Ancora in tema di domanda, oneri di allegazione e prova e poteri del giudice nel processo di risarcimento del danno
17 Gennaio 2022
Premessa: il contenuto essenziale della domanda di risarcimento
Secondo Giuseppe Chiovenda nel processo con oggetto illiquido “non vi è mutamento della domanda se la parte nel corso del processo chiede una somma maggiore, ma solo una revoca della prefissione precedentemente fatta” (Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1965, rist., 282 – c.vi nostri). Tale asserto si correla alla peculiare ampiezza dell'oggetto del giudizio – giacché secondo Chiovenda gli oggetti illiquidi vengono dedotti “come tali” nel processo, cioè soprattutto nel giudizio di risarcimento (Principii, cit., 282) – e intensità dei poteri del giudice in punto di liquidazione del quantum. Per questa ragione, l'attore può appunto delimitare l'oggetto del processo, chiedendo di provvedere al risarcimento solo con riferimento ad alcune conseguenze pregiudizievoli, o appunto limitarsi a “provocare” l'esercizio delle potestà giudiziali senza una preventiva definizione dell'entità del danno risarcibile di cui si chiede il ristoro.
La dottrina successiva in prevalenza non ha abbandonato tale impostazione: in particolare, ciò si può riscontrare negli approfondimenti svolti da Cerino Canova a proposito dell'unitarietà del giudizio di risarcimento in relazione al medesimo evento lesivo (La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in Commentario del c.p.c., diretto da Allorio, II, 1, Padova, 1980, 145, 200 ss.).
Ad opinione di chi scrive, l'autorevole riflessione chiovendiana mantiene inalterata, ancor oggi, la propria validità (cfr., s.v., il nostro Sull'oggetto del processo di risarcimento: le potestà delle parti e i poteri del giudice, in Scritti in memoria di Franco Cipriani, Napoli, 2020, 3 ss.), anche se non mancano riflessioni in senso contrario (cfr. Gioia, Errore del medico: chi sopporta il rischio della mancata prova?, in Scritti in memoria di Franco Cipriani, cit., 507, secondo la quale la domanda di risarcimento deve essere completa di ogni suo “elemento”, ivi compreso il puntuale riferimento a tutti i danni che si ritengono prodotti “da qualificare e quantificare nell'atto introduttivo”. L'A. aggiunge – sempre in Errore del medico, cit., 507, nota 78 – che, a suo parere, la suddetta domanda non possa essere “completata” nelle memorie ex art. 183, 6° comma, c.p.c., mentre non esclude la possibilità che essa possa essere “emendata” sostituendo la deduzione di un fatto con il riferimento ad una diversa circostanza riferibile al medesimo petitum).
Invero, la possibilità che la domanda relativa a un “oggetto illiquido” si presenti del tutto non quantificata, rimanendo finanche non quantificata in sede di precisazione delle conclusioni, è espressamente presa in considerazione dal legislatore. In questo caso l'attore può chiedere il riconoscimento di una somma non predeterminata invocando dal giudice, ad es., il riconoscimento di quanto venga ritenuto “di giustizia”. Proprio per tale ipotesi, infatti, è stata dettata la previsione di cui all'art. 14, ult. comma, c.p.c., ai sensi della qualein caso di mancata contestazione del convenuto “il valore … presunto, … rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito” (cfr. Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2021, 108).
La giurisprudenza in materia non si dimostra sempre coerente a proposito del tema in esame.
