Il finanziamento dei soci mediante apporti fuori capitale senza obbligo di rimborso

Angelo Mambriani
17 Gennaio 2022

Il presente contributo ha ad oggetto gli apporti fuori capitale, senza includere direttamente le problematiche relative alla validità ed alla disciplina delle c.d. “riserve targate”. Ci si occupa dei connotati basilari, naturali e di disciplina, di tali apporti, connotati che – in ragione dei loro effetti - costituiscono il presupposto logico-giuridico dell'insorgere dell'interesse alla targatura delle riserve.
Premessa

Il presente contributo [tratto dalla relazione tenuta all'incontro di studio “Il finanziamento delle società di capitali: le prassi applicative e le problematiche giurisprudenziali”, organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura e dall'Università Bocconi e svoltosi a Milano il 29 settembre – 1 ottobre 2021] ha ad oggetto gli apporti fuori capitale senza includere direttamente le problematiche relative alla validità ed alla disciplina delle c.d. “riserve targate” (Sulle riserve targate.: Cass., n. 16393/2007; Cass. n. 29325/2020; S. Ferri, Versamenti in conto capitale, 294; M. S. Spolidoro, Riserve targate, 1323; Id., Apologia delle riserve targate, estratto, 1-31).

Dunque ci occupiamo dei connotati basilari, naturali e di disciplina, di tali apporti, connotati che – in ragione dei loro effetti - costituiscono il presupposto logico-giuridico dell'insorgere dell'interesse alla targatura delle riserve.

Identificazione degli apporti fuori capitale come categoria

In via di primo approccio si può dire che la dizione “Apporti fuori capitale” si riferisce ad una categoria relativamente eterogenea di attribuzioni patrimoniali in denaro effettuate dai soci di società di capitali, soprattutto quelle a ristretta base personale, effettuate spontaneamente, causa societatis e senza vincolo di rimborso, destinate a conferire alla società mezzi propri idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa (cfr. Ragno, Versamenti in conto capitale, 776; Spolidoro, Riserve targate, 1327; Tronci, Le riserve “targate”, 1127).

Si tratta dunque di apporti effettuati a tutela della funzione produttiva (equilibrio tra mezzi propri e mezzi di terzi) e di garanzia per i creditori, a fronte di una sottocapitalizzazione attuale o prospettica della società, ad esempio rispetto alla capacità di operare in determinati mercati, o concludere determinati affari (Cass., n. 8876/2006; Cass., n. 16393/2007).

Si tratta di operazioni ammesse dall'ordinamento, ma non disciplinate dal legislatore. Di qui il loro carattere di atipicità.

Sono detti “fuori capitale” perché non determinano una variazione del capitale sociale nominale (Cass., n. 8876/2006; Cass., n. 16393/2007).

In questo senso è escluso – almeno in linea generale – che essi possano avere funzione organizzativa, se non per il contributo che danno, quali riserve vincolate, ad aumentare il “cuscinetto” suscettibile di essere eroso dalle perdite prima che sia intaccato il capitale, con ciò evitando l'innesco della fase di ricapitalizzazione o liquidazione. In particolare rimane esclusa la loro funzione di ripartizione del potere (quantità dei diritti) tra i soci.

Nondimeno, per conseguire il risultato di essere inclusi tra gli incrementi dei mezzi propri della società, essi devono assumere le caratteristiche, se non appunto del capitale sociale, quanto meno delle riserve di patrimonio netto, che – almeno quelle positive - sono connotate dal costituire uno stabile apporto di attivo al patrimonio sociale, utilizzabile secondo le regole del contratto sociale (Cass. n. 7919/2020; Cass., n. 24861/2015).

Dunque gli apporti fuori capitale, perché possano esser qualificati come tali, e dunque iscrivibili nelle riserve di patrimonio netto, debbono avere impressi i connotati fondamentali riconosciuti a tali riserve: devono costituire un attivo non bilanciato da corrispondente posta passiva, stabilmente utilizzabile secondo le regole dell'ente e, perché ciò accada, occorre appunto che la datio avvenga “causa societatis” e che le parti non abbiano pattuito alcun diritto di rimborso o restituzione, nemmeno se sottoposto a termine o condizione (Tronci, Le riserve “targate”, 1143, che critica la “nozione mobile” di patrimonio netto fatta propria da altri autori, tra i quali: M. Maugeri, Finanziamenti ‘anomali' dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, 48 s.). In caso contrario, infatti, essi generano una posta attiva bilanciata da una passività reale (debito), incompatibile con la loro collocazione nelle riserve a patrimonio netto (Cass., n. 16393/2007).

Il carattere di “spontaneità” è invece un epifenomeno derivante dal loro essere atti di autonomia negoziale non coercibili in sede assembleare, il che non esclude che possano costituire oggetto di una obbligazione, che può essere assunta dal socio anche in sede assembleare (Ragno, Versamenti in conto capitale, 773; v. postea).

Se queste caratteristiche sono soddisfatte, allora tali apporti trovano la loro collocazione non nel “passivo reale” di stato patrimoniale cioè tra i debiti (in particolare Passivo, D.3), ma tra le poste del “passivo virtuale”, ed in particolare tra le “Altre riserve, distintamente indicate” (Passivo, A.VI), così andando ad incrementare il patrimonio netto (Cass., n. 2314/1996).

