Autodeterminazione del paziente terminale: un bene meritevole di immediata protezione giuridica
20 Dicembre 2021
Il danno risarcibile
L'omessa diagnosi di un processo morboso terminale, secondo l'elaborazione della S.C., può dar luogo ad un pregiudizio autonomamente meritevole di ristoro rispetto al danno biologico terminale ed al danno da perdita di chance di maggior sopravvivenza, poiché realizza un danno ontologicamente diverso rispetto a quello strettamente legato all'integrità psico-fisica del malato od alla perdita della possibilità di un'occasione più favorevole. La Suprema Corte, infatti, con le recenti ordinanze 17 novembre 2021 n. 34813 e 12 ottobre 2021 n. 27682, nel dare seguito ad un suo irrefragabile orientamento (più accuratamente espresso in Cass. n. 7260/2018, come si esporrà di seguito) ha ritenuto di accogliere i motivi di gravame dei rispettivi ricorrenti aventi ad oggetto l'autonoma domanda risarcitoria da lesione dell'autodeterminazione del paziente defunto (lesione determinata dalla colpevole omissione diagnostica di una patologia terminale, il cui credito risarcitorio è stato trasmesso iure hereditatis agli eredi).
Secondo la S.C., infatti, l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale configura un danno autonomamente risarcibile nella misura in cui la colpevole omissione diagnostica abbia negato al paziente - oltre che di essere posto nelle condizioni di scegliere le migliori opzioni terapeutiche, anche palliative, consentanee alla fruizione della salute/vita residua fino all'esito infausto, soprattutto - di essere posto nella condizione di programmare appieno il suo essere persona e, quindi, di garantire la piena esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche fino all'inevitabile esito della vita.
La colpevole errata/tardiva/omessa diagnosi di una patologia terminale può dunque integrare un danno risarcibile anche qualora una più precoce diagnosi non avrebbe comunque avuto incidenza causale sull'evoluzione della malattia, poiché l'area dei pregiudizi risarcibili in ipotesi così particolarmente incidenti sulla condizione di vita dell'individuo si estende anche a quella “perdita di un ventaglio di opzioni con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima” (Cass. n. 34813/2021 e Cass. n. 27682/2021).
Il colpevole ritardo nella diagnosi di patologia ad esito infausto determina, dunque, un danno da ricercare in quella peculiare perdita, per il paziente condannato a fronteggiare una morte certa, di opzioni attraverso le quali affrontare - sia dal punto di vista esteriore (dinamico-relazionale) che interiore (sofferenziale) - la prospettiva di un exitus ormai prossimo ed ineluttabile. La risarcibilità di tale distinto pregiudizio origina, dunque, dalla lesione - autonomamente apprezzabile ed oggetto di autonoma tutela - del diritto di scelta riconosciuto al paziente che si trovi in fin di vita e la cui violazione produca effetti dannosi consistenti nel non aver consentito di rassegnarsi alla propria condizione nè di affrontare liberamente e consapevolmente la fine della sua vita, poichè“in tale prospettiva, il diritto di autodeterminarsi riceve positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all'opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione.” (Cass. n. 27682/2021).