Un richiamo all'impostazione chiovendiana può essere ritrovata là dove si ammette finanche la possibilità di richiedere il risarcimento di “tutti i danni” conseguenti ad un certo evento pregiudizievole, ritenendo che la specificazione dei singoli danni di cui s'invoca la liquidazione nella fase di trattazione abbia finanche carattere meramente “esemplificativo”, non potendo essere interpretata come volontà di delimitare il petitum (cfr. Cass., sez. III, 10.4.2015, n. 7193; Cass., sez. III, 30.11.2011, n. 25575; Cass., sez. III, 17.12.2009, n. 26505; non mancano ulteriori e più risalenti precedenti del medesimo tenore cfr., in proposito, i nostri Sull'oggetto del processo di risarcimento: le potestà delle parti e i poteri del giudice, cit., 6 nota 12, 7 nota 13, 10 ss.; La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e le preclusioni processuali applicabili in tema di allegazione e prova, in Ridare.it, 2014, § 1.3). Per un diverso orientamento, invece, cfr. Cass., sez. III, 30.6.2015, n. 13328, secondo cui l'art, 163, comma 2, nn. 3 e 4, c.p.c. imporrebbe all'attore di esporre nell'atto di citazione “analiticamente e con rigore i fatti materiali che assume essere stati fonte di danno. E dunque in cosa è consistito il danno non patrimoniale, con quali criteri di calcolo dovrà essere computato”; per quanto si rilevi come l'attore non possa essere onerato di indicare con un preciso nomen iuris il danno di cui si chiede il risarcimento, né di quantificare preventivamente “al centesimo” il danno di cui si chiede il risarcimento. Per una posizione intermedia cfr. Cass., sez. III, 18.2.2012, n. 691, secondo cui le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, a cui si ricollegano i danni prodotti nella sfera giuridica dell'attore, dovendo essere inclusa anche la descrizione delle lesioni patrimoniali e/o personali, poiché occorre mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo.
L'ispirazione che sta al fondo della linea di “maggior rigore” nella definizione del contenuto essenziale della domanda di risarcimento è quella di una stretta responsabilizzazione dell'attore. Ma è fallace riferire tale proposito alla disciplina sul contenuto della domanda giudiziale. Da un lato, perché il mancato raggiungimento dello scopo della identificazione del diritto fatto valere non consente la pronuncia del merito sfavorevole all'attore (in carenza di un'adeguata attività difensiva) e la formazione di un giudicato di rigetto. Al contrario, la nullità della domanda apre ai meccanismi di sanatoria previsti dall'art. 164 c.p.c., che – è bene ricordare – sarebbe dovere del giudice attivare, pur nei limiti in cui è consentita la rinnovazione dell'atto introduttivo (arg. dall'art. 162, comma 1, c.p.c.) in ragione, ad es., del grado in cui si trova il processo.
Da quanto precede, quindi, il riferimento alla lesione lamentata dall'attore anche nella sua concretezza storico-fattuale (c.d. danno-evento) è necessario – ma sufficiente – in vista della definizione dell'oggetto del giudizio; mentre non può ritenersi essenziale a tal fine la deduzione delle circostanze rilevanti ai fini della determinazione dell'entità del danno risarcibile (c.d. danno-conseguenza).
Del resto, nel definire le innovazioni consentite o meno nel giudizio di risarcimento, la giurisprudenza riconosce una specifica rilevanza ai fini dell'individuazione del diritto fatto valere al solo “fatto generatore del danno”, immodificabile nel corso del giudizio, in contrapposizione ai fatti rilevanti ai fini della pronuncia sulla quantificazione del danno, che possono essere prodotti durante il corso del processo, anche oltre il maturare delle preclusioni, allorché la mancata allegazione tempestiva non sia imputabile alla parte interessata e quest'ultima possa essere rimessa in termini (cfr., tra le più recenti, Cass., sez. VI, 3, 15.10.2018, n. 25631).
