Omessa vigilanza del collegio sindacale, tra responsabilità esclusiva e responsabilità concorrente con gli amministratori

11 Gennaio 2022

In ipotesi di atti di mala gestio degli amministratori, fonte di danni alla società o ai creditori sociali, sussiste la responsabilità concorrente dei sindaci per omesso controllo ex art. 2407 c.c. ove questi - non disponendo di poteri di veto o di sostituzione – abbiano comunque omesso, ai sensi degli artt. 2403 e ss. c.c., la doverosa attività di vigilanza...
Massima

In ipotesi di atti di mala gestio degli amministratori, fonte di danni alla società o ai creditori sociali, sussiste la responsabilità concorrente dei sindaci per omesso controllo ex art. 2407 c.c. ove questi - non disponendo di poteri di veto o di sostituzione – abbiano comunque omesso, ai sensi degli artt. 2403 e ss. c.c., la doverosa attività di vigilanza e la tempestiva segnalazione del pericolo derivante dalla condotta degli amministratori agli organi competenti, in modo da porre in essere le condizioni per l'eliminazione preventiva, o comunque l'attenuazione, dei danni conseguenti all'operato degli organi gestori.

In tema di responsabilità dei sindaci di società di capitali, l'applicazione della disciplina in tema di obbligazioni solidali di cui all'art. 2055, comma 1, c.c. presuppone l'unicità del fatto dannoso, sicché - onde determinare la natura dell'obbligazione risarcitoria, accertare l'apporto causale di ciascuno e liquidare, nell'eventualità, in maniera differenziata il risarcimento dovuto - spetta al giudice verificare, in base alle circostanze temporali e di fatto, se trattasi della produzione di un unico danno o di diversi fatti dannosi, tenendo conto - in maniera specifica – anche della diversa composizione dell'organo nei vari esercizi presi a riferimento per la quantificazione del danno.

Il caso

Una società cooperativa in l.c.a. conveniva dinanzi al Tribunale di Palermo una serie di soggetti per ottenerne la condanna alla restituzione in suo favore, a titolo di risarcimento del danno per illecito extracontrattuale o, comunque, quale indebito oggettivo, delle somme dai predetti indebitamente percepite, versando a suo dire in ipotesi di denaro della cooperativa oggetto di illecita appropriazione da parte dei convenuti.

A fondamento deduceva che, di seguito ad una verifica ispettiva condotta dalla G.d.F., aveva appreso dell'esistenza di un cospicuo numero di fatture, registrate nella contabilità della società e dichiarate ai fini dell'IVA e delle imposte sui redditi, relative ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, come analiticamente indicate nell'atto introduttivo del giudizio.

Si costituivano in giudizio tuti i convenuti, tranne uno, in parte eccependo l'intervenuta prescrizione quinquennale dell'azione risarcitoria e, comunque, chiedendo il rigetto delle domande attrici ovvero la riduzione della pretesa risarcitoria.

Con separato atto la medesima cooperativa conveniva innanzi al detto tribunale gli amministratori ed i sindaci della società, esercitando l'azione di responsabilità ex artt. 2392, 2393 e 2403 c.c., per avere i secondi omesso di vigilare e controllare adeguatamente, al fine di evitare la mala gestio rilevata dalla Guardia di Finanza nella verifica ispettiva predetta, così contribuendo, con la propria condotta, al dissesto della società stessa.

Nel contesto chiedeva condannarsi i convenuti in solido, a titolo di risarcimento dei danni arrecati alla cooperativa, al pagamento della somma di Euro 1.218.178,34, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Si costituivano tutti i convenuti, alcuni eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza della domanda, altri l'intervenuta prescrizione quinquennale della domanda risarcitoria e chiedendo tutti, in via gradata, il rigetto dell'avversa pretesa.

