I rapporti di lavoro nella composizione negoziata della crisi nel dialogo con la Direttiva Insolvency

Alessandro Corrado
27 Gennaio 2022

Nell'affrontare le novità dedicate dalle norme sulla composizione negoziata della crisi d'impresa alla disciplina dei rapporti di lavoro, l'articolo ripercorre le tappe del percorso normativo avviato con la legge delega n. 155/2017 ed approdato all'art. 4, comma 8, D.L. 118/2021: in attesa che avvenga il completo recepimento della Direttiva UE 2019/1023, sembra finalmente profilarsi un'unitarietà di intenti e soluzioni.
Introduzione: il cammino verso il completo recepimento della Direttiva UE 2019/1023

Nel magmatico e complesso panorama normativo che si va componendo intorno alle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza, per quanto riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro, sembra finalmente profilarsi un'unitarietà di intenti e soluzioni fino ad ora pressoché sconosciute.

Si potrebbe infatti dire che – con l'eccezione di qualche tessera che ancora deve trovare la giusta collocazione (possiamo già anticipare che si tratta dell'art. 84 CCI e sempre che la formulazione testuale risultante dal D.Lgs. 14/2019 rimanga tale) – l'intricato puzzle cominci a prendere armoniosamente forma.

All'appello manca il recepimento della Direttiva 2019/1023 c.d. Insolvency: pubblicata il 26 giugno 2019 (e quindi in data successiva a quella del Codice della crisi), imporrà l'adozione di una serie di misure miranti a impedire l'insolvenza assicurando sostenibilità economica e tutela dei posti di lavoro (alcune per la verità lasciate alla facoltà degli Stati membri), finalizzate a garantire – nell'ambito delle operazioni di ristrutturazione preventiva – la tutela dei diritti dei lavoratori a livello collettivo ed individuale. Sotto il primo profilo, in base alle disposizioni comunitarie, infatti, l'ordinamento interno dovrà prevedere: l'accesso delle Organizzazioni Sindacali a informazioni pertinenti e aggiornate sugli strumenti di allerta precoce, sulle procedure e le misure di ristrutturazione e di esdebitazione (art. 3 Direttiva) nell'ottica della consultazione sull'evoluzione recente ed in chiave prospettica delle attività dell'impresa; informazioni sulle procedure di ristrutturazione in grado di incidere sull'occupazione in relazione alla probabilità per i lavoratori di recuperare la propria retribuzione e qualsiasi pagamento futuro (art. 13).

Sul piano individuale, oltre a garantire i diritti tutelati dalle norme sui licenziamenti collettivi e sui trasferimenti d'azienda (art. 13), le disposizioni interne dovranno escludere le retribuzioni dei lavoratori da misure sospensive delle azioni esecutive individuali (art. 6) e potranno prevedere che i diritti di credito dei lavoratori siano trattati in una specifica classe (art. 9) e che questi esprimano l'approvazione sui piani di ristrutturazione che dovessero comportare cambiamenti nell'organizzazione del lavoro o nelle relazioni contrattuali (art. 13).

Il quadro normativo nazionale è ancora in via di completamento, tuttavia il D.L. 25 agosto 2021, n. 118 con cui è stata varata la composizione negoziata della crisi d'impresa, rappresenta un recepimento anticipato, seppure molto embrionale, che sembra andare nella direzione indicata dalla Direttiva Insolvency.

Le principali tappe per arrivare all'art. 4, comma 8, D.L. 118/2021 e l'attuazione della legge delega 155/2017: accordi e disaccordi con la legislazione europea

Ripercorrendone le tappe principali, possiamo dire che il percorso ha preso avvio con la legge delega 19 ottobre 2017, n. 155: questa, prescrivendo di “armonizzare le procedure di gestione della crisi e dell'insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori che trovano fondamento (…) nella Direttiva 2008/94/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, nonché nella Direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, come interpretata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (art. 2, comma 1, lett. p)”, più che assegnare una delega, aveva per la verità lanciato un monito affinché l'Italia non incorresse in altre condanne, come quella inflitta dalla Corte di Strasburgo con la sentenza dell'11 giugno 2009, causa C-561 in materia di trasferimento d'azienda di imprese in stato di crisi.

