In caso di omesso versamento IVA la crisi di liquidità non esclude la punibilità tributaria

19 Gennaio 2022

La Corte di Cassazione ha sancito che, relativamente al reato di omesso versamento dell'IVA ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2020, è necessario e sufficiente che il debitore di imposta ometta volontariamente il versamento dell'imposta dovuta nella consapevolezza della sussistenza dell'obbligo e della inutile scadenza del termine previsto per il pagamento
Massima

Relativamente al reato di omesso versamento dell'IVA ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 è necessario e sufficiente che il debitore di imposta ometta volontariamente il versamento dell'imposta dovuta nella consapevolezza della sussistenza dell'obbligo e della inutile scadenza del termine previsto per il pagamento.

Il caso

La Corte di Cassazione ha sancito che, relativamente al reato di omesso versamento dell'IVA ex art. 10 ter D.Lgs. n. 74/2000, è necessario e sufficiente che il debitore di imposta ometta volontariamente il versamento dell'imposta dovuta nella consapevolezza della sussistenza dell'obbligo e della inutile scadenza del termine previsto per il pagamento.

In particolare, è stato precisato che la revoca degli affidamenti bancari a ridosso della scadenza del termine "lungo" di cui all'art. 10-ter , non ha alcuna rilevanza e tale inadempimento non può essere considerato causato da forza maggiore.

Nel caso specifico, la situazione di illiquidità riguardava una società che già nell'anno prima non aveva adempiuto all'obbligo dei versamenti periodici, né vi aveva provveduto nel corso dell'anno in cui si era consumato il reato.

Il quadro normativo

Il delitto di omesso versamento IVA, previsto all'art. 10 ter DLgs. 74/2000, si verifica quando un soggetto non versa, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta.

La condotta, pertanto, è costituita dal mancato versamento entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un importo superiore a 250.000 euro.

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è richiesto il dolo generico.

Parte della giurisprudenza ritiene che questo possa essere costituito anche dal dolo eventuale (così Cass. pen. 18 agosto 2015, n. 34927).

Secondo tale interpretazione, risponderebbe del reato di omesso versamento di IVA il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, ometta di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (così Cass. pen. 4 febbraio 2016, n. 4631).

Sempre per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è necessario ricordare che, in caso di forza maggiore che impedisce di assolvere l'obbligo di versamento, il soggetto non può essere punito.

A tal fine è importante sottolineare che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all'operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall'obbligo dell'interessato di premunirsi contro le conseguenze dell'evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (cfr. Risposta 1.7 contenuta nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 2 aprile 2020, n. 8/E).

Ad esempio, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (così Cass. pen. 29 maggio 2019, n. 23796).

Inoltre, sempre secondo parte della giurisprudenza, l'omesso versamento dell'Iva non può essere giustificato, ai sensi dell'art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l'ordine di preferenza, che impone l'adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 c.c.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato (così Cass. pen. 3 marzo 2020, n. 8519).

Come sancito recentemente dalla Suprema Corte, nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l'assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso, dovendosi ricollegare ad eventi che sfuggono al dominio finalistico dell'agente. In questo caso, l'imputato potrà invocare la situazione di crisi economica come causa dell'impossibilità di adempimento dell'obbligazione fiscale, al fine di escludere la responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione riguardanti, sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. Dovrà, in altri termini, essere dimostrato che non sia stato in alcun modo possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili. Secondo tale tesi, pertanto, il contribuente, il quale eserciti un'attività imprenditoriale, è chiamato ad accantonare le somme necessarie agli adempimenti tributari cui è gravato. Diversamente, deve ritenersi che l'imprenditore si sia rappresentato la probabilità che, per il normale rischio connesso all'esercizio della propria attività economica, al momento della scadenza del termine per il pagamento non siano presenti le somme necessarie ad onorare il debito fiscale, accettandone tuttavia il rischio, pur di conseguire il proprio obiettivo, configurandosi una ipotesi di dolo eventuale (Cass. pen. 15 maggio 2020, n. 15218).

Si deve, in ogni caso, evidenziare che è prevista una causa di non punibilità per il delitto in oggetto.

Infatti, l'art. 13, comma 1, D.Lgs. 74/2000 prevede che tale reato sia non punibile se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo.

La sentenza in esame

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, è stata chiamata a valutare se la crisi di liquidità possa giustificare il mancato versamento dell'IVA.

Il relativo reato, infatti, si consuma con il mancato pagamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro la scadenza del termine per il pagamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo.

Nel testo della sentenza in esame viene precisato che il reato è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le somme dovute nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte; la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto; il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogniqualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.

Infatti, deve essere ricordato che generalmente l'imposta deve essere versata, entro il giorno 16 del mese, nella misura che risulta dovuta in base alla differenza tra l'ammontare complessivo dell'imposta sul valore aggiunto esigibile nel periodo precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello dell'imposta, risultante dalle annotazioni eseguite, nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati sulla base dei documenti di acquisto di cui il debitore è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene esercitato nello stesso mese.

Per questo motivo, la sistematica e prolungata violazione dell'obbligo (che comporta la distrazione delle relative somme ad altri fini) impedirebbe in radice la possibilità di evocare la crisi di liquidità quale causa di forza maggiore che esclude il dominio finalistico dell'agente. In realtà, la condotta omissiva penalmente rilevante avrebbe il suo antecedente nelle precedenti omissioni, costituenti a loro volta illecito amministrativo, in assenza delle quali il debito tributario non sarebbe residuato addirittura a distanza di più di un anno dall'ultima scadenza mensile.