Disposta la riunione dei due procedimenti ed espletata una c.t.u. contabile, l'adito tribunale, con sentenza n. 5136/2009, condannava in solido i convenuti al pagamento, in favore della cooperativa attrice, della complessiva somma di Euro 877.759,07.

La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 30 gennaio 2015, n. 138, respingeva i gravami promossi contro quella decisione

Per quanto qui rileva, il giudice rammentava l'esistenza di doveri di controllo e vigilanza, come incombenti, oltre che sugli amministratori, anche sui componenti del collegio sindacale in virtù sia delle norme statutarie che delle norme di legge, in particolare dell'art. 2403 c.c. (anch'esso nella formulazione anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003), il quale prevedeva, per il collegio sindacale, l'obbligo di controllare l'amministrazione della società, di vigilare sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo e di accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, la corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili.

Rammentava, inoltre, che, ai sensi del suddetto articolo, ai fini del concreto esercizio dei poteri di vigilanza e controllo ai sindaci era riconosciuto il potere di procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo e di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari.

Il giudice del gravame sottolineava, inoltre, sempre con riferimento alla posizione dei sindaci: a)che, in caso di pregiudizio alla società derivante dal fatto degli amministratori, l'art. 2407 c.c., comma 2 prevede il sorgere della responsabilità solidale dei sindaci, qualora gli stessi (come nella specie) non abbiano ottemperato ai doveri di vigilanza inerenti alla loro carica e ricorra un nesso di causalità tra tale inosservanza e il danno arrecato alla società; b) che "proprio la suddetta responsabilità solidale di tutti i soggetti, ai quali è risultato imputabile il fatto dannoso, comporta che non può essere operata alcuna distinzione tra il diverso apporto di ciascuno degli amministratori e dei sindaci alla determinazione del danno, essendo l'unicità del fatto dannoso riferita soltanto al danneggiato.

Avverso la descritta sentenza proponevano ricorso i componenti del collegio sindacale della società, assumendo la violazione e falsa applicazione degli articoli 2400, 2403 2404, 2407 e 2055 c.c. e chiedendo alla Suprema Corte di pronunciarsi in ordine alla responsabilità dei sindaci, sia come responsabilità esclusiva sia come responsabilità concorrente, pur sempre applicando il quadro normativo precedente alla riforma del 2003 in virtù dell'epoca in cui sono avvenuti i fatti contestati.

I ricorrenti lamentavano che, nonostante avesse rilevato la successione in carica di due collegi sindacali, il giudice del merito non aveva distinto la responsabilità dei due organi rispetto alle varie operazioni non controllate in relazione al periodo della loro commissione.

Deducevano, quindi, anche la violazione dell'art. 2055 c.c., poiché era stata erroneamente cumulata la responsabilità nell'uno e dell'altro collegio sindacale, mediante un'arbitraria applicazione del criterio di solidarietà.

Le questioni giuridiche

La sentenza in commento affronta la tematica relativa alla responsabilità del collegio sindacale, ribadendo il consolidato formante giurisprudenziale in ordine al tipo di responsabilità dei sindaci ed ai relativi presupposti.

In particolare la Corte di legittimità ha ricordato la summa divisio tra responsabilità esclusiva dei componenti del collegio sindacale e loro responsabilità concorrente con quella degli amministratori, ai sensi di quanto dettato dall'art. 2407 c.c.

E' noto che al primo comma detta norma preveda che i sindaci siano obbligati, in forma solidale tra loro, al risarcimento dei danni imputabili al mancato ovvero negligente adempimento dei propri doveri, secondo un modello di responsabilità esclusiva.

Viceversa, ai sensi del comma successivo, i sindaci sono solidalmente responsabili con gli amministratori per fatti ed omissioni compiuti da quest'ultimi, secondo un modello di responsabilità concorrente, qualora il danno non si sarebbe verificato se avessero ottemperato ai propri obblighi in termini di vigilanza sull'osservanza delle regole, di controllo dell'amministrazione societaria e verifica della corretta tenuta della contabilità sociale, nonché della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri contabili (Bellavite, Pellegrini, Sironi, Le motivazioni dell'affidamento volontario del controllo contabile al Collegio Sindacale o al revisore esterno nelle società per azioni non quotate in Italia: un'indagine empirica, in Riv. Società, 2009).

