I confini dell’eccesso di potere giudiziario

Cristina Asprella
03 Gennaio 2022

La questione alla base della pronuncia è quella relativa all'interpretazione dei confini dell'eccesso di potere giurisdizionale denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione.
Massima

L'eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione nonché di difetto relativo di giurisdizione, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze «abnormi, «anomale» ovvero di uno «stravolgimento» radicale delle norme di riferimento; sicché tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell'esercizio del potere medesimo.

Il caso

La Linde Medicale s.r.l. (d'ora in poi Linde) impugnava sulla base di alcuni assunti (si veda la motivazione della pronuncia in commento) il provvedimento n. 26316 adottato dall'AGCOM con cui era stata irrogata a suo carico la sanzione amministrativa per la costituzione di una intesa restrittiva della concorrenza nell'ambito della partecipazione alle procedure di gara indette dall'ASL Milano 1, da So.re.sa. s.p.a. nonché dall'Azienda sanitaria unica regionale delle Marche, indette tra il 2010 e il 2013, prima sul modello della aggiudicazione a unico fornitore per lotti distinti, poi sul modello della procedura negoziata per la fornitura di servizi di ossigenoterapia e ventiloterapia domiciliare.

Con tale provvedimento in particolare l'AGCOM rilevava l'esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza, nella forma della «pratica concordata» tra società sulla base di alcuni rilievi (tutti esposti nella motivazione della pronuncia).

Il TAR Lazio accoglieva il ricorso proposto contro tale provvedimento con sentenza n. 4484 del 24 aprile 2018. Secondo il TAR Lazio le sollecitazioni sul tipo di gara non potevano dirsi di carattere anticoncorrenziale; la semplice constatazione di un parallelismo di comportamenti non era l'unica ipotesi plausibile; il comportamento anticoncorrenziale asserito non era esclusivo e, infine, i documenti richiamati dall'AGCOM non erano utilizzabili nei confronti della ricorrente.

Con sentenza n. 52 del 3 gennaio 2020 il Consiglio di Stato accoglieva l'appello proposto dall'AGCOM e la sanzione originaria nei confronti della Linde veniva ripristinata.

Contro tale pronuncia proponeva ricorso la Linde, affidandolo a un unico motivo. Essa lamentava, infatti che il Consiglio di Stato fosse incorso in diniego e/o rifiuto di giurisdizione per avere omesso di esercitare il sindacato giurisdizionale pieno, sotto il profilo istruttorio, sul provvedimento sanzionatorio adottato dall'AGCOM. In particolare, per quanto qui interessa, la tesi della parte ricorrente si fonda, in punto di ammissibilità del ricorso, su una interpretazione «dinamica» o «funzionale» della nozione di giurisdizione delineata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione; nel merito la ricorrente assume che il Consiglio di Stato, invece di sottoporre l'accertamento della sussistenza della presunta pratica concordata nella forma del «parallelismo dei comportamenti» al rigoroso standard probatorio richiesto in materia antitrust, in conformità ai principi elaborati dalla giurisprudenza sia nazionale che comunitaria, si sia limitato in modo apodittico a confermare l'accertamento contenuto nel provvedimento dell'AGCOM omettendo di sottoporre tale provvedimento a una verifica di verità e di congruità logica.

Con memoria depositata ex art. 380-bis.1 c.p.c. la ricorrente argomentava sulla necessità di disporre, subordinatamente all'accoglimento del ricorso, rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea sul quesito se il principio della tutela giurisdizionale effettiva… osti ad una prassi interpretativa relativa agli artt. 111 Cost., comma 8, art. 360, comma 1, n. 1 e 362, comma 1, c.p.c. e 110 c.p.a., nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione contro le sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, quale si evince dalla sentenza della Corte cost. n. 6/2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva, che ritiene che il rimedio del ricorso per cassazione non possa essere utilizzato per impugnare una sentenza del Consiglio di Stato emanata in materia di concorrenza, ossia in un settore disciplinato dal diritto dell'Unione Europea, che ometta di verificare i fatti posti alla base delle sanzioni emanate dall'autorità nazionale della concorrenza.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

