L'onere della prova a carico dell'appellante e il rischio della contumacia
20 Gennaio 2022
Massima
Il giudizio d'appello si configura nel nostro ordinamento processuale non già come pieno riesame della originaria domanda («novum judicium») bensì come controllo della decisione impugnata («revisio prioris instantiae»), cosicché l'appellante ha sempre la veste di attore, a prescindere dalla posizione assunta nel pregresso grado, con il conseguente onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, anche se relativi a documenti prodotti dalla controparte in prima istanza e non più presenti nel fascicolo del gravame. Il caso
Due soggetti sono convenuti in giudizio da un terzo, avanti al tribunale di Napoli, per il risarcimento del danno a seguito di un sinistro avvenuto all'interno del fabbricato di loro proprietà; chiamano, quindi, a loro volta in giudizio, per essere manlevati, la società con la quale hanno stipulato una polizza per la assicurazione della responsabilità civile. Il Tribunale condanna i due convenuti al risarcimento del danno in favore del terzo e, ad un tempo, la compagnia di assicurazione a tenere indenne gli stessi di quanto dovuto. La sentenza è appellata dalla società assicurativa e, in secondo grado, il terzo danneggiato rimane contumace. La Corte di appello, in riforma parziale della sentenza impugnata, respinge la sola domanda di manleva ritenendo fondata l'eccezione di prescrizione ex art. 2047, comma 1, c.c., sollevata sin da primo grado dalla compagnia di assicurazione, relativamente al diritto al risarcimento del danno, in difetto di prova di atti interruttivi da parte del danneggiato. I due assicurati ricorrono per cassazione censurando l'assunto della Corte territoriale secondo cui, in ragione della contumacia del danneggiato, non risultava prodotto alcun documento idoneo ad impedire il maturare della prescrizione. La Cassazione annulla la sentenza impugnata rinviando le parti alla Corte di appello di Napoli. La questione
La questione affrontata e risolta dalla Cassazione concerne la ripartizione dell'onere della prova, in grado di appello, in relazione a documenti già prodotti in primo grado - e posti a fondamento della decisione impugnata - che tuttavia non sono ridepositati in sede di gravame in ragione della contumacia della parte nel cui fascicolo erano presenti (o, eventualmente, della scelta selettiva operata da quest'ultima). Le soluzioni giuridiche
La Corte territoriale non ha, infatti, nella fattispecie rinvenuto l'atto introduttivo del giudizio da parte del terzo danneggiato, che è rimasto contumace in appello, traendone la conseguenza della maturazione della prescrizione quinquennale, in difetto di idoneo atto interruttivo, sia pure relativamente alla sola domanda di garanzia, per i limiti imposti dai motivi di gravame all'ambito del c.d. devoluto. La Cassazione censura tale soluzione richiamando il proprio orientamento, radicatosi a partire da una pronuncia delle Sezioni Unite del 2005, secondo cui è l'appellante tenuto in ogni caso a fornire la dimostrazione della fondatezza dei singoli motivi di gravame, a prescindere dalla posizione processuale assunta nel grado pregresso, in quanto l'appello è una revisio fondata sulla denuncia di specifici vizi di ingiustizia o nullità della sentenza; è, quindi, onere dell'appellante riprodurre tutti i documenti sui quali si fonda il gravame avvalendosi, nel caso, della facoltà di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti ai sensi dell'art. 76 disp. att. c.p.c.. Nel giudizio di appello, quindi, il riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c. non si delinea nella tradizionale «ottica sostanziale bensì sotto il profilo processuale», nel senso cioè che è l'appellante «in quanto attore nell'invocata revisio» a dover dimostrare il fondamento della propria domanda, deducente l'ingiustizia o invalidità della sentenza impugnata, al fine di «superare la presunzione di legittimità che l'assiste». Può così accadere che taluni documenti, già posti a fondamento della decisione impugnata, pur non essendo più «materialmente» presenti nel fascicolo della causa in secondo grado, per l'inerzia della parte appellante che non li ha riprodotti, continuino tuttavia a spiegare pienamente la loro efficacia, nel senso loro attribuito dal primo giudice, nonostante le contestazioni mosse nei motivi di gravame. Osservazioni
