Formazione delle categorie nell'accordo di ristrutturazione: rilevanza della rinuncia al privilegio e della presenza di garanzie di terzi

Edoardo Badalamenti
24 Gennaio 2022

Il Tribunale di Livorno si esprime su due questioni giuridiche: a)l'apprezzamento della rinuncia al privilegio ai fini dell'omogeneità della categoria ex art. 182 septies l.fall. e b) la rilevanza delle garanzie rilasciate da terzi a tutela dei crediti ai fini dell'omogeneità della categoria ex art.182 septies l.fall, concludendo per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti depositato.
Massime

Nel caso in cui un creditore prelatizio rinunci in tutto o in parte al proprio privilegio, pur subordinando la propria rinuncia alla condizione risolutiva della mancata omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, è corretto inserire il credito rinunciato nella medesima categoria dei creditori chirografari ab origine, in virtù dell'equiparazione fra tali crediti disposta dall'art. 177 l.fall.

Nel caso in cui solo alcuni dei creditori finanziari siano assistiti da garanzie di terzi (fideiussioni), è corretto prevedere due categorie distinte di crediti (distinguendo i crediti muniti di fideiussioni da quelli che ne sono sprovvisti), a patto che si dimostri che i terzi garanti sono soggetti non del tutto insolventi e che, conseguentemente, le fideiussioni prestate non appaiano meramente formali.

Il caso

Una società deposita un ricorso per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito, chiedendo che il tribunale estenda l'efficacia dell'accordo medesimo anche all'unico creditore finanziario dissenziente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 182 septies l.fall..

A tal fine, la ricorrente ha formato la categoria rilevante ai fini della norma inserendo in essa tutti i crediti chirografari muniti di fideiussioni (tra i quali quello vantato dal creditore dissenziente) ed escludendone i crediti che, pur sempre chirografari, sono sprovvisti di garanzie di terzi; all'interno della categoria dei creditori muniti di fideiussione sono presenti sia crediti chirografari ab origine, sia crediti originariamente privilegiati, divenuti chirografari a seguito della rinuncia al privilegio formulata in sede di adesione all'accordo di ristrutturazione dai rispettivi creditori (la rinuncia pronunciata da questi ha espressamente efficacia risolutivamente condizionata alla mancata omologazione dell'accordo entro un dato termine).

Con un primo provvedimento interlocutorio, il Tribunale di Livorno chiede che il debitore:

1) precisi la dinamica della rinuncia al privilegio formulata dai creditori prelatizi e il suo impatto in termini di omogeneità della categoria ex art. 182 septies l.fall.;

2) dia prova “della solvibilità dei fideiussori dimostrando che gli stessi hanno un patrimonio […] che consenta la effettiva soddisfazione dei creditori che decidano di escutere le fideiussioni”.

A seguito del deposito di una memoria da parte della debitrice, il tribunale si esprime dunque sulle due questioni giuridiche sopra emarginate, concludendo per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti depositato.

Le questioni giuridiche

a)L'apprezzamento della rinuncia al privilegio (pur se risolutivamente condizionata) ai fini dell'omogeneità della categoria ex art. 182-septies l.fall.

In sede di adesione all'accordo, due creditori muniti di garanzia ipotecaria rinunciavano parzialmente al proprio privilegio, consentendo dunque che i propri crediti fossero considerati alla stregua di chirografari, e condizionavano risolutivamente tale rinuncia all'eventuale mancata omologazione entro un dato termine.

Nel corpo del ricorso ex art. 182-bis l.fall., la debitrice prevedeva la formazione di una categoria rilevante ai sensi dell'art. 182-septies l.fall., inserendo in essa i creditori chirografari (ab origine e “rinunciati”) che fossero altresì muniti di garanzia di terzo.

Il tribunale si interroga, innanzitutto, sulla effettiva omogeneità “di posizione giuridica e interessi economici” tra crediti chirografari ab origine e crediti divenuti tali a seguito di una rinuncia (parziale) al privilegio, al fine di poter emettere il provvedimento di estensione degli effetti dell'accordo nei confronti del creditore dissenziente ex art. 182 septies l.fall..