La questione

La questione alla base della presente pronuncia è fondamentalmente quella relativa alla interpretazione dei confini dell'eccesso di potere giurisdizionale denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione. In particolare la questione è relativa al se in tale vizio possano farsi rientrare gli errores in procedendo o in iudicando che non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, ma solo la legittimità dell'esercizio del potere medesimo.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione nella pronuncia in commento aderisce al più recente e ormai consolidato orientamento delle Sezioni Unite sull'interpretazione dell'eccesso di potere giurisdizionale, denunciabile con ricorso in cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, affermando che esso va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione - che si verifica allorché un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (così detta invasione o sconfinamento) o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare in assoluto oggetto di cognizione giurisdizionale (c.d. arretramento), - nonché di difetto relativo di giurisdizione, configurabile quando il giudice speciale, abbia violato i limiti c.d. esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, o negandola sulla base dell'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambio si possa estendere, in alcun modo, ai casi delle sentenze abnormi, anomale o di uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento. Con la conseguenza, già accennata, che non è configurabile questo vizio nell'ipotesi di errores in procedendo o in iudicando che non investono l'esistenza e i limiti del potere giurisdizionale dei giudici speciali, ma solo la legittimità dell'esercizio del poter stesso.

Il punto di partenza della soluzione, condivisibile, adottata dalla Corte nelle Sezioni Unite in commento, è senz'altro l'importante pronuncia Corte cost. n. 6/2018 secondo cui «L'eccesso di potere giudiziario, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è stato sempre inteso, sia prima che dopo l'avvento della Costituzione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione, ovvero al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale; nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. Non è pertanto consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti una interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilità del merito della domanda».

La pronuncia della Corte Costituzionale in commento, nella sua interpretazione tranchant pone fine all'interpretazione «evolutiva» dei limiti esterni della giurisdizione e al controllo di merito sulle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti.

Essa segue di poco una recente pronuncia delle Sezioni Unite, la sentenza n. 31226/2017 la quale aveva espresso il principio di diritto secondo cui «non costituiscono diniego di giurisdizione, da parte del Consiglio di Stato o della Corte dei conti, gli errori in procedendo o in iudicando, ancorché riguardanti il diritto dell'Unione Europea, salvo i casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento (nazionali o dell'Unione) tale da ridondare in denegata giustizia e in particolare il caso, tra questi, di errore in procedendo costituito dall'applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l'accesso alla tutela giurisdizionale nell'ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell'Unione europea, direttamente applicabili, secondo l'interpretazione elaborata dalla Corte di Giustizia». Tale pronuncia aderisce a quella giurisprudenza sostanzialmente inaugurata da Cass. civ., sez. un., n. 2242/2015 secondo cui è affetta da vizio di difetto di giurisdizione e per tale motivo va cassata quella sentenza del Consiglio di Stato che, in sede di decisione sul ricorso per cassazione, si riscontri essere basata su una interpretazione delle norme che incide sul diritto del parte nel senso di costituire un diniego di accesso alla tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo; accesso viceversa consentito sulla base della interpretazione della relativa disposizione comunitaria come elaborata dalla Corte di Giustizia. In sostanza, aderendo a questa impostazione, anche le Sezioni Unite n. 31226/2017 affermano che la decisione del giudice nazionale che neghi l'esame del merito della domanda di parte applicando una regola processuale interna in contrasto con il diritto dell'Unione Europea direttamente applicabile, così come risultante dall'interpretazione della Corte di Giustizia, nega manifestamente all'attore la tutela giurisdizionale nell'ampiezza e nella dimensione invece riconosciuta proprio dal diritto dell'unione Europea.

L'interpretazione dirimente fornita dalla Corte Costituzionale non lascia spazio a dubbi di sorta. Al di là dell'inconfutabile dato testuale risultante dalla lettera dei commi settimo e ottavo dell'art. 111 Cost., non suscettibili in alcun modo di una diversa interpretazione estensiva, il ragionamento del giudice delle leggi pare non contestabile anche sotto il diverso profilo pur valutato dall'ultima sentenza delle sezioni unite or ora citata. Infatti anche nell'ipotesi di violazione di norme dell'Unione europea o della CEDU la Corte di cassazione finisce per ricondurre nell'alveo del controllo sulla giurisdizione e sui suoi limiti esterni un motivo che è invece di illegittimità e che, di conseguenza, non rientra nell'ambito del controllo di merito nei casi in cui è alla Corte consentito. Ed è quindi logica la conseguenza che il giudice delle leggi ne trae laddove afferma che, specialmente nel caso di sopravvenienza di una decisione contraria delle Corti comunitarie, il problema senz'altro si pone ma non può trovare la sua soluzione in sede di controllo esercitato dalla Corte di cassazione ex art. 111, ottavo comma, ma, piuttosto all'interno dei rimedi consentiti in ciascuna giurisdizione, ad esempio con la previsione di un nuovo caso di revocazione che si affianchi a quelli già previsti dall'art. 395 c.p.c.