Per escludere la colpevolezza, secondo la sentenza in esame, sarebbe necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l'aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.

La sentenza dei giudici di legittimità in esame ha stabilito che la decisione dell'imprenditore di finanziare l'impresa con i denari dovuti allo Stato (e di sua pertinenza) e di trascinare il debito fino alla scadenza del termine "lungo" penalmente sanzionato costituisce una scelta gestionale che rientra nel rischio di impresa, senza che per questo possa essere invocata la causa di forza maggiore a giustificazione dell'illiquidità provocata da comportamenti (revoche di affidamenti bancari, insolvenze dei clienti) che non sono niente affatto imprevedibili nel corso della vita di un'impresa e che non possono essere fronteggiate facendo affidamento sulle risorse dei contribuenti.

Alcune considerazioni

La sentenza in esame è coerente con quanto stabilito da altre sentenze della Corte di Cassazione.

Secondo tale parte della giurisprudenza, ove risulti che l'IVA sia stata effettivamente incassata e le relative somme non siano state accantonate ma impiegate per autofinanziamento o per altri scopi imprenditoriali, oltre ad essere provato il dolo, l'autore dell'omesso versamento si pone volontariamente nelle condizioni di non uniformarsi alla legge, con la conseguenza che non è invocabile la forza maggiore (Cass. pen. 5 agosto 2021, n. 30677).

La colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla sua crisi di liquidità alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo. Occorre cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile, per il contribuente, reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Cass. pen. 25 giugno 2021, n. 24879).

Tali principi sono stati fatti propri da altra sentenza della Cass. n. 37593 del 18 ottobre 2021, la quale non ha ritenuto determinanti, per escludere la colpevolezza di un imprenditore, i motivi dell'insolvenza (l'incolpevole assenza di liquidità) e il fatto che l'imputata vi abbia successivamente rimediato con un concordato preventivo (ratificato anche dall'Agenzia delle Entrate) garantito dai propri beni personali.

In questo caso, sarebbe stato dimostrato che la a crisi di impresa e di liquidità erano tutt'altro che improvvise ed eccezionali, e la società non aveva pagato l'IVA per anni, trattandosi di una precisa scelta aziendale posta in essere per finanziare l'impresa con l'IVA non versata soddisfacendo i creditori privati.

Inoltre, è stato escluso che la messa a disposizione di un prestigioso immobile di proprietà a titolo di garanzia del concordato preventivo consentisse un'ulteriore attenuazione della pena rispetto al minimo edittale applicato, tenendo conto proprio di tale comportamento successivo al reato.

Merita non dimeno segnalare una pronuncia del Tribunale di Milano (la n. 6254 dell'11 giugno 2021), che, occupandosi del reato di omesso versamento delle ritenute d'acconto, ha assolto l'imputato, in quanto erano stati accertati alcuni rilevanti indicatori del finalismo della condotta del legale rappresentante verso l'adempimento degli obblighi tributari: lo stesso, infatti, oltre ad aver messo in cassa integrazione e poi licenziato i dipendenti, ad aver rinunciato al suo stipendio e ad aver immesso nella società risorse proprie, aveva presentato all'Agenzia delle Entrare un piano di ammortamento relativo all'anno di imposta in contestazione pagando le rate concordate in modo regolare e preciso fino all'emergenza sanitaria COVID -19.

Conclusioni

E' evidente che, secondo la giurisprudenza citata, la crisi di liquidità non viene considerata, di per sé, un valido motivo per giustificare l'omesso versamento di quanto fedelmente dichiarato nelle dichiarazioni annuali.

La capacità finanziaria del soggetto, pertanto, diventa un discrimine non solo per stabilire la sua colpevolezza, ma anche per la sua capacità di estinguere, prima dell'inizio del dibattimento penale, il reato ai sensi dell'art. 13 del D.lgs. 74/2001.

Ciò potrebbe comportare una palese violazione dell'art. 1, Protocollo 4, Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU), secondo il quale nessuno può essere privato della sua libertà per il solo fatto di non essere in grado di adempiere a un'obbligazione contrattuale.

Come si è visto, infatti, le cause di forza maggiore vengono considerate in modo ristretto e questo porta a concludere che difficilmente un soggetto in crisi finanziaria possa evitare una condanna penale, che può portare anche alla restrizione della sua libertà.

Inoltre, potrebbe essere violato il divieto di discriminazione, che, nel caso in esame, si fonderebbe sul fatto che chi ha la capacità finanziaria di fare fronte al pagamento delle imposte gode di un trattamento preferenziale rispetto a chi non può adempiere per motivi finanziari e tale disparità è discriminatoria.

Si ricorda, infatti, che, in base all'art. 14 Convenzione Europea Diritti dell'Uomo, deve essere assicurato, senza nessuna discriminazione, il godimento dei diritti che sono riconosciuti dalla Convenzione. Inoltre, l'art. 1, prot. n. 12 alla stessa Convenzione, prevede che deve essere assicurato senza nessuna discriminazione il godimento di ogni diritto previsto dalla legge (Divieto generale di discriminazione 1. Il godimento di ogni diritto previsto dalla legge deve essere assicurato senza nessuna discriminazione)

Per discriminazione, secondo la giurisprudenza convenzionale, si intende il fatto di trattare in maniera diversa, senza giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovano, in un determinato campo, in situazioni comparabili (ex multis, 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, paragrafo 58).

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