Sul fondamento concettuale della risarcibilità del diritto di scelta Cass. 7260/2018 - pronuncia nella quale va ricercato il percorso logico affrontato dalla Corte di legittimità - illustra funditus il ragionamento, ineccepibile, secondo cui “Il senso della compromissione della ridetta situazione soggettiva di libertà appare d'immediata comprensione non appena si rifletta sulla circostanza per cui…anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all'ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali che il velo d'ignoranza illecitamente indotto dalla colpevole condotta dei medici convenuti ha per sempre impedito che si attuassero come espressioni di una scelta personale. Poiché anche la sofferenza e il dolore, là dove coscientemente e consapevolmente non curati o alleviati, acquistano un senso ben differente, sul piano della qualità della vita, se accettati come fatto determinato da una propria personale opzione di valore nella prospettiva di una fine che si annuncia (più o meno) imminente, piuttosto che vissuti, passivamente, come segni misteriosi di un'inspiegabile, insondabile e angosciante, ineluttabilità delle cose. Rilievo che vale a tradursi in una specifica percezione del sé quale soggetto responsabile, e non mero oggetto passivo, della propria esperienza esistenziale; e tanto, proprio nel momento della più intensa (ed emotivamente pregnante) prova della vita, qual è il confronto con la realtà della fine”. Un tertium genus rispetto alla perdita di chance e al danno biologico terminale
La S.C. ha avuto ben cura di precisare che in tali casinon si versi né in ipotesi di danno da perdita di chance né di danno biologico terminale, poiché: - “La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali…non coincide con la perdita di chance connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa (Cass. n. 7260/2018)” (Cass. n. 27682/2021); - “In caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, né nella perdita di "chance" di guarigione, ma include la perdita di un "ventaglio" di opzioni con le quali scegliere come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita, che determina la lesione di un bene reale, certo - sul piano sostanziale - ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali” (Cass. n. 34813/2021 e Cass. n. 27682/2021). La questione, ancora una volta, è affrontata funditus da Cass. n. 7260/2018. In tale precedente, infatti, la S.C. predica la risarcibilità della lesione dell'interesse del paziente ad avere un'aspettativa di vita (residua) migliore in termini qualitativi - non già in termini quantitativi (ovvero quale maggior periodo di sopravvivenza) - interesse che va tutelato non quale mera perdita di chance rispetto alla verificazione di tale risultato, ma in quanto bene distinto, già presente nella sfera giuridica del paziente ed immediatamente apprezzabile, a differenza della chance, il cui risultato è, per definizione, connotato da incertezza ed eventualità probabilistica.
La perdita di una migliore qualità della vita residua - in termini di accettazione della propria condizione e di libertà di scegliere come affrontarla - rileva, dunque, quale distinto evento di danno e non va inquadrato nella “mera” perdita di un risultato eventuale, quale sarebbe invece la chance. Può discorrersi di chance, infatti, solo nel caso in cui l'ottenimento di un vantaggio sia eventuale/incerto e sia apprezzabile alla stregua di bene verosimilmente raggiungibile - in termini probabilistici - quale possibilità̀ protesa verso il futuro. La natura della chance, in altri termini, è quella di “mera” probabilità di un risultato favorevole proiettato nel futuro, ma solo eventuale (cfr. sul tema Cass. n. 28993/2019, facente parte del decalogo di San Martino 2019).
La lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente terminale per omessa/tardiva/errata diagnosi costituisce, invece, un risultato non già meramente eventuale, ma effettivo ed apprezzabile con immediatezza in quanto la miglior predisposizione ad affrontare la vita residua e la miglior selezione di opzioni con cui affrontarla (interessi, questi, meritevoli di autonoma tutela risarcitoria) sarebbero stati con elevatissima probabilità - secondo l'id quod prelumque accidit - fruiti dall'individuo, se tempestivamente/adeguatamente reso edotto della sua imminente fine. Su tale assunto la S.C. ritiene pertanto configurabile, quale eventus damni, la lesione dell'interesse a fruire adeguatamente del periodo terminale della propria vita, quale diretta espressione della personalità dell'individuo.
Riguardo la distinzione qualitativa del danno in esame rispetto al danno da perdita di chance è opportuno richiamare Cass. n. 6688/2018, la quale ebbe già modo di illustrare che “la situazione di un malato terminale, il quale, sempre nel caso che la condotta medica sia corretta, può sopravvivere in misura infima (poche settimane o tutt'al più pochi mesi), e il cui effettivo se non assolutamente precipuo danno, se il medico erra, si incentra pertanto nelle modalità di vita del tempo rimasto…in questa situazione non è ravvisabile la perdita di una possibilità proiettata nel futuro nel senso di futuro miglioramento della propria condizione, bensì la mancata fruizione di quel che, se la condotta del sanitario fosse stata corretta, la persona avrebbe potuto appunto continuare a fruire, giacchè a ben guardare la c.d. qualità della vita è un sinonimo di vita