Offerta unica sottosoglia e potere discrezionale del giudice delegato ex art. 572, c. 3, c.p.c. nella liquidazione fallimentare

13 Gennaio 2022

In caso di vendita coattiva immobiliare effettuata direttamente dal giudice delegato del fallimento, è valida anche l'offerta ribassata per non oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nella relativa ordinanza, potendo allora il predetto giudice, in caso di unicità di offerta, aggiudicare il bene a tale offerente, ove sussistano i presupposti di cui all'art. 572, c.p.c., comma 3 novellato, applicabile ratione temporis, in particolare dando conto che non ricorre seria possibilità di conseguire un prezzo superiore per effetto di una nuova vendita, secondo i limiti di compatibilità dell'istituto, che costituisce un elemento normativo integrante il provvedimento.
Massima

In caso di vendita coattiva immobiliare effettuata direttamente dal giudice delegato del fallimento, è valida anche l'offerta ribassata per non oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nella relativa ordinanza, potendo allora il predetto giudice, in caso di unicità di offerta, aggiudicare il bene a tale offerente, ove sussistano i presupposti di cui all'art. 572, c.p.c., comma 3 novellato, applicabile ratione temporis, in particolare dando conto che non ricorre seria possibilità di conseguire un prezzo superiore per effetto di una nuova vendita, secondo i limiti di compatibilità dell'istituto, che costituisce un elemento normativo integrante il provvedimento.

La vicenda

Nel corso di una procedura di fallimento viene stabilito che la liquidazione di un cespite immobiliare venga effettuata direttamente dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile, facendo esercizio della facoltà prevista dall'art. 107, comma 2, l.fall.

In tale contesto, a seguito dell'infruttuoso esperimento di un incanto, l'ordinanza di vendita emessa dal giudice delegato fissa il prezzo minimo dell'offerta sotto pena di esclusione dell'offerente dalla gara stessa; nella sola ipotesi di pluralità di offerte, viene invece previsto che sulla più alta di esse e benché "inferiore rispetto al prezzo base d'asta in misura non superiore ad un quarto", si sarebbe proceduto a gara tra gli offerenti ai sensi dell'art. 573 c.p.c.

A quanto consta, all'esito dell'espletamento della sub-procedura di vendita senza incanto, il giudice delegato dispone l'aggiudicazione dei beni a favore dell'unico offerente per un prezzo tuttavia inferiore, ancorché per meno di un quarto, rispetto a quello minimo fissato con l'ordinanza di vendita.

Successivamente alla aggiudicazione, viene proposta istanza ex art. 108 c.p.c. affinché lo stesso giudice delegato impedisca il perfezionamento della vendita per violazione delle modalità di vendita fissate nell'ordinanza.

L'istanza viene tuttavia rigettata dal giudice delegato, il quale dà conto – non è chiaro se solo in detta sede – di volersi conformare al precetto dell'art. 572, comma 3, c.p.c., che abilita il giudice a far luogo alla vendita anche quando l'unica offerta è inferiore rispetto al prezzo stabilito nell'ordinanza di vendita in misura non superiore ad un quarto: il magistrato, nello specifico, mette in evidenza che proprio l'unicità dell'offerta e i previ numerosi esperimenti di vendita, l'ultimo dei quali con prezzo riportato identico nell'ordinanza successiva, giustificavano una prognosi infausta (o non migliorativa) ove si fosse voluto proseguire con una nuova vendita.

Il provvedimento del giudice delegato viene tuttavia impugnato dal fallito con reclamo ex art. 26 l.fall. davanti al tribunale, che lo accoglie in quanto l'aggiudicazione sarebbe stata pronunciata in violazione dell'ordinanza di vendita emessa dallo stesso giudice delegato. In particolare, secondo il Tribunale di Taranto, a venire in rilievo sarebbe stato il principio – pacifico nella giurisprudenza – per cui l'ordinanza di vendita costituisce la lex specialis della espropriazione forzata, in applicazione del canone della "necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del subprocedimento di vendita, da ritenersi di importanza decisiva nelle determinazioni dei potenziali offerenti e, quindi, del pubblico di cui si sollecita la partecipazione, perché finalizzata a mantenere – per l'intero sviluppo della vendita forzata – l'uguaglianza e la parità di quelle condizioni tra tutti i partecipanti alla gara, nonché l'affidamento di ognuno di loro sull'una e sull'altra e, di conseguenza, sulla trasparenza assicurata dalla coerenza ed immutabilità delle condizioni tutte" (in tal senso Cass. 11171/2015).

