Competenza sul reclamo in tema di nomina di curatore speciale per la rappresentanza in giudizio della società

29 Dicembre 2021

In tema di individuazione del giudice competente in sede di reclamo di provvedimenti emessi in materia di volontaria giurisdizione, in assenza di apposita previsione, l'impugnazione va proposta di regola dinanzi al giudice superiore...
Massima

In tema di individuazione del giudice competente in sede di reclamo di provvedimenti emessi in materia di volontaria giurisdizione (nella fattispecie: impugnazione di decreto di nomina di un curatore speciale della società

ex art. 78 c.p.c.

),

deve ritenersi che, in assenza di apposita previsione, l'impugnazione va proposta di regola dinanzi al giudice superiore, secondo il principio di cui è espressione l'

art. 341 c.p.c.

, in composizione collegiale

, salve specifiche particolari previsioni derogatorie.

Il caso

Il caso di specie trae origine dal reclamo dinanzi alla Corte d'Appello veneziana, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 739 e 742 bis c.p.c., avverso un decreto di nomina (emesso dal Presidente della Sezione competente del Tribunale di Venezia) di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. per la rappresentanza in giudizio di una società, prima dell'inizio del giudizio di merito concernente l'impugnazione di delibere societarie.

La Corte d'Appello di Venezia, con ordinanza dell'8.6.2020, linearmente ai precedenti in tema, ha implicitamente ritenuto esperibile il rimedio del reclamo avverso il decreto di nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c., pur tuttavia ha concluso per l'inammissibilità del reclamo avanzato dal legale rappresentante della società a cui era stato nominato il curatore speciale, per non essere stato indirizzato al Tribunale in composizione collegiale, affermando che “in difetto di una norma speciale attributiva della competenza, trova applicazione, in forza dell'art. 742 bis c.p.c., la regola generale di cui all'art. 739 c.p.c., secondo cui sono reclamabili alla corte d'appello i decreti pronunciati dal tribunale, mentre i decreti pronunciati dal giudice monocratico, quand'anche presidente del tribunale o di una sua sezione, sono reclamabili davanti allo stesso tribunale”.

In altre parole, la Corte Veneziana ha ritenuto di applicare tout court al caso di specie la regola prevista, in tema di “reclami delle parti”, dall'art. 739 c.p.c. concernente l'impugnazione dei decreti del giudice tutelare in prima battuta e del tribunale poi, interpretando la norma di rinvio di cui all'art. 742 bis c.p.c. come precettiva e vincolante in ordine ad ogni disposizione contenuta nel capo VI (“Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio”). Conseguentemente la Corte veneziana arriva ad applicare, per analogia in ambito societario, le previsioni specificamente previste per il giudice tutelare, correlando (implicitamente) detta figura a quella di qualsivoglia giudice monocratico che si vada ad esprimere in ambito di volontaria giurisdizione.

Avverso tale decisione la società reclamante ha proposto ricorso per regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c., chiedendo che la Cassazione dichiarasse competente la Corte d'appello a decidere sul reclamo avverso un provvedimento di volontaria giurisdizione emesso (come nel caso de quo) da un Presidente di Sezione del Tribunale.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Lo strumento del reclamo (avverso il decreto di nomina di curatore speciale, anche in ambito societario, ex art. 78 c.p.c.) è stato ritenuto dai più esperibile anche in ambito societario (vedasi la stessa Corte Appello di Venezia, 21.3.2000, in Gius., 2000, 1374, e Trib. Genova, 30.3.2004, in Società, 2004, 1134).

Sul punto deve valutarsi se il rimedio del reclamo ex artt. 739 e 742 bis c.p.c. possa dirsi ammissibile, anche nel caso di assegnazione, ai sensi dell'art. 78 c.p.c., alla società di un curatore speciale, il quale, come è noto, viene nominato quando sussista un conflitto di interessi tra la società medesima e il suo legale rappresentante, nel caso in cui vi sia una conclamata divergenza di interessi tra i due, come in ipotesi di censurata responsabilità dell'amministratore verso la società medesima (da ultimo Cass. 20.9.2021, n. 25317, in Diritto & Giustizia 2021, con nota di Paganini).