Senza dubbio, poi, la definizione ampia dei poteri del giudice nel processo di risarcimento è l'unica coerente con il consolidato indirizzo in tema di c.d. divieto di frazionamento della domanda risarcitoria, soprattutto se si ritiene che tale divieto poggi sulla produzione di un effetto di ne bis in idem del giudicato in relazione alla lesione fatta valere, ad esito del processo che segue alla precedente richiesta giudiziale di risarcimento (come professano, correttamente, ad es. Cass., sez. III, 22.06.2020, n. 12140 e Cass., 17.03.2016, n. 5308). Al contrario, non appare giustificata l'applicazione del suddetto divieto di frazionamento della domanda in relazione ai danni alle cose e alla persona cagionati dalla medesima condotta; proprio perché la diversità di lesioni in relazione alle quali potrebbe in astratto essere richiesta la tutela risarcitoria esclude che tali danni si riferiscano al medesimo thema decidendum (cfr. Sull'oggetto del processo di risarcimento: le potestà delle parti e i poteri del giudice, cit., 24 ss.). Gli oneri di allegazione e prova del danno e i poteri del giudice
L'ampiezza dei poteri del giudice in sede di pronuncia sul danno risarcibile consente una non trascurabile flessibilità riguardo alle difese dell'attore nel corso del processo nella deduzione delle circostanze rilevanti ai fini della pronuncia sul quantum, nonché in relazione all'indicazione delle c.d. voci di danno, nei limiti consentiti dal sistema delle preclusioni e per certi versi anche oltre, ove l'inerzia dell'attore non risulti inescusabile (arg. art. 153, comma 2, c.p.c.). Non solo: il tema dei poteri ufficiosi in materia consente di precisare i limiti della responsabilità delle parti e quando – invece – deve ritenersi sussistente uno specifico compito del giudice, nell'assolvimento del suo dovere decisorio in tema di liquidazione del danno risarcibile.
Scorrendo i precedenti della Suprema Corte, tuttavia, è possibile scorgere come non siano infrequenti le incertezze nella definizione dell'oggetto del giudizio di risarcimento del danno non patrimoniale e le possibilità di allegazione consentite in sede di trattazione della causa.
Una recente pronuncia (Cass., sez. III, 29.09. 2021, n. 26301) può considerarsi paradigmatica, nella parte in cui ha censurato il rigetto delle istanze istruttorie, perché ritenute costituenti un'inammissibile mutatio libelli, là dove il giudice territoriale aveva ritenuto le circostanze relative alla sofferenza accusata dalla gestante e il mutamento di vita della stessa, per la morte del feto durante la gravidanza, estranee alla domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, causati da perdita del frutto del concepimento proposta dal danneggiato. La S.C., infatti, ha osservato come il giudice territoriale abbia errato nel non riconoscere a tali circostanze la natura di fatti secondari, rilevanti per la formazione del convincimento del giudice sul factum probandum relativo al danno risarcibile, non avendo tali circostanze natura di fatti costitutivi di un danno autonomo.
Tali incertezze a cui si è fatto cenno non possono stupire. In quanto la distinzione tra evento dannoso e conseguenza risarcibile non si applica agevolmente riguardo al risarcimento del danno non patrimoniale. Ed anzi tale bipartizione è negata da una parte della dottrina sulla base del rilievo che “l'art. 1223 … risulta inapplicabile al danno non patrimoniale, la liquidazione di quest'ultimo non può che essere ricavata dai termini in cui si è atteggiata la lesione, con la conseguenza che la prova di quest'ultima è in pari tempo prova del danno che si tratta di risarcire” (così Castronovo, Responsabilità civile, Milano, 2018, 106).
La distinzione lesione e danno risarcibile è comunque utile, anche nel giudizio di risarcimento del danno non patrimoniale. In quanto spetta, in modo specifico, all'attore delineare il fatto costitutivo del diritto al risarcimento, nell'ambito di un'affermazione secondo cui al fatto imputabile (condotta dolosa o colposa, ovvero fatto che configura un titolo di responsabilità oggettiva) sia correlato (nesso di causalità) il verificarsi di un dato pregiudizio alla persona.
L'attore deve immancabilmente fondare la propria pretesa risarcitoria in relazione alle deduzioni fattuali che consentano a delineare l'evento lesivo. Allo stesso tempo, la domanda di risarcimento dell'intero danno non patrimoniale ricomprende tutte le possibili voci di danno riferibili causalmente al fatto imputabile e non può essere considerata incompleta in punto di definizione del thema decidendum, anche se non vengono inizialmente allegati tutti i fatti pregiudizievoli sottesi a tale richiesta di tutela e le relative qualificazioni riferibili all'iniziale richiesta risarcitoria.
Le più recenti questioni interpretative in materia di danno alla persona presentano rilevanti ricadute sul piano processuale.
