevanza della scoperta di frode in caso di esdebitazione concessa al debitore che abbia fatto ricorso alla liquidazione del patrimonio; e con la precisazione che viene meno l'effetto esdebitatorio, peraltro non ancora definitivo, anche in ipotesi di revoca dell'omologazione della ristrutturazione del debito del consumatore in base all'art. 72 CCI e dell'analogo istituto in ipotesi di concordato minore - art. 82 CCI). Inoltre, nelle procedure concordatarie la scoperta dell'occultamento di attivo o l'esagerazione del passivo sono oggetto dell'azione di annullamento (per analoghi istituti in materia di sovraindebitamento v. artt. 14 e 14 bis l. 3/2012; per il codice della crisi v. artt. 72 ed 82).

L'esdebitazione che riguarda qualsiasi soggetto che adempia ad un concordato preventivo, ad un piano del consumatore o ad un accordo di ristrutturazione, pertanto sia che si tratti di persona fisica che giuridica (ovviamente nel primo e nel terzo caso), è riproposta dal codice della crisi nei corrispondenti nuovi istituti.

L'evoluzione dell'istituto. L'esdebitazione del fallito e del sovraindebitato assoggettato alla liquidazione del patrimonio

La disciplina fallimentare, come riformata nel 2006, prevede all'art. 142 l'esdebitazione del fallito persona fisica, peraltro a mezzo di un provvedimento espresso a seguito di apposito procedimentoincentrato su un giudizio di meritevolezza, in luogo dell'effetto automatico proprio dell'esecuzione delle procedure concordatarie.

Con tale disposizione si rinuncia dunque al requisito soggettivo del consenso, appunto sostituito dal giudizio di meritevolezza, ma non a quello oggettivo del soddisfacimento parziale, pur interpretato in maniera sempre più elastica dalla giurisprudenza (il S.C. è orientato nel senso che la soglia di soddisfacimento parziale necessaria ai fini della concessione del beneficio dell'esdebitazione è affidata al prudente apprezzamento del giudice, Cass. SS.UU. 24214/2011) e dal controllo giudiziale.

La l. 3/2012, in materia di liquidazione del patrimonio all'art. 14-terdecies, segue lo stesso schema: necessità di un apposito procedimento a procedura conclusa; limitazione del diritto all'esdebitazione per il sovraindebitato persona fisica che sia meritevole (cioè non abbia fatto ricorso al credito colposo o sproporzionato al suo patrimonio e nei cinque anni precedenti non abbia posto in essere atti in frode) e sussistenza di un soddisfacimento anche solo parziale (si può estendere dunque a quest'ipotesi l'orientamento di legittimità per cui sarebbe sufficiente il soddisfacimento anche solo di parte dei crediti privilegiati (orientamento consolidatosi in tema di esdebitazione conseguente al fallimento, Cass. 27 marzo 2018, n. 7550).

A parte alcune esclusioni oggettive (con riguardo alla natura dei crediti, cfr. art. 142, comma 3, l.f. e 14-terdecies, comma 3, l. n. 3/2012), l'esdebitazione potrebbe dunque non essere concessa dopo la chiusura del fallimento o della liquidazione del patrimonio, a cagione dell'assenza delle condizioni di meritevolezza o di soddisfacimento minimo, con conseguente sopravvivenza delle relative obbligazioni nella misura non soddisfatta dalla procedura. Il che dipende dalla differenza strutturale fra le procedure concordatarie e quelle lato sensu fallimentari, queste ultime non basate sul concorso del consenso dei creditori.

Ora il codice della crisi, ferma restando l'esdebitazione automatica conseguente all'adempimento delle procedure concordatarie, detta una disciplina comune per l'esdebitazione tanto in caso di liquidazione giudiziale che di liquidazione controllata, istituto quest'ultimo che prende il posto della liquidazione del patrimonio disciplinata dalla l. n. 3/2012.

Tale scelta, da una parte, è giustificata dall'evidente maggior accostabilità della liquidazione giudiziale a quella controllata rispetto a quanto accade fra fallimento e liquidazione del patrimonio di cui alla l. n. 3/2012, già solo per il fatto che ormai l'iniziativa è conferita anche ai creditori e, nel caso dell'imprenditore, anche al PM. Dall'altra, è basata sulla sussistenza di una disciplina specifica per il sovraindebitato, contenuta nella sezione II (artt. 282 e 283).

L'autentica novità è costituita dalla previsione di una generalizzata esdebitabilità di soggetti incapienti.

Tipologie di esdebitazione del soggetto incapiente nel codice della crisi

La disciplina del codice della crisi dedicata all'esdebitazione è contenuta nel capo X del titolo V, relativo alla liquidazione giudiziale (sull'esdebitazione nel codice della crisi BROGI, Le esdebitazioni tra legge fallimentare e Codice della crisi, in Fall., 2021, 294 ss.; CESARE, L'esdebitazione nel Codice della crisi e dell'insolvenza, in questo portale, 27 maggio 2019).

Essa all'art. 280 ribadisce il concetto tradizionale dell'effetto liberatorio dell'esdebitazione, e stabilisce alcune regole di carattere generale:

1) si tratta di un istituto riguardante debiti rimasti insoddisfatti nell'ambito di una procedura concorsuale;

2) estende i suoi effetti anche ai creditori anteriori che non abbiano partecipato al concorso, nel qual caso opera solo per la percentuale ivi rimasta insoddisfatta per i creditori aventi pari grado;

3) opera per ogni sorta di debitore insolvente (attraverso il rinvio all'art. 1, comma 1, CCI);

4) può riguardare anche l'imprenditore collettivo, ed allora ha effetto anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili; con la precisazione molto importante, però, che le condizioni di cui all'art. 280 devono sussistere anche riguardo adessi ed agli amministratori, ed in sede di correttivo è anche caduta la limitazione degli stessi agli ultimi tre anni anteriori alla domanda di liquidazione;

non provoca l'estinzione delle obbligazioni assunte dai garanti.