Nel frattempo, in sede europea i lavori preparatori della Direttiva Insolvency delineavano già i principi base che oggi conosciamo nella forma definitiva: ne sono una testimonianza le audizioni parlamentari degli esperti delegati del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di Direttiva del Parlamento europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza, i cui lavori erano cominciati nel gennaio 2017.

Nonostante la concomitante e parallela gestazione dei due testi legislativi, l'art. 4 legge-delega n. 155/2017 nel delineare le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi ometteva di prevedere il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori, sebbene, nei mesi precedenti il varo del testo definitivo del Codice della crisi, quello della Direttiva fosse già in avanzata fase di elaborazione: tuttavia, gli strumenti di allerta che hanno visto la luce nel 2019 (l'avvio di un travagliato percorso che forse vedrà la loro concreta applicazione dal 1° gennaio 2023), non mostrano alcun segno di coordinamento con quanto veniva nel frattempo elaborato in sede europea sotto il profilo della tutela dei diritti delle rappresentanze sindacali.

Il successivo D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ha dato puntuale attuazione alla delega riguardante l'armonizzazione con Direttive e giurisprudenza comunitarie: il comma 4 bis dell'art. 47 L. 428/1990 è ora consonante con la Direttiva n. 23/2001 laddove, nell'ambito di procedure concorsuali di risanamento (quali il concordato preventivo in continuità indiretta, l'accordo di ristrutturazione dei debiti non liquidatorio e la procedura di amministrazione straordinaria che preveda la continuità) postula che l'eventuale accordo raggiunto all'esito delle consultazioni con le Organizzazioni Sindacali, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, non possa derogare all'art. 2112 c. c., se non per quanto attiene alle condizioni di lavoro, e sempre nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all'art. 51 D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81.

Tuttavia, come si è già in breve accennato nell'introduzione, il meccanismo dell'art. 84, comma 2, CCI per qualificare in continuità indiretta il concordato preventivo che preveda la gestione dell'azienda o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, affitto o conferimento d'azienda a condizione che il contratto preveda il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione appare disallineato proprio rispetto al comma 4 bis e di conseguenza alla Direttiva n. 23/2001 (per brevità, rinvio al contributo, A. Corrado, Ancora sull'art. 84 CCI: tra antinomie normative e questioni aperte, sarà vera gloria?, in questo portale, 3 agosto 2021).

Converrà tuttavia attendere l'esito del lavoro della Commissione Pagni prima di trarre conclusioni che oggi potrebbero rivelarsi errate o incomplete.

Le disposizioni della Direttiva Insolvency ed il suo recepimento, tra obblighi e facoltà

I principi guida della Direttiva in materia giuslavoristica sono delineati in numerosi dei ben 101 Considerando che precedono il suo articolato testo, i più rilevanti dei quali sono quelli dal numero 60 al numero 62: in sintesi, essi dispongono che le procedure di ristrutturazione preventiva dovranno svolgersi senza pregiudicare le tutele individuali a favore dei lavoratori, tra le quali quelle a garanzia dei diritti di credito e quelle vigenti nell'ambito dei licenziamenti collettivi e dei trasferimenti d'azienda e dovranno avere luogo informando e coinvolgendo i singoli lavoratori ed i loro rappresentanti. Essi postulano inoltre il diritto di voto in merito al piano.

Verificando in dettaglio la formulazione delle disposizioni che declinano i principi espressi da tali Considerando, è agevole constatare che non tutte vincolano gli Stati membri al recepimento.