Come noto, la S.C. ha affermato – per quanto non senza destare talune perplessità – che sia possibile enucleare autonome componenti del danno non patrimoniale riguardo alle conseguenze pregiudizievoli alla vita di relazione e alle sofferenze interiori (cc.dd. danno dinamico relazionale e danno morale interiore), ulteriori rispetto alle conseguenze dannose normalmente conseguenti alla lesione dell'integrità psico-fisica, almeno quando si tratti di applicare l'art. 138 cod. ass. (cfr. D. Spera, Con l'approvazione della Tabella Unica Nazionale verrà meno la supplenza della Tabella milanese da lesione macro-permanente del bene salute?, in Ridare.it).
In ogni caso, però, la necessità di procedere ad un'autonoma liquidazione in relazione ai profili cui si è fatto cenno non rileva sotto il profilo dell'applicazione dell'onere di allegazione e della prova, bensì dal punto di vista della definizione del thema decidendum, sotto il profilo della specificazione del petitum. Difatti, una volta riconosciuto a ciascuno degli aspetti considerati il carattere di autonoma voce di danno, l'attore può limitare la propria richiesta risarcitoria soltanto a una di esse. Nel qual caso il giudice non potrebbe pronunciarsi sulla componente del danno non fatta valere, perché altrimenti incorrerebbe in una ultrapetizione in violazione di quanto prescritto dall'art. 112 c.p.c.
Una volta stabilito, dunque, che l'ambito della pronuncia sulla sussistenza e sulla consistenza del danno risarcibile reso rilevante dal petitum della domanda risarcitoria, si tratta di comprendere - poi - cosa comporti l'applicazione della regola secondo cui il giudice deve pronunciarsi iuxta allegata et probata (art. 115 c.p.c.) nel contesto del giudizio risarcitorio.
In prima battuta, vien da sé richiedere all'affermato danneggiato che agisca nel processo di attivarsi per consentire al giudice di acquisire gli elementi fattuali e probatori a lui disponibili, al fine di determinare la sussistenza e l'entità del danno risarcibile. Conseguentemente, ad es., non può essere accolta la richiesta di una posta risarcitoria a titolo di danno esistenziale – ulteriore rispetto al danno da perdita del rapporto parentale – in mancanza di qualsivoglia allegazione delle circostanze di fatto relative al rapporto con il congiunto deceduto che valgano a rendere il danno concreto più grave di quello normalmente riconosciuto in conseguenza al pregiudizio allegato (analog. Cass., sez. III, 30.11.2018, n. 30997).
Allo stesso tempo, occorre tener presente che in sede di accertamento del danno non patrimoniale i poteri del giudice hanno modo di manifestarsi in modo assai marcato, in ragione della difficoltà o dell'impossibilità di dare una prova diretta dell'entità della perdita subita. Nelle sentenze di San Martino del 2008 le sezioni unite hanno osservato che “è compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli … provvedendo alla … integrale riparazione” (così, ad es., sent. n. 26972/2008 – c.vi nostri). Di seguito, ancora più esplicitamente la S.C. ha più volte osservato che in sede di accertamento del danno risarcibile si deve dare “ingresso a tutti i necessari mezzi di prova … utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, nel fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni … senza procedere ad alcun automatismo” (così Cass., sez. III, 27.03.2018, n. 7513). Di recente, si è osservato come nei giudizi di responsabilità del c.d. danno da perdita del rapporto parentale l'aspetto della sofferenza interiore vada valorizzata anche attraverso il corretto esercizio delle potestà ufficiose del giudice, “perché la sofferenza morale interiore, allegata e provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l'aspetto più significativo del danno de quo” (così Cass., sez. III, 29.09. 2021, n. 26301).