A questo punto risulta evidente la differenza con i finanziamenti dei soci, ben illustrata da un consolidato indirizzo della Corte di cassazione, in cui si evidenziano anche gli elementi probatori su cui basare la concreta distinzione in sede giudiziaria: “L'erogazione di somme che, a vario titolo, i soci effettuano alle società da loro partecipate, può avvenire a titolo di mutuo oppure di apporto del socio al patrimonio della società. La qualificazione, nell'uno o nell'altro senso, dipende dall'esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre, avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all'approvazione dei soci.” (così: Cass., n. 7471/2017).

Da notare che la più recente giurisprudenza sembra conferire maggior peso interpretativo, potenzialmente decisivo in caso di incertezze, alla qualificazione contabile dei versamenti (Cass., n. 7471/2017; Cass., n. 12539/1998 e Cass., n. 21563/2008; Cass., n. 2314/1996).

I versamenti in discorso di distinguono tra loro per causa e disciplina, dando luogo, salva la loro atipicità giuridica, a figure “socialmente tipiche”, date dalla unificazione per astrazione delle caratteristiche essenziali di operazioni identiche o molto simili, ripetute costantemente nel tempo nell'ambito delle società di capitali (sul regime di circolazione dei versamenti fuori capitale e dei crediti di rimborso dei finanziamenti soci: Cass., n. 16049/2015, in questo portale con nota di Molgora, Versamenti ed utili d'esercizio: trasferibilità dei diritti di credito dei soci).

I tipi di apporto fuori capitale

Tra le definizioni dei vari tipi di apporti fuori capitale sono da privilegiare, per l'impatto che hanno sulla formazione dei bilanci delle società in ragione del tipo di fonte da cui provengono, quelle che figurano nell' OIC 28 dedicato al “Patrimonio netto”.

Ivi si legge:

ESEMPI RELATIVI ALLE ALTRE RISERVE DI PATRIMONIO NETTO

I presenti esempi non sono parte integrante del principio.

Lo schema di stato patrimoniale ex articolo 2424 del codice civile prevede nel passivo la voce A.VI “Altre riserve, distintamente indicate” che accoglie altre riserve esplicitamente previste dal codice civile (cfr. paragrafo 14) oppure utilizzate nella prassi dalle società. Con riferimento a queste ultime, a titolo meramente esemplificativo, e non esaustivo, se ne riporta un elenco:

− la “Riserva da riduzione capitale sociale” […];

− le “Riserve per versamenti effettuati dai soci” che sorgono in occasione di apporti dei soci effettuati con una destinazione specifica, quali ad esempio:

  • i “Versamenti in conto aumento di capitale”, tale riserva accoglie gli importi di capitale sottoscritti dai soci, in ipotesi di aumento di capitale scindibile, quando la procedura di aumento del capitale sia ancora in corso alla data di chiusura del bilancio;
  • i “Versamenti in conto futuro aumento di capitale” tale riserva accoglie i versamenti non restituibili effettuati dai soci in via anticipata, in vista di un futuro aumento di capitale;
  • i “Versamenti in conto capitale” tale riserva accoglie il valore di nuovi apporti operati dai soci, pur in assenza dell'intendimento di procedere a futuri aumenti di capitale;
  • i “Versamenti a copertura perdite” tale riserva accoglie i versamenti effettuati dopo che si sia manifestata una perdita; […]” (in giurisprudenza, tra le tante classificazioni, di recente, cfr. Cass. n. 29325/2020).

I versamenti in questione – sinteticamente riniti nella categoria “apporti fuori capitale” – sono caratterizzati da un aspetto più propriamente economico e da un aspetto giuridico, che qui maggiormente ci interessa.

L'aspetto giuridico è da apprezzare, a sua volta, da due angoli visuali differenti ma strettamente connessi:

- i versamenti fuori capitale come contratti;

- i versamenti fuori capitale come riserve di patrimonio netto.

I versamenti fuori capitale come contratti

Seguendo un'impostazione non del tutto usuale, tratteremo prima dei versamenti fuori capitale come atti di autonomia privata, in particolare come contratti (Orientamenti H.L e I.K della serie aggiornata al settembre 2007, rispettivamente per S.p.a. e S.r.l., del Comitato Triveneto dei notai; Spolidoro, Riserve targate, 1337).

Questa impostazione, infatti, consente, andando alla sostanza del fenomeno, di evitare il rischio del nominalismo, foriero di fraintendimenti anche significativi, e molto forte in una materia di formazione pratica, dunque magmatica, in cui le esigenze di categorizzazione formale sono però cogenti in ragione delle necessità di inquadramento contabile.

