L'inammissibilità della querela di falso incidentale proposta in comparsa conclusionale
25 Gennaio 2022
Massima
La previsione secondo cui la querela di falso può essere proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio va intesa nel senso che la relativa istanza, in primo come in secondo grado, deve essere formulata prima della rimessione della causa in decisione e, cioè, entro l'udienza di precisazione delle conclusioni; pertanto la querela non può essere avanzata negli scritti difensivi, qual è la comparsa conclusionale, successivi a tale scansione processuale e deputati alla sola illustrazione delle difese. Il caso
La Corte d'appello di Venezia ha respinto l'appello proposto da A.D.P. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza, che aveva accolto la domanda di F.C. alla restituzione della somma di € 41.316,55 oltre interessi, domanda che era fondata su una dichiarazione di debito sottoscritta da A. D.P. Segnatamente, per il debitore il rapporto negoziale traeva origine da un contratto preliminare di vendita di un immobile e che la somma richiesta costituiva parte del prezzo del bene promesso in vendita. Il debitore aveva altresì rilevato che il suddetto contratto era affetto da nullità perché elusivo delle disposizioni tributarie e, in via incidentale, aveva proposto querela di falso avente ad oggetto la scrittura contenente la dichiarazione di debito. In relazione alla domanda di nullità del contratto per violazione delle disposizioni fiscali, la Corte d'appello si è uniformata alla giurisprudenza secondo cui il contratto non è valido se la finalità va esclusivamente individuata nel conseguimento di un risparmio fiscale. Quanto alla querela di falso, che era stata rigettata in appello in via incidentale con ordinanza del 23.3.2011, i giudici del gravame l'hanno ritenuta implicitamente rinunciata, non essendo stata riproposta all'udienza di precisazione delle conclusioni. Per ottenere la riforma della decisione della Corte d'appello, il debitore ha proposto ricorso in cassazione. La questione
Con particolare riferimento alla querela di falso, il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 c.p.c. e 189 c.p.c., rispetto all'art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c. per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che la questione di falso della scrittura privata fosse stata implicitamente rinunciata perché non riproposta all'udienza di precisazione delle conclusioni, ma riportata solo in comparsa conclusionale. Il Supremo Collegio ha ritenuto inammissibile il ricorso e, in linea con un pregresso orientamento della giurisprudenza, ha ribadito che la querela deve essere formulata prima della rimessione della causa in decisione e, cioè, entro l'udienza di precisazione delle conclusioni. La decisione in commento costituisce dunque l'occasione per chiarire almeno in parte l'annosa questione dei limiti temporali cui è soggetta la proposizione della querela di falso ed alla compatibilità di detti limiti con il regime di cui all'art. 221 c.p.c. in forza del quale «la querela di falso può essere proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio». Le soluzioni giuridiche
La proponibilità della querela di falso in qualsiasi stato e grado del giudizio così come sancita dall'art. 221 c.p.c. va intesa nel senso che la relativa istanza, in primo o in secondo grado, deve comunque intervenire prima della rimessione della causa in decisione e, quindi, al più tardi entro l'udienza di precisazione delle conclusioni. (Cass. civ., sez. VI, 25 luglio 2013, n.18069; Cass. civ. sez. II, 31 agosto 2011, n.17900). In questa prospettiva, sembra necessario ripercorrere la vicenda processuale posta all'esame della Corte: la querela di falso, proposta in via incidentale in grado d'appello, era stata rigettata dal Collegio con ordinanza del 23 marzo 2011 e avverso tale decisione la parte non aveva reagito impugnandola con ricorso per cassazione; né la querela era stata riproposta all'udienza di precisazione delle conclusioni, ma solo in comparsa conclusionale. Pertanto, la Corte d'appello di Venezia ha correttamente ritenuto che la parte vi avesse implicitamente rinunciato e che, in ogni caso, l'istanza di querela fosse inammissibile per essere stata proposta in comparsa conclusionale. Osservazioni
La soluzione fornita dalla Cassazione ci sembra vada condivisa. Preliminarmente va segnalato che la parte contro cui è stato prodotto il documento può agire ai sensi del primo comma dell'art. 221 c.p.c. anche se la controversia si trova in grado di appello e finanche in sede di giudizio di cassazione, sia pure con particolari e rilevanti restrizioni; tant'è che, in quest'ultimo caso la querela già significativamente limitata dall'indole del giudizio di cassazione, non può riguardare i documenti già prodotti nei precedenti gradi ai sensi dell'art. 372 c.p.c. Questa norma vieta espressamente che siano depositati, nel giudizio di legittimità, atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi, ad eccezione di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata, l'ammissibilità del ricorso e del controricorso. La limitazione alla produzione di nuovi documenti è giustificata dal fatto che il giudizio di cassazione non è diretto all'accertamento dei fatti, ma ad un controllo di legittimità del provvedimento impugnato. Per queste ragioni, la querela di falso, proposta in via incidentale in cassazione, è inammissibile qualora abbia ad oggetto documenti già prodotti nel corso del giudizio di merito. Ciò premesso va chiarito che un'ulteriore limitazione temporale all'operatività del primo comma dell'art. 221 c.p.c. è costituita - come enunciato dalla decisione in commento - dallo svolgimento dell'udienza di precisazione delle conclusioni. Si tratta d'impostazione che sembra corretta perché, a ritenere diversamente si consentirebbe alla parte querelante di dilatare ingiustificatamente la durata del processo, imponendo alla controparte la regressione del giudizio alla fase istruttoria e in caso di giudizio d'appello, la sospensione del processo per consentire l'accertamento della falsità al giudice di primo grado. Al contempo sembra opportuno ripercorre brevemente i risultati raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità sull'art. 190, comma 2, c.p.c., ove si prevede che le comparse conclusionali devono contenere le sole conclusioni già fissate dinanzi all'istruttore e il compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano; ciò al fine di assicurare che non sia alterato, nella fase decisionale del procedimento, in pregiudizio dei diritti di difesa della controparte, l'ambito obiettivo della controversia, quale precisato nella fase istruttoria. Tale norma non impedisce, perciò, che l'attore, senza apportare alcuna aggiunta o modifica alle già precisate conclusioni, e, soprattutto, senza addurre nuove argomentazioni di diritto o nuovi fatti, esponga, nella comparsa conclusionale, una nuova ragione giustificativa della domanda rivolta al giudice adito, fondata su fatti in precedenza accertati o su acquisizioni processuali mai oggetto di contestazione tra le parti (Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2005, n. 19894; Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19145 e più di recente cfr. Cass. civ., sez. I, ord., 2 maggio 2019, n. 11547). In altre parole: la funzione della comparsa conclusionale è di esporre le tesi e le ragioni della parte, ma anche di contestare e contrastare le conclusioni avversarie (così come risultano definitivamente definite nell'udienza di precisazione). Si aggiunga che la soluzione adottata dalla decisione in commento non ci sembra limiti il diritto di difesa del querelante perché se da un lato viene imposta alla parte (consapevole della falsità del documento prodotto in giudizio) una «tempestiva» reazione, escludendo che rimanga inerte sino alla comparsa conclusionale, dall'altra non le viene preclusa la proposizione di una domanda di falso in via autonoma, a norma del secondo comma dell'art. 221 c.p.c., con atto di citazione che apre un giudizio volto all'accertamento della falsità della scrittura, affinché venga demolita in tutto o in parte l'efficacia di cui all'art. 2700 c.c. Riferimenti
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