Liquidazione del compenso dell’avvocato: ambito applicativo dell'art. 14 d.lgs. 150/2011

Cesare Taraschi
17 Dicembre 2021

Il contributo in esame si concentra sul tema del recupero del compenso dell'avvocato nella procedura di cui all'art. 14 del d.lgs. 150/2011: in particolare esamina le delicate questioni che si pongono in ordine all'ambito applicativo della stessa.
Inquadramento

L'art. 28 della previgente l. 794/1942,in materia di «Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile», disponeva che: «Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato [o il procuratore], dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all'art. 633 e ss. c.p.c., proporre ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo». I successivi artt. 29 e 30 disciplinavano, rispettivamente, il procedimento di liquidazione e l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato nei confronti del proprio cliente. Come si dirà meglio infra, secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione, le predette disposizioni normative si riferivano soltanto al compenso maturato dall'avvocato per l'attività svolta in procedimenti civili e non anche in quelli penali ed amministrativi.

In particolare, secondo la tesi prevalente, l'avvocato che volesse recuperare giudizialmente un credito professionale per prestazioni giudiziali o stragiudiziali aveva a disposizione quattro opzioni processuali:

1) il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e ss.l. 794/1942 (limitatamente ai crediti relativi a procedimenti civili);

2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo ex artt. 633 e ss. c.p.c.;

3) il giudizio ordinario di cognizione;

4) il giudizio sommario di cognizione monocratico ex artt. 702-bis e ss c.p.c., introdotto dalla l. 69/2009 ed applicabile dopo il 4-7-2009.

La competenza del capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo, prevista dall'art. 28 l. 794/1942, era ritenuta funzionale, non derogabile (Cass. civ., n. 27402/2013; Cass. civ., n. 13001/2001; Cass. civ., n. 993/1995; Cass. civ., n. 9628/1995; Cass. civ., n. 2613/1983), neppure per ragioni di connessione (Cass. civ., n. 887/1970; Cass. civ., n. 1012/1996; contra Cass. civ., n. 2912/1976), restando salva l'applicabilità dei criteri di competenza di cui all'art. 637 c.p.c., ove l'avvocato avesse fatto ricorso alla tutela monitoria (Cass. civ., n. 10293/2002; Cass. civ., n. 6700/1994), sempre che la lite fosse circoscritta alla liquidazionedel compenso e non fosse contestato l'an della pretesa (Cass. civ., n. 4419/91). Invero, il giudizio ordinario di cognizione era considerato ammissibile in ragione del fatto che il presupposto dell'esperibilità del procedimento speciale di cui ai citati artt. 28-30 l. 794/1942 era pur sempre la natura non contestata del credito e l'esigenza soltanto di una sua determinazione quantitativa (ossia di una sua “liquidazione”), per cui non si poteva negare all'avvocato che ritenesse il proprio credito contestato o contestabile, oppure che semplicemente temesse una sua contestazione, la possibilità di agire con lo strumento della cognizione ordinaria prevista obbligatoriamente proprio per quel tipo di situazioni processuali.

L'ambito applicativo dell'art. 14 d.lgs. 150/2011

Il d.lgs. 150/2011, in attuazione dell'art. 54, comma 2, lett. b), n. 2, legge delega 69/2009, ha ricondotto al rito sommario di cognizione il procedimento camerale già disciplinato dai predetti artt. 28-30 l. n. 794/1942. La scelta, secondo quanto si legge nella relazione ministeriale al d.lgs., è stata dettata dai «caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa» che contraddistinguono tale procedimento. Ciò anche in considerazione del fatto che, come si legge nella medesima relazione, «…non è stato ritenuto necessario specificare che l'oggetto delle controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative. Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina, in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i presupposti dell'azione, contenuta nella l. 794/1942».

In particolare, l'art. 34 d.lgs. 150/2011 ha abrogato i citati artt. 29 e 30 l. 794/1942 ed ha così modificato l'art. 28: «Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l'avvocato, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, se non intende seguire la procedura di cui all'art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 150/2011».

