Qualificazione dell'erogazione di somme da parte del socio: rileva la volontà delle parti

26 Gennaio 2022

I versamenti, in conto futuro aumento di capitale, effettuati dai soci in favore di una società di capitali, condizionati all'adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine, nel caso di mancata adozione della delibera, determinano a carico della società l'obbligo di restituzione.
Massima

I versamenti, in conto futuro aumento di capitale, effettuati dai soci in favore di una società di capitali, condizionati all'adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine, nel caso di mancata adozione della delibera, determinano a carico della società l'obbligo di restituzione.

Il caso

La Corte d'Appello di Roma respingeva il ricorso proposto da una società avverso la sentenza del Tribunale di Latina, che aveva annullato la delibera di approvazione del bilancio annuale d'esercizio sociale, ritenendo che lo stesso fosse da ritenersi non veritiero per l'errata esposizione dei versamenti in conto futuro aumento del capitale sociale, effettuati dai soci ed iscritti non tra le riserve di capitale, ma tra i debiti. Detti versamenti erano stati effettuati dai soci sulla base di una apposita delibera assembleare, nella quale era stato previsto un futuro aumento di capitale senza definire, tuttavia, un termine per l'adozione della relativa deliberazione di aumento. In seguito, stante l'omessa delibera di aumento di capitale era sorto un contrasto all'interno della compagine sociale: alcuni soci, infatti, ritenevano che la società avrebbe dovuto restituire le somme; altri, invece, sostenevano che “i finanziamenti non fossero rimborsabili in quanto, al di là della denominazione formale, costituivano un conferimento con una causa assimilabile a quella di capitale di rischio”.

La Corte d'Appello, confermando la decisione del giudice di prime cure, rilevava che l'esistenza della prova della natura di “versamento in conto futuro aumento di capitale” delle dazioni effettuate dai soci, determinava la conseguenza che, gli stessi, dovessero obbligatoriamente essere rilevati tra le riserve del patrimonio e non avrebbero potuto, in nessun caso, essere indicati in bilancio tra i debiti.

Avverso la decisione della Corte d'Appello, la società adiva alla Suprema Corte censurando la sentenza impugnata per avere affermato, in violazione degli artt. 1331, 1362, 2467, 2481 e 2481-bis c.c., che non essendo stato apposto dalle parti un termine per l'adozione della deliberazione di aumento del capitale in vista del quale il versamento era stato effettuato, il diritto alla restituzione sarebbe divenuto attuale in presenza di condizioni incompatibili con l'operazione di aumento.

Investita della questione, la Suprema Corte confermava la decisone della Corte d'Appello, confermando che gli apporti effettuati dai soci erano qualificabili come versamenti in conto futuro aumento capitale, laddove le parti avessero stabilito un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito ed un prossimo aumento di capitale sociale, con la conseguenza che tali versamenti dovevano intendersi come risolutivamente condizionati alla futura deliberazione di aumento di capitale nominale da assumere entro un certo termine.

La questione giuridica

La questione giuridica sottesa nel caso in esame verte nello stabilire se i versamenti, in conto futuro aumento di capitale, effettuati dai soci in favore di una società di capitali, condizionati all'adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine, nel caso di mancata adozione della delibera, determinino a carico della società l'obbligo di restituzione.

Le soluzioni

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina.

L'art. 2467 c.c. è rubricato “Finanziamento dei soci”, ossia quell'apporto effettuato dal socio a favore della società in qualsiasi forma, in danaro o in natura (v. Cass. 3017/2019), accompagnata dall'obbligo della sua futura restituzione (v. Trib. Milano 4 giugno 2013). Tali versamenti sono un mezzo che consentono di incrementare le risorse finanziarie di una società, senza ricorrere alle tecniche convenzionali di aumento del capitale; sono cioè dei versamenti fuori capitale, ma si differenziano dalle altre tipologie per l'obbligo di restituzione che fanno sorgere in capo alla società stessa. Difatti è prassi diffusa, nelle società di capitali, ricevere capitali da parte da chi è già socio o da chi potrebbe entrare a far parte della compagine sociale.