normale/ordinaria”. a) Impredicabilità dei danni in re ipsa Le ordinanze del 17 novembre e del 12 ottobre 2021 si allineano ad alcuni precedenti (cfr. per tutte Cass. n. 10424/2019, oltre alla già più volte evocata Cass. n. 7260/2018) ove la S.C. aveva ritenuto che la scelta del quomodo con cui affrontare il frangente terminale del proprio percorso di vitarappresentasse una situazione giuridica soggettiva meritevole di autonoma tutela risarcitoria, a prescindere dalla rilevanza di eventuali possibili contenuti di tale scelta, dunque sollevando la parte danneggiata dall'ulteriore onere di allegazione e prova in tal senso. Ciò è stato motivato dal giudice di legittimità sull'assunto che la tutela dell'autodeterminazione del paziente terminale, chiamato ad affrontare la più intensa prova della vita (qual è l'accettazione, la rassegnazione ed il confronto con l'ineluttabilità della fine), può prescindere dalle modalità con cui l'autodeterminazione si sarebbe potuta esplicare a fronte di una corretta informazione in quanto tale tutela risarcitoria si risolve nell'immediata protezione giuridica di una specifica forma dell'autodeterminazione individuale, connessa al valore supremo della dignità della persona, la quale deve ritenersi direttamente violata dal colpevole ritardo diagnostico. A fronte di tali argomenti nulla sembrerebbe potersi eccepire circa il sollevare la parte da un onere probatorio che, ad onor del vero, risulterebbe impossibile da sostenere in maniera rigoristica e che può essere sufficientemente assolto tramite il ricorso al notorio ed alle presunzioni. La vera “polemica intellettuale” che potrebbe scaturire dalla suddetta formulazione argomentativa è da individuarsi nella configurazione di un danno che - al netto del percorso logico condivisibilmente strutturato dalla S.C. - parrebbe mostrarsi quasi in re ipsa laddove non necessariamente supportato da ulteriori oneri di allegazione/deduzione.
La massima estrapolata dall'ordinanza n. 27682/2021 - “La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali…non coincide con la perdita di "chances" connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa (Cass. n. 7260/2018)” (Cass. n. 27682/2021) - potrebbe apparire prima facie fuorviante, poiché in essa si discorre chiaramente di non necessarietà di specifiche allegazioni e prove circa i contenuti delle scelte alternative che il paziente terminale avrebbe potuto compiere se adeguatamente informato. Tuttavia il giurista “medio” (cioè eiusdem generis et condicionis, ex art. 1176, comma 2, c.c., per citare M. Rossetti) sa bene che non v'è attività più errata dello studiare la giurisprudenza sulle massime. La lettura della sola Cass. n. 27682/2021 o della sola Cass. n. 34813/2021, senza l'ausilio del più approfondito percorso logico svolto in Cass. n. 7260/2018, potrebbe infatti far apparire “nebuloso” il principio di diritto enunciato.
Il precedente richiamato, in realtà, non solleva la parte danneggiata da qualsiasi onere di allegazione e prova tout court, ma si limita ad illustrare che non vi sia un ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria oltre quelli riguardanti: - il fatto dell'omissione diagnostica/informativa relativa alla patologia terminale; - la colpevolezza dei responsabili nella commissione di tale fatto; - l'apprezzabile sofferenzaconnessa agli effetti della patologia terminale (n.b.: non già la sofferenza connessa alla violazione del diritto di essere informato ed autodeterminarsi, ma quella derivante ex se dal male incurabile non diagnosticato/non comunicato al paziente).
Nella vicenda oggetto della pronuncia n. 27682 del 12 ottobre 2021 (ed anche in quella oggetto della pronuncia 7260/2018), in particolare, la Corte d'Appello aveva rigettato il danno da lesione dell'autodeterminazione poiché aveva ritenuto che gli attori non avessero adeguatamente assolto l'onere di allegare elementi circostanziati relativi alle diverse scelte di vita che il congiunto, paziente terminale, avrebbe adottato se avesse avuto tempestiva consapevolezza delle proprie condizioni di salute.
Dall'esame delle deduzioni contenute negli scritti difensivi degli attori/ricorrenti, tuttavia, la S.C. ha rilevato che risultavano invece sufficientemente allegatele circostanze di fatto riguardanti: - la dolorosa sopportazione di una condizione esistenziale di forte dolore fisico – e, dunque, di effettiva ed apprezzabile sofferenza – in capo al paziente; - la censurabilità della condotta negligente dei sanitari convenuti (astrattamente idonea a provocare il danno), per avere gli stessi compromesso (non avviando tempestivamente il paziente ad approfondimenti diagnostici) le possibilità di un apprezzabile miglioramento della qualità della pur ridotta prospettiva esistenziale che sarebbe derivata dalla conoscenza, da parte del paziente, delle proprie effettive e reali condizioni. La S.C., sempre con riguardo alle vicende oggetto delle pronunce richiamate, ritenendo sufficienti tali allegazioni ai fini della rivendicazione risarcitoria, ha cassato le sentenze delle Corti di Appello nella parte in cui le stesse avevano erroneamente ritenuto indispensabile che - non potendo accedersi a una considerazione in re ipsa del danno denunciato - andassero assolti ulteriori specifici oneri di allegazione su quelle che sarebbero state “le scelte di vita del paziente, diverse da quelle che avrebbe adottato se non si fosse verificato l'evento dannoso”.