Questi paiono principi generali, e in realtà dovrebbero esserlo per le sole procedure ivi disciplinate (liquidazione giudiziale e liquidazione controllata).

Ma appare abbastanza evidente che il principio sub 1) e quello sub 2) siano comuni anche alle ipotesi dell'esdebitazione conseguenti alle procedure concordatarie.

Al contrario, l'affermazione secondo cui l'istituto riguarderebbe debiti oggetto di procedure concorsuali pare tutto sommato smentito, come vedremo, nell'ipotesi di cui all'art. 283 CCI, che infatti disciplina una procedura di esdebitazione che prescinde dall'apertura di una procedura concorsuale.

Altro principio cardine è costituito in via del tutto originale rispetto al pregresso panorama, dalla possibilità di ottenere l'esdebitazione anche senza alcun soddisfacimento, e ciò non solo a mezzo della speciale procedura di cui vedremo (art. 283 CCI), ma anche in esito ad una procedura di liquidazione. Per l'esdebitazione di un assoggettato a liquidazione l'art. 280 CCI detta una serie di condizioni, tra le quali la meritevolezza processuale (cioè mancato ostacolo alla procedura concorsuale); l'assenza di condotte distrattive (ma, a parte il caso del consumatore – per il quale sono previste le condizioni di cui all'art. 69 CCI - non vengono ripetute condizioni di meritevolezza sostanziali, cioè non aver fatto ricorso al credito in modo colposo o sproporzionato e non aver nei cinque anni precedenti posto in essere atti in frode); il non essere stato condannato per una serie di reati imprenditoriali; il non aver beneficiato dell'esdebitazione negli ultimi cinque anni, e in ogni caso per due volte in assoluto.

Nessun cenno dunque alla condizione del parziale soddisfacimento, che risulta ora irrilevante ai nostri fini.

La scelta di non prevedere nessun tipo di soddisfacimento come presupposto dell'esdebitazione non deve stupire, perché una volta che il legislatore ha abbandonato il collegamento tra il consenso (della maggioranza) del ceto creditorio e la deroga al principio di cui all'art. 2740 c.c., come avvenuto senza dubbio nel caso dell'art. 142 l.f. e in parte con la disciplina del piano del consumatore, oltre che nell'ipotesi di liquidazione del patrimonio, lo sganciamento dell'esdebitazione anche dall'elemento oggettivo del pagamento parziale e dal relativo effetto novativo appare quasi consequenziale.

E tale conclusione fa il paio con la norma che prevede la possibilità per il debitore di scongiurare l'apertura della liquidazione controllata facendo attestare dall'OCC l'assenza di attivo distribuibile.

Ancora, i surriferiti principi risultano particolarmente innovativi anche laddove dispongono l'esdebitazione anche a vantaggio dell'imprenditore collettivo, laddove tradizionalmente essa, a parte l'ipotesi di quella conseguente all'esecuzione di procedure concordatarie, era riservata alle persone fisiche (e così resta, come si vedrà, nel caso dell'incapiente). Una prima timida apertura è stata peraltro tentata in giurisprudenza con il socio illimitatamente responsabile fallito in estensione (Cass. ord. 30 luglio 2020, n.16263).

Ulteriore disposizione di portata indubbiamente innovativa è contenuta agli artt. 279 e 282 CCI, laddove si prevede la possibilità di esdebitazione anticipata, cioè col semplice decorso di tre anni dall'apertura della liquidazione (tanto giudiziale che controllata), senza cioè doversi attendere, com'è stato finora, la chiusura della procedura stessa.

Tale disposizione crea peraltro la necessità di determinare il destino delle attività che allo scadere del triennio non siano ancora state liquidate, e a ciò provvede l'art. 281, comma 5, CCI, che dispone nel senso che l'esdebitazione così pronunciata non estingue i giudizi in corso e non incide sulle operazioni liquidatorie in corso e poste in essere successivamente, mentre al comma 6, prevede che l'eventuale riparto rinveniente da tali attivi (ricavo delle vendite successive e attivo recuperato ad esito dei giudizi in corso) determini una riduzione dell'effetto esdebitatorio per la sola parte del credito definitivamente non soddisfatta.

Si ha qui un primo “assaggio” della natura condizionata che può assumere l'esdebitazione, che assume poi una portata ben maggiore, come si vedrà, ai sensi dell'art. 283 CCI

Altra novità, questa volta di carattere procedurale, attiene al fatto che – sempre a differenza di quanto prevedono tuttora gli artt. 142 e 143 l.f. e l'art. 14 terdecies, l. n. 3/2012 - l'esdebitazione in esito alle procedure liquidatorie non costituisce un procedimento a sé, ma è pronunciata con decreto (reclamabile a norma dell'art. 124 CCI) da adottarsi contestualmente a quello di chiusura e d'ufficio, cioè senza necessità d'istanza, che invece occorre solo nell'ipotesi di esdebitazione anticipata (cioè dopo il triennio, ed anteriormente alla chiusura).

L'esdebitazione in caso di liquidazione controllata è definita come operante “di diritto”, col che evidentemente il decreto avrà natura meramente dichiarativa e quindi l'effetto di inesigibilità dovrebbe essere automatico e solo rilevato, col mero compiersi del triennio; peraltro, provocando non pochi problemi di coordinamento, visto che pendente la procedura l'esigibilità dei crediti deve ritenersi inoperante comunque.

Sempre per il sovraindebitato soggetto alla liquidazione controllata, l'art. 282 CCI non richiede l'istanza neppure in caso di pronuncia anticipata al decorso del triennio, e almeno inizialmente presentava l'incongruenza di non richiamare tutte le suddette condizioni, ma si limitava a condizionare l'effetto esdebitatorio all'assenza di condanna per reati imprenditoriali, tralasciando tutte le altre condizioni. La norma è stata peraltro modificata in sede di correttivo, dove tutte le suddette condotte (indicate all'art. 280) vengono ora opportunamente richiamate.