In particolare, con il provvedimento interlocutorio sopra citato, il tribunale rilevava come “potrebbe revocarsi in dubbio che la posizione giuridica di tali soggetti sia omogenea, derivando la posizione di chirografari dei primi due, per la gran parte (come risulta dall'accordo di ristrutturazione e come sintetizzato nella tabella che precede) da una rinuncia parziale alla garanzia ipotecaria dagli stessi fatta nell'accordo di ristrutturazione, ma condizionatamente al passaggio in giudicato del decreto di omologa dell'accordo ex art. 182 bis l.f.”.

La questione – pur da risolversi sulla base del dettato normativo, come in appresso descritto – appare comunque innovativa, se non altro in riferimento all'operatività dello strumento della rinuncia al privilegio in sede di accordo di ristrutturazione dei debiti e delle sue ricadute sui criteri di formazione della categoria rilevante ex art. 182-septies l.fall..

A valle del deposito della memoria a chiarimento da parte della debitrice, la questione viene risolta positivamente dal tribunale, sulla base di quanto disposto dall'art. 177 l.fall. in tema di concordato preventivo; tale disciplina è stata ritenuta mutuabile al diverso istituto dell'accordo di ristrutturazione dei debiti in quanto proprio il concordato preventivo “rappresenta l'archetipo delle procedure concorsuali fondate sull'accordo con i creditori”.

Orbene, come è noto, tale norma prevede espressamente che, laddove i creditori prelatizi rinuncino – in tutto o in parte – al proprio privilegio, essi debbano essere “equiparati ai creditori chirografari”: proprio tale equiparazione prevista dal legislatore deve senz'altro comportare un'assoluta omogeneità di posizione giuridica e di interessi economici dei crediti per i quali è avvenuta la rinuncia rispetto ai crediti chirografari ab origine, anche ai fini di quanto disposto dall'art. 182-septies l.fall. in tema di formazione delle categorie, con la conseguenza che appare corretto – se non doveroso – inserire tali crediti all'interno della medesima categoria di riferimento.

Neppure appare ostativo alla collocazione dei sopra descritti crediti in un'unica categoria il fatto che la rinuncia al privilegio sia stata formulata dai creditori interessati in maniera risolutivamente condizionata alla mancata omologazione del complessivo accordo di ristrutturazione dei debiti entro un dato termine. Anche sotto tale aspetto, è rilevante quanto il legislatore dispone – sempre in riferimento alla procedura di concordato preventivo – nella medesima norma sopra riportata: nell'ultimo periodo del secondo comma dell'art. 177 l.fall. è infatti previsto espressamente che la rinuncia al privilegio realizzata dal creditore prelatizio abbia effetto ai soli fini del concordato. Con tale previsione, il legislatore ammette quindi non solo che vi sia omogeneità (anzi, piena equiparazione) tra i crediti originariamente chirografari e quelli che tali siano divenuti a seguito della rinuncia al privilegio, ma anche che tale omogeneità esplichi pienamente i propri effetti ai soli fini della procedura concorsuale, a prescindere dal fatto (ed anzi espressamente prevedendo) che – venuta meno la procedura concordataria (ad esempio perché non sono state raggiunte le maggioranze di legge) – venga meno anche la rinuncia formulata dai creditori (ex)privilegiati.

Tale disposizione normativa può nuovamente essere applicata all'istituto – avente carattere indubbiamente più “contrattuale” rispetto al concordato preventivo – dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall.: con l'apposizione della condizione risolutiva alla rinuncia al privilegio si è infatti semplicemente provocato – per via contrattuale – quello stesso effetto voluto dal legislatore nella formulazione dell'art. 177 l.fall., ovvero quello di consentire al creditore “rinunciatario” di acquisire nuovamente il proprio privilegio in caso di naufragio dello strumento di soluzione della crisi d'impresa (ed ipotetico conseguente fallimento della società debitrice).