L'art. 14 d.lgs. 150/2011 disciplina, quindi, attualmente le «controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato» e, analogamente a quanto già previsto nei citati artt. 28 e 29 l. n. 794/42, contempla:

- la competenza dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera;

- la composizione collegiale del tribunale;

- la possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente;

- la non appellabilità dell'ordinanza decisoria.

In particolare, proprio perché la nuova disciplina è sostanzialmente riproduttiva di quella precedente, è pressochè unanime tra i commentatori l'opinione (confermata da Cass. civ., sez. un., n. 4485/18, di cui si dirà infra) secondo cui l'ambito di applicazione del procedimento speciale ex art. 14 è rimasto immutato in relazione alla tipologia di prestazione professionale resa dall'avvocato, nel senso di non ricomprendere:

- le prestazioni stragiudiziali, che non siano strettamente connesse a quelle giudiziali in materia civile (con riguardo al procedimento camerale cfr.: Cass. civ., n. 2020/98; Cass. civ., n. 10770/96);

- il credito derivante dalle prestazioni giudiziali nel processo penale, anche come difensore di parte civile (Cass. civ., n. 6817/21, secondo cui la relativa controversia è assoggettata al rito ordinario ovvero, in alternativa, al procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. innanzi al tribunale in composizione monocratica, con conseguente appellabilità del provvedimento che definisce il relativo giudizio; Cass. civ., sez. un., n. 25938/2018; Cass. civ., n. 19025/16, n. 20293/2004, n. 2945/1962);

- il credito derivante dalle prestazioni giudiziali nel processo amministrativo (Cass. civ., sez. un., n. 25938/2018; Cass. civ., n. 14394/2004);

- il credito derivante da prestazioni giudiziali nel processo tributario (Cass. civ., n. 19102/2019; Cass. civ., sez. un., n. 25938/2018);

- la domanda di accertamento negativo del credito proposta dal cliente (Cass. civ., sez. un., n. 4485/2018). In giurisprudenza si è anche affermato, sia pure con riguardo al previgente rito camerale, che, quando la causa promossa dall'avvocato, nelle forme del rito speciale, per ottenere la liquidazione del compenso si ponga in rapporto di connessione con quella di accertamento negativo promossa dal cliente con il rito ordinario, la prima deve trasmigrare davanti al giudice dell'altra causa, in considerazione della maggiore garanzia che offre tale rito (cfr. Cass. civ., n. 15366/2001 e, per il caso di continenza di cause ex art. 39 c.p.c., cfr. Cass. civ., n. 13497/1999).

Rientrano, invece, nell'ambito applicativo dell'art. 14:

- le prestazioni stragiudiziali civili che si pongano «in stretto rapporto di dipendenza con il mandato relativo alla difesa o alla rappresentanza giudiziale, in modo da potersi considerare esplicazione di attività strumentale o complementare di quella propriamente processuale» (Cass. civ., sez. un., n. 4485/2018), come nel caso dell'assistenza e dell'attività svolte dal difensore, stragiudizialmente, per transigere una controversia, trattandosi di attività complementare e dipendente da quella per cui gli è stato conferito il mandato (Cass. civ., n. 25675/2009; Cass. civ., n. 13847/2007; Cass. civ., n. 10823/1994, che menziona al riguardo i rilievi fotografici, le indagini presso il PRA, la richiesta di risarcimento prescritta per i danni derivanti da sinistri con veicolo per il quale vi sia obbligo di assicurazione);

- le prestazioni relative a procedimenti equiparati a quelli giudiziali civili, come quelli davanti agli arbitri (Cass. civ., n. 20293/2004);

- le prestazioni di cui si chieda la liquidazione sulla base di un pregresso accordo con cui le parti abbiano già quantificato il compenso o stabilito preventivamente i criteri di calcolo per la sua liquidazione (Cass. civ., n. 496/2021).

