La consulenza tecnica d'ufficio in materia bancaria

14 Gennaio 2022

Nelle controversie bancarie – che si innestano su rapporti di durata pregressi e che implicano la correlata necessità di ricostruirne l'andamento attraverso un esame analitico della documentazione contabile – assume un ruolo preminente, tra i mezzi istruttori, la consulenza tecnica d'ufficio.

Premessa

Nell'ambito dell'istituto della consulenza tecnica d'ufficio, quale mezzo istruttorio in senso lato, e non già quale mezzo di prova in senso stretto, e della relativa discriminazione tra consulenza deducente – che si limita a valutare, con l'indispensabile patrimonio di conoscenze specialistiche di cui dispone l'ausiliario del giudice, fatti già acquisiti al processo – e consulenza percipiente – che, per contro, mira ad accertare fatti, la cui verifica esige, in via indefettibile, la padronanza di cognizioni tecniche – si colloca la consulenza tecnica d'ufficio nelle controversie bancarie. La sua disciplina trova comunque riferimento nelle disposizioni che regolano la consulenza tecnica d'ufficio in generale, ossia negli artt. 61 ss. e 191 ss. c.p.c.

In particolare, tale strumento istruttorio è utilizzato ai fini della ricostruzione dei rapporti di durata che trovano la propria fonte in contratti bancari, allorché la necessità di rivedere il loro andamento – e di determinare il conseguente saldo all'esito della chiusura del rapporto, per effetto dello scomputo delle voci non dovute – dipenda dalla nullità di singole clausole negoziali previste sui moduli o formulari, predisposti dagli istituti bancari. Tra le clausole nulle si individuano precipuamente le clausole che prevedono l'applicazione di interessi anatocistici o usurari o che stabiliscono commissioni illecite. Dette evenienze possono riguardare sia i rapporti che scaturiscono da conti correnti di corrispondenza, sia quelli che discendono da contratti di mutuo.

A fronte della necessità di ricostruire lo sviluppo del rapporto, escludendo le voci addebitate per causali invalide, mediante l'apporto di conoscenze tecniche demandate ad uno specialistica della materia, si pone il problema di salvaguardare la parità delle armi tra le parti e la distribuzione del relativo onere probatorio secondo i canoni generali di cui all'art. 2697 c.c. Pertanto, l'ammissione della consulenza tecnica d'ufficio in siffatte tipologie di controversie non deve costituire, almeno in via di principio, uno strumento volto ad alterare gli oneri probatori che ricadono sulle parti.

Queste tematiche si intrecciano con i limiti propri anche di altro mezzo di prova che ricorre frequentemente nelle controversie bancarie, ossia con l'ordine di esibizione documentale, regolato dall'art. 210 c.p.c. E tali mezzi trovano spesso la loro sedes materiae in seno ai giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, che costituisce la forma procedimentale cui la banca more solito ricorre per far valere le proprie pretese verso il cliente.

Di seguito, saranno esaminati i termini attraverso cui le esigenze contrapposte sono conciliate in sede giurisprudenziale, ai fini di raggiungere un calibrato punto di equilibrio tra completezza dell'accertamento e rispetto della distribuzione degli oneri della prova tra le parti, evidenziando le evoluzioni nomofilattiche che si sono recentemente registrate su questi argomenti.

Il divieto di consulenza esplorativa

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che non è consentito al consulente nominato dal giudice di sostituirsi alla parte, andando a ricercare aliunde i dati che devono essere oggetto di riscontro a sua cura, dati che costituiscono appunto l'oggetto dell'onere di allegazione e di prova. Una diversa conclusione si porrebbe in tensione con il principio di disponibilità delle prove, che caratterizza il processo civile. Ne discende che non può essere rimessa all'ausiliario del giudice la ricerca degli atti e dei documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali la stessa parte deve avvalersi per fondare la sua pretesa. In questa stessa prospettiva, il consulente d'ufficio non può acquisire atti e documenti che la parte interessata avrebbe potuto ottenere fuori dal giudizio, richiedendoli, nelle controversie bancarie, agli istituti che ne hanno curato la diretta apprensione, connessa all'obbligo di conservazione. Il tecnico non può, infatti, surrogarsi alla parte, sanando una sua carenza processuale, magari acquisendo tali atti e documenti dalla parte che non li aveva tempestivamente prodotti, in quanto in questo modo il magistrato, tramite la longa manus del consulente, verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell'onere probatorio, in violazione sia dell'art. 2697 c.c., sia del principio del contraddittorio e del suo corollario della parità delle armi tra i contendenti (Cass. civ., 10 marzo 2015, n. 4729; Cass. civ., 26 novembre 2007, n. 24620).