I presupposti per la responsabilità concorrente risultano quindi:

i) la commissione di atti di mala gestio ad opera degli amministratori;

ii) la derivazione causale di un danno a carico della società ovvero dei creditori sociali;

iii) la mancata vigilanza dei sindaci sull'operato degli amministratori ed infine

iv) la derivazione di un danno da tale omessa o inadeguata vigilanza.

La sentenza in commento specifica che, nonostante l'art. 2407 comma 2 c.c. ricorra all'espressione “il danno non si sarebbe prodotto”, essa debba essere intesa come riduzione o attenuazione, in termini probabilistici, del fatto lesivo.

Difatti, come si rammenta in motivazione, il collegio sindacale è privo di poteri di veto sull'attività del consiglio di amministrazione, nonché di poteri sostitutivi in caso di inerzia, dunque non può impedire totalmente la produzione del danno.

Per altro verso il provvedimento richiama il consolidato principio per cui il nesso di causalità, tra l'inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dalla mala gestio degli amministratori, debba essere interpretato dimostrando che in assenza del primo evento nemmeno il secondo si sarebbe verificato (Cavalli, I sindaci, in Trattatodiretto da Colombo, Portale, Torino, 1988)

La responsabilità concorrente dei sindaci, pertanto, si fonda sull'accertamento del giudice che, di volta in volta, deve riscontrare se quest'ultimi si siano attivati con gli strumenti di reazione previsti ex lege, dopo aver riscontrato il comportamento illecito degli amministratori.

In particolare, nella sentenza viene specificato che i sindaci possono fare in modo che venga verbalizzato il proprio dissenso nelle adunanze del collegio, chiedere chiarimenti al consiglio di amministrazione, provvedere ad atti di ispezione e controllo, convocare e partecipare alle riunioni del consiglio di amministrazione eventualmente anche verbalizzando il proprio dissenso ed impugnando deliberazioni nulle o annullabili nonché, nei casi più gravi, formulare esposti al Pubblico Ministero (Salafia, La funzione di controllo del collegio sindacale, in Riv. Società, 1994).

Quanto alla natura della prestazione, l'obbligazione dei sindaci è definita in sentenza come un'obbligazione di diligenza, ad alto tasso di discrezionalità tecnica, in cui la strumentalità della prestazione rispetto al risultato implica che tale diligenza vada valutata ai fini del riscontro dell'inadempimento, richiamando l'articolo 1176 comma 2 c.c. (Fortunato, I «controlli» nella riforma del diritto societario, in Riv. Società, 2003)

Sul versante soggettivo, il provvedimento in esame ben affronta la sussistenza della colpa dei sindaci, sia nella conoscenza sia nella omessa attivazione.

Pertanto, la rappresentazione dell'evento nella sua portata illecita potrebbe consistere in un difetto di conoscenza, qualora il componente del collegio sindacale non abbia rilevato l'illecita gestione in modo colposo, come in caso di inerzia dinanzi ai primi segnali di allarme di illecito a danno della società.

Altresì la consapevolezza di mantenere una condotta inerte, dunque di non aver impedito o evitato il protrarsi di un pericolo di danno configura una condotta colpevole, contraddistinta dal disinteresse del collegio sindacale.

A tal proposito, il provvedimento in esame precisa che la designazione alla carica di sindaco dopo la commissione dell'illecito non costituisce, di per sé, un'esimente, poiché la sola accettazione dell'incarico comporta l'assunzione dei doveri di vigilanza e controllo.