Non può non rilevarsi, tuttavia, che, secondo la recente (ma isolata) Cass. civ., n. 24179/2019, l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato per prestazioni giudiziali penali va proposta con ricorso ex art. 14 d.lgs. 150/2011, atteso che la limitazione alle prestazioni giudiziali civili opererebbe solo nel caso in cui l'avvocato proponga la propria domanda con rito sommario speciale e non anche qualora lo stesso decida di ricorrere al procedimento monitorio.

Inoltre, il procedimento sommario speciale di cui all'art. 14 non è utilizzabile, a differenza del giudizio ordinario e di quello sommario ordinario (ossia ex art. 702-bis c.p.c.), per ottenere il compenso per l'attività difensiva prestata in un giudizio ancora pendente o se non vi sia stata revoca o rinuncia del mandato difensivo. La procedura speciale in esame, infatti, non è consentita per la liquidazione parziale, essendo necessaria la definizione formale (non pendenza) della causa per la presentazione dell'istanza di liquidazione degli onorari (così Cass civ., n. 16695/2015, a proposito del procedimento ex art. 28 l. 794/1942). In proposito, secondo Cass. civ., n. 27137/2007, è inammissibile la domanda di liquidazione relativa al giudizio di primo grado, allorché penda il giudizio d'appello e la procura non sia estinta, dovendosi intendere per «decisione della causa» il provvedimento conclusivo che definisce l'intero procedimento.

Infine, va rammentato che, ai sensi dell'art. 67 r.d. n. 1578/1933, modificato dagli artt. 3 e 6 l. n. 27/97, «Nel termine di tre anni dalla morte dell'avvocato i suoi eredipossono valersi delle speciali norme stabilite per il rimborso delle spese e per il pagamento degli onorari». Questo comporta che gli eredi dell'avvocato potranno, entro tre anni dalla morte del loro dante causa, ricorrere al procedimento speciale di cui all'art. 14 cit. (Cass. civ., n. 4130/1957, in Foro it., 1958, 406, in ordine alla facoltà degli eredi di ricorrere al procedimento camerale ex artt. 28 e ss. l. 794/1942), mentre, decorso il predetto termine, dovranno utilizzare il rito ordinario di cognizione oppure quello sommario monocratico ex art. 702-bis c.p.c., oltre al ricorso monitorio.

Nel caso, invece, in cui l'azione sia proposta contro gli eredi del cliente, poiché questi rispondono dei debiti del de cuius in proporzione della loro quota ereditaria ex art. 754 c.c., non sussiste un rapporto unico ed indivisibile, ma una causa scindibile, ragion per cui non vi è necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri eredi (Cass. civ., n. 8487/2016, n. 21942/2013). Qualora, però, l'avvocato convenga in giudizio uno degli eredi del cliente chiedendone la condanna al pagamento dell'intero (anziché nei limiti della quota ereditaria) ovvero convenga tutti gli eredi del cliente chiedendo la condanna di questi in solido (anziché pro quota) al pagamento del proprio compenso, si rammenti che la responsabilità parziaria del coerede costituisce un'eccezione in senso stretto, la cui mancata, tempestiva, proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l'intero (Cass. civ., n. 19186/2016, n. 6431/2015, n. 15592/2007). Si è, inoltre, precisato che il coerede, convenuto in giudizio per il pagamento di un debito ereditario per l'intero, che eccepisca l'esistenza di altri coeredi, nonché la divisione pro quota del debito ereditario, ha l'onere di provarne l'esistenza, la consistenza numerica (agli effetti della eccepita divisione del debito in proporzione della rispettiva quota ereditaria), il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi (Cass. civ. n. 17122/2020).

I primi dubbi interpretativi

A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 150/2011 era, però, sorto il dubbio se la nuova disciplina dovesse ritenersi inderogabile oppure se l'avvocato avesse mantenuto la possibilità di azionare il proprio credito anche nelle forme del giudizio ordinario di cognizione e in quelle del giudizio sommario di cognizione monocratico ex artt. 702-bis e ss. c.p.c., non essendo invece discusso che egli potesse utilizzare, a tal fine, anche il procedimento monitorio, dal momento che tale facoltà gli è espressamente attribuita dallo stesso art. 14.