Hanno infatti contenuto precettivo quelle riguardanti gli obblighi informativi previsti dall'art. 3, comma 3 (“Gli Stati membri provvedono affinché i debitori e i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso a informazioni pertinenti ed aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili, come pure sulle procedure e alle misure di ristrutturazione ed esdebitazione”), nonché l'articolato testo dell'art. 13 che attribuisce ai rappresentanti dei lavoratori il diritto alla negoziazione collettiva e all'azione industriale (comma 1, lett. a), all'informazione e alla consultazione sull'evoluzione più recente e in chiave prospettica delle attività dell'impresa, sulle procedure di ristrutturazione in grado di incidere sull'occupazione in relazione alla probabilità per i lavoratori di recuperare la propria retribuzione e qualsiasi pagamento futuro, così come i diritti pensionistici dei lavoratori (comma 1, lett. b.ii) nonché sull'informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori sui piani di ristrutturazione nella fase precedente l'adozione o l'omologazione dei piani di ristrutturazione; quelli inerenti le tutele nei licenziamenti collettivi, nei trasferimenti d'azienda e per il pagamento dei crediti nei casi d'insolvenza (art. 13, comma 1, lett. b.iii).

La Direttiva è inoltre vincolante nel prevedere che la sospensione delle azioni esecutive individuali non si applichi ai diritti dei lavoratori (art. 6, comma 5) e che il programma di ristrutturazione debba prevedere una descrizione della posizione dei lavoratori (art. 8, comma 1, lett. b) Direttiva), nonché le modalità di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, le conseguenze generali per l'occupazione (come licenziamenti o misure di disoccupazione parziale).

Appare invece di natura chiaramente facoltativa il sostegno che “gli Stati membri possono fornireai rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore” (art. 3, comma 5, Direttiva).

Altrettanto non vincolanti appaiono le disposizioni riguardanti l'assegnazione di una specifica classe ai lavoratori (art. 9, comma 4, Direttiva) e la necessità di approvazione delle misure suscettibili di comportare cambiamenti nell'organizzazione del lavoro o nelle relazioni contrattuali (art. 13, comma 2, Direttiva).

Di analogo tenore è l'art. 4, comma 8, della Direttiva, in base alla quale il quadro di ristrutturazione preventiva è disponibile su richiesta (…) dei rappresentanti dei lavoratori, previo accordo del debitore che, a prescindere dall'obbligatorietà o meno, appare una sfida interessante da raccogliere, sia per il legislatore, sia per le stesse Organizzazioni Sindacali.

La procedura di informazione sindacale prevista dall'art. 4, comma 8, D.L. 118/2021: tra obblighi ed opportunità

Ancorché il D.L. 118/2021 non avesse quale obiettivo espresso il recepimento della Direttiva Insolvency, introducendo l'istituto della composizione negoziata della crisi ha cominciato a declinare, seppure in fase embrionale, il principale indirizzo della Direttiva riguardante l'onere di informazione e consultazione delle Organizzazioni Sindacali.

Gli stimoli lanciati dal provvedimento dell'Unione appaiono infatti raccolti dall'art. 4, comma 8, secondo il quale “se nel corso della composizione negoziata sono assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni, il datore di lavoro che occupa complessivamente più di quindici dipendenti, prima della adozione delle misure, informa con comunicazione scritta, trasmessa anche tramite posta elettronica certificata, i soggetti sindacali di cui all'art. 47, comma 1, L. 29 dicembre 1990, n. 428”.

Nella sua essenzialità, il testo ricalca quello dell'art. 13 della Direttiva e lascia indefinita la questione relativa alla previsione del raggiungimento di un accordo al quale ricondurre eventuali effetti derogatori, come invece nel caso del trasferimento d'azienda in crisi o insolvente ai sensi dell'art. 47 L. 428/1990: il datore di lavoro dovrà quindi convocare le Organizzazioni Sindacali ad un tavolo di confronto sulla situazione economico-finanziaria contingente e su quella prevedibile ogni qual volta il percorso della composizione negoziata richiederà di assumere decisioni in grado di ripercuotersi anche solo su due dei lavoratori occupati sotto il profilo dell'organizzazione del lavoro o delle modalità di svolgimento delle prestazioni.