Parimenti, le dimissioni o la decadenza non costituiscono una condotta di adempimento dei doveri legalmente riconosciuti, né escludono la responsabilità dei sindaci, qualora non siano accompagnate da atti volti a contrastare o porre rimedio alle condotte di mala gestio.

Muovendo da tali presupposti, non è altresì possibile ritenere che i sindaci non rispondano dei fatti avvenuti prima dell'assunzione del proprio incarico, poiché rientra pienamente nei doveri di comportamento verificare la correttezza della contabilità e la sua corrispondenza ai fatti reali da documentare.

Condividendo l'indirizzo interpretativo che riconosce la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società danneggiata, il provvedimento in commento ribadisce come quest'ultima abbia solo l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, dal momento che pende su amministratori e sindaci l'onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva dell'osservanza dei propri doveri e adempimento dei propri obblighi.

In ordine al carattere solidale della responsabilità, si precisa che, nell'ipotesi in cui una pluralità di soggetti concorra a causare un danno con distinti comportamenti, sorge un'obbligazione in cui la ragione della domanda è giustificata da tutti i possibili fatti riconducibili al medesimo titolo di responsabilità che ha concorso a determinare il danno.

Il principio dall'articolo 2055 c.c., con cui si prevede l'obbligazione solidale per il risarcimento del danno, espresso in ordine alla responsabilità aquiliana, viene esteso anche alla responsabilità contrattuale, in ragione dell'esigenza di tutela del danneggiato, fondata sull'unicità del fatto dannoso, secondo una prospettiva vittimologica.

L'articolo 2407 comma 2 c.c. costituisce un'applicazione del principio di solidarietà ex articolo 2055 c.c., difatti i sindaci e gli amministratori sono parimenti responsabili, escludendo la possibilità che la responsabilità dei sindaci sia commisurata in base all'entità del proprio concorso nella causazione del danno.

Tuttavia, la sentenza in commento affronta l'ipotesi in cui non ricorre la responsabilità solidale, ovverosia qualora vi siano più azioni, da parte di più soggetti, con distinti effetti dannosi in grado di ledere separatamente interessi diversi della società, considerando che il principio di cui all'articolo 2055 c.c. non si applica nel caso di condotte distinte tra loro anche per gli effetti.

Ne consegue che la condanna in solido di sindaci e amministratori, in misura corrispondente alla sommatoria indistinta delle varie operazioni compiute nel tempo, configura una violazione sia dell'articolo 2055 c.c. sia dell'articolo 2407 comma 2 c.c. Difatti, occorre dapprima rinvenire la sussistenza, o meno, della responsabilità dei sindaci per ciascun danno accertato e derivante dalle operazioni distrattive dell'organo gestorio, e solo in seguito porre a carico dei responsabili il relativo risarcimento.

Osservazioni

La decisione in commento appare particolarmente interessante nella parte in cui rammenta i doveri specifici ricadenti sui sindaci, in ipotesi di atti di mala gestio degli amministratori.

In particolare la Corte ricorda che - affinché sussista il nesso di causalità tra l'inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall'atto di mala gestio degli amministratori, ovvero che possa ragionevolmente presumersi che, senza il primo, neppure il secondo si sarebbe prodotto o si sarebbe verificato in termini attenuati - il giudice deve verificare se vi sia illegittimità del comportamento dell'organo sindacale nell'adempimento del dovere di vigilanza.

Più segnatamente se siano stati omessi gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce al collegio sindacale.

