Obbligatorietà del patrocinio ed inammissibilità dell'autodifesa personale
11 Gennaio 2022
Massima
Il ricorso per cassazione avanzato in difetto di ius postulandi, avendo la parte agito in proprio, senza ministero di avvocato iscritto nell'apposito albo e in difetto dei requisiti di cui all'art. 86 c.p.c., è inammissibile. Il caso
La parte ha avanzato ricorso per cassazione avverso pronunzia del Tribunale di Verona che ha dichiarato inammissibile la domanda volta ad accertare il suo stato di figlia di altra persona. Con l'unico mezzo, la ricorrente ha denunziato la violazione degli artt 13-24 della Costituzione, degli artt. 75-99 c.p.c., nonchè dell'art. 6 del Trattato dell'Unione Europea e dell'art. 47 della Carta fondamentale dell'Unione Europea. La questione
La questione che la S.C. ha affrontato afferisce all'impossibilità per la parte di autodifendersi, senza patrocinio di difensore, nel giudizio di Cassazione. Le soluzioni giuridiche
Con l'ordinanza in oggetto, de plano la Corte è pervenuta a declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione avanzato dalla parte personalmente motivando sulla violazione dell'art. 82 c.p.c., laddove la disposizione normativa impone il patrocinio obbligatorio, del pari esigendo che il difensore sia iscritto nell'apposito albo dei cassazionisti (art. 365 c.p.c.). La pronunzia esclude che la soluzione tradizionalmente accolta dal diritto processuale interno si ponga in contrasto con l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, come pure con l'art. 24 Cost., laddove dispone che «la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», perchè, anzi, la disposizione costituzionale costituirebbe «esplicazione di esso». Osservazioni
I. Nell'ordinamento processuale interno, l'autodifesa personale della parte, senza intermediazione di difensore, rappresenta fenomeno del tutto eccezionale, apprezzabile unicamente nei processi minori, caratterizzati da un tasso di tecnicismo inferiore. In particolare, ciò è consentito, nel giudizio avanti al giudice di pace quando la controversia non ecceda gli € 1100, ovvero, in presenza di specifica autorizzazione del Giudice onorario, resa «in considerazione della natura ed entità della causa» (art. 82, 1 e 2 comma, c.p.c.); ancora, ciò è ammesso quando la parte rivesta «la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito» (art. 86 c.p.c.), poi, nel processo del lavoro e delle locazioni, «quando il valore della causa non eccede gli € 129,11» (artt. 417 e 447-bis c.p.c.) e nel procedimento per convalida di sfratto, dato che l'intimato può compiere personalmente «le attività previste negli articoli da 663 a 666» (art. 660, comma 6, c.p.c.). In tutti gli altri casi, «le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente e davanti alla corte di cassazione col ministero di un avvocato iscritto nell'apposito albo dei cassazionisti (artt. 82, comma 3, e 365 c.p.c.)». Come viene autorevolmente affermato (Calamandrei, Mandrioli), la difesa obbligatoria tramite patrono risponde ad una duplice fondamentale esigenza: una di ordine psicologico ed una di ordine tecnico. Dal primo punto di vista, la parte «accecata dalla passione e dal livore, non ha di solito la serenità disinteressata di cogliere i punti essenziali del caso giuridico in cui si trova coinvolta e per esporre le sue ragioni in modo pacato ed ordinato». Per esporre una difesa più ragionata, più accorta ed oggettiva soccorre pertanto l'intervento del patrocinatore. Da un punto di vista tecnico, poi, il patrocinio va di pari passo col tecnicismo che caratterizza il processo, di talchè il difensore serve non solo per «trovare ragioni defensionali», ma anche per compiere gli atti del processo. La presenza del difensore nel processo civile risponde in primis all'«interesse privato della parte», che in tal modo sfugge ai pericolo della propria inesperienza, di commettere errori formali, come pure all'esigenza di essere meglio difesa. L'opera del patrocinatore risponde pure allo «interesse pubblico della giustizia». Come si è osservato, la giustizia «non potrebbe procedere senza gravi intralci se i giudici, anziché trovarsi a contatto con difensori esperti della tecnica giuridica, dovessero trattare direttamente coi litiganti, ignari della procedura, incapaci di esporre chiaramente le loro pretese, turbati dalla passione o dalla timidezza» (Calamandrei, Liebman). I difensori vengono perciò considerati «ausiliari delle parti», come pure «ausiliari del giudice» ed anzi suoi collaboratori, senza i quali il giudice non potrebbe svolgere la sua alta funzione con quella serenità e quella speditezza di cui «è garanzia la presenza dei difensori continuamente interposti tra il magistrato e le