Sicché va confermata l'interpretazione «statica» della questione di giurisdizione; limitata, in quanto tale e per come essa è disegnata dalle norme costituzionali di riferimento, ai casi di difetto assoluto di giurisdizione, riscontrabile allorché il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione; ovvero, viceversa, la neghino basandosi sull'erroneo convincimento che la materia non possa costituire oggetto di cognizione giurisdizionale. Va altresì limitata alle ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, ossia al caso in cui il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermino la propria giurisdizione su una materia che è invece attribuita per legge ad altra giurisdizione ovvero, viceversa, la neghino sull'erroneo presupposto che essa spetti ad altri giudici.

Né è in alcun modo ipotizzabile che il controllo sulla giurisdizione sia esteso ad un sostanziale controllo di merito nelle ipotesi di sentenze c.d. abnormi o anomale, ovvero nel caso di stravolgimento delle norme di riferimento; perché come il giudice delle leggi precisa non può né sul piano teorico né sul piano pratico attribuirsi rilevanza al dato qualitativo relativo alla ipotetica gravità del vizio riscontrato.

Questa visione «statica» della questione di giurisdizione, limitata alle ipotesi di difetto assoluto e relativo di giurisdizione è confermata dalla giurisprudenza successiva del Supremo Collegio: si veda ad es. Cass. civ., sez. un., 20 marzo 2019, n. 7926 con massima praticamente identica a quella della pronuncia in commento.

La successiva Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2019, n. 8311 ha precisato che, alla luce della sentenza n. 6/2018 della Corte Costituzionale, che ha carattere vincolante perché diretta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni della Costituzione, nonché i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111, comma 8, Cost., il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per «invasione» o «sconfinamento» nella sfera riservata ad altro potere dello Stato, ovvero per «arretramento» rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonché le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione. Invece l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorché il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività interpretativa abbia dato luogo ad un provvedimento abnorme o anomalo o abbia comportato uno stravolgimento delle norme di riferimento, atteso che in questi casi si può verificare, eventualmente, un error in iudicando, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione.

In linea con l'orientamento ormai dominante, anche la successiva Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2019, n. 29082 ha affermato l'inammissibilità del ricorso in cassazione volto a denunciare l'eccesso di potere giurisdizionale in relazione a una sentenza pronunciata dal g.a. in materia di revocazione ex art. 106 c.p.a., qualora la contestazione investa modalità di esercizio del potere giurisdizionale, sulla base del rilievo che la revocazione è un mezzo di impugnazione straordinario che consente di superare il giudicato attribuendo al giudice, nella ricorrenza dei presupposti di legge, il potere giurisdizionale in concreto; pertanto la prospettazione dell'esercizio al di fuori dei casi consentiti dall'ordinamento, non è altro che dolersi dell'esercizio in tesi errato di detto potere, come tale rientrante nei limiti propri della giurisdizione del g.a.

Sempre nel senso di cui in massima si possono confrontare Cass. civ., sez. un., 15 aprile 2020, n. 7839; Cass. civ., sez. un., 15 settembre 2020, n. 19175; Cass. civ., sez. un., 24 giugno 2021, n. 18259.

Con riferimento ai principi in tema di limiti del sindacato del g.a. rispetto a provvedimenti sanzionatori adottati dall'AGCOM, che ha il potere, ex pluribus, di accertare e sanzionare le ipotesi di alterazione della libera concorrenza tra le imprese, consistenti in intese anticoncorrenziali e in abusi di posizione dominante, con efficacia vincolante nei confronti del giudice civile chiamato a conoscere, invece, dell'azione di risarcimento danni.

Il sindacato di legittimità del g.a. sui provvedimenti dell'AGCOM comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende ai profili tecnici il cui esame è necessario per giudicare della legittimità del provvedimento sanzionatorio. Ma quando in questi profili tecnici siano coinvolte valutazioni e apprezzamenti che presentano un margine di opinabilità, questo sindacato, oltreché in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, si limita alla verifica che quel provvedimento sanzionatorio non abbia esorbitato dai limiti di opinabilità in questione perché il giudice non può sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'AGCOM laddove questa si sia mantenuta entro i limiti suesposti (Cass. civ., sez. un., n. 1013/2014; Cass. civ., sez. un., n. 30974/2017; Cass. civ., sez. un., n. 11929/2019; Cass. civ., sez. un., n. 8093/2020).