Sulla base di tale specificazione Cass. n. 27682/2021 ha in particolare illustrato che “una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito certamente infausto - nonché il dato (di per sé, peraltro, non indispensabile) della condizione di materiale (rilevante o, comunque, apprezzabile) sofferenza del paziente derivante dalla ridetta patologia - la conseguente violazione del diritto del paziente di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una simile condizione di vita, vale a integrare la lesione di un bene già di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno così inferto sulla base di una liquidazione equitativa.”
Ciò, pertanto, non vale a porre in dubbio il principio - oramai ampiamente acquisito dalla giurisprudenza - secondo cui, ogniqualvolta vi sia una lesione di diritti inviolabili tale da richiedere l'applicazione dell'art. 2059 c.c. (nella sua consolidata funzione “tipizzante”), il danno non è mai da considerarsi in re ipsa - cioè meramente coincidente con l'interesse leso - non essendo consentito dal nostro ordinamento che il solo comportamento contra legem del debitore possa tramutarsi in una sanzione scollegata dalle effettive conseguenze pregiudizievoli che tale comportamento ha determinato nel caso concreto. L'onere di allegazione in tal senso, dunque, anche in caso di lesione dell'autodeterminazione del paziente terminale, rappresenta pur sempre una proiezione del principio della domanda (ex artt. 99 e 112 c.p.c.), posto al servizio del moderno sistema processuale e del relativo regime delle preclusioni assertive e probatorie (diretta esplicazione del principio di rango superiore ex art. 111 Cost.). Alla stregua di tale confermato assunto non appare superfluo ribadire che ogni danno non patrimoniale, per trovare ristoro, deve concretizzarsi in quella specifica “diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato” (Corte Cost. n. 372/1994), privazione che deve essere in concreto dedotta e provata, sia pure mediante il notorio e le presunzioni, in quanto “Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza…che deve essere allegato e provato” (Cass. n. 16004/2003, Cass. n. 8828/2003, Cass. n. 8827/2003) ed in quanto “se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l'obbligazione risarcitoria” (SS.UU. n. 581/2008).
b) Incongruenze con alcuni principi generali affermati in tema di danno non patrimoniale Riducendo in summa gli aspetti cardinali della questione, la dominante giurisprudenza in tema di lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente vittima anche di lesione all'integrità psico-fisica afferma diversamente che, per pervenire al riconoscimento della pretesa risarcitoria, occorre pur sempre adoperare un “giudizio controfattuale su quale sarebbe stata la scelta (alternativa, ndr) del paziente ove fosse stato correttamente informato” (Cass. n. 8163/2021), ciò dopo che il danneggiato abbia ottemperato ai consueti oneri di allegazione e prova (la quale potrà ritenersi raggiunta anche ex artt. 2727 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c.). Secondo la recente Cass. 24471/2021, anche nel caso in cui venga allegata la violazione del diritto all'autodeterminazione, l'onere allegatorio del danneggiato non può ritenersi esaurito con la sola deduzione della violazione in quanto è da escludere categoricamente la predicabilità di qualsiasi danno in re ipsa (repetita iuvant: non essendo dato confondere la lesione del diritto con le conseguenze pregiudizievoli che in concreto da essa derivino) ed è pertanto indispensabile allegare specificamente quali pregiudizi ne siano derivati. Ciò in quanto, in caso di contestuale lesione del bene salute, la sofferenza per non avere potuto altrimenti determinarsi non individua, ex se, alcun danno-conseguenza nella sfera giuridica del soggetto (da intendersi nella sua consistenza fenomenica negativa), venendo a coincidere con la stessa violazione del diritto e non soddisfacendo, quindi - tanto nell'an quanto nel quantum del diritto leso - il criterio della causalità giuridica dettato dall'art. 1223 c.c..