In argomento, la Corte D'Appello di Firenze nel 2019 ha evidenziato che tale provvedimento “emesso anteriormente all'instaurazione della lite ed assunto nella forma del decreto, rientra fra i provvedimenti di volontaria giurisdizione, come tali reclamabili ai sensi dell'art. 739 c.p.c.” (sull'esperibilità anche in corso di lite vedasi Corte App. Genova 6.9.2016, contra in un obiter dictum vedasi Cass. 13.4.2015 n. 7362).

Né il fatto che il provvedimento de quo sia modificabile e/o revocabile da parte dell'organo giurisdizionale davanti al quale la lite è pendente può rilevare al punto da escludere il reclamo, atteso che il rimedio della revoca deve ritenersi “alternativo” al reclamo in quanto “presuppone il sopravvenire di nuove circostanze”. Così statuisce la predetta decisione della Corte d'Appello di Firenze, che ipotizza il rimedio della revoca anche nel caso di “sopravvenuta conoscenza di circostanze in precedenza non note (secondo lo schema normativo previsto dall'art. 669-decies c.p.c. in materia cautelare)” (in merito, vedasi Montesano, Sull'efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei giudici civili, in RDC, 1986, 591, sui rapporti tra reclamo e regime di modifica e/o revoca, tenuto conto del disposto di cui all'art. 742 c.p.c., che consente il regime di modifica “in ogni tempo”, vedasi Arieta, in Digesto delle Discipline Privatistiche, sez. civ. XIV).

In definitiva, come precisato in una delle poche decisioni sinora pubblicate in argomento, ossia l'ordinanza del 30.8/6.9.2016 della Corte d'Appello di Genova, deve ritenersi ammissibile l'impugnazione avverso il decreto di nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. in dipendenza del tenore testuale dell'art. 742 bis c.p.c., posto cheil fatto che la nomina di un curatore speciale sia ‘strumentale' ad un giudizio pendente, non dovrebbe essere in grado di escludere il reclamo ‘camerale' le volte in cui l'utilizzo di tale strumento di impugnazione sia in grado di consentire, nell'interesse della stabilità del risultato attinto dalla cognizione (di merito, così come cautelare) e del diritto di difesa delle parti, un'eventuale rimozione del provvedimento prima ancora che esso abbia esplicato effetti sulla costituzione in giudizio della parte”.

Ciò premesso, quello che è (sinora stato) dubbio è il giudice competente a decidere del reclamo.

Osservazioni

In prima battuta la Cassazione si è occupata di una dibattuta questione prodromica, e ha respinto l'eccezione processuale della Procura Generale secondo cui il regolamento di competenza non sarebbe ammissibile in quanto proposto avverso un provvedimento che “deve essere inteso come una dichiarazione d'inammissibilità di impugnazione”, non essendo “l'identificazione dell'ufficio giudiziario investito del potere di decidere sulla impugnazione […] riconducibile alla nozione di competenza”.

Secondo la Procura generale, infatti, in tal caso il regolamento di competenza non sarebbe ammissibile, in quanto concerne “esclusivamente la sussistenza delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità con il mezzo di impugnazione previsto dall'art. 42 cod. proc. civ (cfr. Cass. 21667/2015; Cass. 11259/2014)”.

La Suprema Corte, censurando la tesi minoritaria serpeggiante anche in sede di legittimità (così Cass. 5092/2018, Cass. 26375/2011 e Cass. 2709/2005), ha ribadito il proprio orientamento maggioritario che ha preso il sopravvento dall'insegnamento delle Sezioni Unite risalente alla decisione del 14.9.2016 n. 18121, precisando che l'impugnazione proposta davanti al giudice incompetente, anche nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, non è inammissibile, in quanto comunque idonea a instaurare un valido rapporto processuale, “suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della ‘translatio iudicii' “, con la conseguenza che, avverso il provvedimento che erroneamente dichiari l'inammissibilità dell'impugnazione,deve ritenersi esperibile il rimedio del regolamento necessario di competenza (vedasi in tal senso di recente anche Cass. 15463/2020).

