La contendibilità dell'azienda nelle offerte concorrenti

Giovanni Giurdanella
26 Gennaio 2022

Affinché le regole della competitività e contendibilità - normate dal Legislatore nel 2015 - possano assicurare il massimo soddisfacimento dei creditori, contro condotte opportunistiche e “predatorie” del debitore, occorre individuare la causa concreta dell'operazione negoziale che del piano costituisce la so-stanza economica, per verificare se la finalizzazione pratica al trasferimento dell'azienda sia stata configurata in modo da assicurare la comparabilità delle offerte concorrenti e la massima apertura al mercato, sì da consentire al tribunale di costruire procedure competitive credibili e trasparenti.
Premessa

Il processo di progressiva e crescente liberalizzazione del concordato preventivo, a cui hanno dato luogo gli interventi sulla legge fallimentare dal 2005 in poi, si è subito coagulato, nella prassi, in uno schema negoziale progressivo di affitto-vendita dell'azienda (a un terzo già individuato dal proponente il concordato).

In particolare, l'affitto degli assets aziendali è stato frequentemente accompagnato - al netto dell'eventuale separata liquidazione dei beni e diritti non direttamente funzionali alla continuazione dell'attività d'impresa - da una proposta, da parte del terzo affittuario, di acquisto dell'azienda affittata, condizionata all'omologazione del concordato.

Tale schema negoziale, con una sovraesposizione del profilo contrattualistico del concordato, aveva reso il debitore arbitro della definizione delle condizioni di alienazione dei suoi beni. Il meccanismo, infatti, in tal modo era stato sottratto ai canoni di pubblicità e competitività che presidiano le vendite coattive, anche concorsuali, non potendo trovare applicazione l'art.182 l. fall., dettato solo per le vendite da eseguirsi nella fase esecutiva del concordato (e non per quelle pre-confezionate in seno alla stessa proposta).

Una soluzione concordataria così chiusa al mercato, se abbinata ad ulteriori elementi di opacità dell'operazione - quale la riconducibilità del terzo affittuario-acquirente all'imprenditore in concordato e la determinazione del prezzo di cessione a valori inferiori a quelli di mercato - poteva assumere connotati “predatori”, con grave pregiudizio dei creditori.

Proprio per far fronte al rischio che il concordato preventivo, da strumento di superamento della crisi dell'imprenditore nell'ottica di una massimizzazione della soddisfazione dei creditori, possa essere distorto per sottrarre al libero mercato gli assets aziendali e veicolarli verso soggetti a vario titolo riconducibili al debitore, il Legislatore del 2015 - tesaurizzando le buone prassi recepite dalla giurisprudenza di merito in noti leading cases (Trib. Milano 28 ottobre 2011, in Fall., 2012, 78 ss. - concordato preventivo della Fondazione San Raffaele di Milano; Trib. Bologna, 18 luglio 2013 e 3 dicembre 2013, in portalecreditori.it - concordato preventivo della soc. La Perla S.r.l.) - ha introdotto, con l'art. 163 bis, l'istituto (di nuovo conio nel nostro ordinamento concorsuale) delle offerte concorrenti, al fine di massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a loro disposizione una terza possibilità oltre a quella se accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore (Relazione Illustrativa della legge di conversione del D.L. 27 giugno 2015, n. 83).

La norma - infatti - prevede, nel pieno rispetto del piano del debitore e solo quando questo contempli una cessione con corrispettivo in denaro, l'apertura a possibili offerte competitive che siano migliorative nel quantum senza alterare l'originario piano (Rel. Ill. cit.).

L'istituto è stato oggetto di numerosi approfondimenti, applicati – proprio in funzione dell'effettività della tutela approntata dalla nuova disposizione – alla tematica della comparabilità dell'offerta contrattualmente compenetrata alla proposta concordataria, con eventuali e ulteriori offerte migliorative della prima (inter alia, M. Vitiello, L'obbligatorietà della procedura competitiva nelle cessioni d'azienda di carattere urgente, in questo portale, 4 dicembre 2017).

