Maltrattamenti in famiglia: la Cassazione si pronuncia (nuovamente) sugli elementi costitutivi del delitto abituale
20 Dicembre 2021
Massima
Il delitto di maltrattamenti in famiglia postula il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest'ultima, nei cui confronti viene così posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere particolarmente dolorosa ed umiliante la stessa convivenza familiare. Il caso
La Corte di appello di Trieste ha parzialmente riformato la decisione del giudice di primo grado con la quale l'imputato era stato condannato in relazione ai delitti di violenza sessuale aggravata, lesioni personali aggravate e maltrattamenti in famiglia ai danni della convivente, rideterminando, tra l'altro, in anni due e mesi sei di reclusione la pena irrogata per il delitto di maltrattamenti in famiglia (unico delitto per il quale era stata confermata la condanna dell'uomo in secondo grado). L'imputato proponeva, quindi, ricorso per cassazione, deducendo, oltre a violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla mancata valutazione della deposizione della persona offesa quanto al reato di maltrattamenti in famiglia (tenuto conto anche delle risultanze delle deposizioni degli altri testi), ed alla valutazione di attendibilità di questi ultimi, anche violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo del predetto reato; sosteneva, inoltre, che i reciproci scambi di insulti e dispetti che erano emersi nel corso dell'istruttoria non potessero integrare il delitto di cui all'art. 572 c.p. ma fossero solo il risultato di normali litigi familiari. Di conseguenza l'imputato denunziava anche vizi di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato ritenendo che le predette condotte evidenziassero un dolo d'impeto, legato ad una reazione al comportamento non gradito della compagna e non fossero, invece, espressione di un dolo finalizzato ad infliggerle abituali sofferenze fisiche o morali. Il Procuratore generale chiedeva, invece, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. La questione
La questione giuridica affrontata involge la tematica dell'individuazione degli elementi necessari per la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia e consiste, in particolare, nel valutare se il compimento di atti sporadici che siano espressivi di un atteggiamento di contingente aggressività posto in essere in un contesto familiare caratterizzato da reciproci litigi possa integrare la fattispecie penale di cui all'art. 572 c.p. determinando una condotta di sopraffazione sistematica o se occorra, invece, per la configurabilità del delitto suddetto (ritenuto dalla quasi totalità della dottrina e dalla giurisprudenza delitto abituale), una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima che renda i singoli fatti che ledono ovvero mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia componenti di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, dopo aver sottolineato come dall'esame dell'istruttoria dibattimentale non emergesse con chiarezza la ricostruzione della vicenda storica che aveva dato luogo all'accertamento della responsabilità dell'imputato (la vittima riferiva di reciproci dispetti e litigi di coppia senza accennare ad una condizione di timore e di inferiorità psicologica verso l'imputato mentre dalle dichiarazioni rese dagli altri testi non emergeva con certezza la sussistenza di aggressioni fisiche e morali che sarebbero state perpetrate dall'imputato ai danni della convivente) perviene alla conclusione secondo cui il delitto di maltrattamenti in famiglia postula il «sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali per quest'ultima», senza il quale non può essere integrato il delitto abituale di cui all'art. 572 c.p., non venendo in considerazione quella condotta di sopraffazione sistematica tale da rendere dolorosa ed umiliante la convivenza familiare che è essenziale per la configurabilità del delitto. Annulla, quindi, la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello per un nuovo giudizio che elimini i rilevati vizi della motivazione. Invero, sottolinea la Corte- ritenendo in tal modo fondati i motivi di ricorso e richiamando i propri precedenti sul tema (Cass. pen., sez. VI, 9 ottobre 2018, n. 6126; Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019, che in motivazione ha precisato che fatti episodici lesivi di diritti fondamentali della persona, derivanti da situazioni contingenti e particolari, che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare, non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano la propria autonomia di reati contro la persona) - come il mero compimento di atti sporadici ed espressivi di un atteggiamento di contingente aggressività non integri quella persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima trattandosi di fatti lesivi di diritti fondamentali della personalità (l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia) che non si inseriscono, tuttavia, nell'ambito di una più ampia ed unitaria condotta abituale, idonea ad imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile. Osservazioni