Sempre sotto il profilo processuale, tutte le procedure di esdebitazione disciplinate dal codice della crisi, a differenza di quelle di cui alla legge fallimentare ed alla originaria versione della l. n. 3/2012, coinvolgono i creditori solo in via eventuale, instaurando un semplice obbligo di informazione e prevedendo il loro contraddittorio solo (nel caso dell'art. 281 CCI) a mezzo del reclamo, così come vedremo all'art. 283 CCI (e all'art. 14 quaterdecies l. n. 3/2012) nella sede sempre eventuale dell'opposizione (per la configurabilità dei creditori non soddisfatti quali litisconsorti necessari nel procedimento di esdebitazione ex plurimis Cass. 16620/2016).

L'esdebitazione del debitore incapiente di cui agli artt. 283 CCI e 14 quaterdecies l. 3/2012

Come anticipato, il legislatore del Codice della crisi ha ideato un istituto speciale, previsto per la sola persona fisica, che gli consente l'esdebitazione c.d. diretta. Tanto l'istituto è parso innovativo e utile per il sovraindebitato, che il legislatore ha deciso di inserirlo nel pacchetto di anticipazioni della riforma del sovraindebitamento portato dalla l. n. 176/2020, andando nella specie a inserire nella l. n. 3/2012 il nuovo art.14-quaterdecies, col che chiunque rivesta i requisiti e risponda alle condizioni ivi stabilite, può fin dal 1° gennaio 2021 proporre la relativa domanda, con le peculiarità, rispetto alla disciplina codicistica, che si segnaleranno.

Si tratta di un istituto del tutto peculiare al sovraindebitato introdotto per espressa previsione della legge delega (art. 9, lett. c, l. 155/2017).

L'interessato ha diritto all'esdebitazione senza dover passare attraverso la procedura di liquidazionee anche qui a prescindere da un adempimento parziale.

Da tutto ciò discende che non siamo in presenza di una procedura concorsuale, caratterizzata dal soddisfacimento dei creditori, sulla base del patrimonio del debitore insolvente o comunque in crisi, con l'osservanza del principio della par condicio creditorum, dal momento che, come detto, qui non è proprio previsto un soddisfacimento. E coerentemente con ciò non sussiste alcuna struttura procedimentale utile alla liquidazione. Ciò contraddice il principio affermato dall'art. 278 CCI, secondo il quale l'esdebitazione sarebbe tipica di crediti insoddisfatti nell'ambito di una procedura concorsuale.

Certo i crediti qui rimangono insoddisfatti, come del resto è naturale se essi divengono inesigibili, ma appunto non c'è a monte un procedimento concorsuale, e questo distingue il nostro istituto, oltre ai presupposti, anche dai procedimenti di cui agli artt. 142 e 143 l.f., 14-terdecies l. n. 3/2012 e, da ultimo, 280 e 282 CCI.

Deve ritenersiche tale procedimento non sia esperibile da parte di un debitore nei confronti del quale risulti ormai aperta la liquidazione controllata. A fronte di un debitore assoggettato a liquidazione controllatavi è piuttosto la possibilità, data dall'art. 268, comma 3, di ottenere per lo stesso – sempre se persona fisica - l'attestazione di incapienza (cioè di assenza di attivo da distribuire neppure a mezzo dell'esercizio di azioni giudiziarie) da parte dell'OCC, con conseguente reiezione dell'istanza di liquidazione controllata, ove presentata da un creditore.

E comunque, in esito alla liquidazione, si potrà avere la esdebitazione di diritto nonostante l'assenza di attivo.

Anche vigente la l. n. 3/2012, pur emendata, non è possibile ottenere l'esdebitazione dell'incapiente ex art. 14 quaterdecies, dopo la liquidazione del patrimonio, né si potrà ottenerla dopo se non vi fu attivo, per l'ostacolo tuttora costituito dall'art. 14 terdecies.

La procedura di esdebitazione dell'incapiente presuppone non l'assenza in assoluto di attivo, ma di attivo distribuibile (non osta dunque un attivo che sarebbe non solo sufficiente a consentire, come vedremo, il mantenimento del debitore e della sua famiglia, ma anche a pagare la sola prededuzione).

Questo istituto, e in particolare l'eliminazione del riferimento al pagamento parziale del debitore (che col Codice della crisi varrà anche in caso di chiusura della liquidazione giudiziale, cfr. art. 280 CCI, o della liquidazione controllata, cfr. art. 282 CCI), è da coordinarsi con la Direttiva insolvency, che non impone tale soluzione, ma anzi consente al legislatore nazionale di conservare la condizione di parziale soddisfacimento cui subordinare l'esdebitazione.

Essa però stabilisce che ciò avvenga purché il pagamento sia commisurato alla situazione individuale del debitore e al suo reddito disponibile nel periodo che precede l'esdebitazione, e per definizione il debitore incapiente non può vedersi imposta alcuna forma di pagamento parziale, visto che esso non potrebbe essere commisurato a nulla. Detto questo va però aggiunto che la Direttiva in questione è incentrata sulla figura dell'imprenditore, per cui non concerne il consumatore.

L'istituto dell'esdebitazione del debitore incapiente è anche subordinato alla condizione di meritevolezza e (sul piano oggettivo) all'assenza di prospettive anche future di offerta ai creditori di alcuna utilità, di cui si dirà oltre.

Il giudice dovrà quindi valutare l'assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell'indebitamento, all'incirca insomma lo stesso giudizio che viene compiuto in materia di ristrutturazione del debito del consumatore, previsto dall'art. 69, comma 1, CCI (e dall'art. 7, comma 2, d)-ter, l. n. 3/2012 a proposito del piano del consumatore, dove si parla di “situazione di sovraindebitamento determinata con colpa grave, malafede o frode”), e come espressamente sancito dall'art. 283, comma 7 (oggi dall'art.14-quaterdecies, comma 7, l. n. 3/2012) Costituisce poi ostacolo all'esdebitazione il fatto di averla ottenuta altra volta.