La risposta al quesito aveva anche delle rilevanti conseguenze processuali, dal momento che il modello di rito sommario delineato dal d.lgs. 150/2011 è ben diverso da quello regolato nel codice di rito, non essendo previsti per esso, a differenza del procedimento sommario ordinario, oltre alla competenza del tribunale monocratico, il potere del giudice di convertire il rito da sommario in ordinario quando la causa non può essere sommariamente istruita (art. 3, comma 1, d.lgs. 150/2011) e l'appellabilità dell'ordinanza che definisce il giudizio (prevista dall'art. 702-quater c.p.c.).

Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, poiché il legislatore delegato, con l'art. 14, si era riferito solo a due delle tipologie di controversie astrattamente proponibili (non considerando l'opzione del procedimento ordinario), sembrava preferibile la tesi che l'avvocato potesse continuare ad instaurare la controversia per il recupero degli onorari giudiziali con le ordinarie modalità della citazione tradizionale; tra l'altro, tale soluzione sembrava ragionevole allorché l'avvocato ritenesse che le difese del cliente non si sarebbero limitate a contestare l'entità del corrispettivo ma avrebbero interessato il vero e proprio an debeatur.

Era, altresì, dubbio se, in ordine all'ambito applicativo dell'art. 14, potesse essere confermato l'orientamento tradizionale, secondo cui l'oggetto delle controversie in esame era limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che potesse essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative, con la conseguenza che l'inesistenza dei presupposti, emersa alla prima udienza, avrebbe comportato esclusivamente l'inammissibilità del ricorso, senza mutamento del rito nelle forme ordinarie dinanzi al giudice competente (Cass. civ., n. 12248/16; Corte cost. n. 65/2014; Cass. civ., n. 876/12; Cass. civ., n. 17053/11; Cass. civ., n. 23344/08). In particolare, in base alla previgente disciplina di cui all'art. 28 l. 794/1942, il mutamento del rito sarebbe stato possibile solo nel caso in cui l'assistito, convenuto dal suo legale, avesse sollevato eccezioni o domande riconvenzionali idonee ad ampliare il thema decidendum le quali, pur non esorbitando dalla competenza del giudice adito, non si prestassero ad un'istruttoria sommaria, così rendendone necessaria la trattazione nelle forme del rito ordinario a cognizione piena, previa separazione delle domande (Cass. civ., n. 28049/2018).

In base a tale orientamento, peraltro, si poneva un problema concernente la natura di sentenza o ordinanza del provvedimento conclusivo del procedimento e, dunque, il regime dell'impugnazione, nel caso di erronea trattazione e decisione della causa. Secondo la tesi della prevalente giurisprudenza di legittimità, in tali casi operava la prevalenza della natura sostanziale del provvedimento sulla sua forma, sicchè:

a) qualora il giudice adito, a conclusione di un procedimento instaurato ai sensi degli artt. 28 ss. l. 794/1942, non si fosse limitato a decidere sulla controversia tra avvocato e cliente circa la determinazione della misura dei compensi, ma si fosse pronunciato anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all'esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, l'intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand'anche adottato in forma di ordinanza, aveva valore di sentenza e, dunque, poteva essere impugnato con il solo mezzo dell'appello (Cass. civ., n. 1666/12; Cass. civ., n. 876/2012; Cass. civ., n. 13640/2010);

b) analogamente, nel caso inverso, in relazione ad un procedimento ordinario di cognizione avente ad oggetto una controversia tra avvocato e cliente limitata alla determinazione della misura dei compensi (frequente nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo trattata e decisa col rito ordinario, nonostante l'opposizione avesse ad oggetto solo la determinazione della misura del compenso liquidata con il decreto), l'intero giudizio doveva concludersi in primo grado con un provvedimento che, quand'anche adottato in forma di sentenza, aveva valore di ordinanza, in quanto tale sottratta all'appello ed impugnabile solo con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 6225/2010; Cass. civ., n. 11882/2002).