L'apposizione di una siffatta condizione risolutiva, dunque, non inficia affatto l'equiparazione (e quindi l'omogeneità) del credito “rinunciato” rispetto ai crediti chirografari ab origine: così come nel concordato preventivo l'eventuale rinuncia al privilegio esplica – per norma espressa – i propri effetti soltanto ai fini del concordato e comunque rende il credito equiparato a quelli chirografari, allo stesso modo la rinuncia al privilegio espressa in sede di accordo di ristrutturazione dei debiti e condizionata all'omologazione dello stesso (rectius: al mancato avveramento della condizione risolutiva della non-omologazione entro un dato termine) non è idonea a rendere disomogeneo il credito “rinunciato” rispetto a quello chirografario.

A questo punto, è legittimo chiedersi se il tribunale sarebbe comunque giunto alle medesime conclusioni anche dinanzi ad una rinuncia al privilegio formulata dai creditori in via sospensivamente (e non risolutivamente, come avvenuto nel caso di specie) condizionata al verificarsi dell'evento-omologazione; in altre parole: se i creditori interessati avessero formulato una rinuncia sospensivamente condizionata al buon esito (inteso come omologazione) del ricorso ex art. 182 bis l.fall. che la debitrice di lì a poco avrebbe depositato all'attenzione del tribunale, vi sarebbe stata ugualmente una omogeneità di interessi e posizione giuridica fra i crediti oggetti di rinuncia e quelli chirografari ab origine?

La questione appena descritta esula, evidentemente, dall'oggetto del provvedimento qui commentato, ma sulla base delle motivazioni adottate dal tribunale di Livorno si può escludere che in tale ipotetico caso la soluzione sarebbe stata ugualmente positiva. In tal caso, infatti, il tribunale sarebbe stato chiamato ad assumere una decisione (quella di omologare l'accordo e contestualmente estenderne l'efficacia al creditore dissenziente) basata in parte su presupposti (quelli imposti dall'art. 182 septies l.fall.) che si sarebbero realizzati soltanto in forza della decisione medesima.

b) La rilevanza delle garanzie rilasciate da terzi a tutela dei crediti ai fini dell'omogeneità della categoria ex art. 182 septies l.fall.

La seconda delle potenziali criticità rilevate dal tribunale di Livorno con il provvedimento interlocutorio, come già detto, attiene ugualmente alla questione della omogeneità della categoria costituita dalla debitrice, questa volta declinata sotto il diverso aspetto della rilevanza delle fideiussioni prestate da terzi soggetti a garanzia delle obbligazioni contratte dalla debitrice con solo alcuni degli istituti di credito coinvolti.

La categoria ex art. 182 septies l.fall. è infatti stata costituita dal debitore inserendo al suo interno unicamente i creditori finanziari chirografari muniti di fideiussioni, escludendone invece i creditori che sono sprovvisti di garanzie di terzi (i quali ugualmente aderiscono al complessivo accordo di ristrutturazione dei debiti, ricevendo un trattamento diverso e migliore – sotto il profilo percentuale – rispetto ai creditori partecipanti alla categoria).

Il tribunale si è dunque posto l'interrogativo se la presenza di una garanzia di terzi sia o meno un elemento utile e sufficiente a ritenere disomogenei crediti che, per altri versi, non lo sarebbero affatto.

Risolto positivamente questo preliminare passaggio – peraltro sulla scia della seppur rara giurisprudenza pronunciatasi su tale argomento (cfr. Trib. Forlì 5 maggio 2016 e Trib. Napoli 30 novembre 2016, quest'ultima decisione relativa ad un caso di convenzione di moratoria, ma comunque rilevante ai fini della problematica in esame) – il tribunale ha analizzato un secondo e conseguente quesito: è sufficiente la mera esistenza giuridica di un contratto di garanzia di terzi a rendere disomogenea la posizione creditoria ad esso collegata (teoria definita come “formalistica”), oppure è necessario accertare l'effettiva capienza – e dunque la capacità della garanzia rilasciata di offrire un effettivo soddisfacimento al creditore garantito, ulteriore rispetto a quello già assicurato dal patrimonio del debitore principale – del fideiussore, sì che solo in caso di positivo accertamento potrebbe dichiararsi la differenza della posizione giuridica del creditore garantito rispetto ad un “ordinario” creditore chirografario?