La comparabilità, infatti, garantisce che le offerte siano confrontabili tra loro e non richiedano una variazione sostanziale del piano (con il rischio che esso divenga, altrimenti, non più fattibile).

Sull'effettiva contendibilità dell'azienda è più volte intervenuta la giurisprudenza con pronunce tutte chiaramente orientate a scongiurare che l'intento “predatorio” del debitore insolvente - secondo schemi preconfezionati volti a reindirizzare (sottocosto) i beni aziendali verso soggetti amici - possa realizzarsi, sottraendosi alla competizione con altre offerte migliorative.

Lettera e ratio della norma: l'approccio sostanziale della giurisprudenza

L'art. 163 bis l. fall. impone al Tribunale di avviare una procedura competitiva nel caso in cui il piano contempli un'offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso dell'azienda o di uno o più rami di azienda o di specifici beni (la legge di conversione del D.L. 83/2015 ha eliminato l'originaria facoltatività della procedura competitiva).

L'offerta suscettibile di competizione deve avere ad oggetto uno o più elementi dell'attivo, “ciò anche al fine di delimitare esattamente la ratio della norma e non creare confusioni con l'istituto limitrofo dei piani concorrenti (così ancora nella Rel. Ill.).

Si deve trattare, quindi, di proposta contrattuale, ora – sotto l'egida del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza (art. 91) – necessariamente irrevocabile, ovvero di contratto diretto al trasferimento o anche all'affitto (ultimo comma) di beni aziendali, con la precisazione che - in deroga alla disciplina dei contratti pendenti di cui all'art. 169 bis l. fall. - non sarà opponibile alla procedura, né sarà vincolante per il debitore, sino all'esaurimento della competizione.

La lettera della legge esclude che la disposizione possa attagliarsi alle proposte di terzi che abbiamo un contenuto radicalmente diverso dall'acquisto (o affitto) dell'azienda o di specifici cespiti; e ciò in coerenza con la ratio della disposizione, che va individuata nell'esigenza di favorire l'emersione di eventuali possibilità di valorizzazione degli attivi idonee a generare incassi maggiori di quelli rappresentati dal debitore, senza tuttavia giungere a individuare soluzioni radicalmente diverse da quelle su cui si fondano il piano e la proposta (M. Aiello, Il controverso perimetro delle procedure competitive di cui all'art. 163 bis l. fall.: operazioni sul capitale sociale e concordato per assunzione, in Fall., 2019, 81).

La ratio della disposizione, tuttavia, ha consentito a una parte della giurisprudenza successiva alla riforma, sempre in un'ottica di massimizzazione concreta della recovery dei creditori, di superare il mero dato formalistico, onde verificare, nel caso di schema negoziale diverso dalla semplice vendita o affitto dell'azienda, se l'operazione fosse volta, comunque, a bloccare l'apertura al mercato del concordato, in violazione dell'art. 163 bis l. fall..

Il terreno di elezione di questo approccio è stato quello delle operazioni sul capitale sociale, in relazione alle quali vengono in considerazione beni e diritti dei soci (e non oggetto del patrimonio sociale) che, tuttavia, secondo alcuni, ricadrebbero nel perimetro applicativo dell'art. 163 bis l.fall., ove dirette ad ottenere il medesimo risultato della cessione di azienda.

