I regolamenti comunali che individuano zone territoriali sottoposte a vincolo devono osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati

Nicola Frivoli
21 Dicembre 2021

Il principio che anche la costruzione realizzata in zona soggetto a vincolo edilizio, deve osservare le norme in materia di distanze previste dalla legislazione speciale o dal codice civile, non può venir meno per il fatto che la pubblica amministrazione ometta o ritardi di sanzionare con provvedimenti a carattere reale la violazione del vincolo di inedificabilità.

Il caso. L'attrice citava innanzi Tribunale di merito la convenuta al fine di sentire accertare e darsi atto dell'esistenza della servitù di passaggio con ordine alla resistente di astenersi da impedimenti e turbative. Si costituiva la convenuta insistendo per il rigetto dell'avversa domanda ed in via riconvenzionale chiedeva l'arretramento di quella parte di corpo di fabbrica realizzato in violazione delle distanze. Si costituiva, altresì, il terzo chiamato in causa, figlio dell'attrice, che aderiva alle richieste dell'istante. In reconventio reconventionis l'attrice chiedeva costituirsi servitù coattiva di scarico delle acque nere in suo favore e a carico della convenuta. Con sentenza non definitiva, il Tribunale accoglieva la domanda attorea, e accertava e dava atto dell'esistenza della servitù di passaggio; in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava l'attrice ad arretrare rispettando la distanza di cinque metri dal confine con la proprietà della convenuta; rigettava ogni altra domanda e disponeva con ordinanza per il prosieguo istruttoria. Con sentenza definitiva, il Tribunale costituiva servitù coattiva di scarico delle acque nere in favore dell'unità immobiliare di proprietà dell'attrice ed a carico dell'unità immobiliare di proprietà della convenuta, così come indicato dalla relazione di CTU. Avverso entrambe le sentenze l'attrice ed il terzo chiamato in causa proponevano gravame, resisteva l'appellata proponendo appello incidentale avverso la sentenza definitiva. La Corte d'Appello rigettava il gravame principale confermando la sentenza non definitiva; accoglieva parzialmente il gravame incidentale, rigettando la domanda di costituzione di servitù coattiva di scarico proposta in reconventio reconventionis, confermando per il resto le gravate sentenze. Avverso tale sentenza proponevano ricorso in cassazione gli appellanti, sulla scorta di sei motivi. Si costituiva con controricorso l'amministrazione di sostegno della resistente chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o il rigetto dell'avverso ricorso.

Le norme urbanistiche non derogano alla disciplina delle distanze minime. I giudici di legittimità hanno affrontato sei motivi di censura, accogliendo il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito in tale accoglimento il sesto motivo; rigettano il secondo, terzo, quarto e quinto motivi. In particolare, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione falsa applicazione degli artt. 872 e 873 c.c.; la Suprema Corte ritiene tale motivo meritevole di accoglimento affermando che anche la costruzione realizzata in zona soggetta a vincolo di inedificabilità, deve osservare le norme in materia di distanze previste dalla legislazione speciale o, in via residuale, dal codice civile, pertanto lo strumento urbanistico comunale deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, trattandosi di disposizioni di immediate ed inderogabile efficacia precettiva, cosicchè, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima, la disciplina dettata dall'art. 9 d.m. n. 1444/1968, sostituirà ipso iure quella difforme contenuta nei regolamenti. Nel caso esaminato, i Giudici di legittimità ritengono che trattasi di edificio realizzato ex novo, pertanto è in re ipsa edificato in violazione delle distanze e quindi illegittimo. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciavano la violazione dell'art. 873 c.c. e del piano interventi specifico dei centri storici. Tale motivo è stato respinto avendo ritenuto, la Suprema Corte che il giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto sussistere il carattere di nuova costruzione del manufatto realizzato. Con il terzo motivo e il quarto motivo, i deducenti eccepiscono la violazione dell'art. 889 c.c.; entrambi i motivi sono stati rigettati, in particolare con il terzo motivo i ricorrenti sollecitano la Suprema Corte al riesame di circostanze di fatto e delle risultante di causa che in sede di legittimità sono immeritevoli di qualsivoglia seguito; con il quarto motivo, i ricorrenti hanno ritenuto illegittima la decisione della Corte d'appello territoriale allorchè ha opinato per l'applicabilità della distanza di cui all'art. 889 c.c., anche i fili conduttori dell'energia elettrica, che invece non possono essere assimilati ai tubi del gas. La Cassazione ha, invece, ritenuto che nulla osta acchè ai tubi dell'acqua e a quelli del gas siano assimilati i fili conduttori dell'energia elettrica. Con il quinto motivo, viene denunciata la violazione degli artt. 1037 e 1043 c.c., per l'omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. La Suprema Corte ritiene non sussistere alcuna anomalia motivazionale rilevante, atteso che la Corte territoriale ha compiutamente ed intelligibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo. L'accoglimento del primo ricorso, assorbe l'esame del sesto motivo, con cui si è prospettato che all'auspicata cassazione della sentenza della Corte d'appello, deve seguire la riforma del capo relativo alla regolamentazione delle spese lite e di CTU.

In conclusione, quattro motivi di censura sono stati considerati infondati; veniva accolto solo il primo motivo, che assorbiva anche il sesto motivo censura, rinviando alla Corte territoriale competente, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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