Nelle piccole società e, soprattutto, in quelle a ristretta base personale non sempre, vi è evidenza sulla natura e sulle finalità di questi versamenti. Le erogazioni, infatti, possono essere effettuate con la finalità di finanziare temporaneamente la società, facendo sorgere in capo alla società l'obbligo di restituzione con o senza interessi. Diversamente le erogazioni in favore della società possono essere effettuate con l'intento di rafforzare in modo permanente la struttura patrimoniale e finanziaria della società, senza tuttavia procedere ad un aumento del capitale sociale. In questo secondo caso, si tratta di conferimenti “atipici”, che incrementano il patrimonio netto senza determinare una variazione effettiva del capitale sociale, dando luogo a crediti esigibili solo al momento dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo di liquidazione. Tali conferimenti si distinguono a loro volta in versamenti a fondo perduto, in versamenti in conto aumento di capitale e in conto futuro aumento di capitale.

1) I versamenti a fondo perduto sono apporti eseguiti dai soci spontaneamente e senza obbligo di rimborso da parte della società, allo scopo di conferire alla società mezzi propri idonei a consentirle di svolgere la propria attività di impresa, senza essere imputati al capitale sociale e, dunque, essendo sottratti alla relativa disciplina. Essi non danno dunque luogo a crediti esigibili, se non per effetto dello scioglimento della società.

I versamenti a fondo perduto vengono acquisiti nel patrimonio sociale e danno luogo a poste di patrimonio netto attribuibili in maniera indifferenziata a tutti i soci, indipendentemente dal fatto che essi siano stati effettuati in via proporzionale dai soci o meno. Si tratta di conferimenti “atipici”, in quanto non comportano l'acquisto di una quota di partecipazione al capitale sociale – ed anzi presuppongono che colui che esegue il versamento abbia già acquisito la qualità di socio – e quindi incrementano il patrimonio netto della società senza determinare una variazione del capitale sociale nominale. Tali versamenti possono quindi formare oggetto di restituzione ai soci eroganti solo al momento dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale attivo di liquidazione (il diritto del socio alla loro restituzione è infatti postergato rispetto a quello dei creditori sociali).

Il fenomeno è diffuso, in particolare (ma non solo) nelle società sottocapitalizzate, in cui il capitale sociale nominale è inadeguato al perseguimento dell'oggetto sociale. In questi casi, e soprattutto nelle società a ristretta base azionaria, per avere una struttura societaria più snella e per sottrarsi alla disciplina vincolistica del capitale sociale, si preferisce infatti, inizialmente, determinare quest'ultimo in un importo minimo: poiché tuttavia tale importo è insufficiente a realizzare lo svolgimento dell'attività sociale, si rende necessario che i soci effettuino successivamente dei versamenti, che non vengono tuttavia imputati a capitale.

2) I versamenti in conto capitale consistono in somme acquisite dal patrimonio netto della società senza alcun obbligo di restituzione, che vengono erogate dai soci spontaneamente e al di fuori di ogni procedura prevista per i conferimenti. Anche tali versamenti sono idonei a incrementare patrimonialmente la società, senza modificare il valore nominale del capitale sociale, salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell'atto costitutivo, non ne venga disposto successivamente l'utilizzo per un aumento del capitale sociale. Nella prassi, i versamenti in conto capitale – diffusi, sia in ragione dei benefici fiscali ad essi collegati, sia, soprattutto, perché costituiscono un efficace e flessibile strumento che i soci possono utilizzare per fare fronte a varie esigenze della società - sono diretti a creare disponibilità finanziarie discrezionalmente destinabili dagli amministratori a scopi attinenti all'oggetto sociale. Sono, quindi, destinati a costituire frazioni del “capitale di rischio”, ovverosia “mezzi propri” della società beneficiaria. Non essendo imputabili a capitale, i versamenti in conto capitale, una volta eseguiti, vanno a costituire una riserva non di utili, ma “di capitale”, soggetta, secondo l'opinione prevalente, alla stessa disciplina della riserva da soprapprezzo, seppure “personalizzata” o “targata”, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all'entità delle somme da ciascuno erogate. Una volta che le somme in conto capitale siano confluite nel patrimonio comune, i soci eroganti, finché dura la società, non possono chiederne la restituzione.