Sul punto, nessuno dei precedenti giurisprudenziali editi sembra essersi spinto troppo in profondità nell'analisi, né in tema di categorie ex art. 182 septies l.fall., né in tema di classamento all'interno di una procedura di concordato preventivo.

Sull'argomento, infatti, la già richiamata pronuncia del Trib. Forlì 5 maggio 2016 si limita a rimarcare la rilevanza delle garanzie personali prestate da terzi, senza però entrare nel merito dei criteri attraverso i quali le stesse debbano essere considerate: “l'art. 182 septies l.fall. […] richiede che le stesse [categorie] siano omogenee per posizione giuridica e interesse economico, dovendosi intendere […] per interesse economico la tipologia della garanzia di soddisfazione per il creditore, con la conseguente necessità di tenere conto di eventuali garanzie collaterali detenute da alcuni creditori facenti parte della categoria. […] Nel caso di specie, la s.r.l. in liquidazione ha erroneamente formato la categoria dei creditori finanziari non assistiti da garanzia, considerando le sole garanzie ipotecarie e trascurando le garanzie fideiussorie prestate”.

Nello stesso senso si esprimono le “Linee guida interpretative su alcuni profili della L. 132/2015” redatte da una conferenza di Giudici Delegati (già pubblicate in questo portale, 17 maggio 2016). Leggermente diverso – e forse più vicino all'interpretazione formalistica – è invece l'approccio adottato dalla pronuncia Trib. Napoli 30 novembre 2016: “i creditori in cui favore sono state rilasciate fideiussioni o garanzie autonome a prima richiesta da parte di soggetti terzi rispetto al debitore principale, oltre a potersi rivalere sul patrimonio di quest'ultimo e, in particolare, sul ricavato della vendita del bene oggetto di ipoteca, potranno richiedere il soddisfacimento delle proprie ragioni anche ai terzi garanti, ponendosi naturalmente in una posizione giuridica ben diversa rispetto a quei creditori, quale l'opponente [omissis], che possono vantare solo la garanzia ipotecaria. Deve, pertanto, concludersi per la disomogeneità della posizione giuridica del ricorrente rispetto agli altri creditori”.

Ebbene, con la pronuncia in analisi il Tribunale di Livorno ha adottato un'interpretazione non meramente formalistica, richiedendo – in sede di provvedimento interlocutorio – che la debitrice fornisse prova della solvibilità dei fideiussori, al fine di “apprezzare la effettiva diversità della posizione giuridica dei soggetti assistiti da garanzia fideiussoria di terzi rispetto a quella degli altri creditori chirografari bancari ai quali nell'accordo è stato previsto un trattamento più favorevole […] è quindi necessario che la ricorrente dia prova della solvibilità dei fideiussori dimostrando che gli stessi hanno un patrimonio […] che consenta la effettiva soddisfazione dei creditori”.

Scartata dunque la tesi formalistica (che consentirebbe di ritenere disomogenei i crediti tutte le volte in cui vi sia – a tutela dell'uno e non dell'altro – una garanzia di terzo, pur completamente incapiente), il tribunale ha dunque ritenuto gravare sul debitore l'onere di provare la capienza patrimoniale del fideiussore.

È appena il caso di rimarcare come le conseguenze della richiesta istruttoria del tribunale, se portata alle estreme conseguenze, potrebbero astrattamente essere alquanto gravose per il debitore ricorrente. A tal proposito, basti constatare che il patrimonio del terzo fideiussore è – per definizione – alieno rispetto a quello della società e che la consistenza dello stesso può essere del tutto sconosciuta al debitore che depositi il ricorso per ADR, al netto di quanto eventualmente emerga dai pubblici registri (evidentemente in riferimento soltanto a beni immobili o a beni mobili registrati).