Se è evidente che la norma (art. 283, comma 1, CCI e art. 14-quaterdecies, comma 1, l. n. 3/2012) vieta il ricorso due volte in assoluto (senza i limiti più diluiti dell'art. 69) all'istituto in parola, v'è da chiedersi se conti anche un'esdebitazione antecedente ottenuta per altra via, e cioè a seguito della chiusura della liquidazione (art. 279 CCI, o a seguito della procedura di cui all'art. 14-terdecies, l. n. 3/2012 nella vigenza di quest'ultima norma) o a seguito dell'esecuzione di un piano del consumatore. E' certo agevole risolvere l'ipotesi contraria, e cioè ammettere che non si possa accedere al piano del consumatore o all'esdebitazione ex art. 279 CCI (o ex art.14-terdecies, l. n. 3/2012) se nei cinque anni precedenti si sia ottenuta la nostra esdebitazione, come espressamente dispongono le due norme (artt. 69 e 280 CCI) e come si ricava dall'art.7, comma 2, lett. d)-bis, l. n. 3/2012; ma direi che dev'essere anche impedito (in assoluto, senza limiti temporali) l'accesso all'esdebitazione dell'incapiente se si sia già ottenuta l'esdebitazione a seguito del piano, per la stessa coerenza del sistema, e così pure in caso di già ottenuta esdebitazione ai sensi dell'art. 279 CCI.

Più dubbio che si applichi il disposto di cui al precedente art. 7, comma 2, lett. b) (aver fatto ricorso nei precedenti cinque anni ai procedimenti di cui “al presente capo”): a parte l'incoerenza di prevedere un ostacolo più stringente rispetto a quello inserito dalla novella alla lett. d-bis), potrebbe ritenersi che la disposizione alluda al ricorso alle procedure concorsuali, mentre abbiamo visto come la nostra tale non sia.

Sarà però possibile ottenere l'esdebitazione ex artt. 279 e 69 CCI (e quella di cui all'art.14-terdecies, l. n. 3/2012), se si è ottenuta, ma da più di cinque anni (otto nel caso della l. n. 3/2012) l'esdebitazione dell'incapiente.

Il concetto di incapienza nella nuova procedura

Come premesso, per l'accesso all'istituto non è necessaria l'assoluta incapienza, in quanto il secondo comma dell'art.283 CCII stabilisce che non si possano prendere in considerazione le utilità pur facenti capo al debitore, ma necessarie al sostentamento proprio e della sua famiglia, in accordo con un principio di esclusione delle stesse che riguarda tanto la liquidazione del patrimonio in base alla l. n. 3/2012, quanto lo stesso fallimento (art. 46 l.f. ed oggi art. 146 CCI). La novità consiste nella sussistenza di precisi criteri atti a determinare tali somme, pari a quanto occorre a produrre il reddito (i costi insomma) oltre ad un importo pari all'assegno sociale aumentato della metà moltiplicato un parametro corrispondente al numero dei componenti della famiglia della scala di equivalenza dell'ISEE.

Piaccia o no, tale parametro oggettivo consentirà di superare le incertezze sul punto, in ciò ponendosi il legislatore in linea con le scelte già svolte in materia esecutiva a proposito dei limiti di pignorabilità di cui all'art. 545 c.p.c.

La scala di equivalenza poi la si rintraccia in un apposito DPCM, il n. 159 del 5 dicembre 2013.

In pratica il moltiplicatore si applica ai componenti il nucleo della famiglia anagrafica.

Ciò significa che se anche le utilità ritraibili da reddito e patrimonio siano tali da consentire un qualche soddisfacimento ai creditori (non si indica il minimo, a differenza - come si vedrà - di quanto accade per la sopravvenienza di beni e redditi), occorre prima sottrarre il valore di cui sopra, e solo al netto si verifica se rimangano utilità distribuibili (peraltro al netto delle prevedibili spese).

Viene invece in rilievo la sussistenza di utilità in prospettiva futura, che dunque ostacola l'ammissibilità dell'istituto. Sebbene si parli di “prospettive”, deve ritenersi però che per negare l'esdebitazione occorra quantomeno l'esistenza di un credito futuro, ad esempio la stipulazione di un contratto di lavoro anche a tempo determinato o la maturazione di un diritto pensionistico (in questo caso direi che è sufficiente l'esistenza di un rapporto previdenziale ancorché non di immediata maturazione), e non siano sufficienti mere aspettative. Si può in tal senso richiamare la giurisprudenza formatasi in tema di crediti futuri oggetto di pignoramento presso terzi, in base alla quale essi in tanto sono oggetto di assegnazione in quanto siano caratterizzati da “capacità satisfattiva futura concretamente prospettabile al momento dell'assegnazione stessa” in ragione dell'attualità del rapporto da cui scaturiscono, che dev'essere identificato ed esistente (così Cass. 10 settembre 2009, n. 19501).

L'espressione utilità pare far riferimento anche ad altri valori oltre che a soddisfacimento in denaro, almeno nell'economia generale del codice. Inoltre, atteso l'espresso tenore della legge, si deve escludere l'ammissibilità dell'istanza quante volte sia possibile garantire un soddisfacimento pur minimo e non irrisorio, usando espressioni della giurisprudenza di legittimità inerenti al minimo soddisfacimento dei creditori (Cass. SS.UU. 23 gennaio 2013, n. 1521 e Cass. 14 marzo 2014, n. 6022), il che rende i presupposti per l'ammissione ben differenti rispetto a quelli per la revoca in caso di sopravvenienza di attivo, in quanto è sufficiente un livello di soddisfacimento ben inferiore rispetto al dieci per cento previsto per la revoca, e si prevede che il giudice debba tener conto anche di utilità diverse dal denaro e addirittura indirette: forse si pensa alla prosecuzione di contratti di fornitura, ad esempio, come fa intendere lo stesso riferirsi non ai crediti, ma ai creditori.

Forme processuali nel CCI e nella l. 3/2012 e difesa del debitore

La domanda che introduce il particolare procedimento di cui s'è detto deve rivolgersi al giudice e va presentata dall'OCC con la documentazione in sostanza atta a dimostrare la sussistenza delle predette condizioni.