A differenza dei finanziamenti, i versamenti in conto capitale non generano crediti esigibili dei soci nei confronti della società. I soci possono chiedere la restituzione delle somme versate a tale titolo solo dopo o scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione (quindi dopo la liquidazione di tutte le passività sociali). I versamenti in conto aumento di capitale costituiscono dei veri e propri acconti su versamenti che saranno dovuti, in ragione dell'intenzione di sottoscrivere un determinato aumento di capitale. In altri termini, i versamenti in conto aumento di capitale sono anticipi di versamenti funzionali alla sottoscrizione di azioni o quote di nuova emissione (ma ancora non emesse). Può infatti accadere che, per esigenze pratiche o necessità finanziaria della società, i soci – o i terzi cui la società intende offrire la sottoscrizione di un futuro (o deliberato ma non ancora eseguito) aumento di capitale – effettuino il versamento funzionale alla sottoscrizione dell'aumento del capitale secondo una procedura temporale “inversa”, al fine di dotare immediatamente la società di nuovi mezzi finanziari, senza dover attendere i tempi di perfezionamento dell'operazione sul capitale.

In particolare, si parla invece di versamenti in conto aumento di capitale quando l'apporto è messo a disposizione della società dopo la delibera di aumento del capitale, ma prima della sua esecuzione, sempre con la finalità di anticipare la provvista per la sottoscrizione delle nuove emittende partecipazioni.

Se quindi l'aumento del capitale sociale è già stato deliberato, ma non ha ancora iniziato a decorrere il termine per la raccolta delle sottoscrizioni delle azioni o quote di nuova emissione, le somme di denaro versate in anticipo alla società hanno natura di conferimenti e come tali devono essere allocate nel patrimonio netto; lo stesso dicasi per i versamenti eseguiti in occasione di un aumento di capitale “scindibile”, cioè destinato ad essere mantenuto fermo qualunque risulti esserne l'ammontare definitivamente sottoscritto, anche se inferiore al limite massimo fino al quale era stato deliberato.

3) Si parla, invece, di versamenti in conto futuro aumento di capitale qualora l'apporto sia messo a disposizione della società prima della delibera di aumento del capitale, con l'intento di anticipare alla società la provvista destinata alla sottoscrizione del relativo ammontare, a liberazione delle future emittende partecipazioni. I versamenti in conto futuro aumento di capitale sono quindi dei conferimenti potenziali, che diventano effettivi solo nel momento in cui vanno ad incardinarsi nel capitale sociale, assumendo l'esclusiva destinazione di scopo sottesa al perseguimento dell'oggetto sociale.

Se, quindi l'aumento di capitale non è ancora stato deliberato – ed è quindi futuro – o è “inscindibile”, le erogazioni fatte alla società non possono imputarsi al patrimonio netto, bensì devono iscriversi fra i debiti della società verso coloro che le abbiano eseguite (creditori), poiché se l'aumento di capitale non venisse più deliberato, quanto meno entro un termine ragionevolmente prossimo, oppure non potesse venire attuato a causa della sua mancata integrale sottoscrizione, questi soggetti avrebbero diritto di richiederne alla società stessa la restituzione. Tali erogazioni possono conseguentemente affluire al patrimonio netto della società percipiente solo una volta che abbiano ricevuto una irreversibile imputazione al capitale sociale.

In entrambi i casi, le erogazioni in questione appartengono ai soggetti che le hanno effettuate fino a quando non divengono veri e propri conferimenti; il che avverrà allorché l'aumento di capitale sia stato deliberato e posto in sottoscrizione dalla società, e in ogni caso quando esso sia andato a buon fine (ad esempio perché, se inscindibile, sia stato sottoscritto per intero), ed i soggetti eroganti avranno dichiarato di sottoscrivere le quote di tale aumento di loro rispettiva pertinenza (o, in caso di esercizio del c.d. diritto di prelazione nell'opzione, anche quote aggiuntive a valere sulla parte dell'aumento di capitale risultata inoptata da altri soci che non se ne fossero resi, in tutto o in parte, sottoscrittori) e di volere a tale scopo destinare le somme o i beni già messi in via preventiva a disposizione della società stessa con tale finalità ovvero crediti certi, liquidi ed esigibili dagli stessi vantati nei confronti di questa.