Peraltro, le Sezioni Unite, con sentenza n. 390/2011 (seguita da Cass. civ., n. 11024/11, Cass. civ., n. 26163/14 e Cass. civ., n. 26083/21), hanno temperato il predetto criterio della prevalenza della sostanza sulla forma del provvedimento, facendo applicazione del principio dell'apparenza, così affermando che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari e altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento (sentenza oppure ordinanza ex art. 30 l. 794/1942) che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento.

In ordine a tale ultima questione, può qui rilevarsi che, come di recente sostenuto dalla giurisprudenza, anche in seguito all'entrata in vigore dell'art. 14 d.lgs. 150/2011, al fine di stabilire il regime di impugnazione del provvedimento con cui si liquidano gli onorari e le altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, assume rilevanza la forma adottata dal giudice in base alla qualificazione che egli abbia dato, implicitamente o esplicitamente, all'azione esercitata in giudizio (Cass. civ., n. 26347/2019, la quale ha cassato con rinvio il provvedimento della corte d'appello, che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso l'ordinanza monocratica resa secondo le norme sul procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. e senza disporre alcun mutamento del rito; conformi Cass. civ., n. 24515/2018 e Cass. civ., n. 4904/2018). Ragion per cui, nel caso in cui il ricorrente abbia introdotto il giudizio con le forme del rito sommario ordinario, ex art. 702-bis c.p.c., piuttosto che con quelle del rito speciale, di cui all'art. 14 d.lgs. 150/2011, il provvedimento di primo grado deve essere impugnato con l'appello, ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c., non potendo essere proposto ricorso per cassazione per saltum, se non nel caso di accordo delle parti, e ciò in ragione del consolidato principio di ultrattività del rito che - quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (Cass. civ., n. 210/2019).

Conformemente a tale orientamento si è, di recente, precisato che, qualora il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso per crediti derivanti da prestazioni giudiziali rese da un avvocato, sebbene introdotto con atto di citazione e deciso in forma di sentenza, si sia in concreto svolto secondo quanto stabilito dall'art. 14 d.lgs. 150/2011 - per effetto del mutamento del rito da ordinario a sommario, seguito dalla trasmissione della causa al Presidente del Tribunale e dalla nomina del giudice relatore che, all'esito dell'istruttoria, abbia rimesso le parti al collegio - la predetta sentenza non è appellabile, ma ricorribile per cassazione (Cass. civ., n. 10648/2020).

Il contrasto giurisprudenziale

Questa essendo la situazione normativa e giurisprudenziale, si trattava di stabilire se e/o entro quali limiti i predetti orientamenti giurisprudenziali relativi all'ambito oggettivo dei procedimenti di cui agli artt. 28 ss. l. 794/1942 fossero utilizzabili anche per le controversie attualmente disciplinate dald.lgs. 150/2011.

I numerosi dubbi interpretativi insorti all'indomani della novella legislativa avevano generato un vero e proprio contrasto nella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità.

Invero, secondo un primo indirizzo, l'intento del d.lgs. 150/2011 era stato quello di sostituire la forma camerale del procedimento ex art. 28 l. 794/1942 con quella del procedimento ex art. 702-bis c.p.c. “speciale”, senza con ciò incidere sul sistema complessivo degli strumenti di tutela invocabili, cosicchè l'avvocato poteva scegliere, oltre al giudizio ordinario e al procedimento monitorio, anche tra i due procedimenti sommari di cognizione, ossia quello monocratico ex artt. 702-bis ss. c.p.c. e quello collegiale ex art. 14 (Trib. Treviso 13 dicembre 2012, Trib. Verona 3 maggio 2013, Trib. Roma 12 marzo 2015, tutti in www.ilprocessocivile.it). Si era così affermato, in linea di continuità con l'indirizzo giurisprudenziale correlato all'assetto normativo previgente, che «l'art. 14 del d.lgs. 150/2011 ha inciso solo sul rito. Più esattamente devesi opinare nel senso che alla procedura di cui all'art. 28 della l. 794/1942 (...), ora assoggettata al rito sommario di cognizione (...), potrà farsi ricorso allorché si controverta unicamente in ordine al quantum del compenso spettante al professionista e non già allorché si controverta anche in ordine all'an della pretesa» (così, in motivazione, Cass. civ., n. 13175/2016; Trib. Mantova 16 dicembre 2014).

