La condotta extra lavorativa di rilievo penale ai fini del licenziamento per giusta causa

Alessandro Tonelli
Giulia Passaquindici
17 Gennaio 2022

La condotta illecita extra lavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro...
Massime

La condotta illecita extra lavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso, di talché tali condotte possono anche determinare l'irrogazione della sanzione espulsiva ove siano presenti caratteri di gravità.

L'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi”, infatti “ha evidenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile sia idoneo a far venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

In tale evenienza non è “necessario attendere la sentenza definitiva di condanna, restando privo di rilievo che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo in siffatta ipotesi.

Il caso

Un lavoratore agiva in giudizio per far accertare l'illegittimità del licenziamento irrogato per giusta causa e suffragato dalla sua condanna in sede penale per produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. Il dipendente deduceva che la sentenza di condanna penale posta alla base del licenziamento non era ancora passata in giudicato, ponendosi tale circostanza in contrasto con la disposizione pattizia secondo cui “la condanna ad una pena detentiva comminata al lavoratore con sentenza passata in giudicato per azione commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro” costituisce causa ostativa alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il Tribunale, prima, e la Corte distrettuale, poi, rilevavano come la contestazione disciplinare non facesse specifico riferimento alla disposizione pattizia invocata dal lavoratore a suffragio della propria difesa, osservando come, in ogni caso, ben possa il datore di lavoro recedere dal rapporto in ipotesi di gravi condotte del dipendente, stante l'antinomia esistente tra il rapporto contrattuale di lavoro e quello tra lo Stato e i cittadini cui è connessa la presunzione di non colpevolezza ex art. 27 Cost.

Le questioni

Le questioni considerate dal provvedimento in esame sono le seguenti: 1) il rilievo della condotta penale extra lavorativa ai fini del licenziamento per giusta causa; 2) il carattere esemplificativo delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi; 3) irrilevanza di una sentenza di condanna definitiva ai fini del licenziamento per giusta causa.

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in esame muove dalla preliminare considerazione per cui il principio costituzionale della presunzione di innocenza, invocato dal dipendente a supporto dell'illegittimità del licenziamento fondato su una condanna penale non passata in giudicato, attiene alle garanzie relative all'esercizio dell'azione penale e non può trovare applicazione analogica o estensiva in sede di giurisdizione civile, con riguardo alla materia delle obbligazioni e dei contratti, cui attiene il rapporto di lavoro.

In particolare, in questo ambito, detta presunzione non esclude che il datore di lavoro possa legittimamente recedere per giusta causa quando i comportamenti posti in essere dal dipendente, integranti la fattispecie di reato, siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

La giusta causa di licenziamento, infatti, costituisce una clausola generale o norma astratta che richiede di essere concretizzata dall'attività dell'interprete, tenuto nel caso concreto a verificare che la condotta sanzionata sia riconducibile alla fattispecie legale di giusta causa, considerata la gravità del comportamento in concreto del lavoratore anche sotto il profilo soggettivo del dolo o della colpa.

La condotta extra lavorativa del dipendente, pertanto, ove presenti il carattere della gravità, è suscettibile di rilievo disciplinare, atteso che il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non realizzare, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso.

Nel caso di specie la Corte ha ritenuto corretta la valutazione della Corte distrettuale che, ai fini della valutazione in ordine alla gravità dei fatti, aveva valorizzato il possesso di circa 40 grammi di marjuana e 34 grammi di hashish, quantità tali da escludere un uso esclusivamente personale, e il conseguente inevitabile contatto con ambienti criminali, contatto pregiudizievole per l'immagine aziendale, aggiudicataria anche di appalti pubblici, formata anche dalla moralità della condotta dei singoli dipendenti.

Una volta ritenuto integrato il requisito della gravità della condotta extra lavorativa ai fini della prosecuzione del rapporto, il Collegio ha osservato, poi, che in simili casi, a nulla rileva che il contratto collettivo preveda la sanzione espulsiva solo nell'ipotesi di condanna definitiva.

L'elencazione delle ipotesi di giusta causa del licenziamento, infatti, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude la sussistenza della giusta causa per un grave comportamento contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile purché tale comportamento sia idoneo a far venire meno il vincolo fiduciario.

Osservazioni

L'ordinanza in esame si pone in linea con il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui è ravvisabile una giusta causa di licenziamento anche nel caso di condotte extra lavorative che, seppur tenute al di fuori dell'azienda e oltre l'orario di lavoro, nonché non direttamente riguardanti l'esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, fattore condizionante la permanenza del rapporto di lavoro.

Ciò qualora tali comportamenti abbiano un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettano le legittime aspettative del datore di lavoro di un futuro puntuale adempimento dell'obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni affidate o alla particolare attività svolta.

La giusta causa, quindi, può essere integrata anche da fatti estranei all'obbligazione contrattuale purché idonei a incidere sul vincolo fiduciario.

La verifica del comportamento extra lavorativo deve avvenire con riguardo alla sua incompatibilità con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell'organizzazione aziendale.

In tale contesto, la Suprema Corte ha avuto modo di dare rilievo anche a comportamenti del lavoratore afferenti non solo alla sua vita privata in senso stretto, ma anche a quelli tenuti in ogni ambito in cui si esplica la sua personalità, comprensivi anche di diverse realtà lavorative, e a condotte antecedenti all'instaurazione del rapporto di lavoro, purché apprese dal datore dopo la conclusione del contratto e incompatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni affidate e dal ruolo rivestito nell'organizzazione aziendale.

Al contempo è stato escluso che abbia rilevanza la sola condotta oggetto di accertamento penale passato in giudicato, afferendo questo all'ambito delle garanzie di attuazione della pretesa punitiva dello Stato e non ai rapporti contrattuali di lavoro.

Interessante corollario di tale principio è quello, anch'esso richiamato dall'ordinanza in analisi, dell'irrilevanza della sentenza definitiva di condanna ai fini del licenziamento per giusta causa,anche nel caso in cui il c.c.n.l. preveda la più grave sanzione espulsiva solo in tale circostanza.

Ciò in considerazione del fatto che elemento essenziale del rapporto è la fiducia tra le parti ed essa ben può venir meno anche nel caso di fatti che non siano stati oggetto di condanna definitiva, stante anche l'autonomia tra giudizio penale e disciplinare.

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