Questa è, in ogni caso, l'operazione ermeneutica promossa anche dalla Corte di cassazione nel segnare l'importante linea di demarcazione tra finanziamenti soci – quali species del contratto di mutuo – e versamenti fuori capitale come apporto di capitale di rischio (v. supra) e proseguita appunto in tema di qualificazione e disciplina dei versamenti fuori capitale (“In tema di società di capitali, le dazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale), sicché l'organo amministrativo non è arbitro di appostare in bilancio tali dazioni, né di mutare la voce relativa, successivamente alla iscrizione originaria, dovendo quest'ultima rispecchiare l'effettiva natura e la causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nell'interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all'apprezzamento riservato al giudice del merito”. E, in motivazione: “Decisiva nella qualificazione della dazione è l'interpretazione della volontà delle parti, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito. Occorre, in particolare, da parte di questi accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo o di un contratto atipico di conferimento, e, in quest'ultimo caso, se esso sia stato - in modo inequivoco - condizionato o no, nella restituzione, ad un futuro aumento del capitale nominale della società. L'indagine sul punto può tener conto di ogni elemento, quali le clausole statutarie che tali versamenti prevedano, il comportamento delle parti, i fini perseguiti, le scritture contabili, i bilanci e qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti”: Cass., n. 29325/2020).

I versamenti fuori capitale sono anzitutto contratti.

Che si tratti di contratti e non di negozi giuridici unilaterali pare potersi arguire dal fatto che l'effetto, loro tipicamente collegato, di imputazione a riserva di patrimonio netto non può avvenire senza che la società ricevente dia il suo consenso sia a ricevere il versamento stesso, sia sulla sua causa, con la conseguente imputazione contabile. L'effetto di arricchimento della società, cioè, non deriva soltanto dalla volontà del socio e dalla sua attuazione unilaterale; la società può sempre rifiutare il versamento, quando non voglia accettarlo. Ciò sembra ragionevole affermare in quanto il versamento del socio – per quanto atto in favore della società beneficiaria – costituisce comunque una intrusione nella sua sfera giuridica che, come tale, deve essere autorizzata. Se non fosse superfluo, il riferimento alla donazione sarebbe dirimente.

A quest'ultimo riguardo, i versamenti dei soci – in ragione della loro destinazione causale, che implica l'assenza dell'obbligo di restituzione e di alcuna corrispettività – sono da considerare, in quanto connotati da mancanza di corrispettivo, atti a titolo gratuito, ma appunto non atti di liberalità, poiché il socio che effettua il versamento ha come obiettivo di consentire il funzionamento od il miglior funzionamento dell'impresa gestita dalla società partecipata, con un ritorno, sia pure eventuale, indiretto e ad altro titolo, in suo favore (causa societatis), sicché è escluso l'animus donandi (M. Ragno, Versamenti in conto capitale, 763). Infatti, sul piano economico, i versamenti fuori capitale sono qualificabili come investimenti.

Si è già detto che si tratta di contratti atipici ma socialmente (commercialmente) tipici.

Ciò comporta due conseguenze.

La prima è che, trattandosi di contratti atipici, essi sono sottoposti alla condizione di compatibilità con l'ordinamento di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., pacificamente rinvenibile nella meritevolezza della tutela della capitalizzazione delle società commerciali (Cass., n. 8876/2006; Ragno, Versamenti in conto capitale, 764).

La seconda è che esulano dalla fattispecie contratti che hanno in comune con questi alcune caratteristiche, ma se ne distinguono per altre, dando luogo a negozi che potremmo definire “ulteriormente atipici” come, ad esempio, gli apporti di terzi non soci e gli apporti di beni in natura, (v. postea).

Premesso quanto sopra, deve ritenersi che i versamenti di cui si discute integrino dei contratti reali, cui sono sottese cause concrete diverse.

Sono dunque contratti che si perfezionano con la traditio rei, ovvero con l'accredito della somma di denaro sul conto della società beneficiaria, dunque in banca, oppure con il versamento in cassa, salva l'applicazione della normativa antiriciclaggio. Fa eccezione, come vedremo, il versamento in conto aumento di capitale.

Nel senso della realità del contratto depongono la funzione degli stessi apporti, le esigenze di certezza ed effettività dell'apporto, particolarmente stringenti in materia di poste di patrimonio netto, ed anche l'analogia con il mutuo ed i finanziamenti soci laddove, rispetto a questi, la mancanza dell'obbligo di restituzione depone viepiù in tale senso.

In ogni caso, trattandosi di contratti ed in applicazione delle norme generali (artt. 1325, 1418 c.c.), la traditio, come si è detto, deve essere accettata dall'accipiens, cioè dalla società, ed il consenso deve riguardare anche l'oggetto – cioè l'entità del versamento – e la causa della traditio, cioè del versamento.

Si pone poi il problema se sia ammissibile il contratto preliminare di versamento o l'impegno unilaterale di versamento da parte del socio o del terzo estraneo, negozi che, rispetto al versamento, si pongono come “ulteriormente atipici”. La risposta è positiva, anche solo ragionando ex artt. 1322 e 1822 c.c., ma essi contratti/impegni si distinguono nettamente dai versamenti, non dando luogo alla formazione di riserve ma solo ad un credito della società verso il promittente (Contabilizzazione stato patrimoniale Attivo B) III d bis) (Ragno, Versamenti in conto capitale, cit., 773 s. “Nelle società per azioni, il socio può validamente obbligarsi nei confronti della società a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall'assemblea, dovendosi ritenere siffatto obbligo, in assenza di diverse pattuizioni, subordinato alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze, e - per la parte in cui l'impegno investa anche le azioni di nuova emissione sulle quali il socio non vanta il diritto di opzione - alla ulteriore condizione che tali azioni non vengano sottoscritte dai soci titolari del predetto diritto nel termine assegnato ai fini dell'esercizio del medesimo”: Cass., n. 8876/2006).

