Giurisprudenza di merito e riscatto del montante individuale accumulato nel fondo pensioni: erede titolato è solo quello accettante. Rilievi critici
24 Gennaio 2022
Massima
L'art. 14, comma 3, D.lgs. n. 252 del 2005, che nel caso di decesso dell'iscritto a forma di previdenza complementare privo dei requisiti per la pensione, riconosce (in assenza di altri designati) agli eredi autonomo diritto al riscatto del montante maturato, deve essere interpretato nel senso di riconoscere la prerogativa ai soli eredi accettanti e non comprensivamente ai chiamati all'eredità, a prescindere dall'accettazione o meno della stessa.
Non è infatti riferibile all'ipotesi il principio elaborato dalla giurisprudenza di cassazione in tema di contratto di assicurazione in favore di terzo (art. 1920 c.c.) ai sensi del quale la designazione del terzo beneficiario del contratto mediante il riferimento alla categoria degli eredi, interessa coloro che, in linea teorica, siano successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all'eredità: ciò in quanto nell'ipotesi ex art. 14 cit. la designazione degli eredi ha luogo ex lege e non ex contractu e quindi non sono applicabili i relativi criteri interpretativi. Il caso: inquadramento della vicenda
Una nuova pronuncia, questa volta di merito, in tema di criteri per l'attribuzione del montante accumulato nel fondo pensione, nel caso di decesso dell'iscritto titolare del medesimo: come noto, ai sensi dell'art. 14, comma 3, D.lgs. n. 252 del 2005 (T.U. della previdenza complementare), in tale evenienza, si radica un diritto al riscatto delle somme in capo agli “eredi, ovvero [ai] diversi soggetti dallo stesso designati, siano essi persone fisiche o giuridiche”.
Pacifica la autonoma titolarità, ex lege, di tale prerogativa in capo agli eredi o designati (che non derivano, quindi, l'acquisto dall'iscritto a titolo successorio), sono invece oggetto di controversia i criteri che portano, nel concreto, ai considerati effetti, alla individuazione degli eredi: il problema si è infatti posto nel caso in cui, non essendo stata fatta alcuna designazione da parte dell'iscritto, il diritto si appunta in capo agli eredi.
Sino a tempi recenti ius receptum – cui si uniformavano sostanzialmente tutti i fondi pensione nel liquidare le somme al titolo in esame – era quello risultante dagli indirizzi Covip e dai relativi pareri, laddove veniva evidenziato che “l'indicazione, contenuta nell'art.14, comma 3, d.lgs.252/2005, degli eredi … concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte dell'iscritto, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi” (parere del 2009).
La Cassazione, con l'ordinanza n. 19751 del 2019 ha ritenuto di non condividere tale impostazione, affermando che – sebbene il diritto al riscatto in parola non configuri prerogativa acquisita dall'interessato in via derivativo/successoria – il richiamo agli eredi contenuto nell'art. 14, comma 3, cit., deve essere inteso, stricto sensu, con riguardo a coloro che acquisiscono tale qualifica per via di accettazione dell'eredità.
Più in dettaglio, Cassazione n. 19751 cit. nega la possibilità di assimilare, sul punto, la fattispecie considerata alla assicurazione sulla vita in favore dei terzi (art. 1920 c.c.), per la quale non si dubita che la designazione, quale terzo beneficiario, dell'erede (designazione effettuata dallo stipulante), rilevi a prescindere dalla accettazione ereditaria di quest'ultimo. La questione: profili sostanziali e soluzione data dal giudice di merito
Nella vicenda oggetto della presente nota, sostanzialmente analoga a quella appena richiamata, la verifica giudiziale è promossa, in via di opposizione, nell'ambito di giudizio monitorio, da parte di un fondo pensione al quale, sul presupposto del carattere indebito del pagamento dallo stesso fondo effettuato nei confronti di colui che non ha accettato l'eredità, è ingiunto di liquidare, pro quota, in favore degli eredi accettanti (aventi titolo, quindi, anche alla relativa frazione di montante) l'importo corrispondente.
A fondamento della propria opposizione, il fondo pensione argomenta - quanto al profilo afferente alla posizione degli eredi - la sostanziale assimilabilità della fattispecie ex art. 14, comma 3, cit. a quella di cui all'art. 1920 c.c., e ciò in funzione della natura negoziale della adesione al fondo. In pratica, sembra che il fondo ritenga che la designazione degli eredi, sebbene abbia luogo per il tramite dell'art. 14 cit., è comunque riferibile alla volontà implicita dell'interessato (iscritto, poi deceduto), che avrebbe potuto, in ipotesi, anche designarli esplicitamente (caso in cui la assimilazione alla norma codicistica sarebbe risultata solo più evidente, ma non più fondata).
Tale prospettiva non viene però condivisa dal giudice dell'opposizione che, aderendo al precedente della suprema Corte, afferma che “se non vi è dubbio che tra il Fondo e l'iscritto è stato sottoscritto un contratto, non è questa la fonte alla quale occorre riferirsi …”, in quanto “ … seppur è vero che il contratto e anche l'art. 14 cit. ammettono che sia il contraente a scegliere a chi devolvere il diritto al riscatto, laddove tale facoltà non sia esercitata, soccorre l'art. 14 …” che individua la categoria degli eredi, “non può esserci dubbio alcuno che, nel caso in esame, la fonte del diritto al riscatto vada individuata nella legge e non nel contratto” con conseguente esclusione dell'assimilazione all'ipotesi ex art. 1920 cit. Osservazioni e rilievi
Già i richiamati passaggi della sentenza di merito suscitano qualche perplessità considerato che l'iter logico seguito suggerirebbe che se agli eredi l'iscritto fa riferimento in via di designazione espressa, si prescinde dalla relativa accettazione di eredità (cioè la fattispecie è assimilabile a quella dell'art. 1920 c.c.), la quale è invece necessaria nell'altra ipotesi.