È il caso dell'aumento di capitale sociale riservato a un terzo, con esclusione del diritto di opzione dei soci (Trib. Alessandria 14 dicembre 2017 e Trib. Padova 18 luglio 2018), o che, unitamente ad un finanziamento prededucibile concesso dallo stesso soggetto, sia destinato al soddisfacimento dei creditori nell'ambito del piano concordatario (Trib. Napoli, 4 luglio 2018, in Fall., 2019, 75 e ss.); oppure, del conferimento dell'azienda della società in concordato in una nuova società il cui capitale sociale sia destinato, dopo l'omologazione, ad essere ceduto interamente a terzi (si tratta della proposta di concordato preventivo, ante riforma, della Fondazione San Raffaele oggetto di Trib. Milano, 28 ottobre 2011 cit.); o, ancora, del caso dell'affitto-ponte dell'azienda ad un terzo fino all'omologazione, con la consequenziale ripresa dell'attività e la contestuale ricapitalizzazione mediante aumento di capitale sociale integralmente sottoscritto dall'affittuaria (Trib. Brescia 21 giugno 2018, in Fall., 2019, 75 e ss.). Tutte operazioni che condurrebbero al controllo totalitario della società proprietaria dell'azienda in concordato, sia essa la stessa società in concordato, sia una NewCo di destinazione.

Sul punto, la giurisprudenza di merito è stata prevalentemente orientata nel senso di profilare, in questi casi, un'elusione del dettato di cui all'art. 163 bis l. fall., norma espressione del principio generale e inderogabile che impone per le vendite in sede concorsuale il ricorso al meccanismo competitivo (Trib. Padova 18 luglio 2018, cit.), configurandosi da un punto di vista sostanziale un concordato c.d. bloccato e dichiarando, di conseguenza, inammissibile la proposta concordataria perché in frode al dettato imperativo della norma.

Il principio di ordine pubblico economico della competitività

Una recente pronuncia del Tribunale Lucca (5 gennaio 2021) - resa in un caso di affitto dell'azienda (in funzione della sua successiva cessione all'affittuario) e ricadente a pieno titolo nel perimetro formale dell'art.163 bis l. fall. - ha ritenuto infattibile il piano concordatario per la violazione non, tout court, dell'art. 163 bis l. fall., bensì, a monte, del principio di ordine pubblico economico della necessaria collocazione mediante procedimento competitivo dei beni aziendali a tutela delle ragioni dei creditori.

Sono tradizionalmente riconducibili al concetto di ordine pubblico economico i limiti imposti all'iniziativa economica dal comma secondo dell'art. 41 Cost. per quanto riguarda la sicurezza, la dignità umana, la libertà, e, in particolare, il principio di utilità sociale, con la conseguenza della nullità per illiceità della causa, del contratto contrario all'ordine pubblico (V. Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, II ed. Milano, 2011, 383 e ss.; G. D'Amico, Ordine pubblico e illiceità contrattuale, in F. Di Marzio, Illiceità, immeritevolezza, nullità, Napoli, 2004, 42).

Le regole e i valori dell'ordine economico sono desunti dal settore in cui esso opera e, nel caso in esame, il principio di ordine pubblico economico della competitività è ricavabile dalla disciplina del concordato preventivo (artt. 163, 163 bis e 182, comma 5, l. fall.).

Tale principio dovrà ritenersi violato ogniqualvolta il piano concordatario e l'offerta di acquisto degli assets aziendali, pur sottoposti, formalmente, alla disciplina competitiva, non siano stati costruiti in modo da rendere immaginabile la presentazione di offerte concorrenti, ovvero non mettano il giudice in condizione di costruire procedure competitive credibili e trasparenti (cfr. Trib. Vicenza 12 luglio 2019, in unijuris.it, 12 novembre 2019).

Ciò che si assume, quindi, non è uno schema negoziale (diverso dall'affitto-vendita) che, violi l'art. 163 bis l. fall., come nel caso delle operazioni sul capitale sociale dirette a trasferire a terzi il controllo della società (in concordato o di nuova costituzione).