In altre parole, nella determinazione del danno non patrimoniale risarcibile l'esercizio dei poteri del giudice è limitato solo dal divieto di c.d. scienza privata, che però il giudice non contravviene là dove fonda il proprio convincimento sulla base degli atti e dei documenti legittimamente acquisiti al processo, da chiunque prodotti, non importa quindi ad iniziativa di quale parte, ovvero appresi d'ufficio dal giudice, nei casi consentiti, anche attraverso il consulente tecnico da quest'ultimo nominato, nonché facendo ricorso al fatto notorio o alle massime d'esperienza. Le preclusioni nel processo di risarcimento
La giurisprudenza riconosce tradizionalmente la possibilità di modificare in senso ampliativo il petitumdell'azione risarcitoria, là dove l'attore abbia indicato nell'atto introduttivo la richiesta di una somma pecuniaria determinata (Cass., sez. III, 19.4.2010, n. 9266; Cass., sez. III, 24.8.2007, n. 17977; Cass., sez. III, 28.6.2006, n. 14961; Cass., sez. III, 6.8.1997, n. 7275). Difatti, ove si ritenga che la definizione dell'entità del risarcimento richiesto non sia necessaria per identificare la causa risarcitoria, tale determinazione pecuniaria ha solo un carattere limitativo in ordine alle potestà giudiziali in sede di liquidazione del danno.
La possibilità di estensione del petitumdeve essere affermata anche qualora l'attore richieda inizialmente il risarcimento solo in relazione a determinate voci di danno (patrimoniale o non patrimoniale) e successivamente intenda far valere anche le ulteriori voci di danno inizialmente pretermesse. Inoltre, alla luce della potestà giudiziale d'interpretazione e qualificazione della domanda giudiziale il giudice deve stabilire se la successiva indicazione di una voce di danno sia effettivamente volta a limitare il petitum risarcitorio, ovvero se essa abbia esclusivamente carattere esemplificativo in ordine all'identificazione delle conseguenze dannose riferibili all'unitario evento lesivo (v. sopra al § 1).
Al contrario, in considerazione di quanto affermato dalle sezioni unite in tema di unitarietà del danno non patrimoniale (Cass., sez. un., 11.11.2008, n. 26972) deve ritenersi superato il più risalente indirizzo, secondo cui sarebbe vietata la deduzione di una componente del danno non patrimoniale inizialmente non fatta valere a fronte del divieto di domande nuove, sul presupposto non corretto secondo cui il danno biologico costituisca un tertium genus rispetto al danno patrimoniale e non patrimoniale: cfr. Cass., sez. III, 23.9.2004, n. 19126; e Cass., sez. III, 5.7.2001, n. 9090, secondo cui “in tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, non è legittimamente estensibile alla richiesta di liquidazione del danno biologico il principio secondo cui ricorre la fattispecie processuale della mera emendatio libelli (e non anche della - non consentita - mutatio) nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del petitum mediato, ma all'esito di una variazione nella sola estensione del petitum immediato, ferma restandone l'identità e l'individualità ontologica Mentre le varie voci di danno non integrano, difatti, una pluralità e diversità strutturale di petitum, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni (o ‘categorie' interne) quanto alla sua specificazione quantitativa, il danno biologico costituisce, per converso, un vero e proprio tertium genus rispetto alle tradizionali categorie del danno civile, sicché la relativa richiesta introduce un nuovo tema di indagine e di decisione in qualunque grado del giudizio intervenga, concretando, per l'effetto, una vera e propria mutatio libelli, anche se formulata nel corso del giudizio di primo grado”.
Tutte le possibilità di rettifica sin qui menzionate devono essere esercitate – in genere – entro le preclusioni sancite per la precisazione o la modifica delle conclusioni nella prima udienza ovvero nel termine per il deposito della prima memoria di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.
Pertanto, in particolare, entro tale barriera preclusiva potranno essere allegate le circostanze volte a giustificare un più consistente risarcimento del danno alla persona in sede di c.d. personalizzazione (quale, ad es., la pratica hobbistica del tennis), oppure i fatti utili a consentire un più cospicuo risarcimento del danno patrimoniale (ad es., il costo del carro attrezzi per la rimozione dell'auto dopo l'incidente stradale).
Ove si acceda all'indirizzo secondo cui il c.d. divieto di frazionamento della domanda operi in relazione alle pretese risarcitorie per i danni alle cose e alla persona occasionati dal medesimo fatto imputabile, occorrerebbe poi, inevitabilmente, consentire all'attore di estendere la richiesta di risarcimento, a seconda dei casi, all'uno o all'altro danno, all'origine non fatto valere. Ciò anche alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di emendatio libelli ai sensi dell'art. 183 c.p.c. a partire da Cass., sez. un., 15.6.2015, n. 12310.
