Lastrico solare: quando è usucapibile?

Redazione scientifica
22 Dicembre 2021

La Corte di Cassazione ha negato l'usucapibilità del lastrico solare rimasto in comproprietà indivisa tra due sorelle.

La vicenda. Un uomo devolveva in eredità l'intero stabile di sua proprietà in comunione pro indiviso, attribuendo la nuda proprietà alle nipoti (sorelle) e l'usufrutto alla moglie, prevedendo espressamente che l'accesso dal pianterreno al piano superiore e al lastrico solare sarebbe stato murato, di modo che la proprietaria del pianterreno non avrebbe avuto più accesso diretto al lastrico solare.

Le nipoti procedevano alla divisione volontaria della nuda proprietà dell'immobile, donandola a loro volta ai figli, e vendevano il 50% della comproprietà rimasta indivisa del lastrico solare in questione ad una s.p.a.

La figlia della proprietaria del piano terra dello stabile conveniva in giudizio la società, chiedendo che le venisse riconosciuta la comproprietà del lastrico solare di copertura dell'immobile, sul presupposto che l'accesso allo stesso le era stato precluso in dipendenza della realizzazione di opere da parte della società senza il suo consenso.

La società si costituiva in giudizio, instando per il rigetto della domanda e chiedendo, in via riconvenzionale, la dichiarazione dell'acquisto della proprietà per usucapione in suo favore del lastrico condominiale. Il Tribunale rigettava la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale.

La Corte di appello di Bari confermava la sentenza impugnata, ritenendo che si erano venuti a configurare i requisiti in capo alla società acquirente per la maturazione dell'usucapione in favore della stessa.

La figlia ricorre in Cassazione.

La decisione della Corte. Il ricorso è fondato. La Corte d'Appello, infatti, ha del tutto omesso di considerare che le due sorelle avevano venduto alla società solo il 50% della comproprietà rimasta indivisa del lastrico solare, il cui accesso non era rimasto del tutto escluso alla proprietaria del pian terreno, prima, e alla sua avente causa, poi, ritenendo erroneamente che si fossero venuti a configurare i requisiti in capo alla società acquirente per la maturazione dell'usucapione in favore della stessa.

A riguardo, i Giudici chiariscono che in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l'usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l'impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell'atto materiale, il termine per l'usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva (Cass. civ., n. 5226/2002 e n. 11903/2015).

Secondo la Corte, infatti, solo quando il comproprietario sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che utilizzi il bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus".

A ciò si aggiunge il fatto che solo il compossessore "pro indiviso" di un immobile, che poi consegua il possesso esclusivo di fatto ed incontestato di una porzione di esso in esito a divisione, può invocare, ai fini dell'usucapione di tale porzione, anche il precedente compossesso, in virtù della sopravvenuta qualità di successore nel compossesso degli altri condividenti e della possibilità, prevista dall'art. 1146, comma 2, c.c., di accessione del proprio possesso a quello esercitato dai condividenti medesimi.

Per questi motivi, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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