Di qui, l'applicazione del principio per cui risulta "inefficace l'offerta presentata con modalità difformi da quelle stabilite nell'ordinanza che dispone la vendita, a nulla rilevando che la difformità riguardi prescrizioni dell'ordinanza di vendita stabilite dal giudice di sua iniziativa, ed in assenza di una previsione di legge” (in tal senso Cass. 12880/2012).

Successivamente, il decreto del Tribunale viene tuttavia impugnato con ricorso in cassazione, fra l'altro, per violazione dell'art. 572, comma 3, c.p.c., avendo erroneamente il tribunale trascurato che l'aggiudicazione diretta a prezzo ribassato – quale modalità prevista dalla norma – era stata dal giudice delegato motivata, nel provvedimento reso su istanza ex art. 108 l.fall., sull'assenza di pregiudizio del debitore, per via della unicità dell'offerta e l'avvenuto esperimento infruttuoso di altre vendite, tenuto conto che il prezzo-base era lo stesso di un incanto precedentemente svolto.

Il contesto legislativo e giurisprudenziale

L'art. 572, comma 3, c.p.c., nell'ambito del sub procedimento di vendita senza incanto nel contesto di una espropriazione immobiliare, stabilisce che “se il prezzo offerto e' inferiore rispetto al prezzo stabilito nell'ordinanza di vendita in misura non superiore ad un quarto, il giudice puo' far luogo alla vendita quando ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita e non sono state presentate istanze di assegnazione ai sensi dell'articolo 588”.

Si tratta di una disposizione che ha segnato – come rilevato in dottrina (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, V ed., Padova, 20016, 1334) – una totale inversione di tendenza di politica legislativa, “ascrivibile ad una specifica scelta del legislatore che per la prima volta ha stabilito come, tra i diversi valori in gioco, debba prevalere quello della riduzione dei tempi del processo anche quando la accelerazione si accompagni ad una sensibile riduzione di quanto ricavato dalla vendita forzata”.

L'art. 572, comma 3, c.p.c. è stato introdotto nel nuovo testo dall'art. 13, comma 1, lett. r) del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 6 agosto 2015, n. 132, e trovava senz'altro applicazione al procedimento in corso, dal momento che l'art. 23, comma 9, di quest'ultima legge di conversione stabiliva testualmente che “le disposizioni di cui all'art. 13 […] si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Quando è già stata disposta la vendita, la stessa ha comunque luogo con l'osservanza delle norme precedentemente in vigore e le disposizioni di cui al presente decreto si applicano quando il giudice o il professionista delegato dispone una nuova vendita”

In proposito, la Corte di cassazione si è trovata già in precedenza – con riguardo alla sopravvenuta modifica delle norme relative all'aggiudicazione a prezzo ribassato, ma relativamente ad un'ordinanza di vendita emessa prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 83 del 2015 e con aggiudicazione successiva a tale novella – a chiarire “che, in ipotesi di rifissazione della vendita, le nuove norme sono sì immediatamente applicabili al subprocedimento, ma opereranno solamente se richiamate o esplicitate nella relativa ordinanza, e non se le regole d'ingaggio della vendita stessa resteranno, per quanto in modo illegittimo, esplicitamente o, nel silenzio, implicitamente, quelle riferite alla pregressa normativa”.

Ciò si giustifica in ragione della “necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del sub procedimento di vendita, decisiva nelle determinazioni dei potenziali offerenti e, quindi, del pubblico di cui si sollecita la partecipazione, perché finalizzata a mantenere la parità di quelle condizioni tra i partecipanti alla gara in uno all'affidamento di ognuno di loro sulle stesse" (Cass. 24570/2018).

Il profilo controverso e la decisione della Corte

L'attenzione della Corte di cassazione si è appuntata principalmente sulla interpretazione dell'ordinanza di vendita, onde valutare se – come ha ritenuto il Tribunale – potesse sostenersi che il giudice delegato avesse preventivamente escluso la validità di una singola offerta sottosoglia, ammettendola invece nel solo caso di una pluralità di offerte.

Secondo la Corte, tuttavia, è già il tenore letterale della ordinanza di vendita ad escludere la lettura riduttiva fornita ad essa dal tribunale, che postulerebbe “una scissione del potere discrezionale riconformativo conferito al giudice dagli artt. 572, comma 3, e 573 c.p.c., mentre più correttamente, ad avviso della Corte, esso si estrinseca con l'aggiudicazione, motivata, in caso di offerta unica (art. 572, comma 3, c.p.c.) e con quella, automatica al miglior offerente, in caso di gara” (art. 573 c.p.c.)