In particolare occorre una relazione particolareggiata dell'OCC che indichi - oltre alla completezza dei documenti prodotti dal debitore, e cioé l'elenco dei creditori e dei debiti e delle entrate del debitore e del suo nucleo, evidentemente per verificare l'incapienza e gli atti straordinari posti in essere - le cause dell'indebitamento e la diligenza prestata, nonché le ragioni dell'incapacità di adempiere e l'esistenza di atti revocabili (all'evidente scopo di verificare la meritevolezza), nonché alla valutazione del merito creditizio (ma qui non è prevista alcuna sanzione effettiva in capo a chi ne abbia violato i relativi canoni).

L'esdebitazione consegue a un provvedimento del giudice (monocratico) adottato con decreto, assunte eventualmente informazioni opportune (magari attingendo dalle banche dati pubbliche, o sentendo il debitore o i creditori, sempre al fine però di verificare la sussistenza dei presupposti, ed in particolare meritevolezza e incapienza). Avverso lo stesso (sia di accoglimento come di rigetto) è ammessa opposizione davanti allo stesso giudice. Solo in caso di opposizione viene instaurato il contraddittorio per la conferma o revoca del decreto, ma la decisione conseguente è soggetta a sua volta a reclamo, però non quello di cui all'art. 124, visto che non c'è una procedura concorsuale pendente, ma quello di cui all'art. 50 CCI.

A proposito di questa fase eventuale, si pone la necessità di individuare i creditori (ovviamente, invece, nel caso dell'esdebitazione successiva alla liquidazione essi saranno coloro i quali siano stati ammessi al passivo). Non si potrà allora che far capo all'elenco dei creditori allegato alla domanda, e questo rende particolarmente essenziale, ai fini dell'effettività delle garanzie che la norma assicura ai creditori stessi, la verifica che anche sul punto avrà effettuato l'OCC, posto che in effetti non si prevede nessun tipo di pubblicità particolare del decreto di esdebitazione, fermo restando che il giudice potrebbe sempre disporla nei casi opportuni.

Per quanto riguarda la procedura attuale, cioè in base al vigente art. 14-quaterdecies l. 3/2012, essa è del tutto simile, affidata al giudice monocratico, strutturata su un decreto a seguito di un' ”istruttoria” informale e tendenzialmente senza contraddittorio, salva anche qui l'opposizione e ferma la possibilità di un generico reclamo al collegio (non vi è qui, a differenza che nel precedente art. 14-terdecies, il richiamo all'art. 739 c.p.c., anche se si tratta pur sempre di un provvedimento di volontaria giurisdizione “contenziosa”).

Ma, a parte ciò, è fin troppo evidente che l'inserimento dell'istituto in un corpo normativo come la l. 3/2012 non è senza inconvenienti.

Anzitutto si è visto che l'esdebitazione dell'incapiente all'interno del Codice della crisi è tutt'altro che un istituto isolato, a parte il non presupporre una procedura concorsuale, e anch'esso evidentemente risponde ai principi di cui all'art. 278 CCI, che si sono sopra riportati.

Dunque se l'art. 283 CCI va letto in una con la norma appena sopra citata, e quindi non vi sono dubbi ad esempio in ordine alla sopravvivenza delle obbligazioni del garante dell'esdebitato, che dire nel caso dell'art.

14-quaterdecies?

La lettura tradizionale dell'istituto porta alla medesima conclusione, e ciò perché così dispone l'art. 142, comma 4, l.f., ma qual è la ragione per cui tale principio dovrebbe applicarsi all'art. 14-quaterdecies l. n.3/2012? Io credo che il problema sia facilmente risolvibile se si considera che, comunque, l'obbligazione del garante ha una sua autonomia, e che la stessa non è interessata alle vicende soggettive del garantito, come del resto si ricava dallo stesso tenore dell'art. 14-terdecies l. 3/2012, che pure esplicitamente non prevede la sopravvivenza delle obbligazioni di garanzie.

Ma il mancato coordinamento della nuova disposizione con il vecchio tessuto normativo determina ben altre conseguenze, come ad esempio il fatto che risulta abbastanza difficile capire perché se ci si sottopone alla liquidazione del patrimonio (e quindi verosimilmente si ha un patrimonio liquidabile) si fruisce di un'esdebitazione a condizioni indubbiamente più gravose rispetto a quelle previste dall'art. 14-quaterdecies, non foss'altro perché oltre a dover dimostrare un parziale soddisfacimento (cosa che, si ripete, non è più necessaria nel caso dell'esdebitazione conseguente alla liquidazione controllata), occorre anche non aver ottenuto a mezzo di qualsiasi altra procedura altra esdebitazione negli otto anni precedenti, laddove per l'incapiente di cui all'art.14-quaterdecies vige il regime che s'è visto al § 3 di cui al primo comma.

In realtà l'inserimento dell'istituto nella vecchia legge è dettato, come tutto il resto dell'anticipazione della riforma del sovraindebitamento tramite la l. n. 176/2020, dall'intento di rendere immediatamente applicabili istituti che favoriscono il sovraindebitato, per cui invece sono rimandati alla futuribile entrata in vigore del Codice le norme che invece si sono ritenute non di favore (come parecchie novità in tema di liquidazione).

Certo a voler andare fino in fondo il legislatore avrebbe allora potuto anticipare anche la possibilità di ottenere (tra l'altro di diritto) l'esdebitazione anche al sovraindebitato imprenditore sia individuale che collettivo, nei cui confronti sia stata chiusa (o dopo tre anni dall'apertura) la procedura di liquidazione, e tra l'altro (salvo il secondo caso) di diritto. Ma a tanto non si è giunti, forse per non turbare il parallelismo con la situazione del debitore fallibile.