Sempre entro i suddetti limiti preclusivi stabiliti dall'art. 183 c.p.c. per la precisazione o la modifica delle difese già svolte nella fase introduttiva possono essere introdotte talune rettifiche anche in relazione alle deduzioni relative al fatto imputabile e al nesso di causalità. In giurisprudenza, tale possibilità di correzione delle difese già svolte è stata di recente giustificata in considerazione della facoltà di emendatio libelli riconosciuta all'attore (Cass., sez. III, 16.2.2021, n. 4031). La S.C. ha, poi, ritenuto ammissibile la sostituzione dell'originaria domanda del terzo trasportato, tesa a far valere la responsabilità del proprietario del veicolo fondata sul contratto di trasporto concluso tra le parti, con un'altra basata sulla presunzione di responsabilità del proprietario medesimo, ex art. 2054 codice civile (Cass., sez. III, 25.9.2018, n. 22540; conf. Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2021, 38). Inoltre, si è osservato come nell'ambito di una causa risarcitoria del danno derivato da colpa medica l'attore, dopo avere allegato nell'atto introduttivo che l'errore del sanitario sia consistito nell'imperita esecuzione di un intervento chirurgico, può indicare – persino fino alla precisazione delle conclusioni – che l'errore medico è riferibile all'inadeguata assistenza postoperatoria, dovendosi considerare il fatto lesivo, idoneo a delimitare l'ambito dell'indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato (Cass., sez. IV, 26 luglio 2012, n. 13269).
Per altro verso, si è ritenuto che possa essere richiesta (anche) in sede di precisazione delle conclusioni una somma maggiore di quella inizialmente quantificata nell'atto introduttivo per il risarcimento del danno non patrimoniale, almeno quando tale aumento sia dovuto all'applicazione di nuove tabelle riferibili alla liquidazione, purché non vengano alterati i “termini sostanziali della controversia” o introdotti “nuovi temi d'indagine” (Cass., sez. III, 18 gennaio 2011, n. 1083, ove sono contenuti gli incisi appena citati).
Come abbiamo già visto, poi, possono essere fatti anche successivamente i danni sopravvenuti riferibili al medesimo “fatto generatore di danno” fino alla precisazione delle conclusioni quando si manifestino nel corso del giudizio, in quanto ciò non costituisce domanda nuova (Cass., sez. II, 24.1.2019, n. 2038; Cass., sez. VI, 3, 15.10.2018, n. 2563; Cass., sez. III, 10.11.2003, n. 16819). I danni verificatasi successivamente alla precisazione delle conclusioni possono essere fatti valere nel giudizio d'appello, poiché non si applica in tal caso il divieto di ius novorum di cui all'art. 345 c.p.c. (Cass., sez. III, 23.7.2002, n. 10751; Cass., sez. III, 24.8.1998, n. 8364; Cass., sez. II, 2.5.1996, n. 4023). In caso di passaggio in giudicato della sentenza è comunque possibile proporre una domanda in un separato processo per i danni imprevedibili o latenti emersi successivamente alla precisazione delle conclusioni nel precedente giudizio (cfr., s.v., il nostro Risarcimento del danno imprevedibile o latente e limiti dell'efficacia preclusiva del giudicato, in Europa dir. priv., 2021, 91 ss.).
Infine, i c.d. fatti secondari, ossia le circostanze rilevanti ai fini della formazione del convincimento del giudice, circa la sussistenza del danno risarcibile riferibili alla medesima richiesta risarcitoria (c.d. danno-conseguenza) possono emergere anche nelle memorie di cui all'art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., oppure possono essere acquisiti pure in sede istruttoria (Cass., sez. lav., 15.11.2011, n. 10045), con il solo limite del passaggio alla fase decisoria con la precisazione delle conclusioni (Cass., sez. III, 4.9.2012, n. 14803). |