In piena coerenza con il vigente sistema risarcitorio - ove il danno è sempre danno-conseguenza e non è mai predicabile quale danno-evento (cfr. anche Cass. n. 7385/2021) - il riparto dell'onere assertivo e probatorio deve seguire i criteri fissati in materia contrattuale, alla luce dei principi da tempo enunciati dalla S.C. (già da SS.UU. n. 13533/2001), secondo cui al creditore-danneggiato da inadempimento spetta l'onere - oltre di allegare l'inadempimento qualificato astrattamente idoneo a causare il danno, anche - di allegare e dimostrare (quantomeno in via presuntiva o in base all'id quod plerumque accidit) che, qualora fosse stato correttamente informato, avrebbe optato per modalità terapeutiche alternative. Dunque anche l'onere di allegare e provare la diversa volontà, le diverse scelte che sarebbero scaturite da una compiuta informativa ed i pregiudizi scaturenti da tale omissione/carenza ricadono interamente sul danneggiato. Diretta conseguenza di tale impostazione è che la responsabilità per violazione dell'obbligo informativo nei casi di concomitante lesione del bene salute sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit informativo, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni (poiché il sanitario, non adempiendo al suo obbligo di informare il paziente, ha precluso a quest'ultimo la possibilità di optare per comportamenti alternativi, comprimendo la sua libertà di scelta), ma non può tramutarsi processualmente nel riconoscimento di alcun risarcimento se non sostenuta da opportune allegazioni e prove riguardo le scelte alternative che si sarebbero verosimilmente intraprese, quale espressione della libertà di disporre di sé e della propria salute.
Lo stesso avviene per il riconoscimento del danno morale e/o della personalizzazione del risarcimento nei casi di concomitante lesione del bene salute. Su tale parallelismo è opportuno richiamareCass. n. 25164/2020 (ma anche Cass. n. 28985/2019, Cass. n. 28986/2019, Cass. n. 28989/2019, Cass. n. 7513/2018 e Cass. n. 901/2018) la quale da un lato afferma claris verbis l'impredicabilità di un automatismo risarcitorio in tema di danno sofferenziale/relazionale, ma allo stesso tempo consacra la prova presuntiva, la quale tuttavia presuppone comunque un onere di allegazione sulle conseguenze dannose patite (in tal caso sofferenziali/preclusive di peculiari attività relazionali), allo stesso modo di come avviene riguardo le eventuali circostanze relative alle attività dinamico-relazionali peculiari per cui si chiede la personalizzazione del risarcimento.
c) Analogie con altra giurisprudenza L'imprescindibile onere allegatorio relativo alle conseguenze dannose ed alle scelte alternative del paziente terminale, invece, secondo le ordinanze n. 34813/2021, n. 27682/2021, n. 10424/2019 e n. 7260/2018, non sussiste in relazione al riconoscimento del risarcimento del danno alla sua autodeterminazione. Tali precedenti, come ampiamente esposto, enunciano apertamente la non necessarietà di specifiche allegazioni e prove circa i contenuti delle scelte alternative che il paziente terminale avrebbe potuto compiere se adeguatamente informato. Sebbene ciò possa apparire in contrasto con quanto affermato in generale in tema di riconoscimento del danno non patrimoniale (come esposto nel paragrafo precedente), per altri versi le tesi propugnate dalle ordinanze in commento si allineano ad una corrente giurisprudenziale che riteneva già affievoliti - in generale - gli oneri di allegazione e prova in tema di lesione dell'autodeterminazione anche in casi più “ordinari” di concomitante lesione del bene salute. Le tesi che vertono in tal senso originano anch'esse da un comune assunto, ovvero che in virtù della difficoltà per il danneggiato di provare un fatto negativo/alternativo secondo la logica retrospettiva del giudizio prognostico ex ante - ovvero provare che il pazienze, se adeguatamente informato, non avrebbe acconsentito al trattamento e/o vi avrebbe acconsentito ma con modalità/tempistiche alternative - l'onere probatorio in tal senso debba ritenersi molto affievolito (in particolare, secondo Cass. n. 11749/2018 e Cass. n. 16503/2017, il danno-conseguenza rappresentato dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso e dalla conseguente sofferenza morale e psichica del soggetto leso nel suo bene salute rappresentano circostanze connotate da normalità conseguenti all'evento e, cioè, da normale frequenza statistica conseguente alla violazione dell'obbligo informativo - corrispondendo all'id quod plerumque accidit - e, pertanto, il danno-conseguenza non esige quella dicotomia rigorosa e specifica di allegazione e prova). In conclusione