In altre innovative pronunce, invece, si era sostenuto che le controversie in esame dovevano essere trattate con il rito sommario anche quando la domanda riguardava i presupposti del compenso, ossia l'an debeatur, senza che il giudice potesse trasformare il rito in ordinario o dichiarare l'inammissibilità della domanda stessa (indirizzo inaugurato da Cass. civ., n. 4002/2016, e poi confermato da altre pronunce, tra cui Cass. civ., n. 5843/2017). In sostanza, secondo tale tesi, il procedimento di cui all'art. 14 d.lgs. 150/2011 aveva carattere obbligatorio, nel senso che l'avvocato, per tutelare il proprio credito, non poteva optare in alternativa per il giudizio ordinario o per il procedimento ex art. 702-ter c.p.c. (Cass. civ., n. 12411/2017, n. 3993/2017, n. 3915/2014). La conseguenza di tale ricostruzione era che, qualora il giudizio fosse stato trattato dal giudice monocratico, la decisione sarebbe stata nulla perché adottata in violazione del combinato disposto degli artt. 50-quater e 161, comma 1, c.p.c.

Le Sezioni Unite del 2018

La discrasia giurisprudenziale è stata sanata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4485/2018, con la quale, aderendosi al nuovo orientamento, si è sostenuto che la controversia di cui all'art. 28 l.794/1942, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato, tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull'an debeatur quanto se non vi sia, e, una volta introdotta, resta soggetta (nel secondo caso a seguito dell'opposizione) al rito indicato dall'art. 14 d.lgs. 150/2011, anche quando il cliente dell'avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all'esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all'an.

Ripercorrendo sinteticamente l'iter della predetta pronuncia, deve rilevarsi che, per le Sezioni Unite, la previsione contenuta nell'art. 14 determina l'impossibilità di introdurre la causa con il rito ordinario o con quello sommario di cognizione cd. generale di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. (conf. Cass. civ., n. 21856/20).

L'art. 14, infatti, prevede, per il difensore che intenda chiedere il pagamento dei compensi professionali, solo le due strade, alternativamente eleggibili, del rito monitorio e del rito sommario di cognizione cd. speciale. Questa interpretazione restrittiva, ad avviso del Supremo Collegio, non contrasta con il criterio di delega (di cui all'art. 54 l. 69/2009) della cosiddetta «invarianza della competenza», giacché escludere la possibilità di agire con il rito ordinario a cognizione piena non determina l'eliminazione di alcun criterio di competenza previgente, in quanto i preesistenti criteri di competenza in base ai quali il difensore poteva individuare il giudice da adire con il processo ordinario di cognizione restano in vita per effetto del rinvio che l'art. 637 c.p.c., in tema di competenza monitoria, compie alla competenza ordinaria; stesso discorso può ripetersi per quanto riguarda l'introduzione della lite nelle forme di cui al rito sommario cd. generale, in quanto “le cause che si sarebbero potute introdurre con quel rito restano comunque deducibili davanti al tribunale in composizione monocratica ancora una volta con il rito monitorio”.

L'esclusività del rito sommario cd. speciale, d'altronde, troverebbe conferma nella circostanza che il procedimento sommario, a differenza dell'antico procedimento camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e 28 l. 794/1942, presenta una struttura sostanzialmente compatibile con le garanzie del modello ordinario del processo di cognizione, trattandosi di giudizio anch'esso “a cognizione piena”, in cui la sommarietà è da riferire non già alla cognizione, bensì all'iter procedimentale, che risulta semplificato e deformalizzato.