La genericità delle espressioni utilizzate (“rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro”), del requisito numerico richiesto al fine di darvi vita (“pluralità di lavoratori”), così come delle materie oggetto dell'informativa (“organizzazione del lavoro e modalità di svolgimento delle prestazioni”) suggerisce la preoccupazione del legislatore di fare in modo che il confronto sindacale venga attivato ed abbia luogo quanto più possibile, secondo i desideri della Direttiva Insolvency.

L'auspicio è che l'ampia libertà lasciata alle parti favorisca soluzioni negoziali da individuare di volta in volta proprio con le rappresentanze dei lavoratori.

La partecipazione di un soggetto terzo quale l'esperto, dotato di apposite competenze in materia – o coadiuvato da professionisti specializzati – dovrebbe favorire l'incontro delle volontà.

Come si è visto, l'art. 4, comma 8, impone il rispetto dell'obbligo informativo solo alle realtà aziendali che occupano complessivamente più di quindici dipendenti. Tuttavia, soprattutto per quanto si dirà sulle potenzialità di un confronto sindacale in un momento delicato per la vita dell'impresa, esso potrebbe rappresentare la grande opportunità di affrontare la crisi dell'impresa con la partecipazione attiva e consapevole proprio di quei soggetti che ne sono toccati per primi e direttamente, come i lavoratori.

Appare quindi ragionevole ipotizzare che la consultazione con i rappresentanti dei lavoratori ben potrà prendere avvio anche nei casi in cui il requisito dimensionale non sia soddisfatto, soprattutto se si vorrà coinvolgere in modo proficuo i sindacati, con i quali può rivelarsi strategico condividere fin dalle prime fasi il percorso di ristrutturazione.

Seppure dall'inosservanza dell'obbligo informativo non vengano fatte discendere conseguenze, pur in mancanza di una specifica previsione in tal senso, si può ipotizzare che il suo inadempimento costituirà condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 L. 20 maggio 1970, n. 300, con la legittimazione delle rappresentanze sindacali a chiedere in giudizio la rimozione degli effetti di eventuali misure adottate in assenza della preventiva comunicazione informativa.

Nel qual caso, le comprensibili esigenze di riservatezza espresse dalla norma – alla quale sono tenuti tutti i partecipanti – cederà il passo alla tutela giudiziale dei diritti, come consentito dal dominante orientamento giurisprudenziale. Ragionare diversamente non solo rischierebbe di creare un illogico e non voluto cortocircuito secondo cui il datore di lavoro, sicuro della tutela garantita dal vincolo di riservatezza, ignorerà l'obbligo di informare e coinvolgere le Organizzazioni Sindacali, ma lederebbe una delle principali prerogative loro assegnate.

Sul piano procedurale, queste ultime, entro tre giorni dalla ricezione dell'informativa, possono chiedere all'imprenditore un incontro. La conseguente consultazione deve avere inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell'istanza e, salvo diverso accordo tra i partecipanti, si intende esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio. In occasione della consultazione è redatto, ai soli fini della determinazione del compenso di cui all'articolo 16, comma 4, un sintetico rapporto sottoscritto dall'imprenditore e dall'esperto.

In concreto, potrebbe essere questo lo spiraglio attraverso il quale le parti avviano un confronto strutturato al fine di verificare la sussistenza delle condizioni per la sottoscrizione di “specifiche intese” con efficacia vincolante estesa a tutta la platea dei lavoratori dell'impresa interessata dalla composizione negoziata, sulla falsa riga di quanto consentito dai contratti di prossimità introdotti dall'art. 8, d.l. n. 138/2011, istituto duttile che tuttavia ha trovato scarsa applicazione, ovvero di altri accordi in grado di contemperare la sostenibilità economica dell'attività imprenditoriale con la tutela dei posti di lavoro, nel senso voluto dalla Direttiva Insolvency.

Sappiamo quanto sia stata accompagnata da polemiche l'entrata in vigore di tale norma, per l'invasione di campo del legislatore nel territorio delle relazioni sindacali, che all'epoca fu occasione di laceranti contrasti.