parti». Ancora, secondo l'opinione espressa Carnelutti, alla rappresentanza tecnica si può pensare, per usare una metafora, come ad «una specie di canalizzazione e di trasformazione dell'energia delle parole allo scopo di renderla più utile agli scopi del processo». II. Come ha osservato la pronunzia epigrafata, l'obbligo del patrocinio non contraddice l'art. 24 Cost, quale diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, perchè anzi «costituisce esplicazione di esso», dato che il compito del difensore è di «importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale» (Corte Cost., 16 marzo 1971, n. 47, FI, I, 838). D'altro canto, l'obbligo della difesa tecnica neppure contrasta con il disposto affidato all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, laddove contempla il «diritto di difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore». Dato che si è sempre riconosciuta la discrezionalità del legislatore in tema di disciplina dei casi in cui è necessario il patrocinio dell'avvocato, né dalla previsione può attribuirsi significato del riconoscimento di «un diritto assoluto a difendersi in giudizio da sé, ma solo quello di riconoscimento di un diritto limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti al tribunale» (Cass. civ., 9 giugno 2011, n. 12570). Da quanto precede, ripetesi de plano, con la pronunzia in esame la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per cassazione avanzato dalla ricorrente, in quanto privo dell'obbligatoria difesa tecnica. III. In passato, dal difetto di patrocinio defensionale laddove la parte avesse agito personalmente in giudizio, la giurisprudenza aveva fatto discendere la nullità assoluta e non sanabile dell'atto introduttivo del giudizio, il cui vizio si riteneva inemendabile successivamente per effetto di conferimento di procura (Cass. civ., 30 dicembre 1989, n. 5831, FI, 1990, I, 1238; Cass. civ., 9 luglio 1993, n. 7569, GI, 1994, I, 1, 732; Cass. civ., 23 luglio 1997, n. 6894; Cass. civ., 22 novembre 2004, n. 22.043. Invece, per la nullità relativa, non rilevabile d'ufficio, e come tale sanabile, Cass. civ., 8 gennaio 1999, n. 112; Cass. civ., sez. un., 18 luglio 2001, n. 9767). In seguito alla mutatio subita dal testo dell'art. 182 c.p.c., innovato dalla riforma processuale del 2009 (il g.i. «quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione»), l'orientamento interpretativo si è adeguato al novum. In particolare, quando il giudice in sede di prima udienza rilevi ex officio l'assenza di procura ad litem oggi egli è tenuto a dare corso alla sanatoria del vizio che, laddove venga effettuata nel termine perentorio concesso, ha effetto ex tunc («l'art. 182 c.p.c., comma 2, nella formulazione introdotta dalla l. 69/2009, art. 46, comma 2, (da ritenersi applicabile anche nel giudizio di appello), secondo cui il giudice che accerti un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione è tenuto a consentirne la sanatoria, assegnando un termine alla parte che non vi abbia provveduto di sua iniziativa, con effetti "ex tunc", senza il limite delle preclusioni derivanti dalle decadenze processuali, trova applicazione anche qualora la procura manchi del tutto oltre che quando essa sia inficiata da un vizio che ne determini la nullità, restando, perciò, al riguardo irrilevante la distinzione tra nullità e inesistenza della stessa»: Cass. civ., 29 ottobre 2020, n. 23.958, in DeG; Cass. civ., 24 agosto 2021, n. 23.353; Cass. civ., 7 maggio 2018, n. 10885; Cass. civ., 22 dicembre 2011, n. 28.337) . IV. Da quanto precede emerge che viene confermata la necessità del patrocinio legale (indispensabile per il raggiungimento della verità), con riguardo ai processi di maggiore impegno tecnico-giuridico, già autorevolmente evocata dalla Carta Fondamentale (art. 24 Cost.). Alla «istituzionale parzialità» del difensore dell'una parte fa da contraltare la parzialità del difensore dell'altra parte. Il punto di equilibrio tra le contrapposte tesi, «il giusto», la sintesi, viene raggiunta dal giudicante, «attraverso una serie di oscillazioni quasi pendolari», che sono appunto innescate dall'opera difensiva. I difensori contribuiscono così al raggiungimento della verità, che costituisce un interesse pubblico. La violazione della regula iuris espressa dall'art. 82 c.p.c., con riguardo all'obbligatorietà del patrocinio, viene sanzionata con la nullità dell'atto, per quanto l'atti invalido possa essere recuperato e conservato a fronte della concessione di un termine giudiziale per la sanatoria, per «regolarizzare la costituzione delle parti», cui segua il rilascio di procura al difensore (art. 182, 1 e 2 comma, c.p.c.). Riferimenti
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