Il potere del tribunale di rideterminare il contenuto del contratto nella composizione negoziata della crisi

Daniele Portinaro
11 Gennaio 2022

In deroga alle previsioni di diritto comune, il legislatore, nell'ambito della procedura di composizione negoziata della crisi, ha attribuito al tribunale, su iniziativa dell'imprenditore, il potere di rideterminare il contenuto di determinati contratti, nel caso in cui la prestazione a carico del debitore sia divenuta eccessivamente onerosa a causa della pandemia da SARS-Cov-2.

Una delle disposizioni più salienti della procedura di composizione negoziata della crisi è quella che ha ad oggetto la rideterminazione del contenuto dei contratti in pendenza di trattative tra debitore e creditori.

Precisamente, l'art. 10, comma 2, D.L. 24 agosto 2021, n. 118 stabilisce che, a seguito di specifica domanda dell'imprenditore, il tribunale possa modificare un contratto – con l'unica eccezione costituita dai contratti di lavoro – ad esecuzione differita, continuata o periodica, nel caso in cui la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per il debitore a causa della pandemia da SARS-Cov-2.

Il D.L. 118/2021, dunque, introduce un'ulteriore fattispecie di eterointegrazione (cogente) del contratto, attribuendo al giudice il potere di modificare le clausole negoziali secondo equità nel caso in cui tale intervento fosse necessario per assicurare la continuità aziendale all'imprenditore che ha avuto accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi.

L'esercizio di tale potere integrativo da parte dell'organo giurisdizionale, peraltro, è subordinato alla presenza di presupposti espressamente indicati dal medesimo provvedimento normativo.

In primo luogo, come accennato, le clausole del contratto – verosimilmente, quelle che regolano il corrispettivo – possono essere modificate solo nell'ipotesi in cui la prestazione sia divenuta per l'imprenditore «eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2».

Ad una prima lettura, dal tenore della disposizione parrebbe desumersi la necessaria sussistenza di un nesso di causalità diretta e immediata tra la pandemia e l'eccessiva onerosità del contratto.

In ragione di ciò, trattandosi inevitabilmente di ipotesi di onerosità sopravvenuta, è lecito attendersi che l'estensione applicativa della norma sarà limitata, riguardando con certezza solo i negozi (ad esecuzione differita, continuata o periodica) conclusi prima della diffusione del Covid-19.

Al contrario, sarà meno probabile che la norma possa applicarsi ai contratti stipulati successivamente alla diffusione della nota pandemia perché le parti, nella definizione del regolamento negoziale, avranno – o dovrebbero aver – già contemperato gli effetti della medesima sull'attività di impresa.

Inoltre, il contratto può essere modificato secondo equità – tenendo sempre in considerazione gli interessi del creditore, che subisce tale iniziativa – se l'intervento risulta «indispensabile» per garantire la continuità aziendale dell'impresa e solamente per il periodo temporale «strettamente necessario».

Il primo di questi due requisiti riduce ulteriormente gli spazi applicativi della norma, poiché il tribunale potrà integrare (temporaneamente) il negozio giuridico solo se questo può ragionevolmente, sulla base di un giudizio prognostico, avere un impatto sulla prosecuzione dell'attività dell'impresa in stato di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario.

In ultimo, il tribunale, prima di provvedere, deve acquisire il parere dell'esperto, il quale, con ogni probabilità, avrà contenuto e conclusioni analoghe all'invito formulato alle parti anteriormente all'iniziativa giudiziale dell'imprenditore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.