Secondo questa ricostruzione, la decisione giudiziale di non espletare la consulenza tecnica d'ufficio, di cui si asserisce l'indispensabilità, è incensurabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, laddove la consulenza sia finalizzata ad esonerare la parte dall'onere della prova ovvero sia richiesta a fini esplorativi alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati (Cass. civ., 5 luglio 2007, n. 15219). Il giudice, pertanto, non deve disporre la consulenza ogni qual volta si avveda che la richiesta della parte tende a supplire alla deficienza della prova, ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provate (Cass. civ., 6 dicembre 2011, n. 26151). E ciò perché il corretto espletamento dell'incarico affidato al consulente non comporta alcun potere di «supplenza», da parte di quest'ultimo, rispetto al mancato assolvimento, a cura delle parti, dei rispettivi oneri probatori.

L'acquisizione documentale nella consulenza contabile

Al divieto generale di acquisizione documentale, a cura del consulente d'ufficio incaricato dal giudice di espletare l'indagine peritale, fa eccezione la regolamentazione dei poteri di acquisizione documentale nelle consulenze contabili. Infatti, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice può darne incarico al consulente tecnico, affidandogli altresì il compito di tentare la conciliazione. In questo ambito, il consulente incaricato sente le parti e, previo consenso delle stesse, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa, di cui non può fare menzione nei processi verbali e nella relazione peritale senza il consenso di tutte le parti. Pertanto, l'esame documentale in sede di verifica contabile è ammesso, anche con riferimento ad atti e documenti non prodotti in giudizio, alla condizione che tutte le parti prestino il consenso alla consultazione di tali dati. È necessario un ulteriore consenso delle parti per la citazione dei riscontri documentali sia nei verbali redatti sia nella relazione di consulenza espletata e depositata in giudizio.

Questi speciali poteri, il cui esercizio è pur sempre subordinato al consenso unanime delle parti in causa, si attagliano anche alle consulenze d'ufficio in materia bancaria, che presentano i crismi delle consulenze contabili, poiché richiedono una ricostruzione analitica delle scritture in cui sono registrati gli sviluppi dei rapporti di durata.

Cosicché l'incarico del consulente d'ufficio in detta materia è legittimamente esercitato nei casi in cui sia necessario acquisire documenti non prodotti dalle parti, e che tuttavia siano necessari per portare a termine l'indagine richiesta e per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette. In questo quadro, egli può, nel contraddittorio delle parti, anche acquisire documenti non prodotti e che possono essere nella disponibilità di una delle parti o anche di un terzo, qualora ne emerga l'indispensabilità rispetto all'accertamento di una situazione di comune interesse, nonché acquisire dati tecnici di riscontro alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, pur sempre dovendone indicare la fonte di acquisizione per consentire alle parti di effettuarne l'esatto e pertinente controllo (in questo senso Cass. civ., 5 febbraio 2020, n. 2671; Cass. civ., 23 giugno 2015, n. 12921; Cass. civ., 7 ottobre 2010, n. 20632; Cass. civ., 28 gennaio 2010, n. 1901).

Tuttavia, la S.C. ha specificato che l'espletamento della consulenza tecnica contabile non va esente da preclusioni, nel senso che si deve escludere l'ammissibilità della produzione tardiva di prove documentali concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, essendo, al riguardo, irrilevante finanche il consenso della controparte: ai sensi dell'art. 198 c.p.c., quest'ultimo può essere espresso soltanto con riferimento all'esame di documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal giudice (Cass. civ., 27 aprile 2016, n. 8403; Cass. civ., 2 dicembre 2010, n. 24549).

Non hanno, dunque, fondamento le censure con le quali si lamenta il mancato accertamento dell'esistenza di clausole anatocistiche vietate, attraverso l'ammissione di una consulenza contabile, così facendosi residuare l'onere documentale sulle spalle della banca convenuta; infatti, in questo caso, la richiesta tende a conseguire sotto altre spoglie, e persino attraverso un'indebita inversione dell'onere della prova, il medesimo risultato che si è negato attraverso le strade già percorse (Cass. civ., 4 aprile 2016, n. 6511). E tanto perché, sotto il profilo documentale, non può aderirsi all'interpretazione secondo cui, in ragione del principio di prossimità o vicinanza della prova, deve essere la banca a fornire la documentazione che il cliente non ha avuto cura di conservare. Infatti, il richiamato principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone (incumbit) un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti, ma esige l'impossibilità della sua acquisizione simmetrica.