E neppure si può ritenere che chi abbia chiesto la liquidazione del patrimonio, ma rispetto al quale non sia ancora intervenuto il decreto di apertura, possa rinunciarvi e proporre la domanda di cui all'art.14-quaterdecies, in quanto a differenza che in ipotesi di liquidazione controllata, nel caso della vigente liquidazione del patrimonio deve ritenersi che la stessa, per essere ammissibile, presupponga la presenza di beni o crediti, anche solo sotto forma di crediti futuri da lavoro o pensione (in giurisprudenza in effetti per l'apertura della liquidazione del patrimonio paiono sufficienti tali crediti, pur in assenza di un vero e proprio patrimonio liquidabile: Trib. Roma 29 aprile 2019, Trib. Verona 21 dicembre 2018 e Trib. Pordenone 14 marzo 2019), ma allora mancherebbero i presupposti di incapienza dell'istituto in commento.

Tornando al Codice della crisi, va invece verificato se l'esdebitazione dell'incapiente, nella versione di cui all'art. 283 CCI, oltre che con un procedimento in via principale, possa essere azionata in via riconvenzionale. Ovviamente la tematica non riguarda il vigente art. 14-quaterdecies l. 3/2012, visto che la liquidazione del patrimonio è azionabile solo dal debitore, e quindi lo stesso non è nelle condizioni di proporre una riconvenzionale. La differenza strutturale delle procedure poi, porta ad escludere che il debitore che attualmente eccepisca l'assenza delle soglie di fallibilità di cui all'art.1 l.f., possa chiedere al tribunale fallimentare la pronuncia del decreto di esdebitazione ai sensi dell'art.14-quaterdecies l. 3/2012.

In proposito è interessante sottolineare nuovamente la facoltà di eccepire la propria incapienza, facendola attestare dall'OCC che dovrà certificare l'assenza di attivo distribuibile.

Orbene v'è da domandarsi se in tal caso il debitore possa contestualmente formulare domanda ai sensi dell'art. 283 CCI (esdebitazione del debitore incapiente), ovviamente ricorrendone i presupposti (prima di tutto quello di essere persona fisica).

È evidente che in tal guisa si avrebbe non solo la declaratoria di non luogo a provvedere all'apertura della liquidazione, ma anche l'accesso all'esdebitazione con il meccanismo di cui alla citata disposizione.

Tale soluzione, tra l'altro, comporterebbe che l'eventuale opposizione del creditore all'esdebitazione verrebbe decisa nell'ambito del giudizio volto all'apertura della liquidazione, e quindi nel pieno contradditorio, piuttosto che nella più snella procedura delineata dall'art. 283, comma 8, a contraddittorio successivo ed eventuale. Sebbene, poi, tanto il provvedimento che decide l'opposizione come quello che concede l'esdebitazione a seguito della nostra istruttoria saranno reclamabili ai sensi dell'art. 50 CCI.

Non si ritiene che costituisca ostacolo a tale soluzione il fatto che taccia la disciplina in ordine all'ammissibilità di domande riconvenzionali, atteso che esse rientrerebbero pur sempre nell'oggetto del giudizio come sopra indicato (regolazione concorsuale del rapporto di debito-credito o, in caso di esdebitazione dell'incapiente, ottenimento dell'esdebitazione che pur sempre costituisce una declinazione di tale rapporto, vieppiù se si pensa alla possibilità di liquidazione in caso di sopraggiunto attivo, art. 283, comma 1, ult. parte, CCI).

Resterebbe il fatto che, mentre la liquidazione controllata dev'essere dichiarata con sentenza dal collegio, la competenza per l'esdebitazione è monocratica.

Peraltro, non pare ciò rappresenti un impedimento insormontabile, nel senso che il collegio nell'ambito dei suoi poteri di cognizione ben potrà, con la declaratoria di non luogo a provvedere sull'istanza di liquidazione, decidere anche l'istanza di esdebitazione, e, come visto, le difese delle parti e le loro facoltà di impugnazione non verrebbero di fatto pregiudicate.

Anche sotto tal profilo viene in rilievo quanto concluso in tema di oggetto del giudizio, e quindi nell'inquadramento della domanda riconvenzionale in parola, tra quelle proprie, con conseguente configurabilità di una connessione propria, dal che discende l'applicabilità del principio di cui all'art. 281-novies c.p.c., in base al quale appunto in caso di connessione propria fra cause che debbono essere decise dal giudice collegiale con altre da quello monocratico, su tutte si pronuncia il collegio.

Utilità sopravvenute e forme della liquidazione

Va detto che un contemperamento dell'esdebitazione col principio di responsabilità patrimoniale viene mantenuto: in particolare, nonostante l'intervenuta esdebitazione a mezzo del decreto di cui s'è detto, l'obbligo di pagamento almeno in via potenziale permane, alla condizione che nell'arco di quattro anni sopraggiungano utilità (sia quindi elementi di carattere patrimoniale che reddituale) tali da assicurare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento.

Quanto al concetto di utilità, difficilmente si può far rinvio a quanto concluso circa lo stesso relativamente alle utilità future, la cui assenza condiziona l'ammissibilità del beneficio, poiché dalle precisazioni che seguono (ed in particolare dal riferimento ad una percentuale di soddisfacimento) emerge che comunque le stesse devono essere in grado di apportare un soddisfacimento essenzialmente pecuniario.

Per evitare che i tentativi di ripartenza vengano frustrati da tale disposizione, si esclude dal novero delle utilità sopravvenute l'eventuale liquidità reperita a mezzo di finanziamenti (evidentemente strumentali al fresh start), e in generale di tutto ciò che non sia in grado di soddisfare in maniera significativa i creditori (appunto, utilità che valgano meno del dieci per cento).

Sotto tale ultimo profilo, peraltro, la misura non deve essere presa in considerazione in assoluto (cioè non è necessario che le risorse sopraggiunte siano tali da soddisfare nel dieci per cento tutti i creditori), ma è sufficiente che esse siano tali da soddisfare anche soltanto quelli di grado superiore, es. assistiti da privilegio generale. Privilegio che – permanendo il debito – si collocherà sui beni così acquisiti al patrimonio. In altri termini, la persistenza dell'obbligazione a condizione del sopravvenire di significative poste patrimoniali determina l'estensione alle stesse del privilegio. Va però notato che il correttivo in proposito aggiunge l'avverbio “complessivamente” (peraltro assente dall'art. 14-quaterdecies l. 3/2012). A mio parere la puntualizzazione rende evidente quanto qui concluso, per cui il dieci per cento va riguardato con riferimento al monte totale del debito, indipendentemente da quali o quanti creditori potranno essere concretamente soddisfatti.