Nel caso esaminato dal Tribunale di Lucca, al contrario, v'è un'operazione contrattuale che contempla il trasferimento diretto dell'azienda ad un terzo, secondo le previsioni dell'art.163-bis l. fall. (affitto-vendita), ma con un'impostazione ed una modalità che vanificano, di fatto, la possibilità di una procedura competitiva, in violazione - nella ricostruzione sub iudice - di un principio di ordine pubblico economico sì inferito, ma comunque sovraordinato alla norma in esame (e ad altre disposizioni concorsuali), la cui violazione - nella trasposizione concorsuale - conduce, in luogo della nullità del contratto (di per sé, e tra le parti, valido), all'inammissibilità della proposta concordataria, ancorché fosse dimostrabile, nel caso concreto, che questa potrebbe assicurare il miglior soddisfacimento possibile dei creditori (Trib. Vicenza 12 luglio 2019 cit.).

Il punto impone un approfondimento. In materia contrattuale, il limite dell'ordine pubblico economico, quale criterio di valutazione della “meritevolezza” dell'agire negoziale, muove dalla necessità di una concreta limitazione dell'autonomia delle parti, onde evitarne lo snaturamento (con fughe dal tipo: cfr. R. Galli, Nuovo corso di diritto civile, Cedam, 2017, 1089). L'ordine pubblico economico legittimerebbe l'interprete a superare la formale validità delle pattuizioni, col fine di vagliarne “gli esiti dubbi nella dimensione causale concreta”.

Difficoltà – e difformità – di lettura, tuttavia, emergono in sede applicativa. La teoria dell'ordine pubblico, infatti, rimandando a valori e principi desumibili dalla Carta Costituzionale, rischia di condurre ad applicazioni “estremamente variabili perché dipendenti dalla sensibilità del singolo interprete”. Inoltre, la legislazione più recente dimostra che l'imperatività di una norma non sempre rinvia all'ordine pubblico (nel caso di specie art.163 bis l. fall. e competitività), potendo l'imperatività implicare unicamente la prevalenza della norma speciale su quella generale e l'inderogabilità pattizia (G. Mastropasqua, Art.1418 c.c.: la norma imperativa come norma inderogabile, in juscivile.it, 2013, 12, 869 e ss.).

Le criticità applicative diventano ancor più evidenti nel momento in cui si importa il principio di ordine pubblico (economico) dalla sede contrattuale in quella concorsuale, poiché alle riportate complessità di inquadramento generale vanno ad assommarsi ulteriori, e non secondari, problemi.

Una cosa è interpretare un contratto, ricostruendo, oltre l'intenzione delle parti, il “senso” dell'assetto contrattuale per controllare che questo non trasmodi l'ordine pubblico, nel caso di specie, nella sua accezione economica; altro è, invece, estendere l'approccio ermeneutico superando il contratto (affitto e vendita) ed investendo la procedura concorsuale nel suo complesso (compreso il contratto, a latere, funzionale alla dismissione degli assets aziendali).

La contrarietà all'ordine pubblico, infatti, costituendo un limite all'autonomia negoziale, oblitera il contratto con la “sanzione massima” della nullità (artt. 1343 e 1418 c.c.).

Di contro, nel caso del concordato preventivo, il principio (di ordine pubblico economico) della competitività comporterebbe, in prima battuta e fisiologicamente, l'inopponibilità al concorso del contratto di affitto-azienda (se non nella misura in cui sopravviva alla selezione secondo quanto previsto dall'art. 163 bis l. fall.), senza incidere sulla sua validità (ed efficacia tra le parti).

In seconda battuta, l'eventuale violazione del principio di competitività, ancorché con un'operazione formalmente aderente allo schema prefissato dall'art.163 bis l. fall., determinerebbe uno sviamento della causa del concordato preventivo, sempre in bilico tra contratto e processo (R. Rordorf, Il diritto esorbitante: abuso del diritto, abuso del processo, abuso del concordato, in Fall., 2020, 1207) ferma restando la validità (ed efficacia tra le parti) del contratto dismissivo degli assets.

A venire in rilievo, quindi, è proprio l'utilizzo dello strumento concordatario (con il corredo del contratto di affitto-azienda) per una finalità diversa da quella per cui esso è stato concepito, ovverosia il superamento della crisi dell'impresa con la massima soddisfazione dei creditori (aspetto sul quale si tornerà più avanti), quadro nel quale il principio di competitività costituisce dato determinante ed attuale (come può evincersi anche dal codice della crisi e dell'insolvenza: art.91).