In sintesi, quindi, mentre nel giudizio di primo grado l'onere della prova ex art. 2697 c.c. si ripartisce secondo il criterio sostanziale della titolarità del diritto azionato (chi vanta un diritto deve dimostrarne il fondamento), nel giudizio di appello è dirimente il motivo posto a base del gravame, nel senso che l'appellante deve comunque provare la fondatezza della censura, anche se relativa ad un diritto azionato dalla controparte. Proprio in virtù di tale diverso atteggiarsi dell'onere probatorio l'appello si connota non come un secondo giudizio sulla originaria domanda (novum iudicium) ma, piuttosto, come controllo della giustezza o validità della decisione impugnata (revisio prioris istantiae); è da ritenere, al riguardo, che in tal senso l'appello si connoti in termini certamente più netti rispetto al requisito della specificità dei motivi, a pena di inammissibilità ex art. 342 c.p.c., sul quale, invece, aveva puntato il legislatore del 2012 (d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012) , attraverso una riformulazione della forma-contenuto la cui portata innovativa è stata, tuttavia, sostanzialmente neutralizzata nella lettura invalsa al livello nomofilattico. Anche in secondo grado, quindi, la contumacia della controparte si conferma essere un «rischio» per chi introduce il giudizio: rischio che in primo grado è adeguatamente fronteggiabile in virtù delle opportunità integrative, sul piano assertivo e probatorio, offerte dalla trattazione ex art. 183 c.p.c., mentre in appello si imbatte nella preclusione ai mezzi di prova ed ai documenti prevista dall'art. 345, comma 3, c.p.c.. Si ritiene, tuttavia, che l'appellante abbia la possibilità di integrare la propria produzione documentale a seguito della contumacia della controparte (o, comunque, della mancata riproduzione del rispettivo fascicolo di primo grado o di taluni documenti già in esso inseriti) non solo avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, ma anche richiedendo al giudice che ordini, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., all'appellato non costituito l'esibizione dei documenti già contenuti nella produzione ritirata. E' da considerare, infatti, che tale integrazione concerne prove già acquisite agli atti di causa e, quindi, non prove «nuove»; la contumacia o la sottrazione di taluni documenti dal fascicolo di controparte è, comunque, proprio quel fatto «nuovo» nella dialettica processuale che giustifica la conseguenziale apertura di un varco nella fortezza delle preclusioni in appello. Si tratta, a ben vedere, non già di una deroga al regime delle preclusioni probatorie bensì del ripristino – comunque a carico della parte appellante - delle condizioni per la piena operatività del principio di acquisizione processuale (o di immanenza della prova). Riferimenti
Il leading case al livello di Sezioni Unite, costituito da Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498, è annotato da C. Garufi, Prove, onere all'appellante: ecco perché, in Dir. e Giust.,2006,6,10; A. Parisi, Oggetto dell'appello, onere della prova e principio di acquisizione processuale al vaglio delle sezioni unite, in Corr. Giur., 2006, 1083; R. Poli, L'oggetto del giudizio di appello, in Riv.dir.proc.,2006, 1397; G. Balena-R.Oriani-A.Protopisani, N. Rascio, Oggetto del giudizio di appello e riparto degli oneri probatori: un recente (e non accettabile) pronuncia delle sezioni unite, in Foro it., 2006, I,1433; A. Ronco, Appello e mancata (ri)produzione di un documento gia' prodotto in primo grado: onere della prova sulla fondatezza del motivo di gravame od onere della prova sulla fondatezza della domanda devoluta al giudice dell'impugnazione?, in Giur.it., 2007, 672. Il principio è stato, poi, ribadito, a seguito di qualche oscillazione (Cass. civ., sez. lav. 12 aprile 2006, n. 8528; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2007, n. 78) da Cass. civ., sez. un., 8 febbraio 2013, n. 3033, annotata da P. Pirruccio, Una soluzione frutto di "creazione pretoria" che non rispetta il dovere di lealtà e probità, in Guida al dir. ilsole24ore,2013,10,58; R.Poli, Appello come revisio prioris instantiae e acquisizione del documento erroneamente interpretato o valutato dal giudice di primo grado, in Riv.dir.proc.,2013, 1186; A. Protopisani, Appello civile, onere della prova, ripartizione, fattispecie, in Foro it., 2013, I, 819; G. Travaglino, La produzione di documenti in appello, in Corr.merito, 2013, 639. Nel senso che l'appellante possa avvalersi anche dell'istanza di esibizione per supplire al mancato deposito di atti già presenti nel fascicolo della controparte di primo grado, Cass civ., sez. lav. 22 gennaio 2013, n. 1462, annotata da P.PROVENZALI, Le prove raccolte nel processo devono essere utilizzate dal giudice indipendentemente dalla loro provenienza, in Riv. crit. dir.lav., 2013, 269. La sostanziale continuità tra la precedente e la nuova formulazione dell'art. 342 c.p.c. quanto alla specificità dei motivi di appello si è consolidata a partire da Cass. civ., sez. un.,16 novembre 2017, n. 27199, annotata favorevolmente da G. Balena, I rassicuranti chiarimenti delle Sezioni unite sul contenuto dell'atto di appello, in Foro it., 2018, I, 988; conf. Cass. civ., sez. VI-III, 30 maggio 2018, n. 13535. |