Quanto alle parti di questi contratti, essi sono individuabili nei soci, da un lato, e nella società partecipata dall'altro. Si tratta cioè di apporti che vengono convenuti tra le parti del contratto sociale e nel quadro della sua esecuzione, mentre se chi effettua l'apporto è un estraneo, il rapporto assume diversa configurazione “ulteriormente atipica” (Nel senso che l'apporto di un terzo estraneo alla società determina – salva rinunzia – un debito della società, da trattare contabilmente come tale:L. Salamone, Funzione del capitale sociale, 30, nt.27. Obietta che nulla si oppone a che la società riceva da terzi fondi senza obbligo di rimborso, che perciò vanno appostati a riserva: Spolidoro, Apologia delle riserve targate, 8 e s. Per un caso di costituzione di riserva di patrimonio netto mediante apporti versati a fronte dell'emissione di strumenti finanziari partecipativi: Trib. Bologna, 01.10.2020).

E' pacifico che legittimato ad esprimere il consenso della società è il suo legale rappresentante, cioè l'amministratore titolare della rappresentanza legale (Con riferimento ai patti di targatura dei versamenti: Spolidoro, Apologia delle riserve targate, 19; L. Salamone, Funzione del capitale sociale, 30, nt.27).

E' altrettanto pacifico, ed in questo risiede una delle caratteristiche basilari degli apporti fuori capitale, che non è necessaria una delibera assembleare – tantomeno straordinaria – di approvazione del versamento (tra i tanti: Spolidoro, Riserve targate, 1339). Si tratta del principale effetto della neutralità organizzativa, rispetto alla suddivisione dei diritti tra soci, degli apporti di cui si discute. Tanto è vero che, quando si voglia derogare a quella neutralità – con conseguente impatto sui diritti sociali dei soci -, è richiamata spesso, in dottrina, la competenza assembleare.

Per converso, integrando il versamento un atto di autonomia dispositivo del patrimonio del singolo socio, l'assemblea non ha il potere di costituire obbligazioni di versamento in capo al singolo socio o ad un gruppo di soci. Una proposta ed accettazione – eventualmente effettuata in quella sede o in sede extra-assembleare – potrebbe integrare la conclusione di un contratto preliminare o una promessa di versamento (v. supra).

In ogni caso, l'accettazione del versamento costituisce atto gestorio del quale gli amministratori sono responsabili, sia quando intervenga – il che pare arduo ipotizzare, trattandosi di apporto a beneficio della società -, sia in caso di diniego. Gli amministratori, inoltre, sono responsabili della corretta contabilizzazione ed appostazione in bilancio dei versamenti in questione (Cass., n. 29325/2020).

Quanto all'oggetto del contratto, si tratta appunto di un versamento, cioè di un apporto in denaro.

L' eccezione è data dal versamento in conto aumento di capitale, in cui viene iscritto non il valore nominale del versamento ma il credito per sottoscrizione dell'aumento di capitale in itinere, ma di questo si dirà dopo.

Ci si può chiedere se il socio possa effettuare l'apporto in natura: si tratta, anche in questo caso, di un contratto “ulteriormente atipico”.

La dottrina condivisibilmente ammette apporti fuori capitale in natura, esprimendosi in prevalenza in favore dell' applicazione dell'art. 2343 c.c. in materia di valutazione dei conferimenti in natura (Tronci, Le riserve “targate”, 1127; Irrera, I prestiti dei soci alla società, Padova, 1992, nt. 23; Miola, I conferimenti in natura, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 1***, Torino, 2004, 208).

I versamenti fuori capitale sono contratti a forma libera, che possono essere stipulati anche verbalmente o per fatti concludenti.

Le cause dei versamenti possono essere varie, e tale varietà determina appunto l'atipicità di questi contratti, concorrendo ciascuna di esse a formare una particolare species di versamento.

Le riserve targate, poi, consentiranno di mantenere un collegamento tra il versamento ed il socio che l'ha effettuato, sottraendo l'apporto alla restituzione proporzionale a tutti i soci ed invece consentendo la restituzione a chi ha effettuato il versamento, però solo quando la disciplina propria degli apporti a patrimonio netto lo consenta, ad esempio in caso di distribuzione di attivo di liquidazione.

I versamenti fuori capitale come riserve di patrimonio netto

Si svolgeranno qui alcune osservazioni concernenti i singoli tipi di versamenti fuori capitale, in relazione alla loro causa, alla loro funzione economica, alla classificazione bilancistica e quindi alla disciplina societaria a cui sono sottoposti.

Non mancano, in dottrina, diverse classificazioni di questi apporti, ad esempio a seconda che siano connessi o no ad un aumento di capitale in itinere ovvero non ancora deliberato, oppure a seconda che siano versamenti targati o non targati, assumendo che la presenza della targatura distinguerebbe i versamenti in conto capitale da quelli a fondo perduto, categoria quest'ultima che comprenderebbe anche quelli a copertura perdite (Ragno, Versamenti in conto capitale, 768; Tronci, Le riserve “targate”, 1134 s.).