La decisione in commento si inserisce nell'ambito di plurime pronunce della Suprema Corte che concorrono a delineare lo “statuto” del delitto di maltrattamenti in famiglia definendone i tratti caratteristici e disegnandone i contorni in modo da selezionare i soli comportamenti che abbiano rilevanza penale ex art. 572 c.p. In particolare, la Corte ribadisce il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che individua nel reato di maltrattamenti in famiglia un reato cd. necessariamente abituale, definito da alcuni autori reato a condotta reiterata (cfr. Ferrando Mantovani, Principi di diritto penale, II ed., Padova 2007), integrato dalla sistematica e persistente ripetizione in un determinato arco di tempo, non necessariamente prolungato, di comportamenti commissivi o omissivi, non sempre punibili se considerati isolatamente, anche intervallati da periodi di normalità e accordo con la vittima, che costituiscono fonte di sofferenza morale per quest'ultima: vi rientrano atti di violenza fisica o morale quali percosse, ingiurie, lesioni, e più in generale atti lesivi dell'integrità fisica, della libertà, dell'onore e del decoro della persona, atti di disprezzo e di offesa alla dignità umana non tipizzati nella norma in oggetto. Il reato si configura, pertanto, qualora sia dimostrata la "sistematicità" di condotte violente e sopraffattrici, anche se tali condotte risultino intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari gratificanti per la persona offesa. L'inquadramento del delitto di maltrattamenti in famiglia nei termini sopra esposti consente di individuare, a contrario, i comportamenti che, pur potendo assumere rilevanza penale isolatamente considerati, non integrano il delitto in esame. Invero il Supremo collegio esclude in tal senso tutti quegli atti occasionali ed episodici che, pur essendo lesivi di diritti fondamentali della persona, non siano tra loro inseriti in una cornice unitaria e non siano avvinti dalla finalità di rendere intollerabile la convivenza e che, quindi, non siano costantemente espressivi della sottomissione, sopraffazione e svilimento della personalità della vittima (così, Cass. pen., sez. VI, 20 gennaio 2014, n. 2326; Cass. pen., sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 45037). Siffatta valutazione dell'elemento oggettivo del reato è strettamente connessa all'accertamento dell'elemento soggettivo sul quale si riflettono e si proiettano i comportamenti del reo collegati tra loro in modo da rendere intollerabile per la persona offesa la convivenza e sorretti da un «dolo generico ed unitario volto alla sopraffazione della persona offesa» (definizione, questa, riportata nella costante giurisprudenza di legittimità). Il dolo così descritto va inteso non come il dolo tipico del reato continuato integrato dall'ideazione anticipata di uno specifico programma criminoso che include anticipatamente le singole condotte ma, piuttosto, come consapevolezza e volontà dell'autore del reato di porre in essere i singoli atti quali condotte che si aggiungono a quelle precedentemente commesse in modo da realizzare quella ripetitività costante di atti che dà vita ad un sistema illecito caratterizzato dalla sofferenza morale della vittima. L'intreccio ineliminabile tra la necessaria abitualità “oggettiva” del delitto de quo e la pervicacia dell'elemento psicologico da cui sono attinti i singoli atti lesivi emerge chiaramente dalla possibilità di desumere la prova del dolo, inteso nei termini sopra descritti, dalla «stessa reiterazione e sistematicità delle condotte, nelle quali consiste il maltrattamento, in quanto i singoli episodi, che costituiscono un comportamento abituale, rendono manifesta l'esistenza di un programma criminoso relativo al complesso dei fatti, animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo» (così, Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2007, n. 4139). I comportamenti sporadici ed occasionali sono sorretti, viceversa, da improvvisi e contingenti reazioni dell'uomo frutto “di un dolo d'impeto” improvviso e quindi incapace di unificare le precedenti o susseguenti condotte di maltrattamento secondo quanto richiesto per l'integrazione della fattispecie (cfr. Cass. pen., sez. VI, 16 dicembre 1986; Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 1984). Nella pronuncia in esame si è ritenuto che non rientrino nel paradigma penale dell'art. 572 c.p. quegli atti sporadici espressivi di un atteggiamento di contingente aggressività cagionati all'interno di un menage familiare caratterizzato da continui litigi e reciproche ostilità non potendosi configurare, in tal caso, l'imposizione al soggetto passivo di un regime di vita oggettivamente vessatorio. La Corte si richiama ad una precedente pronuncia della Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019, secondo cui, tra l'altro, nel caso di compimento dei predetti atti sporadici «colui che si rende responsabile di tali fatti non esprime una condotta abituale finalizzata ad alterare l'equilibrio della normale tollerabilità della convivenza, ma dà semplicemente sfogo, in modo errato, alla sua potenzialità reattiva di fronte a situazioni o eventi che percepisce come ingiusti o non corretti e che provocano inevitabilmente in lui uno stato di forte tensione, con l'effetto che la sua azione e le relative conseguenze vanno apprezzate e valutate in quel particolare contesto in cui sono maturate e non come componenti di un insieme comportamentale più ampio, da considerarsi unitariamente». Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, nel quale si inserisce la pronuncia illustrata, assume rilievo fondamentale, pertanto, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 c.p., l'elemento dello stato di soggezione della vittima, rectius la sopraffazione sistematica che determina quel sistema di vita persecutorio, mortificante e insostenibile che dà luogo all'abitualità: «il reato di maltrattamenti non presuppone che ogni singola condotta di violenza morale o fisica costituisca di per sé reato, purché tali condotte siano legate tra loro da un nesso di abitualità. Non è necessario, inoltre, che tali atti siano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato arco temporale: ciò che rileva, pertanto, è l'effetto di vessazione sulla vittima, che viene posta in grave stato di soggezione di fronte alla figura maltrattante», così Cass. pen., sez. VI, 20 aprile 2021, n. 24462). Lo stato di soggezione non deve necessariamente essere totale né deve coincidere con una “situazione di completo annichilimento essendo sufficiente uno stato di avvilimento generale e sopraffazione conseguente alle vessazioni” (così, Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2021, n. 17359; Cass. pen., sez. VI, 4 marzo 1996, n.4015). Non sembra, invece, che vi sia totale uniformità di vedute nella giurisprudenza di legittimità relativamente alla configurabilità della sopraffazione sulla vittima nei casi in cui gli episodi di maltrattamento si inseriscano in un contesto familiare già conflittuale. Ed invero, secondo l'orientamento prevalente, non potrebbe dirsi integrato un regime vessatorio nel caso in cui i comportamenti lesivi dei diritti fondamentali della persona si inseriscano in un contesto familiare caratterizzato da tensioni e liti reciproche e, quindi, da continua conflittualità perché in tal caso non si può dire «che vi sia un soggetto che maltratta ed uno che è maltrattato” (così, Cass. pen., sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 9531; nello stesso senso, Cass. pen., sez. VI, 23 gennaio 2019, n.4935) e, pertanto, in tal caso «l'assenza di atteggiamento di passiva soggezione della vittima di condotte astrattamente integranti maltrattamento in famiglia (e anzi di reattiva contrapposizione ai singoli episodi) esclude la configurabilità del reato […] mancando quella posizione di passiva soggezione dell'una nei confronti dell'altro” (così, Cass. pen., sez. VI, 13 novembre 2015, n. 5258). Secondo quanto ritenuto, invece, almeno in due occasioni dalla Suprema Corte, le forti tensioni tra conviventi che caratterizzano un clima di reciproca intollerabilità non escludono per ciò solo il reato di maltrattamenti in famiglia non ritenendosi, in ogni caso, legittime le reazioni che insistono su condotte abitualmente proiettate all'aggressione, alla mortificazione e all'umiliazione della controparte (così, Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2008, n.35862) e, pertanto, le condotte violente ed umilianti costituiscono reato anche se non sono unilaterali ma reciproche (così, Cass. pen. sez. III, 24 gennaio 2020, n.12026). Alla base di questo diverso orientamento vi è la considerazione secondo la quale se si seguisse l'opposta tesi si farebbe «discendere la rilevanza penale di una condotta vessatoria e violenta endofamiliare dal solo fatto che la stessa sia rivolta o meno in danno di soggetto che si opponga ad essa usando analoghi mezzi di quelli indirizzati a suo danno, quasi che la possibilità di tenere un atteggiamento reattivo escluda in radice la natura persecutoria ed umiliante del regime di vita ex adverso imposto». La sentenza in commento, pronunciandosi su una fattispecie in cui emergevano «reciproci dispetti e litigi di coppia» (secondo quanto dichiarato dalla stessa persona offesa) non affronta espressamente la questione de qua, soffermandosi, piuttosto, sulla tematica della ripetitività degli atti lesivi e su quella della necessità della sopraffazione per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 572 c.p.
FERRANDO MANTOVANI, Principi di diritto penale, II ed., Padova, 2007; FIANDACA MUSCO, Diritto penale parte speciale, I delitti contro la persona, volume 2 - tomo 1, V ed., 2020, Bologna; EMILIO DOLCINI e GIAN LUIGI GATTA, Codice penale commentato, V ed., 2021, Milano; PIETRO SEMERARO, L'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 572 c.p., La tipicità nei maltrattamenti contro familiari e conviventi, nota a Cass. pen., sez. VI, 9 ottobre 2018, dep. 7 febbraio 2019, n. 6126, in Cass. pen. 2020, n. 12; CLAUDIA PECORELLA e PATRIZIA FARINA, La risposta penale alla violenza domestica: un'indagine sulla prassi del Tribunale di Milano in materia di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p., in Diritto penale contemporaneo, Rivista trimestrale, 2/2018; ANGELO BECCU, L'abitualità del reato di maltrattamenti in famiglia e i suoi corollari, Nota aCass., Sez. F, 13 agosto 2019 (dep. 14 agosto 2019), n. 36132, in www.sistemapenale.it, 7/2020; FRANCESCO MARTIN, La brevità della relazione affettiva non integra i maltrattamenti in famiglia: un nuovo orientamento della Corte di Cassazione, commento a Cass. pen., sez. III, 25 gennaio 2021, n. 2911, in www.iusinitinere.it |