Osservazioni

Il principio di cui in massima è senz'altro condivisibile. Si tratta, come ho rilevato in altro scritto, di una modifica radicale. Questo cambiamento si riflette soprattutto nei rapporti tra giudice speciale amministrativo e Corte di cassazione. Le decisione del Consiglio di Stato sono infatti ricorribili per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. Ma il concetto di giurisdizione che si innesta sulla disposizione ora richiamata nel tempo si era modificato e con esso si era ampliato il potere di controllo che la Cassazione si riserva: se tradizionalmente si era ritenuto che tale concetto si esaurisse nell'attribuzione del potere di decidere certe controversie a certi giudici, nel tempo la Suprema Corte lo aveva esteso anche alle modalità di tutela dei diritti e degli interessi, ossia al come la tutela giurisdizionale era stata accordata o negata dal giudice amministrativo.

Va invece senz'altro accolta la visione statica della questione di giurisdizione, limitata, in quanto tale e per come essa è disegnata dalle norme costituzionali di riferimento, ai casi di difetto assoluto di giurisdizione, riscontrabile allorché il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione; ovvero, viceversa, la neghino basandosi sull'erroneo convincimento che la materia non possa costituire oggetto di cognizione giurisdizionale. Va altresì limitata alle ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, ossia al caso in cui il Consiglio di Stato o la Corte dei Conti affermino la propria giurisdizione su una materia che è invece attribuita per legge ad altra giurisdizione ovvero, viceversa, la neghino sull'erroneo presupposto che essa spetti ad altri giudici. Né è in alcun modo ipotizzabile che il controllo sulla giurisdizione sia esteso ad un sostanziale controllo di merito nelle ipotesi di sentenze c.d. abnormi o anomale, ovvero nel caso di stravolgimento delle norme di riferimento; perché come il giudice delle leggi precisa non può né sul piano teorico né sul piano pratico attribuirsi rilevanza al dato qualitativo relativo alla ipotetica gravità del vizio riscontrato.

Ne deriva, come dice la Cassazione in commento, che il controllo del limite esterno della giurisdizione, che l'art. 111, comma 8, Cost. affida alla Corte di Cassazione, non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di tradursi in errores in procedendo o in iudicando, anche per contrasto con il diritto dell'Unione Europea, operando i limiti istituzionali e costituzionali del controllo devoluto al giudice di legittimità che sono e restano invalicabili, anche quando motivati implicitamente, allorché si censuri il concreto esercizio del potere da parte del ga, non potendo in alcun caso questa modalità di esercizio tradursi in un vizio di eccesso di potere giurisdizionale (Cass. civ., sez. un., n. 12586/2019).

Questo orientamento ormai può dirsi non solo consolidato ma, addirittura, diritto vivente; ciò è dimostrato, se fosse necessario, dalla ordinanza delle Sezioni Unite n. 19598/2020 con cui la stessa Corte di cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale su alcune questioni:

1) Se le norme del diritto dell'Unione Europea ostino ad una prassi interpretativa secondo cui il rimedio del ricorso per cassazione sotto il profilo del c.d. difetto di potere giurisdizionale non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell'Unione Europea.

2) Se le norme del diritto dell'Unione Europea ostino alla prassi giurisprudenziale nazionale secondo cui il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni unite per motivi inerenti alla giurisdizione sotto il profilo del c.d. difetto di potere giurisdizionale non è proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l'applicazione del diritto dell'Unione omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Riferimenti
  • Asprella, L'eccesso di potere giudiziario denunciabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, in www.giustiziacivile.com;
  • Sassani, Sindacato sulla motivazione e giurisdizione: complice la translatio, le Sezioni Unite riscrivono l'art. 111 della Costituzione e di Allena, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche complesse: orientamenti tradizionali versus obblighi internazionali, in Dir. proc. amm., 2012, 1583 ss.;
  • Proto Pisani, In tema di giudicato interno, giudicato esterno e preclusione, in Foro it., 1986, I, 3009 nonché R. Vaccarella, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e translatio iudicii, in Giur. it., 2009, 412 e ss., spec. 406;
  • A. Panzarola, La Cassazione civile giudice del merito, voll. I e II, Torino, 2005, passim;
  • Vaccarella, I confini della giurisdizione (tra giudice ordinario e giudice amministrativo), in www.judicium.it;
  • C. Asprella, sub art. 382 c.p.c., in Commentario del Codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2013.