a) Sull'an debeatur Dunque potrebbe affermarsi che: - nel caso di violazione del diritto all'autodeterminazione del malato terminale sussiste un autonomo perimetro risarcitorio meritevole di riconoscimento, distinto tanto dal danno biologico terminale quanto dal danno da perdita di chance di conseguire un risultato migliore sul piano non patrimoniale; - l'omessa/tardiva diagnosi sull'esito certamente infausto della patologia configura una lesione, autonomamente apprezzabile, del diritto del paziente ad autodeterminarsi liberamente in vista della disposizione della propria vita residua fino all'esito infausto, ex artt. 2, 3, 13 e 32 Cost.; - l'omessa/tardiva comunicazione circa la diagnosi terminale è rilevante ai fini dell'autonoma liquidazione del risarcimento per i danni derivanti al paziente, in quanto conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto in via autonoma in quanto sarebbe stato fruito dal paziente secondo l'id quod plerumque accidit, senza che per la sua rivendicazione sia dovuto alcun ulteriore onere assertivo/probatorio relativo alle scelte alternative che il paziente avrebbe compiuto se informato; - gli oneri di allegazione e prova devono, però, quantomeno riguardare il fatto (l'omessa/tardiva diagnosi), la colpa (la censurabilità della condotta dei responsabili) ed il danno (la sofferenza patita dal paziente a causa della patologia terminale).
Ciò vale soprattutto considerando le ripercussioni preclusive per il paziente, apprezzabili anche solo quali impedimento allo stesso di accettare preventivamente e consapevolmente le eventuali ineliminabili conseguenze negative della patologia, determinando una limitazione nella misura in cui ciò: - impedisca al paziente di beneficiare dell'apporto positivo che la ricezione di una corretta e tempestiva informazione diagnostica avrebbe sul grado di predisposizione psichica a subìre la patologia e le sue conseguenze; - impedisca al paziente di affrontare le sofferenze e l'ineluttabilità della fine con migliore predisposizione ad accettarne le ineludibili ripercussioni (cfr. sul tema anche Cass. n. 11749/2018, Cass. n. 2369/2018 e Cass. n. 26827/2017); - impedisca al paziente di predisporsi meglio - tramite una preventiva accettazione/rassegnazione - verso la consapevolezza della fine imminente e verso la sopportazione delle ineliminabili conseguenze sofferenziali/relazionali.
b) Sul quantum debeatur Il danno in esame, nel suo an, va risarcito equitativamente dai responsabili per il solo fatto di aver impedito al paziente di esercitare la propria autodeterminazione nell'ultima fase della propria vita; tuttavia null'altro specifica la S.C. in tema di quantum.
Da un punto di vista liquidatorio è impossibile addivenire ad un valore “stipulativo” o “preordinato” del danno in esame, che si dovrebbe apprezzare pur sempre in relazione alle circostanze concrete del caso. Parrebbe corretto, in ambito di quantificazione, fare ricorso ai criteri giurisprudenziali dettati in tema di personalizzazione del risarcimento - secondo il pluri-decennale dettato giurisprudenziale in materia - in quanto resta fuor di dubbio che, anche in materia di autodeterminazione terminale: - ogni individuo rappresenti un unicum irripetibile; - la funzione ripristinatoria della responsabilità civile possa esprimersi solo fuggendo da pre-impostate strutture liquidatorie che non possono equamente ristorare peculiari situazioni lesive del diritto all'autodeterminazione (come ad esempio avviene in altri casi peculiari di lesione dell'autodeterminazione quali il danno da nascita indesiderata o il danno da perdita della capacità procreativa, per citare i più rilevanti ed eccezionali). Su tale premessa non pare dunque errato affermare che il quantum debba pur sempre poter essere elevato in ragione delle peculiarità delle opportunità di vita perdute dal paziente, secondo il tradizionale schema di allegazione e prova, anche presuntiva, della rilevanza causale che la violazione del diritto ha avuto sulla vita concreta del paziente.