Questa conclusione spinge perciò le Sezioni Unite ad affermare che, laddove la controversia venga introdotta con un ricorso per ingiunzione, la successiva fase di opposizione dovrà introdursi con le regole del procedimento sommario di cognizione, ed in particolare con quelle di cui agli art. 702-bis e ss., fatti salvi gli adattamenti del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c.), e fermo restando che la decisione dovrà avvenire con l'ordinanza inappellabile di cui all'ultimo comma dell'art. 14.

Fatta tale premessa, le Sezioni Unite prendono altresì posizione sulla questione relativa al contenuto delle controversie di cui all'art. 28 l. n. 794/42, riguardanti onorari, diritti o spese spettanti agli avvocati per prestazioni giudiziali, oggi regolate, per effetto dell'art. 14, dal rito sommario cd. speciale. Per la Suprema Corte, dalla lettera della legge si deve desumere che le controversie soggette al rito sommario cd. speciale non hanno semplicemente ad oggetto la liquidazione del compenso, ma possono riguardare anche l'an del diritto. Difatti, sebbene la rubrica dell'art. 14 discorra di controversie in materia di “liquidazione” degli onorari e dei diritti di avvocato, nel corpo dello stesso articolo si parla più genericamente di onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati, senza fare alcun riferimento al termine “liquidazione”: ciò allora lascia intendere che è possibile proporre una domanda che involga non solo il profilo più strettamente liquidatorio, ma anche quello, a monte, relativo all'esistenza del rapporto professionale e dell'an debeatur. D'altronde, opinare il contrario significherebbe far dipendere l'individuazione del rito (e, quindi, la concreta praticabilità del procedimento) dall'atteggiamento processuale del convenuto (nel senso che la contestazione anche dell'an renderebbe inammissibile il rito sommario cd. speciale), in contrasto con i principi costituzionali di difesa e di parità delle armi.

Né in senso contrario può addursi la circostanza che nel giudizio di merito riguardante il compenso dell'avvocato le parti possano stare in giudizio personalmente, giacché l'art. 14 prevede la difesa personale come mera facoltà e non come obbligo.

Pertanto, poiché la disciplina introdotta dall'art. 14 è estesa a tutte le controversie, essendo irrilevante se siano state introdotte ex art. 702-bis c.p.c. ovvero con decreto ingiuntivo, è prevista la decisione in composizione collegiale ed escluso il ricorso al giudizio ordinario di cognizione. L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce un'autonoma causa di nullità della decisione, con conseguente conversione in motivo di impugnazione (Cass. civ., n. 24754/19). Ne deriva che è affetta da nullità la sentenza del tribunale che, in una causa introdotta con il rito sommario ex art. 702-bis c.p.c., previo mutamento del rito, da sommario ad ordinario, abbia deciso la causa in composizione monocratica (in tal senso, Cass. civ., n. 23259/19).

La perdita del grado di appello nelle controversie che involgano accertamenti sull'an debeatur - oltre a non far sorgere dubbi di legittimità costituzionale, giacchè per il principio del doppio grado di giurisdizione non è prevista un'apposita copertura costituzionale - risulterebbe bilanciata dalla collegialità del giudice prevista dal secondo comma dell'art. 14.

Si tenga conto che tale revirement della Cassazione può trovare applicazione anche in relazione ai giudizi già pendenti, in quanto il cd. prospective overruling èfinalizzato a porre la parte al riparo dagli effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) di mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo sterilizzandoli, così consentendosi all'atto compiuto con modalità ed in forme ossequiose dell'orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al momento del compimento dell'atto, di produrre ugualmente i suoi effetti, mentre non è invocabile nell'ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale di legittimità sia ampliativo di facoltà e poteri processuali che la parte non abbia esercitato per un'erronea interpretazione delle norme processuali in senso autolimitativo, non indotta dalla giurisprudenza di legittimità, derivando l'effetto pregiudizievole direttamente ed esclusivamente dall'errore interpretativo della parte (Cass. civ., n. 17092/2019; Cass. civ., sez. un., n. 4135/2019).