In buona sostanza, non sono tanto le modalità dell'agire a venire in causa quanto lo scopo che l'agente persegue”. “Il che – come prosegue recente ed autorevole dottrina (R. Rordorf, op. cit., 1202) – finisce inevitabilmente per spostare l'attenzione su un piano diverso, benché certamente collegato: quello dello scarto tra la causa tipica (lecita) e la cosiddetta causa concreta (immeritevole) del contratto”.

Competitività e causa concreta del concordato preventivo

Per quanto sin qui detto in tema di concordato preventivo, la competitività - a presidio del migliore soddisfacimento dei creditori contro condotte “predatorie” - non rileva quale principio di ordine pubblico economico; non perché non sussumibile sotto l'egida di detto postulato, bensì in quanto, ai fini dell'ammissione alla procedura, di fronte ad una soluzione concordataria “chiusa”, l'area d'intervento del sindacato giurisdizionale è quello dell'accertamento della causa concreta del concordato preventivo, onde verificarne un suo (eventuale) utilizzo tale da perseguire un interesse diverso da quello per il quale è consentito.

L'art.163 bis l. fall., infatti, è sicuramente norma imperativa (G.B. Fauceglia, Sull'inderogabilità in una proposta di concordato preventivo “chiuso” della procedura competitiva, in Fall., 2020, 563) che, però, non consente di intercettare soluzioni preconfezionate dal debitore in crisi con intento predatorio, qualora rispettose ed assoggettate, formalmente, alla procedura selettiva ivi contemplata, salvo a rinviare ad un livello superiore di sindacato, quello sull'ordine pubblico economico, da cui conseguirebbe l'imperatività della stessa norma.

Onde risolvere il problema del concordato “blindato” può allora, piuttosto, farsi riferimento alla causa concreta a cui, come si è anticipato, la giurisprudenza ha già fatto appello nei casi in cui il debitore in concordato abbia fatto ricorso, per la distrazione degli assets aziendali in favore di soggetti “amici”, ad operazioni corporative, formalmente estranee alla disciplina delle offerte concorrenti.

Il controllo della causa concreta della proposta concordataria, infatti, assicura uniformità di soluzione, in sede di sindacato giurisdizionale, su tutte le iniziative “predatorie”, sia estranee alla fattispecie delineata dall'art. 163 bis l. fall. che ricadenti nel perimetro competitivo della norma.

La verifica della reale e complessiva funzione pratica perseguita con la proposta concordataria, inoltre, agevola il sindacato del Tribunale nell'intercettazione di ogni operazione economica che non sia aderente alla causa del concordato preventivo, sebbene rispettosa del paradigma procedurale delle offerte concorrenti.

Uniformità di ragionamento ed estensione del sindacato ad ogni possibile condotta lesiva del principio di competitività sono, quindi, il precipitato della moderna impostazione di causa concreta, come funzione economico-individuale, o anche “ragione dell'affare” (C. M. Bianca, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2014, 256 ss.) ovverosia sintesi degli interessi (bilaterali) che quell'esatta negoziazione è diretta a realizzare (Cass. civ., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538).

Come già prima adombrato, presto la giurisprudenza ha inteso adottare, quale sistema di controllo di legittimità, tale assioma in più e differenti occasioni, così pervenendo alla definizione di causa concreta del concordato preventivo, non avente “contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata”, ma inserita nel quadro “della duplice finalità perseguita con l'instaurazione della detta procedura, consistente (i) nel superamento della situazione di crisi dell'imprenditore” e(ii)nell'”assicurazione di un soddisfacimento, sia pure ipoteticamente modesto e parziale dei creditori (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2019, n. 3863).