E a tal riguardo i Supremi Giudici rilevano che spetta ai sindaci che intendono evitare la responsabilità concorrente ex art. 2407 c.c.:

a) verbalizzare il proprio dissenso (rispetto alle deliberazioni del collegio stesso) nel verbale delle adunanze del collegio sindacale (art. 2404 c.c., u.c.);

b) chiedere, se del caso per iscritto, notizie e chiarimenti al consiglio di amministrazione in ordine all'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari;

c) procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 c.c., anche nel testo oggi vigente sotto l'art. 2403-bis c.c.), se del caso avvalendosi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis c.c., anche nel testo attualmente vigente);

d) convocare e partecipare, come è loro obbligo, alle riunioni del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.), verbalizzare l'eventuale dissenso sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio;

e) impugnare le deliberazioni del C.d.A. affette da nullità od annullabilità (vedi l'art. 2388 c.c., comma 4), specie quando il vizio sia idoneo a danneggiare la società od i creditori (arg. ex art. 2391 c.c., comma 3, art. 2394 c.c. e art. 2407 c.c., commi 2 e 3);

f) convocare (art. 2406 c.c.) e partecipare, come è loro obbligo, all'assemblea dei soci (art. 2405 c.c.);

g) impugnare le deliberazioni dell'assemblea che non siano state prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo (art. 2377 c.c., comma 1, anche nel testo in vigore);

h) formulare esposti al Pubblico Ministero, affinchè questi provveda ex art. 2409 c.c. ovvero promuovere direttamente il controllo giudiziario sulla gestione se si ha il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità (art. 2409 c.c. e 2477 c.c.).

Ne deriva che la responsabilità concorrente dei sindaci non operi in maniera automatica per fatti dannosi derivanti dalla mala gestio degli amministratori, ma piuttosto presupponga la violazione dei doveri e delle forme di reazione in termini di poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Senza trascurare, come rileva la Corte, che la condotta impediente omessa vada valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l'inerzia del singolo, nell'unirsi all'identico atteggiamento omissivo degli altri) può acquisire efficacia causale rispetto ai pregiudizio alla società ed ai creditori.

Pertanto, a fronte di iniziative anomale e pregiudizievoli da parte dell'organo amministrativo di società di capitali, i sindaci hanno l'obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all'assolvimento dell'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo.

Quanto all'elemento soggettivo delle responsabilità dei sindaci, la colpa rileva nelle due accezioni di colpa nella conoscenza e nell'omessa attivazione.

Sotto il primo profilo, essa può consistere in un difetto di conoscenza, per non avere il sindaco rilevato colposamente l'altrui illecita gestione. Laddove l'obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni per cogliere eventuali segnali d'allarme, individuati dalla giurisprudenza anche nella stessa soggezione della società all'altrui gestione personalistica.

Sotto il secondo aspetto, il sindaco è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perchè l'organo amministrativo compia al meglio il proprio dovere gestorio, vigilando per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita.

L'inerzia è già essa stessa espressione di colpa. Ed essa rileva anche se sia stati designati alla carica solo dopo la commissione dell'illecito, giacché in quella circostanza è esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio.

Né sicuramente assumono carattere di esenzione dalla responsabilità:

(i) le dimissioni dall'incarico, equivalendo esse in se ad una sostanziale inerzia nel rilevare la situazione di illegalità reiterata. Ciò senza dimenticare, come sottolineano opportunamente i Supremi Giudici, che l'efficacia della cessazione per dimissioni dalla carica di sindaco di società presuppone la comunicazione al sindaco supplente, così da consentire a quest'ultimo di conoscere dell'investitura ricevuta a seguito delle dimissioni e della responsabilità derivatene;

(ii) la decadenza dalla carica ex art. 2404 c.c., comma 2.

La Corte di legittimità fornisce una soluzione convincente anche in ordine al tema del vincolo di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c., specificando che il carattere solidale della responsabilità e l'unicità dell'obbligazione dipendono da un'esigenza di tutela del danneggiato in presenza di un fatto dannoso unico, seppur causato da condotte plurime.

Invero è noto che quando il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno (art. 2055 cit. , comma 1), principio posto dalla legge in modo espresso in materia di responsabilità extracontrattuale ma che pacificamente vale anche per la responsabilità contrattuale quand'anche il danno derivi dall'inadempimento di contratti diversi, ovvero quando la responsabilità abbia per alcuno dei danneggianti natura contrattuale e, per altri, natura extracontrattuale.