Quest'ultima categorizzazione pare foriera di confusione a livello definitorio, non utile in termini di individuazione della disciplina ed infine non esatta, poiché la targatura delle riserve costituisce un negozio o una clausola che accede al contratto di versamento e lo connota in modo del tutto speciale, sicché la presenza/assenza della targatura non serve a distinguere tra categorie di versamento.

Ne deriva che la categoria dei versamenti “a fondo perduto” non ha una sua consistenza propria, non indicando versamenti diversi da quelli in conto capitale ed a copertura perdite, peraltro tra loro diversi.

(Segue) I versamenti in conto capitale

I versamenti in conto capitale – id est a fondo perduto – hanno come causa concreta il determinare uno stabile arricchimento della società, senza vincolo di speciale destinazione. La denominazione stessa esprime il fatto che il socio nel versare e la società nell'accettare intendono sottoporre il versamento ad una disciplina simile a quella del capitale sociale, ma non identica.

Anzitutto il contratto esclude l'obbligo, per la società ricevente, di restituire il versamento al socio che lo ha effettuato e prevede anzi la sua stabile acquisizione al patrimonio della società. Di qui appunto la sua contabilizzazione nella voce “Altre riserve” di patrimonio netto e non invece nella voce “Debiti verso soci per finanziamenti” (Passivo, D.3).

Non entrano nella causa contrattuale i motivi, anche leciti, o i presupposti impliciti della dazione, in particolare i motivi economico-imprenditoriali. Perciò, effettuato un versamento in conto capitale per consentire alla società l'acquisto di una partecipazione in altra società, se l'acquisto non si perfeziona non per questo il versamento deve essere restituito.

Il fatto che il versamento non possa essere restituito al socio che lo ha effettuato, tuttavia, proprio per la mancanza di un vincolo di destinazione, non comporta, a differenza di quel che accade per il capitale sociale, né la sua indisponibilità né la sua indistribuibilità.

In particolare dottrina e giurisprudenza hanno considerato l'analogia della riserva in questione, come in generale di tutte quelle generate da versamenti atipici, con quella da sovrapprezzo (art. 2341 c.c.), trattandosi infatti, in entrambi i casi:- di valori suscettibili di essere iscritti nell'attivo patrimoniale e di essere imputati a capitale; - di valori non imputati a capitale, costituendo un quid pluris rispetto al capitale; - di valori conseguentemente imputati a riserva di patrimonio netto che bilancia l'incremento di attivo (Cass., n. 16393/2007; Cass., n. 2314/1996; Ferri, Versamenti in conto capitale, 294; Spolidoro, Riserve targate, cit., 1342).

Ne deriva che, una volta completata la riserva legale, la riserva in questione diverrà disponibile e distribuibile, con le modalità previste dal contratto sociale (Cass., n. 16393/2007; Spolidoro, Apologia delle riserve targate, 6).

In particolare:

- potrà essere utilizzata a copertura delle perdite prima del capitale stesso, ma, in tal caso, a differenza della riserva legale e dello stesso capitale, non deve essere ricostituita;

- compone il residuo da distribuire ai soci all'esito della liquidazione in proporzione alle loro partecipazioni e non in favore di chi il versamento abbia effettuato, dovendosi a tal proposito precisare che essa distribuzione segue al pagamento dei finanziamenti soci postergati e precede la distribuzione del capitale (“L'erogazione di somme dai soci alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento destinato a confluire in apposita riserva "in conto capitale"; in quest'ultimo caso non nasce un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione, connotato dalla postergazione della sua restituzione rispetto al soddisfacimento dei creditori sociali e dalla posizione del socio quale ‘residual claimant'”: Cass., n. 7919/2020; Cass., n. 24861/2015; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758; Cass., n. 1693/2007).

La riserva da versamenti in conto capitale può essere utilizzata anche:

- per aumenti di capitale a titolo gratuito sicché ne sortirà, nelle s.r.l., un nominale e proporzionale incremento del valore di tutte le partecipazioni – dunque non solo di quelle di chi ha effettuato il versamento - e, nelle s.p.a., un aumento proporzionale – dunque non solo di chi ha effettuato il versamento - del numero di azioni di cui ciascun socio è titolare (cfr. Cass., n. 1693/2007, da cui si evince anche che ben potrebbe, dopo l'aumento, essere deliberata una riduzione del capitale sociale ex artt. 2445 e 2482 bis c.c.);

- per distribuzioni di dividendi ai soci, in proporzione alle partecipazioni e secondo le eventuali categorie, non invece in favore del socio o dei soci che hanno effettuato il versamento (art. 2442 c.c. e art. 2481 ter, comma 2, c.c.) (Così anche, ma in materia di riserve targate: Cass., n. 16393/2007).