In altre parole, se si chiede e impone al debitore ricorrente di dimostrare – con valutazione evidentemente prognostica – l'effettiva capienza del patrimonio del fideiussore rispetto alle obbligazioni contratte dalla debitrice principale, si corre il rischio che tale prova sia diabolica, o quantomeno molto disagevole. Infatti, per assurdo, il patrimonio del fideiussore potrebbe essere effettivamente capiente rispetto all'obbligazione, ma il debitore potrebbe non essere in grado di “scoprirlo” e dimostrarlo dinanzi al tribunale (ad esempio in caso di un patrimonio costituito esclusivamente da liquidità o da altri beni mobili non registrati), con la conseguenza che la classificazione adoperata in sede di ricorso sarebbe (formalmente) ritenuta scorretta, nonostante sia (sostanzialmente) corretta.

D'altra parte, non meno assurda nelle sue conseguenze estreme sarebbe stata un'applicazione della sopra descritta interpretazione formalistica: in assenza di un qualsiasi onere probatorio a carico del debitore, il tribunale sarebbe infatti tenuto a ritenere “naturalmente” (per citare Trib. Napoli 30 novembre 2016) disomogenee le posizioni dei creditori esposti nei confronti del ricorrente, anche in caso di completa incapienza del patrimonio dei garanti.

Ecco, dunque, che la pronuncia in esame sposa una teoria “mediana”: l'onere probatorio sopra descritto grava effettivamente in capo al debitore ricorrente, ma non concerne la completa capienza del terzo garante; esso, piuttosto, riguarda la dimostrazione della non-incapienza dello stesso.

Infatti, ai fini dell'apprezzamento dell'effettiva disomogeneità tra i crediti analizzati, al tribunale è sufficiente accertare che la fideiussione prestata dal terzo non sia meramente apparente (e dunque sottoscritta da un soggetto completamente privo di un patrimonio su cui il creditore garantito possa soddisfarsi), per ritenere maggiormente garantito il creditore interessato rispetto ad un altro creditore che abbia “a disposizione” soltanto il patrimonio del debitore principale.

A ben vedere, un approccio simile (ma non identico) a quello adottato dal tribunale labronico sembra essere stato suggerito in passato da una parte della dottrina proprio a commento della citata pronuncia di Tribunale Napoli 30 novembre 2016, ipotizzandosi una sorta di presunzione di capienza del patrimonio del terzo garante, superata la quale (con relativo onere della prova, si presume, a carico del creditore controinteressato) sarebbe stato possibile ritenere omogenee le posizione del creditore chirografario e di quello munito della garanzia fideiussoria (cfr. AIELLO, La convenzione di moratoria: l'estensione degli effetti ai creditori non aderenti al vaglio giurisprudenziale, in Fall., 2017. n. 7: “appare difficilmente contestabile che la posizione giuridica del beneficiario della fidejussione non possa ritenersi equivalente a quella del creditore che ne sia sprovvisto: nel patrimonio del primo è infatti compreso un diritto che non si ritrova in quello del secondo. […]. È evidente, infatti, che le prospettive di rimborso sono oggettivamente diverse per chi può contare esclusivamente sul patrimonio del debitore principale e quanti, invece, abbiano la possibilità di aggredire le sostanze di terzi, salvo che – forse – se ne dimostri preventivamente la totale incapienza”).

Ad ogni modo, non si riscontrano pronunce giurisprudenziali edite che si siano poste sulla scia di tale suggerimento dottrinale e la stessa pronuncia qui commentata – pur giungendo a conclusioni non dissimili sotto il piano sostanziale – adotta una ripartizione dell'onere della prova completamente differente.

In conclusione, secondo il tribunale di Livorno deve ritenersi effettivamente disomogenea la posizione del creditore munito di garanzia di terzo (rispetto a quella del creditore sprovvisto di tale garanzia) ogniqualvolta si dimostri – con onere a carico del debitore ricorrente – che il patrimonio del garante è non del tutto incapiente rispetto all'obbligazione garantita, così che emerga la difformità tra le posizioni giuridiche ed economiche di detti due gruppi di creditori bancari, potendo solo i primi trovare soddisfazione del loro credito anche sul patrimonio dei garanti, a differenza dei secondi, elemento che giustifica il diverso trattamento previsto per tali due gruppi di creditori”.

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