La conclusione che precede trova appunto ragione, come rilevato dalla Corte, in un'esigenza di tutela del danneggiato, laddove mentre l'art. 2043 c.c. fonda la responsabilità e l'obbligo del risarcimento dalla commissione di un "fatto" doloso o colposo, il successivo art. 2055 c.c. considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, proprio il "fatto dannoso".

Pertanto, come correttamente evidenzia la decisione in commento, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all'art. 2055 c.c., comma 1, per cui che l'unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell'eventus damni attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del "più probabile che non") tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l'esclusiva efficienza causale di una di esse.

L'unicità del fatto dannoso, si afferma in maniera del pari convincente, va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato ed in funzione di rafforzare la garanzia di quest'ultimo, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno.

In conclusione, presupposto per l'operatività dell'art. 2055 c.c. (norma che riproduce l'art. 1156 c.c. del 1865) è l'unicità del fatto dannoso alla cui produzione abbiano concorso diverse persone; diversamente tale responsabilità solidale non ricorre nel caso di azioni di più soggetti da cui siano derivati distinti effetti dannosi.

Conclusioni

Non appare contestabile il principio espresso dal provvedimento in esame, dal momento che non sussiste alcuna responsabilità automatica dei sindaci.

L'articolo 2407 comma 2 c.c. prevede una responsabilità concorrente che non può prescindere dall'accertamento degli elementi oggettivi e soggettivi che la costituiscono, secondo i principi della responsabilità civile.

Dunque, è condivisibile l'assunto per cui i sindaci rispondano in solido con gli amministratori, a patto che venga accertata la mancata ottemperanza ai propri doveri di vigilanza e controllo in corrispondenza di attività dannose compiute dall'organo gestorio.

Del pari la conclusione per cui non ricorra detta indistinta responsabilità solidale da parte dei sindaci qualora vi siano più azioni e/o omissioni concretamente ascrivibili a ciascuno di essi, con distinti effetti dannosi in grado di ledere separatamente interessi diversi della società.

Va aggiunto, per completezza, che il novero degli obblighi di vigilanza in capo ai sindaci risulta da ultimo incrementato dalla disciplina in tema composizione negoziata della crisi, dettata dal D.L. n. 118/2021, convertito con modifiche dalla legge n. 147/2021, laddove l'art. 15 dell'articolato prevede che “L'organo di controllo societario segnala, per iscritto, all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 2, comma 1”.

La segnalazione deve contenere la fissazione di un congruo termine, non superiore a trenta giorni, entro il quale l'organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. In pendenza delle trattative, rimane fermo il dovere di vigilanza di cui all'articolo 2403 del codice civile.

La tempestiva segnalazione all'organo amministrativo ai sensi del comma 1 e la vigilanza sull'andamento delle trattative sono valutate ai fini della responsabilità prevista dall'articolo 2407 del codice civile.

Tale normativa, in attesa dell'entrata in vigore del codice della crisi, costituisce espressione dell'urgenza avvertita dal legislatore di prevedere forme di segnalazione utili a garantire, in termini si allerta interna, la tempestiva emersione di situazione di crisi (anche probabile) per l'attivazione di strumenti negoziali a salvaguardia del valore dell'azienda.

Ne deriva che l'assolvimento di tale obbligo, così come di quello della vigilanza sullo svolgimento delle trattative da parte dell'imprenditore, assumerà un significato davvero rilevante in ottica sistematica, al di là del tema specifico delle responsabilità dell'organo sindacale per la relativa violazione.

Ciò, peraltro, in un quadro generale che vede la riattivazione della denunzia di cui all'art. 2409 c.c. anche per le s.r.l. e dell'obbligo per tali società di dotarsi (a determinate condizioni, d cui all'art. 2477 c.c.) del collegio sindacale.