E' stato osservato che: “Quando i soci eseguono versamenti ‘spontanei' a fondo perduto alla società in misura non proporzionale alle rispettive quote di partecipazione al capitale, viene meno la corrispondenza tra investimento e partecipazione e sembra leso il principio di giustizia: da un lato sembra ingiusto che il socio che non versa o non partecipa proporzionalmente all'incremento dell'attivo mantenga invariata la sua partecipazione al capitale, ma dall'altro lato non sembra accettabile che la variazione della partecipazione possa derivare da un'operazione atipica, che verrebbe ad essere attuata senza il rispetto delle regole e delle garanzie previste per le modificazioni dell'atto costitutivo e specialmente per gli aumenti effettivi di capitale sociale. La ‘targatura' o ‘personalizzazione' delle riserve permette di raggiungere un compromesso fra contrastanti esigenze di giustizia o, se si preferisce, tra interessi confliggenti […]” (Spolidoro, Riserve targate, 1342; così anche: Tronci, Le riserve “targate”, 1128).

(Segue) Riserva da rinuncia dei soci a crediti verso la società

Tra le riserve di patrimonio netto, devono essere indicate anche quelle che originano dalla rinuncia dei soci a crediti verso la società, sia che il credito vantato dal socio avesse natura commerciale, sia che avesse natura finanziaria. Infatti, secondo l'OIC 28 qualsiasi rinuncia di un credito dei soci (sia finanziario sia commerciale) comporta l'iscrizione da parte della società di una riserva di patrimonio netto senza transito nel conto economico della società: “La rinuncia del credito da parte del socio - se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione è il rafforzamento patrimoniale della società - è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito. Pertanto, in tal caso la rinuncia del socio al suo diritto di credito trasforma il valore contabile del debito della società in una posta di patrimonio netto” (OIC 28, “La rinuncia del credito da pare del socio”).

I versamenti a copertura perdite

Ci si riferisce alla definizione che risulta dall' OIC 28 (v. supra).

I versamenti a copertura perdite hanno come causa il ripianamento parziale o totale di perdite che si siano già manifestate, anche se inferiori ad 1/3 del capitale sociale.

La riserva, in ragione della sua causa, deve essere utilizzata in compensazione a perdite esistenti (Ragno, Versamenti in conto capitale, 770).

Ciò può avvenire contabilmente se, anche per effetto del versamento, non è necessaria un'operazione di azzeramento del capitale sociale e sua ricostituzione, oppure nell'ambito di siffatte operazioni, appunto andando a quantificare la perdita residua da coprire con l'aumento di capitale al netto dell'importo della riserva.

Un versamento a copertura perdite può essere effettuato ex artt. 2446, comma 2, e 2486-bis, comma 4, c.c. per evitare che la società si trovi nella condizione di dover ridurre il capitale sociale oppure per evitare che la società si trovi con capitale inferiore al minimo legale, e, quindi, a dover effettuare l'operazione di azzeramento e ricostituzione del capitale (Per la disamina dell'ampio ventaglio di posizioni dottrinali espresse in proposito: M. Ragno, Versamenti in conto capitale, 770 s. Radice comune alla soluzione proposta nel testo si rinviene nella massima del Consiglio notarile di Milano – commissione diritto societario n. 122). Si tratta, in questo caso, di operazione molto costosa e non conveniente anche per il socio che abbia finanza sufficiente ad effettuarla, poiché, con l'operazione di azzeramento e ricostituzione può conseguire, con lo stesso esborso, per il caso del mancato esercizio del diritto di opzione da parte degli altri, almeno un significativo incremento della propria percentuale di partecipazione al capitale.

Un versamento effettuato in assenza di perdite e qualificato come a copertura di perdite future – e dunque non qualificabile in termini di versamento in conto capitale - sarà utilizzabile soltanto per il ripianamento di perdite che si dovessero manifestare successivamente, dunque non sarà distribuibile ai soci, né utilizzabile per aumenti di capitale a titolo gratuito.

La relativa riserva potrà dunque essere distribuita solo all'esito della liquidazione, qualora si manifesti un residuo attivo, in proporzione alle partecipazioni dei soci.

(Segue) I versamenti in conto aumento di capitale

Ci si riferisce alla definizione che risulta dall' OIC 28 (v. supra).

I versamenti in conto aumento di capitale hanno come causa la partecipazione ad aumento di capitale in corso di esecuzione e la relativa riserva rappresenta le sottoscrizioni di aumento di capitale scindibile avvenute nell'esercizio in cui l'aumento stesso è stato deliberato, quando la procedura di esecuzione dell'aumento del capitale è ancora in corso alla data di chiusura del bilancio. Nelle more della procedura di esecuzione dell'aumento e fino al suo termine con l'iscrizione nel registro delle imprese, infatti, non è possibile indicare le sottoscrizioni quale capitale sociale, sicché, appunto si ricorre a questa riserva.

Esaurita la procedura di aumento di capitale con la sua iscrizione nel registro delle imprese, la riserva è destinata a venire meno. Si parla infatti di “riserva di transito” (Cass., n. 8876/2006; Tronci, Le riserve “targate”, 1144).

In questo caso ci troviamo di fronte ad un contratto concluso ed eseguito sul piano dello scambio con la società ma non nei suoi aspetti organizzativi e pubblicitari, sicché il credito che ne deriva in capo alla società – tali essendo le sottoscrizioni di aumento di capitale –, essendo obiettivamente funzionalizzato all'aumento di capitale, inserendosi con tutte le guarentigie del caso nel relativo procedimento normativamente formalizzato ed escludendo ipotesi di restituzione, è stato ritenuto dall'OIC suscettibile di inserimento tra le “Altre riserve”.