A seguito del predetto arresto giurisprudenziale, è stata ritenuta ammissibile la “translatio iudicii” anche qualora il provvedimento concerna esclusivamente la competenza del giudicante adito (sul punto vedasi Mastrangelo, L'ammissibilità della «translatio iudicii» in caso di appello a giudice incompetente in Foro it., 2017, I, 648).

Detta possibilità è stata ritenuta ammissibile anche in relazione alle ipotesi concernenti l'errore, non solo riguardante l'individuazione del giudice territorialmente competente, ma anche quello relativo al grado del giudice dell'impugnazione (vedasi anche Cass. SS.UU. 18.6.2020, n. 11866). In tale ottica, deve ritenersi ammissibile, secondo la Corte, il regolamento di competenza perché nei confronti i provvedimenti non aventi carattere definitivo e decisorio, in tema di volontaria giurisdizione anche ove si pronuncino “solo sulla competenza” e ciò “attesa la necessità di garantire ai titolari dei diritti che ne chiedono il riconoscimento una risposta pronta e sicura del giudice di legittimità circa l'applicazione delle regole e dei criteri sulla competenza” e tenendo conto anche dell'attitudine al giudicato rebus sic stantibus (così Cass. SS. UU., 13.12.2018 n. n. 32359) dei provvedimenti definitivi dei giudizi camerali.

Superate le questioni preliminari, la Suprema Corte afferma (finalmente in modo espresso) che “deve ritenersi che, in assenza di apposita previsione – come ad esempio negli artt. 739 e 669 terdecies c.p.c. con riguardo ai provvedimenti monocratici emessi, rispettivamente, dal giudice tutelare e dal giudice designato nei procedimenti cautelari, per i quali il reclamo va proposto al collegio del medesimo tribunale – l'impugnazione va proposta di regola dinanzi al giudice superiore, secondo il principio di cui è espressione l'art. 341 c.p.c., in composizione collegiale”.

In tale ottica, Il Supremo Collegio afferma che, a fortiori, la conclusione deve ritenersi applicabile all'ipotesi (come quella oggetto di contenzioso) in cui il provvedimento da impugnare sia emesso dal presidente del tribunale, in quanto figura apicale in relazione alla sua “posizione istituzionale”, in linea anche con il dettame normativo di cui all'art. 708 c.p.c. (in materia di separazione coniugale e affidamento dei figli).

Del resto, anche a livello sistematico è pur vero che la legge è silente sulla specifica situazione (impugnazione del decreto ex art. 78 c.p.c.), e che nei casi in cui è prevista la competenza del Presidente del Tribunale a decidere le soluzioni non siano state uniformi in tema di impugnazione (prevedendosi talvolta la competenza del Presidente della Corte d'appello, e altre volte della Corte d'appello medesima: vedasi per quanto riguarda il primo caso l'art. 59 disp. att. c.c.; l'art. 82 disp. att. c.c.; art. 750 c.p.c.; art. 79 disp. att. c.c.; per quanto riguarda il secondo vedasi art. 708, comma 4, c.p.c.), ma è altrettanto vero che mai il legislatore ha attribuito la competenza del Tribunale a decidere su un provvedimento del proprio Presidente.

In tal modo, sia pure non esplicitamente, la Cassazione fornisce una lettura diversa, rispetto a quella fornita dalla Corte d'Appello veneziana, del rimando previsto dall'art. 742 bis c.p.c. alle disposizioni del medesimo capo per tutti i procedimenti in camera di consiglio. Secondo la Cassazione, le disposizioni precettive specifiche (di cui all'art. 739 c.p.c.) in tema di giudice tutelare non possono applicarsi tout court agli altri procedimenti, tanto più in materia societaria, ma vanno applicate armonizzandole, in un'interpretazione costituzionalmente orientata (va aggiunto), con i principi generali in materia processualcivilistica.

In tale ottica, la Cassazione evidenzia che non può non tenersi conto del principio generale derivante dall'art. 341 c.p.c. (che si desume idoneo come tale a fungere anche da tertium comparationis, nell'ottica di una lettura costituzionalmente orientata), atteso il fatto che il giudice dell'impugnazione deve ritenersi fisiologicamente di grado superiore a quello che ha pronunciato il provvedimento censurato.

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