Come si vede, dunque, rispetto ai requisiti oggettivi di ammissibilità, qui non solo si richiede una soglia “consistente”, ma anche di natura evidentemente e necessariamente pecuniaria, visto che si fa riferimento ad una percentuale di soddisfacimento, grandezza del tutto incongrua in caso di utilità diverse dal denaro. L'intento è comunque quello per cui, una volta concessa l'esdebitazione, per giungere alla sua revoca occorre qualcosa di davvero rilevante e consistente, appunto beni o denaro che consentano il pagamento del dieci per cento, al fine di travolgere un effetto esdebitatorio dichiarato in un provvedimento giurisdizionale.

Da notare che al fine di rendere effettivo tale precetto, il decreto che dispone l'esdebitazione dovrà prevedere l'obbligo annuale di deposito di una dichiarazione per l'evenienza in cui sopraggiunga attivo, a pena della revoca del beneficio. In più sull'osservanza di tale obbligo deve vigilare l'OCC, il quale su richiesta del giudice dovrà in ogni caso verificare.

Si deve ritenere che in base ad una buona prassi il giudice debba incaricare l'OCC di relazionare annualmente sulle condizioni patrimoniali e reddituali del debitore, al fine di verificare la persistenza dei requisiti nell'ambito del quadriennio.

Laddove dunque dalla relazione dell'OCC, dalla dichiarazione o anche da quanto si ricavi aliunde, compresa un'informativa di un creditore o la stessa dichiarazione del debitore, i requisiti non perdurino, mi pare coerente che, come si esprime la norma, risorga l'obbligo di pagamento.

A questo punto sorge un quesito: premesso che il procedimento che ne occupa non costituisce, come si è già concluso, una procedura concorsuale, poiché non è preposto ad alcuna finalità satisfattoria, che accade se – nell'ambito del quadriennio – si verifichi l'acquisizione di attivo sufficiente nella misura che già si è indicata? E quale strumento hanno i creditori per evitare espedienti del debitore?

Sotto il primo profilo è evidente che, non esistendo una procedura, non vi sono organi preposti all'acquisizione, gestione, liquidazione e distribuzione dell'attivo sopravvenuto.

Conseguentemente nel caso in cui sopraggiunga attivo non resterà al giudice che far venir meno, totalmente o parzialmente, l'efficacia del decreto di esdebitazione.Porta a tali conclusioni il fatto stesso che sia prevista una relazione da rivolgersi al giudice in caso di sopravvenienza di attivo, a riprova quindi del fatto che lo stesso in tal caso deve provvedere.

Deve però notarsi come la norma (tanto l'art. 283 CCI quanto l'art.14-quaterdecies l. 3/2012) configuri in generale ed espressamente la revoca quale conseguenza di natura sanzionatoria per il solo caso di omessa comunicazione circa il sopraggiungere di attivo.

Pare dunque doversi concludere nel senso che, ove appunto vi sia stata l'omissione e la sopravvenienza di attivo, si avrà un'autentica revoca, con la conseguenza che l'obbligazione risorgerà nella sua originaria entità. Diversamente, quando il debitore avrà correttamente dichiarato la sopravvenienza, l'obbligazione tornerà esigibile (ma vedremo in quale sede) nei limiti della sopravvenienza stessa, restando ferma l'esdebitazione per il resto. Ciò sarà quindi oggetto verosimilmente di un provvedimento di natura dichiarativa, che, a differenza del caso che precede, non travolgerà l'originario decreto.

Ovviamente in tale ultimo caso il termine quadriennale continuerà a decorrere, e così rimarrà vigente l'obbligo di dichiarazione annuale (effetti che invece nell'ipotesi di revoca non potranno che essere travolti) col che solo un ulteriore attivo maturato nell'ambito dell'originario quadriennio potrà giustificare la prosecuzione della procedura per la liquidazione dell'ulteriore attivo.

Per giungersi alla liquidazione delle utilità sopravvenute, e prima ancora all'accertamento dei crediti (necessario, come del resto una forma di riparto, anche in caso le sopravvenienze si limitassero a delle somme di denaro) non potendosi pensare ad approntare una struttura liquidatoria in un procedimento come quello in commento, per le ragioni già viste, i creditori dovranno pertanto presentare apposita domanda di liquidazione controllata ai sensi dell'art. 268, comma 2, e nel relativo procedimento il debitore avrà ovviamente facoltà, ai sensi dell'art. 271 CCI, di chiedere l'accesso alla procedura di ristrutturazione del debito del consumatore o di concordato minore (infatti non deve necessariamente trattarsi di un consumatore), che, come noto, costituisce tra l'altro l'unica ipotesi di procedura di composizione della crisi del sovraindebitato “in bianco”. In quel procedimento peraltro, il sovraindebitato non potrebbe eccepire il difetto dei requisiti quantitativi che si commentano, perché avrebbe dovuto farlo avverso il provvedimento di revoca (che può ritenersi essere soggetto a reclamo ai sensi dell'art. 50 CCI, come avviene per la revoca in sede di opposizione).

Così come, se frattanto l'istanza non sarà stata presentata, potrà egli stesso chiedere la propria liquidazione controllata, o direttamente l'apertura di una delle procedure di composizione, ricorrendone i presupposti.

Più complessa pare la situazione nel caso dell'art.14-quaterdecies della l. 3/2012 come modificata dalla l. n. 176/2020, nel senso che, in base alla stessa, non esiste una procedura di liquidazione ad iniziativa dei creditori, e dunque a seguito della sopraggiunta esigibilità dei crediti, ove non sia lo stesso debitore a promuovere una delle procedure da sovraindebitamento (liquidazione del patrimonio o procedure di composizione), pare non vi sia altra via se non quella di promuovere un'esecuzione individuale.