Lo stesso trattamento dovrebbe essere riservato agli acconti versati su azioni da emettere a fronte di un aumento di capitale scindibile in itinere. Invero, essendone esclusa la restituzione, è esclusa anche l'inscrizione di una corrispondente passività, sicché rimane geneticamente un apporto definitivo al patrimonio sociale (contra: Spolidoro, Riserve targate, cit., 1331). Solo in caso, invero eccezionale ed estraneo al contesto contrattuale, di revoca dell'aumento di capitale – per cui occorre apposita delibera societaria -, vien meno la causa del versamento ed esso deve essere restituito e può allora transitare tra le passività reali (debiti).

Diverso il caso degli acconti versati per aumento di capitale inscindibile in quanto l'apporto è geneticamente condizionato risolutivamente alla sottoscrizione per intero dell'aumento stesso, sicché essi vanno appostati quali passività reali non quali riserve di patrimonio netto; sul punto, l'OIC 28, § 28, precisa che: “In caso di aumento di capitale inscindibile gli importi sottoscritti durante il termine previsto per l'aumento di capitale sociale (comprensivi dell'eventuale sovrapprezzo) sono rilevati nella voce “Altri debiti”, in quanto, se l'importo complessivamente sottoscritto risultasse inferiore a quello deliberato dall'assemblea, i conferimenti dovranno essere restituiti ai sottoscrittori. Successivamente all'integrale sottoscrizione dell'aumento di capitale sociale deliberato dall'assemblea, e all'iscrizione nel registro delle imprese dell'attestazione di cui all'articolo 2444 del codice civile, si provvederà a girare tale voce alla voce AI “Capitale” ed eventualmente alla voce “Riserva soprapprezzo azioni”.

(Segue) I versamenti in conto futuro aumento di capitale

Richiamata la definizione che ne dà l'OIC 28, si ricava che si tratta di versamenti effettuati dai soci in vista della loro partecipazione ad un aumento di capitale programmato ma non deliberato. Come si è detto il principio contabile considera questi versamenti collocabili tra le riserve di patrimonio netto in quanto “aventi specifico vincolo di destinazione”.

Si tratta, secondo la Corte di cassazione, di “dazione del denaro [è] finalizzata a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione” (Cass., n. 26325/2020).

Anche ad avviso della Corte, inoltre, il versamento in questione fa escludere una causa di finanziamento quando il contratto sia corredato da idonei elementi di specificazione – segnatamente: data entro cui l'aumento cui il versamento è subordinato deve essere deliberato (esigibile ex art. 1183, comma 2, c.c.: Cass., n. 8876/2006; Tronci, Le riserve “targate”,1143), elementi volti ad identificarlo -, in tal caso essendone consentita l'appostazione tra le riserve di patrimonio netto.

In particolare tale appostazione, secondo la Corte, è giustificata dal fatto che ad esso non è connessa una causa di finanziamento, “visto che essi, ove l'aumento intervenga, vanno a confluire automaticamente in esso, mentre, ove l'aumento non intervenga, vanno sì restituiti, ma non perché eseguiti a titolo di finanziamento, sebbene semplicemente perché la fattispecie programmata l'aumento di capitale - non si è perfezionata”, specificandosi che “ove l'aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società, quale ripetizione dell'indebito” (Così anche Cass., n. 2314/1996).

Pur nell'autorevolezza di entrambe le fonti sopra indicate, tuttavia deve darsi conto di una opinione in senso contrario, fondata sulla considerazione che – sia che si voglia qualificare l'effetto restitutorio in termini di avveramento della condizione risolutiva od invece di sopravvenuta carenza di causa – rimane che l'apporto è provvisorio, rientrando nello schema contrattuale tipico il diritto del socio al rimborso nel caso l'aumento di capitale non sia deliberato nel termine (G. Ferri Jr, Il sistema e le regole del patrimonio netto, 32-34; Tronci, Le riserve “targate”, 1140 s.; Ragno, Versamenti in conto capitale, cit., 779; Cass., n. 2314/1996, secondo cui “È questione di interpretazione della volontà negoziale delle parti lo stabilire se l'indicato versamento tragga origine da un rapporto di mutuo o se invece esso sia stato effettuato a titolo di apporto del socio al patrimonio di rischio dell'impresa collettiva; nel qual ultimo caso il diritto alla restituzione, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e tale deliberazione non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti o fissato dal giudice”) o, quando deliberato, non sia sottoscritto, non implicando il versamento, secondo alcuni, la sottoscrizione automatica dell'aumento (Secondo altra preferibile tesi, invece, la fattispecie è riconducibile al contratto di opzione di cui all'art. 1331 c.c.: N. Abriani, I conferimenti, in Trattato di Diritto Commerciale, 4, Le società per azioni, diretto da G. Cottino, Padova, 2011, 209; E. Ginevra, Sulla qualificazione dei ‘finanziamenti' dei soci alla società partecipata, in BBTC, 2001, II, nt. 44). Tale provvisorietà impone l'iscrizione del versamento nel passivo reale della società e lo sottrae alla disciplina delle riserve che, quando distribuibili, lo sono comunque causa societatis e in modo proporzionale alle partecipazioni, previa deliberazione assembleare se si tratta di atti distributivi di dividendi o aumento di capitale gratuito. Né, in questo caso, si potrebbe parlare di riserva targata, perché soggiacciono alla relativa disciplina solo appunto gli apporti suscettibili di essere appostati a riserva e la cui restituzione avviene bensì in deroga al principio di proporzionalità ma solo quando, eventualmente previa deliberazione assembleare, il contratto sociale lo consenta. Né, del resto, i versamenti in conto futuro aumento di capitale sarebbero di per se stessi utilizzabili per ripianare perdite preesistenti o sopravvenute – utilizzabilità che, semmai, andrebbe appositamente pattuita (Spolidoro, Riserve targate, 1333; Tronci, Le riserve “targate”, 1144) -, derivandone appunto che non sarebbe appropriata la collocazione tra i mezzi propri della società ed invece dovuta quella tra i debiti. Di qui la rilevata contraddizione, interna all'OIC 28, che, da un lato, prevede l'appostazione a debito dei versamenti in conto aumento di capitale inscindibile e, dall'altro, consente l'appostazione a riserva di patrimonio netto dei versamenti in conto futuro aumento di capitale (Tronci, Le riserve “targate”, 1143).