Sul punto, è necessario altresì evidenziare che, mentre deve ritenersi avere natura esplorativa la consulenza finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega, altrettanto non può dirsi – in conformità ai principi generali – per la consulenza intesa a ricostruire l'andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza (an), ma controversi quanto al loro andamento (quomodo e quantum). È perciò consentito derogare ai limiti sopra illustrati quando l'accertamento di determinate situazioni di fatto – e segnatamente della progressione del rapporto e del conseguente saldo alla luce della decurtazione di voci registrate addebitabili a clausole nulle, di cui il cliente abbia fornito la dimostrazione, anche alla stregua della non contestazione della banca – possa effettuarsi soltanto con l'ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al tecnico incarico anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (Cass. civ., 15 giugno 2018, n. 15774; Cass. civ., 15 marzo 2016, n. 5091; Cass. civ., 14 febbraio 2006, n. 3191).

Parzialità dei documenti e ricostruzione a partire da un saldo pari a zero

A fronte di un'iniziale posizione di rigidità della giurisprudenza di legittimità, atta ad evitare alcuna commistione tra il profilo della limitazione temporale dell'obbligo di conservazione documentale in materia contabile ex artt. 2220 c.c. e 119 tub e la pervasività della prova dell'andamento dei rapporti di durata, gli ultimi arresti sembrano ammettere un temperamento di tale asserto.

In origine, la S.C. è stata perentoria nell'affermazione secondo cui, nei rapporti bancari, la banca non può sottrarsi all'onere di provare il proprio credito invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell'ultima registrazione, in quanto tale obbligo – volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all'attività imprenditoriale – non può sollevarla dall'onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore rispetto al decennio (Cass. civ., 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. civ., 26 gennaio 2011, n. 1842). Conseguentemente, nel contratto di conto corrente bancario, la banca che assuma di essere creditrice del cliente ha l'onere di produrre in giudizio i relativi estratti conto, a partire dalla data della sua apertura, non potendo pretendere l'azzeramento delle eventuali risultanze del primo degli estratti utilizzabili, in quanto ciò comporterebbe l'alterazione sostanziale del medesimo rapporto, che vede nella banca l'esecutrice degli ordini impartiti dal cliente, i quali si concretizzano in operazioni di prelievo e di versamento, ma non integrano distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra cliente e banca, rispetto ai quali quest'ultima possa rinunciare azzerando il primo saldo (Cass. civ., 27 settembre 2018, n. 23313; Cass. civ., 16 aprile 2018, n. 9365; Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20693).

Più recentemente, invece, la Corte regolatrice sembra ammettere, seppure in un delimitato contesto, che la ricostruzione del rapporto possa muovere da un saldo pari a zero. Per l'effetto, si è osservato che, nei rapporti bancari di conto corrente, ove alla domanda principale diretta al pagamento del saldo del rapporto, proposta dalla banca in via monitoria, si contrapponga la domanda riconvenzionale del correntista di accertamento del saldo e di ripetizione dell'indebito, formulata in sede di opposizione ex art. 645 c.p.c., ciascuna delle parti è onerata della prova delle operazioni da cui si origina il saldo. In particolare, la mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto, il cui saldo sia a debito del correntista, non esclude una definizione del rapporto di dare e avere fondata sugli estratti conto prodotti da una certa data in poi. Sicché, ove manchi la prova delle movimentazioni del conto occorse nel periodo iniziale del rapporto, il correntista non potrà aspirare ad un rigetto della domanda di pagamento della banca, ma, nel contempo, quest'ultima non potrà invocare, in proprio favore, l'addebito della posta inziale del primo degli estratti conto prodotti (Cass. civ., 5 agosto 2021, n. 22387). Nello stesso senso altra pronuncia ha chiarito che, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente, la proposizione di contrapposte domande da parte della banca e del correntista implica che ciascuna delle parti sia onerata della prova della propria pretesa. Ne deriva che, in assenza di elementi di prova che consentano di accertare il saldo nel periodo non documentato, ed in mancanza di allegazioni delle parti che permettano di ritenere pacifica l'esistenza, in quell'arco di tempo, di un credito o di un debito di un certo importo, deve procedersi alla determinazione del rapporto di dare e avere, con riguardo al periodo successivo, documentato dagli estratti conto, procedendosi all'azzeramento del saldo iniziale del primo di essi (Cass. civ., 29 ottobre 2020, n. 23852). Cosicché la reciprocità delle domande giustifica un temperamento della rigida regola in forza della quale la parte che agisce in giudizio è tenuta a fornire la prova documentale relativa all'intera evoluzione del rapporto, indipendentemente dalla sua durata. Anzi proprio il fatto che le domande siano reciproche non esclude che il rapporto possa essere ricostruito limitatamente all'ultimo periodo in cui sia disponibile la documentazione contabile, partendo da un saldo zero.