Sia la liquidazione del patrimonio che l'esecuzione individuale oggi, come la liquidazione controllata con l'entrata in vigore del codice della crisi, peraltro, conformemente a quanto già detto, saranno condizionate nell'oggetto dal fatto che si versi in ipotesi di revoca o di semplice sopravvenienza regolarmente dichiarata: nel primo caso evidentemente il credito sarà quello originario, l'effetto esdebitatorio interamente travolto e si proseguirà normalmente, anzi in caso di esecuzione il creditore potrà liberamente procedere a nuovi pignoramenti indipendentemente dal momento in cui i beni vengano acquisiti al patrimonio del debitore. Le procedure liquidatorie concorsuali comunque seguiranno qui in tutto le regole rispettivamente dettate, al punto (nel caso della liquidazione controllata) da legittimare il liquidatore alle azioni revocatorie e a ritenersi (nel caso del codice) l'applicabilità delle disposizioni in tema di prosecuzione dei contratti in corso. Nel secondo caso, invece, ci si dovrà limitare alla liquidazione dei beni pervenuti, e se altri ne sopraggiungessero nel corso dell'originale quadriennio, il debitore dovrebbe effettuare un'ulteriore dichiarazione, con conseguente ulteriore provvedimento declaratorio di (parziale) esigibilità, poiché quello originario non renderebbe tali i crediti se non nei limiti del ricavato dei beni dapprima sopravvenuti. Proprio tale limitazione e la persistente vigenza dell'originario decreto di esdebitazione renderanno in tal caso inapplicabili le disposizioni in tema di esdebitazione anticipata di cui all'art. 282, comma 1, CCI.

Peraltro il testo della norma (anzi delle norme, tanto del codice come della legge riformata) rende in qualche modo plausibile anche l'altra strada, cioè quella di considerare possibile la tesi della liquidazione all'interno del procedimento di esdebitazione, evidentemente affidata all'OCC. Tale soluzione, che pure ha il pregio di essere maggiormente coerente quantomeno in caso di regolare dichiarazione di sopravvenienza di attivo, pare però si scontri, da un lato, con la natura non concorsuale della procedura, appunto come non preposta a liquidare e distribuire; dall'altro, col fatto che qui non è prevista alcuna forma di accertamento del passivo, cui la legislazione concorsuale, quando la prevede (e qui davvero non si vede come escluderla), conferisce direttamente o indirettamente (come nel caso della liquidazione del patrimonio o in quella controllata) l'effetto di un accertamento giudiziale, che non può che essere costruito su basi normative, qui insussistenti. D'altronde la soluzione precluderebbe al debitore di percorrere la via della composizione della crisi. Inoltre, sebbene la norma configuri la permanenza dell'obbligo di dichiarazione e dei compiti di verifica delle stesse e di accertamento in capo all'OCC, può sinceramente dubitarsi che un'autentica procedura sia ancora pendente dopo il decreto di esdebitazione e la definizione dell'eventuale opposizione, per cui risulterebbe allora contraddittorio prevedere in tale ambito la liquidazione.

Certo, fatta salva l'incertezza circa la sorte dei crediti eventualmente contestati, quest'ultima soluzione appare maggiormente “semplificata” rispetto a quella sopra delineata che prevede l'apertura di una nuova procedura, ma come visto non senza inconvenienti.

Volendola seguire, però, pare più coerente che la liquidazione “interna” sia prevista per il solo caso di avvenuta dichiarazione, che non comporta la revoca del decreto di esdebitazione, pronunciato il quale davvero non si vede come possa approntarsi la stessa nell'ambito della procedura stessa.

A qualsiasi soluzione si voglia giungere, peraltro, è evidente che i creditori posteriori avranno diritto al completo soddisfacimento.

Sotto il profilo degli strumenti a disposizione dei creditori per evitare abusi da parte del debitore esdebitato, va rilevato come in dottrina si sia affermato che non sarebbero sanzionabili gli atti di frode compiuti prima della presentazione della domanda e non scoperti prima della pronuncia di esdebitazione (BROGI, op. cit., 305). Certo, l'assenza di atti in frode costituisce uno dei presupposti della meritevolezza, come indicato a suo tempo, ma la scoperta sopravvenuta non dovrebbe comportare gli effetti di cui agli artt. 395 ss. c.p.c.

Ma poi come rimediare, ad esempio, al debitore che – chiamato a una consistente eredità – procrastini l'accettazione oltre lo scadere del quarto anno, epoca in cui si consolida l'esdebitazione? In proposito non pare congruo né l'istituto di cui all'art. 524 c.c. (impugnazione della rinuncia, perché il debitore qui non rinuncia affatto); né quello dell'actio interrogatoria di cui all'art.481 cc, poiché, a seguito dello stesso, se il debitore non accetta, vi è decadenza dalla facoltà di accettare, non rinuncia, e l'eredità è persa per i creditori.

Probabilmente la soluzione passa attraverso il rilievo di un'ipotesi di abuso del processo, e quindi, rilevato il comportamento (verosimilmente attraverso la relazione dell'OCC ovvero su notizia acquisita da un creditore) il giudice dovrebbe, sentito il debitore, provvedere a revocare il decreto di esdebitazione.

Un'ultima notazione attiene al compenso dell'OCC: l'art. 283, comma 6, CCI prevede che i compensi siano ridotti a metà. Non vengono disciplinate però le tempistiche di liquidazione dei compensi (in particolare occorre attendere i quattro anni?), né si capisce chi possa pagare a fronte di un debitore assolutamente incapiente (invece se ha beni sufficienti, cosa ben possibile atteso il concetto relativo di incapienza come sopra descritto, le spese gravano su di lui). Non può invece ritenersi che il compenso possa essere oggetto di ammissione al gratuito patrocinio, neppure quando, per avventura, l'OCC sia un avvocato, posto che mancherebbe il presupposto dell'assunzione della difesa tecnica.

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