Dunque, la Corte di cassazione tiene ferma la ratio acceleratoria del risultato della liquidazione, perseguita dalla riforma del 2015, anche a scapito del ricavato della vendita forzata, non condividendo l'opinione del Tribunale per cui tale ratio sarebbe stata recepita solo parzialmente, giustificando la validità dell'offerta ribassata solo condizionatamente all'eventualità di concorrere con altre "sul ragionevole presupposto che la successiva gara avrebbe garantito il raggiungimento di un maggiore e più elevato prezzo di aggiudicazione". Tale interpretazione dell'attuale normativa appare del resto smentita dalla lettera – anch'essa riformata nel 2015 – dell'art. 573 c.p.c. che, in caso di pluralità di offerte sottosoglia, impone la celebrazione di una gara tra gli offerenti "in ogni caso" (comma 1), con automatica aggiudicazione all'esito di essa anche “se il prezzo offerto è inferiore al valore dell'immobile stabilito dall'ordinanza di vendita (comma 4), potendo in tal caso il giudice sottrarsi alla vendita solo quando vengano presentate istanze di assegnazione.

Con l'arresto in commento appare dunque precisata la posizione dell'offerente sottosoglia a seguito della riforma intervenuta nel 2015: nel caso di una pluralità di offerte il giudice darà comunque corso alla gara fra tutti (con il limite di aggiudicazione dell'art. 573 c.p.c., u.c., condizionato alla mancanza di istanze di assegnazione, nelle vendite coattive comuni); mentre, nel caso di unica offerta sottosoglia, il meccanismo attributivo non è automatico, ma dipende dall'esercizio da parte del giudice delegato di un potere discrezionale motivato (art. 572, comma 3, c.p.c.)

Ad avviso della Corte, nell'ambito di una procedura di liquidazione fallimentare che si svolga secondo le disposizioni del codice di procedura civile ai sensi dell'art. 107, comma 2, c.p.c., tale ultima condizione risulta pienamente integrata dal provvedimento del giudice delegato reiettivo del ricorso proposto dal fallito ai sensi dell'art. 108 l.fall. per impedire il perfezionamento della vendita, dove si contestava la sola irregolarità dell'aggiudicazione e non la circostanza che l'immobile fosse stato aggiudicato ad un prezzo inferiore a quello base ma non per oltre un quarto di abbassamento.

Conclusivamente, la Corte di cassazione pronuncia il principio di diritto secondo cui "in caso di vendita coattiva immobiliare effettuata direttamente dal giudice delegato del fallimento, è valida anche l'offerta ribassata per non oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nella relativa ordinanza, potendo allora il predetto giudice, in caso di unicità di offerta, aggiudicare il bene a tale offerente, ove sussistano i presupposti di cui all'art. 572 c.p.c., comma 3 novellato, applicabile ratione temporis, in particolare dando conto che non ricorre seria possibilità di conseguire un prezzo superiore per effetto di una nuova vendita, secondo i limiti di compatibilità dell'istituto che costituisce un elemento normativo integrante il provvedimento".

Valutazione dell'arresto

De jure condito, l'interpretazione della Corte si dimostra ragionevole ed equilibrata ed è in particolare da apprezzare lo sforzo di coordinare le norme relative alla vendita forzata del codice di procedura civile, peraltro recentemente riformate, nel contesto della procedura di liquidazione fallimentare, in forza del richiamo effettuato dall'art. 107, comma 2, l.fall.

A ben vedere, la medesima possibilità è lasciata aperta anche dall'art. 216, comma 3, CCI, dove si prevede che il giudice delegato possa disporre che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate secondo le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili.

Non sembra, inoltre, che possa seriamente censurarsi l'affermazione della Corte secondo cui, nel contesto di una liquidazione fallimentare, la sede in cui il giudice delegato possa esercitare il potere discrezionale conferito dall'art. 572, comma 3, c.p.c., sia (anche) quella in cui il magistrato è sollecitato da un terzo ai sensi dell'art. 108 l.fall.

Del resto, la nuova formulazione di tale disposizione contenuta nel Codice della crisi d'impresa (art. 217, comma 1, ult. periodo) prevede espressamente che “se il prezzo offerto è inferiore, rispetto a quello indicato nell'ordinanza di vendita, in misura non superiore ad un quarto, il giudice delegato può impedire il perfezionamento della vendita in presenza di concreti elementi idonei a dimostrare che un nuovo esperimento di vendita può consentire, con elevato grado di probabilità, il conseguimento di un prezzo perlomeno pari a quello stabilito”.

In tale ottica, l'arresto in commento può salutarsi come una proficua anticipazione della nuova disciplina del CCI che entrerà in vigore – in teoria - la primavera prossima. Del resto, le stesse Sezioni Unite hanno chiarito in altra sede che il CCI, pur non applicabile direttamente ratione temporis alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, può costituire nondimeno un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare quando si possa configurare - nella specifica disciplina - un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro (Cass. S.U. 12476/2020).

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