Come esposto, per ottenere il riconoscimento di un quantum risarcitorio equitativamente determinato, non vi è necessità di allegare la rilevanza causale della violazione dell'autodeterminazione, potendo il relativo danno - consistente nella privazione di ventaglio astratto di possibilità di scelta di come vivere l'ultima fase della vita - essere liquidato secondo l'equo apprezzamento del giudice in quanto il bene leso riceve già diretta tutela a livello costituzionale ed il risarcimento scaturisce dalla sola violazione di tale interesse, in quanto appartiene all'id quod plerumque accidit la considerazione che il diritto stesso sarebbe stato fruito dal paziente in vita, qualora informato.
Dunque, per ottenere una liquidazione standard non vi sarebbe onere di ulteriore allegazione e prova, in termini di: - cosa si sarebbe fatto in caso di tempestiva e adeguata diagnosi; - che preclusioni probabili/verosimili ciò ha comportato per il soggetto destinato a cessare di vivere; - come, dove e quando il paziente avrebbe potuto esercitare quel “ventaglio di opzioni con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima”; - quali circostanze di fatto vi sarebbero a sostegno della prova presuntiva rispetto a tali danni preclusivi (rectius: quali elementi idonei a fornire la serie di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto). Questo può ritenersi condivisibile in via di principio se si prospettano circostanze standard e generiche, comuni a tutti gli individui secondo il notorio.
Al contempo, però, non può ritenersi preclusa al danneggiato la facoltà di dimostrare ulteriori e peculiari maggiori danni subìti dal paziente in vita, rappresentati da altrettante peculiari opportunità perdute a causa dell'omessa diagnosi che, se circostanziatamente allegate e provate (quantomeno presuntivamente), ben potranno dare luogo ad una personalizzazione di tale danno che, comunque, resta apprezzabile a livello squisitamente equitativo.
Inoltre non dovrebbe dubitarsi circa il cumulo di tale ristoro con eventuali ulteriori danni: ad esempio, ponendoci in un'ipotesi di iniziale omessa diagnosi di patologia ad esito certamente infausto che poi venga successivamente (tardivamente) diagnosticata e portata a conoscenza dell'individuo a pochi giorni dall'ineluttabile decesso, in tal caso il risarcimento per l'omessa autodeterminazione terminale ben potrà cumularsi con il danno morale catastrofale, conseguente alla lucida consapevolezza dell'imminente sopraggiungere della morte, che è patema sofferenziale diverso ed autonomamente tutelabile rispetto alla (diversa) consapevolezza di aver “sprecato” gli ultimi mesi di vita poiché non posto nella condizione di affrontarli con la consapevolezza di dover morire.
Nulla nega la Cassazione nemmeno sulla cumulabilità del danno in esame con il danno da perdita di chance (anzi la conferma nemmeno tanto implicitamente). La S.C. lascia infatti intendere che l'eventuale specificità di allegazioni e prove circa i contenuti delle scelte alternative che il paziente terminale avrebbe potuto compiere se adeguatamente informato -sebbene non necessaria per ottenere il ristoro equitativo del danno da lesione dell'autodeterminazione terminale - possano comunque configurare l'ulteriore (ed ontologicamente diverso) danno da perdita di chance. Se infatti si riuscisse a dimostrare che il paziente, qualora tempestivamente reso edotto della patologia terminale, avrebbe verosimilmente afferrato questa o quella peculiare occasione di vita (che magari, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, aveva in precedenza mostrato di voler affrontare ma in un tempo futuro) non parrebbe esserci alcun ostacolo alla cumulabilità risarcitoria del danno all'autodeterminazione con il diverso danno da perdita di occasione favorevole.
Dunque qualora si riuscissero a dimostrare processualmente le scelte alternative che il paziente avrebbe verosimilmente compiuto (sia in termini cure palliative che in termini di miglior utilizzazione della propria vita residua, come viaggiare in luoghi mai visti prima ma appuntati sulla propria “agenda di vita” o fare esperienze che si rimandavano da tanto tempo in attesa di un momento più giusto, ecc.) ciò dovrà essere valutato alla stregua del diverso danno da perdita di chance,daliquidarsi pur sempre secondo equità, ma che si andrà a cumulare con il danno da lesione dell'autodeterminazione terminale, in quanto i beni lesi godono di autonome tutele costituzionali e non sono tra loro ontologicamente sovrapponibili. |