Deve darsi anche atto che la seconda finalità del concordato preventivo, con il Legislatore del 2015 e con l'avallo della giurisprudenza, si è presto irrobustita in termini di massima soddisfazione dei creditori con l'apertura al mercato della vendita degli assets aziendali, mettendoa loro disposizione una terza possibilità oltre a quella se accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore (Rel. ill.). Ne consegue che per l'ammissibilità del concordato rimane sì sufficiente un soddisfacimento sia pure ipoteticamente modesto e parziale dei creditori - rimesso, peraltro, alla sola valutazione economica dei creditori -, ma a condizione che l'eventuale soddisfo minimale sia il massimo risultato perseguibile sul mercato e non la conseguenza di un approccio “predatorio” del debitore in crisi.

Questo perché, più in generale, ogni volta che si apre un concorso, sia esso di tipo liquidatorio oppure con la continuità aziendale, il debitore - pur mantenendo l'amministrazione dell'impresa (come, appunto, nel concordato preventivo) - deve gestire l'azienda nell'interesse prioritario dei creditori” (art. 4 CCI), cioè traendo dal suo patrimonio la massima utilità possibile, attraverso la competizione sul mercato” (G. Limitone, L'assoluta inderogabilità della competizione nel concordato preventivo quale regola di ordine pubblico economico, in Crisi d'impresa e insolvenza, 15 dicembre 2020).

La massima utilità ritraibile, sul mercato, dal patrimonio del debitore, è profilo causale contiguo al miglior soddisfacimento dei creditori cui, sia nella legislazione vigente (art. 186 bis l. fall.), sia nel nuovo codice della crisi e dell'insolvenza (art. 87), deve essere funzionale il concordato in continuità aziendale, oltre a costituire elemento della relazione dell'attestatore del piano (art. 161, comma 3, l. fall.).

I concetti, tuttavia, operano su piani diversi. Infatti, il miglior soddisfacimento dei creditori è criterio di valutazione che riguarda solo il concordato preventivo in continuità aziendale e che imporrebbe una valutazione comparativa del piano concordatario in continuità aziendale rispetto alla soluzione fallimentare, prescrivendo in buona sostanza un apprezzamento sulla “convenienza” del concordato rispetto alla soluzione eteronoma della crisi per definizione.

La massima soddisfazione dei creditori, invece, passa attraverso il principio competitivo, “in quanto l'unico strumento in grado di dimostrare con sicurezza che per i creditori non ci sono alternative più convenienti è la sollecitazione del mercato (Trib. Vicenza 12 luglio 2019 cit.).

In conclusione

Il giudizio di conformità causale del concordato preventivo all'interesse della massa, equivalente all'”interesse superiore dei creditori” - locuzione questa impiegata nella Direttiva UE del 2016, prima, e nel codice della crisi e dell'insolvenza, dopo -, impone di valutare, in fase di ammissione alla procedura concorsuale, la concreta ed effettiva contendibilità dell'azienda del debitore in concordato preventivo, non limitando il sindacato all'applicabilità o meno della procedura competitiva ex art. 163 bis l. fall., posto che, come dimostra il caso a mani del Tribunale di Lucca, anche la pedissequa applicazione del percorso competitivo di legge potrebbe, di fatto, rendere non immaginabile la presentazione di un'offerta irrevocabile d'acquisto di un'azienda quando tutta l'operazione è stata organizzata e orchestrata come un abito su misura di un soggetto determinato e, quindi, affinché ci fosse un solo partecipante alla procedura".

Pochi dubbi pare possano sorgere al riguardo, posto che il sindacato giurisdizionale, quale che sia la sede (ammissione o omologazione), va effettuato “valutando l'effettiva idoneità di quest'ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura” (Cass. civ. sez. I, sent., 27 maggio 2013, n. 13083; conforme Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11014).

Ed è evidente il vantaggio di un ampio e sostanziale vaglio di controllo che va ben oltre l'osservanza di una norma imperativa (l'art.163 bis l. fall.) e del sottostante principio di ordine pubblico economico.

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