Poiché le somme apportate costituiscono una anticipazione della sottoscrizione del futuro aumento di capitale, qualora questo non venga deliberato nel termine stabilito, i soci avranno diritto alla restituzione delle somme versate in base alle norme sull'indebito. In questa ipotesi, peraltro, le erogazioni possono poi essere riqualificate dal finanziatore stesso come contributi in conto capitali o a versamento perduto, “transitando” quindi idealmente nel patrimonio netto della società, e divenendo peraltro anche idonee, se del caso, a coprire eventuali perdite. In mancanza di termine finale per il completamento dell'operazione di aumento, invece, si ritiene che il socio abbia diritto alla ripetizione di quanto versato nel termine necessario secondo la natura dell'affare o gli usi, in applicazione bile in via analogica dell'art. 1331, comma 2, c.c. in tema di opzione, oppure dell'art. 1326 comma 2 c.c..

Ciò detto e tornando al caso in premessa, era sorto un contrasto interno in seno alla compagine sociale di una persona giuridica in ordine alla corretta qualifica da attribuire ai finanziamenti effettuati.

Tanto precisato, è evidente che nella prassi societaria può essere controverso qualificare, dal punto di vista giuridico, i versamenti effettuati dai soci, ovverosia stabilire quando gli stessi costituiscano un finanziamento, con conseguente diritto dei soci alla restituzione delle somme versate, e quando, invece, un conferimento di capitale di rischio. Ciò anche a causa del frequente utilizzo di denominazioni atecniche ed imprecise da parte dei soci, dell'incerta indicazione dei versamenti nei bilanci, nelle delibere degli organi sociali interessati e in generale, nella relativa documentazione (contratti, o più frequentemente, corrispondenza). Talvolta l'individuazione della esatta natura del versamento è resa difficile dai soci stessi che, con la complicità degli amministratori, qualificano diversamente i versamenti in base all'andamento economico della società; ad esempio, qualificando i versamenti come conferimenti componenti del netto patrimoniale durante il normale esercizio dell'impresa, al fine di creare l'affidamento delle banche sulla congruità dei mezzi propri della società, e successivamente, riconsiderandoli come effettuati a titolo di mutuo, in caso di crisi dell'impresa, per chiederne il rimborso.

Osservazioni

Nella decisione in commento la Suprema Corte ha precisato che nei versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale le parti stabiliscono un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio ed un prossimo aumento del capitale sociale.

Nel caso in commento, la dazione del denaro è tesa a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione. Tali versamenti vanno a costituire una riserva non di utili ma, come usa dirsi, di capitale, seppure, si precisa, personalizzata o targata, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all'entità delle somme da ciascuno erogate (v. Cass. n. 16393/2007); Difatti, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, la corretta qualificazione dell'erogazione di somme da parte del socio deve essere effettuata attraverso un'indagine circa la reale volontà delle parti nel caso concreto, non limitata al solo uso dei termini utilizzati per le annotazioni nelle scritture contabili, in quanto spesso atecnici e quindi non indicativi, bensì estesa anche al modo in cui è stato concretamente effettuato il versamento, le finalità pratiche cui esso è diretto e gli interessi sottesi.

In mancanza di una chiara manifestazione di volontà è significativa l'analisi dell'appostamento delle somme nel bilancio di esercizio, il quale è un documento approvato dai soci ed è idoneo a creare affidamento nei terzi. In tal senso, appare particolarmente significativo l'inserimento della posta derivante dal versamento dei soci tra le voci del patrimonio netto; inoltre, qualora il socio abbia dato il suo voto favorevole all'approvazione dello stesso, tale comportamento rappresenta una manifestazione di volontà, rilevante ex art. 1362 comma 2 c.c., incompatibile con una qualificazione del rapporto in termini di finanziamento.

Sono stati individuati una serie di indici sintomatici della presenza di un versamento in conto capitale quali, ad esempio la sottocapitalizzazione della società, la ristrettezza della compagine sociale, la proporzionalità e la spontaneità delle erogazioni e soprattutto, l'anormalità dell'operazione. Quest'ultima ricorre quando siano presenti condizioni o caratteristiche del versamento tali da renderlo incompatibile con la sussistenza di un rapporto creditizio tra socio e società.

In ogni caso, la giurisprudenza tende, nei casi dubbi, a qualificare i versamenti dei soci come conferimenti (e non come prestiti) sul presupposto che gli stessi vengono per lo più effettuati quando la società si trova in una condizione di sottocapitalizzazione, al fine di consentire all'impresa di proseguire la propria attività economica. Tale linea interpretativa determina quindi l'inesigibilità delle somme versate dai soci fino alla liquidazione della società, salva una diversa delibera assembleare che incida sulla quantità e qualità del patrimonio netto.

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