A parte ciò, un approfondimento della vicenda può più in generale rendere utile una verifica dell'evoluzione della disciplina in tema di diritto al riscatto della posizione dell'iscritto a fondo pensioni, deceduto.
La normativa originaria in materia, recata dall'art. 10, comma 3-ter, D.lgs. n. 124 del 1993 (comma aggiunto dalla L. n. 335 del 1995), disponeva che “in caso di morte del lavoratore iscritto al fondo pensione prima del pensionamento … la posizione individuale dello stesso… è riscattata dal coniuge ovvero dai figli, ovvero, se già viventi a carico dell'iscritto, dai genitori”. Tale previsione, a seguito dell'affermarsi – a fianco dei fondi negoziali – delle forme di previdenza complementare individuali, è stata integrata con l'introduzione (operata dal D.lgs. n. 47 del 2000) del comma 3-quater ai sensi del quale “in caso di morte dell'iscritto ad una delle forme pensionistiche individuali … la posizione individuale è riscattata dagli eredi”.
È del tutto coerente ritenere che il legislatore dell'epoca non abbia ritenuto di attuare una (peraltro illogica) dicotomia fra criteri di riconoscimento del diritto al riscatto fra le due ipotesi: il riferimento agli eredi, utilizzato dalla normativa del 2000, è stato, evidentemente, una evoluzione del precedente criterio ed ha inteso valorizzare la volontà, effettiva o presunta, dell'iscritto (ai fini dell'attribuzione del montante in caso di decesso del medesimo), senza voler assegnare rilevanza – nella vicenda, che non rientra nella materia delle successioni – alla volontà del ricevente.
In pratica, all'epoca della “parallela” vigenza delle due ricordate disposizioni (comma 3-ter e comma 3-quater) si ritiene che non potesse revocarsi in dubbio che erede (ai sensi del comma 3-quater) era il chiamato all'eredità a prescindere dalla accettazione, visto che per coniuge, figli e altri congiunti (ex comma 3-ter) non era certo necessaria alcuna accettazione e vista la necessità di stabilire una uniforme interpretazione e applicazione delle due fattispecie. Adottando il termine “eredi” il legislatore aveva considerato che – nella prevalenza dei casi (nella successione ab intestato) – coniuge e figli sono gli eredi, e nel contempo aveva valorizzato la volontà dell'iscritto quante volte ricorresse a indicazioni testamentarie.
In tale prospettiva, sembra logico ritenere che se, in sede di riforma (con il D.lgs. n. 252 del 2005), il legislatore ha voluto unificare e uniformare il criterio di riferimento, scegliendo il rimando agli “eredi”, lo ha fatto con nessun altro intento che quello di utilizzare, fra le due fattispecie previgenti (ex comma 3-bis e comma 3-ter), la più sintetica e comprensiva, ma senza voler innovare e modificare i criteri applicativi rivenienti dal regime precedente.
Inoltre, non pare incongruo ritenere, come accennato, che il legislatore abbia preferito il termine “eredi” anche perché meglio idoneo a registrare la volontà reale (testamentaria) o presunta (ab intestato) dell'iscritto, in una prospettiva in cui, peraltro, tutta la riforma del 2005 ha avuto fra gli obiettivi principali quello di dare centralità alle scelte individuali dell'interessato (si pensi per esempio al suo ruolo nel conferimento del Tfr).
In definitiva, una ricostruzione della norma dell'art. 14, comma 3, cit. che, al di là del suo portato letterale, ricerchi “l'intenzione del legislatore” (art. 12 preleggi), porta a dare rilievo, nel caso di specie, al quadro evolutivo della disciplina della materia, che come detto, si incentra nella valorizzazione della volontà (effettiva o presumibile) del lavoratore che si iscrive a fondo pensione: in tal senso, rileva il momento della designazione, o, in mancanza di questa, la posizione di coloro che sono designati eredi per indicazione testamentaria o per indicazione legislativa, restando privo di qualsiasi rilievo il profilo della accettazione.
Ulteriore indizio nel senso indicato si ricava, infine, considerando l'ipotesi – non irrealistica – di chiamati all'eredità tutti non accettanti: in tale evenienza, se si accede alla interpretazione di cui alla sentenza in commento, il diritto al riscatto dei medesimi risulta disconosciuto a vantaggio del fondo pensioni (v. art. 14, comma 3, ultimo periodo “in mancanza di tali soggetti … la suddetta posizione resta acquisita al fondo pensione”), sulla base di un presupposto (accettazione) che ha una valenza puntuale solo in materia successoria. Tale soluzione finirebbe quindi per avvantaggiare – rispetto alla sfera giuridica, nonché degli interessi e degli affetti, del lavoratore – il fondo pensione, che invece, nella (giusta) configurazione legislativa, dovrebbe rivestire un ruolo di assoluta residualità e eccezionalità.
V. anche, dello stesso A., L'impossibilità definitiva e assoluta alla prestazione, titolo per la pensione di inabilità, realizza un'ipotesi di risoluzione automatica del rapporto. |