Il compenso del liquidatore è sempre assoggettabile a revocatoria fallimentare se effettuato nel periodo sospetto

30 Dicembre 2021

La Cassazione, sesta sezione civile, con l'ordinanza n. 26244 dello scorso 28 settembre 2021, ha escluso l'esenzione in base all'art. 67, comma 3, lett. a) e lett. f). Motivando il proprio rigetto, la Corte di legittimità respinge le richieste avanzate, ricordando che nel nostro sistema la revocabilità è la regola, mentre le deroghe rappresentano l'eccezione.
Massima

La Cassazione, con l'ordinanza n. 26244 dello scorso 28 settembre 2021, ha escluso che rientri nell'esenzione propsettata dall'art. 67, comma 3, lett. a) e lett. f), l. fall., il pagamento del corrispettivo spettante al liquidatore per l'attività svolta per una società poi fallita.

Motivando il proprio rigetto, la Corte di legittimità respinge le richieste avanzate, ricordando che nel nostro sistema la revocabilità è la regola, mentre le deroghe rappresentano l'eccezione

La questione giuridica e la soluzione

Confermando la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta che, a sua volta, aveva ribadito la conclusione del Tribunale di Gela, i Giudici Supremi escludono in modo netto che nell'esenzione prospettata dal comma 3, lett. a) ed f) dell'art. 67 l.fall., rientri il pagamento del corrispettivo del liquidatore per l'attività svolta prima che la società fallisca.

Afferma la Cassazione che nell'attuale ordinamento opera un principio di base, vale a dire quello della revocabilità dei pagamenti e dei negozi posti in essere nel cosiddetto periodo sospetto.

Le numerose esenzioni introdotte nel 2005, tra cui quelle riferite all'art. 67, comma 3, lett. a) ed f), non hanno scardinato il sistema perché rimangono e vanno trattate come eccezioni.

Sul punto, i giudici di legittimità ricordano ancora che le tante fattispecie esonerative presentano pur sempre un unico filo conduttore costituito dalla circostanza di rispondere a particolari interessi di natura superiore.

Per poter rientrare nell'ambito di un'esenzione e sottrarsi alla revocabilità, occorre, pertanto, che il pagamento del compenso del liquidatore trovi la propria ragione giustificativa in un interesse superiore.

Osservazioni

Art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. - Secondo la Cassazione, è vano ogni riferimento all'art. 67, comma 3 lett. a), L.fall., secondo cui l'esenzione non si applica ai “pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso”.

In questa fattispecie, infatti, l'esclusione da revocatoria fallimentare è motivata dall'esigenza superiore di favorire la conservazione dell'impresa dagli effetti della crisi. Vi rientrano, di conseguenza, i pagamenti delle forniture “quali negozi immediatamente espressivi dell'esercizio dell'attività, a condizione che siano compiuti secondo i termini d'uso” ( in tal senso v. Cass. n. 25162/2016).

Il pagamento del compenso del liquidatore non può invece assimilarsi al pagamento di una fornitura che, come avverte la Cassazione, “innerva”, unitamente alle altre, la produzione di beni e servizi e , quindi, l'esercizio dell'impresa. Si tratta, invece, di un pagamento estraneo alla struttura produttiva dell'impresa perché appartiene più a quella organizzativa della stessa tenuto conto della funzione specifica del liquidatore. Questi svolge infatti un'attività volta a monetizzare il valore dei cespiti aziendali e a recuperare i crediti in modo da poter soddisfare i creditori.

Del resto, adottare la tesi in base alla quale sarebbero esenti da revocatoria fallimentare tutti i pagamenti effettuati dall'impresa secondo i termini d'uso significherebbe ribaltare di 360 gradi il rapporto tra regola ed eccezione che pur caratterizza il sistema vigente.

Art. 67, comma 3, lett. f) l.fall. – Il pagamento del compenso al liquidatore, non rientra nemmeno nella fattispecie di esenzione prevista dalla lettera f) dell'art. 67, terzo comma L. fall.; quest'ultima la dispone per i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti e da altri collaboratori anche non subordinati del fallito.

Ebbene, la ragione giustificativa dell'esclusione si riscontra nella “protezione del fattore della produzione che è costituito dalla forza lavoro (anche intellettuale)”.

E ciò per due motivi: in primo luogo, perché è “un credito di peculiare dignità (anche costituzionale, ex art. 36 Cost.) e poi “perché l'esenzione finisce per aiutare (seppure in modo indiretto) la conservazione dell'organismo produttivo e la funzionalità del medesimo (nel caso anche per una migliore cessione dell'azienda)”.

Al fuori di tale contesto, dunque, l'esenzione non opera; ne discende la revocabilità del compenso del liquidatore che proceda a pagare il corrispettivo per lo svolgimento della propria funzione, lasciando insoddisfatti i debiti verso terzi.

E' il liquidatore, infatti, che provvede a ripartire quanto realizzato tra i vari destinatari e che, nel pagare il debito per la propria attività, sottrae somme alla distribuzione tra creditori concorrenti.

Il pagamento del compenso al liquidatore è dunque lesivo della par condicio creditorum e come tale , se l'importo è stato erogato nel periodo sospetto, resta suscettibile di revocatoria fallimentare.

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