Analogamente – e sulla stessa linea direttrice -, sempre con riferimento agli ultimi arresti, la S.C. ha ammesso che, in materia di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca (e dunque da lui pagato) con il saldo finale del rapporto non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di ripetizione soltanto mediante la produzione in giudizio di tutti gli estratti conto mensili, ben potendo la prova dei movimenti del conto desumersi anche aliunde, vale a dire attraverso le risultanze dei mezzi di cognizione assunti d'ufficio e idonei a integrare la prova offerta, ossia mediante consulenza tecnica contabile disposta dal giudice sulle prove documentali prodotte (Cass. civ., 19 luglio 2021, n. 20621; Cass. civ., 21 dicembre 2020, n. 29190; Cass. civ., 3 dicembre 2018, n. 31187).

E ciò superando la posizione espressa in pronunce precedenti, secondo cui il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione dell'indebito è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi, essendo, altresì, onerato della ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione (Cass. civ., 28 novembre 2018, n. 30822).

Acquisizione documentale in sede di espletamento della consulenza d'ufficio

Si è già accennato al fatto che, nell'ambito dei rapporti bancari, da un lato, il cliente ha la facoltà di richiedere alla banca la documentazione contabile relativa all'ultimo decennio, quale vero e proprio diritto potestativo che si esprime già nel campo sostanziale, dall'altro, la consulenza tecnica d'ufficio nel campo processuale, avendo natura contabile, può permettere l'acquisizione e l'esame di documenti, ove vi sia il consenso delle parti. Occorre chiedersi come si concilino tali due poteri e, in specie, in che termini si ponga lo spettro dei compiti spettanti all'ausiliario del giudice di acquisizione documentale, allorché la parte non si sia avvalsa di richiedere la documentazione alla banca in via stragiudiziale.

Sull'argomento, la Corte di cassazione ha puntualizzato, con arresti che questa volta smentiscono in senso più restrittivo l'assetto espresso da alcuni arresti di poco precedenti (ma che in realtà confermano l'orientamento più risalente), che, in tema di contenzioso tra istituto di credito e cliente, il diritto di quest'ultimo ad ottenere copia della documentazione bancaria relativa alle operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, previsto dall'art. 119, comma 4, d.lgs. 385/1993, non può essere soddisfatto in sede di consulenza tecnica d'ufficio contabile, se il cliente non ha precedentemente formulato la relativa richiesta alla banca e la documentazione riguarda fatti o situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento di domande o eccezioni, devono necessariamente essere provati dalla parte che le ha formulate (Cass. civ., 13 settembre 2021, n. 24641).

In precedenza, invece, la Corte ha ritenuto, con precipuo riguardo all'ampiezza dell'ordine di esibizione documentale (ma, come detto, i temi concernenti l'ampiezza della esibizione documentale e dell'acquisizione mediante consulenza contabile dei documenti, in tale contesto, si intersecano), che il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell'art. 119 del d.lgs. 385/1993, anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell'esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all'art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante (Cass. civ., 30 ottobre 2020, n. 24181; Cass. civ., 8 febbraio 2019, n. 3875).

Riferimenti
  • F. De Santis, Oneri di allegazione ed oneri probatori nel contenzioso bancario, con particolare riferimento alle azioni di nullità e di ripetizione per indebito, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, 6, 757 ss.
  • F. Greco, Rapporti bancari ed onere della prova: il punto della Corte di cassazione, in Resp. civ. e prev., 2016, 4, 1257 ss.
  • G. Ianni, L'azione di ripetizione dell'indebito nei rapporti di conto corrente bancario e l'onere della prova a carico del correntista, in Ilprocessocivile.it, 6 settembre 2021.
  • A. Mambriani, Appunti in tema di consulenza tecnica nel processo civile. Il ruolo del consulente tecnico d'ufficio, in Riv. dottori comm., 2013, 3, 559 ss.

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