La Corte ha ritenuto possibile il superamento di queste obiezioni facendo leva sugli aspetti del contratto sui quali, nella sentenza indicata, ha ripetutamente insistito, in particolare la determinatezza dell'oggetto del contratto con riferimento non solo alla data entro la quale l'apporto deve essere approvato ma alle stesse connotazioni almeno principali della promuovenda operazione, il che tendenzialmente induce ad escludere la natura provvisoria dell'apporto.

La stessa Corte avverte che se quelle caratteristiche di specificità contrattuale non fossero presenti (Questo è il caso di Cass., n. 2314/1996), il versamento andrebbe sempre iscritto come riserva – cioè considerato in conto capitale - “ma perché sorga pure l'obbligo restitutorio condizionato, dovrà essere evidenziato che l'apporto è suscettibile di restituzione ai soci in virtù dell'effetto risolutorio riconnesso a tale tipo di apporto, per tale profilo dunque avvenuto in modo non definitivo (a differenza degli altri versamenti)”.

Il passaggio – considerando che se l'apporto è sin dall'inizio risolutivamente condizionato deve essere iscritto a debito - va chiarito considerando il riferimento operato dalla stessa Corte alle “riserve targate”, suscettibili bensì di “restituzione” in deroga al principio della distribuzione proporzionale, ma soltanto nei tempi e nei modi in cui la distribuzione sia consentita dal contratto sociale.

Infine si può notare, sul piano probatorio, che i connotati di dettaglio che la Corte richiede perché si possa qualificare il versamento come in conto futuro aumento di capitale sono così stringenti da implicare un accordo scritto o – come nel caso deciso dalla Corte – una delibera assembleare. In mancanza la mera iscrizione contabile che spesso si rinviene – cioè “versamento in conto futuro aumento di capitale” o “Versamento in conto aumento di capitale” (non ancora deliberato) – appaiono insufficienti e, quando sia interpretativamente confermata la natura del versamento in termini di apporto e non di mutuo (cfr. Cass., n. 8876/2006), danno luogo alla formazione di una riserva non restituibile al socio, salvo che, appunto, sussistano gli elementi per affermare che si tratta di una riserva targata, dunque con i limiti di distribuzione che le sono propri.

Guida all'approfondimento

Norme di riferimento: artt. 2424, 2431, 2445-2447, 2482-2482-ter c.c.; art. 46 d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917; OIC Principio contabile n. 28, Patrimonio netto.

In giurisprudenza: Cass., 22 dicembre 2020, n. 29325; Cass., 20 aprile 2020, n. 7919; Cass. 23 marzo 2017, n. 7471; Cass. 29 luglio 2015, n. 16049; Cass. 9 dicembre 2015, n. 24861; Cass. 24 luglio 2007 n. 16393; Cass. 14 aprile 2006, n. 8876; Cass. 19 marzo 1996, n. 2314; Trib. Milano, 7 febbraio 2017 n. 1468.

In dottrina:

M. Ragno, Versamenti in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale e prestiti subordinati effettuati dai soci di società di capitale, in Giur. Comm, 2000, I, 776; M. Maugeri, Versamenti dei soci, in Enc. Giur. Sole24Ore, XXVI, Milano, 2008; S. Ferri, Versamenti in conto capitale, riserve targate e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. soc., 2009, 294; G. Ferri Jr, Il sistema e le regole del patrimonio netto, in Riv. dir. soc., 2010, 32; L. Tronci, Le riserve “targate” tra diritto e ragioneria, in Riv. soc., 2012, 1143; M. S. Spolidoro, Riserve targate, Liber Amicorum Pietro Abbadessa, Torino, 2014, 1323; L. Salamone, Funzione del capitale e funzionamento del netto nella società a responsabilità limitata, oggi, in Banca borsa titoli di credito, 2016, 1, 15; M. S. Spolidoro, Apologia delle riserve targate e degli accordi di targatura delle riserve, in Banca borsa titoli di credito, 2017, 1, estratto, 1-31.

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