Sempre secondo le Sezioni Unite del 2018, qualora la difesa del convenuto abbia invece dato luogo all'allargamento del giudizio tramite la proposizione di una domanda riconvenzionale (ad es., di risoluzione del contratto di prestazione d'opera professionale e/o di risarcimento del danno) o di accertamento incidentale, allora, occorre distinguere:

- se la domanda riconvenzionale o di accertamento incidentale non esorbita dalla competenza del giudice adito (per tale dovendosi intendere anche il giudice di pace), allora, in virtù del rinvio operato dall'art. 3, comma 1, d.lgs. 150/2011 al procedimento di cui all'art. 14, si applica il comma 4 dell'art. 702-ter c.p.c., con la conseguenza che il giudice adito potrà vagliare se la domanda del convenuto richieda un'attività istruttoria semplificata. Laddove la risposta sia positiva, entrambe le domande potranno essere trattate con il rito sommario. Qualora invece la domanda riconvenzionale meriti un'istruttoria non sommaria, allora bisognerà trattare quest'ultima con il rito ordinario a cognizione piena, previa separazione delle cause, con la precisazione che se la decisione sulla domanda separata (es., domanda di risoluzione contrattuale) rivesta carattere pregiudiziale rispetto alla domanda di pagamento degli onorari, spetterà al giudice di quest'ultima disporre la sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c.;

- potrebbe tuttavia accadere che la domanda introdotta in via riconvenzionale (o in via di accertamento incidentale) ad opera del convenuto non appartenga alla competenza del giudice adito (ad es., domanda dell'avvocato proposta davanti al giudice di pace e domanda riconvenzionale del cliente rientrante nella competenza per valore del tribunale; oppure domanda dell'avvocato dinanzi alla corte d'appello e domanda riconvenzionale del cliente di risoluzione del contratto, di competenza del tribunale): in tal caso, dovranno applicarsi le norme sulla modificazione della competenza per ragioni di connessione (artt. 34-36 c.p.c.) che eventualmente comporteranno lo spostamento della competenza sulla domanda proposta ai sensi dell'art. 14; ove dette norme non siano invocabili, non resterà al giudice adito dall'avvocato che disporre la separazione della domanda riconvenzionale.

In sostanza, secondo le Sezioni Unite, nel caso di proposizione ad opera del cliente convenuto di domanda riconvenzionale o di accertamento incidentale, l'esistenza del combinato disposto degli artt. 3, comma 1, d.lgs. 150/2011 (che esclude l'applicabilità, nelle controversie disciplinate dal Capo III - tra le quali rientrano quelle di cui all'art. 14 -, del secondo e del terzo comma dell'art. 702- ter c.p.c.) e 702- ter, comma 4 (per il quale, quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un'istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione), lascia desumere l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p.c. in tema di simultaneus processus, prevalendo su tale norma quelle speciali appena riportate.

In definitiva, qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l'introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all'art. 14 comporta — sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 c.p.c.) e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso — che, ai sensi dell'art. 702-ter, comma 4, c.p.c., si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un'istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto, non potendo trovare applicazione, per l'esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull'intero cumulo di cause ai sensi dell'art. 40, comma 3, c.p.c.

Ad es., proprio in tema di separazione dei giudizi, la Cassazione ha sostenuto che la querela di falso proposta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo relativo a spettanze professionali dell'avvocato per attività giudiziale, è incompatibile con il rito sommario di cognizione previsto per tali controversie. Ne consegue la necessità che il giudice provveda alla separazione dei giudizi, dovendo quello relativo all'accertamento della falsità del documento essere assoggettato al rito ordinario a cognizione piena ed essere trattato dal giudice collegiale, con sospensione del procedimento di opposizione (Cass. civ., n. 17467/2018).

Sommario