Tuttavia, conosciamo anche la flessibilità dello strumento, in grado di permettere la stipulazione di specifiche intese efficaci erga omnes finalizzate a gestire crisi aziendali e occupazionali su una serie di materie tra cui, per quanto può interessare le imprese che intendono avviare un percorso di composizione negoziata, le mansioni del lavoratore, la classificazione e l'inquadramento del personale, la disciplina dell'orario di lavoro.

L'esclusione dei diritti di credito dei lavoratori dalle misure protettive previste dall'art. 6

Per via di una singolare coincidenza, la previsione secondo cui “sono esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori” è contenuta nell'art. 6 D.L. 118/2021, esattamente come per il testo della Direttiva Insolvency, andando quindi a sugellare ancor più la concordanza del D.L. 118/2021 con la normativa comunitaria.

Il delicato tema della sospensione del pagamento delle retribuzioni in un momento in cui la scarsità di risorse finanziarie imporrà sacrifici per tutti i creditori sarà pertanto lasciato alla contrattazione collettiva, opportunamente puntellata da eventuali accordi di rinuncia individuali sottoscritti con i lavoratori.

Il trasferimento dell'azienda ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. d) e nel concordato semplificato ai sensi dell'art. 18

In accordo con quanto stabilito dalla Direttiva Insolvency (art. 13, comma 1, lett. c), secondo l'art. 10, comma 1, lett. d), D.L. 118/2021 l'imprenditore potrà chiedere al tribunale l'autorizzazione al trasferimento dell'azienda c.d. “esdebitata” (ovvero senza gli effetti dell'art. 2560 c.c.) ma sempre nel rispetto dell'art. 2112 c.c.

Nessuna sorpresa: la composizione negoziata ha quale principale obiettivo il risanamento, ovvero l'uscita dallo stato di crisi, con la continuazione dell'attività, e dunque non sarà possibile derogare alle tutele a favore dei lavoratori in vicende circolatorie simili (passaggio alle dipendenze del cessionario senza soluzione di continuità, conservazione dell'inquadramento e della retribuzione), ma semmai flessibilizzarne le condizioni di lavoro (mansioni, orario, retribuzione, ecc.).

Il controllo dell'autorità giudiziaria dovrà quindi consigliare di sottoporre solo operazioni di trasferimento d'azienda con salvaguardia dell'intera forza occupazionale o, in caso di passaggio parziale, di documentare il raggiungimento di singoli accordi con i lavoratori esclusi, gli unici in grado di far ottenere il semaforo verde in presenza della deroga all'art. 2112 c.c.

In tal senso si è espresso il Tribunale di Padova con provvedimento del 27 marzo 2014 in un caso di concordato preventivo in continuità aziendale indiretta in cui il contratto di affitto prevedeva il trasferimento parziale dei lavoratori.

Solo una volta verificata l'impossibilità di adottare soluzioni idonee al superamento delle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che hanno spinto l'imprenditore a chiedere la nomina dell'esperto – e sempre che quest'ultimo abbia verificato che le trattative, pur con esito negativo, si siano svolte secondo correttezza e buona fede – l'imprenditore potrà presentare una proposta di concordato per cessione dei beni: in tal caso, un eventuale trasferimento d'azienda potrà essere attuato in deroga alle tutele codicistiche, come disposto dal comma 5 dell'art. 47, L. 428/1990 conforme alla Direttiva n. 2001/23 ed all'interpretazione della Corte di giustizia.

Conclusioni

Le norme nazionali vanno nella giusta direzione di prevedere maggiori tutele per i diritti dei lavoratori sul versante collettivo (nella delicata fase delle informazioni preventive riguardanti gli strumenti per il risanamento) e su quello individuale, imponendo limitazioni alla compressione delle tutele.

La vera grande sfida del diritto del lavoro nella crisi d'impresa sarà raccogliere i principi e le opportunità offerte dalla Direttiva c.d. Insolvency n. 2019/1023, che dovrà essere recepita nel nostro ordinamento nel 2022.
Per farlo, occorrerà non solo provvedere in senso formale, adeguando le norme del Codice della crisi e dell'insolvenza, ma soprattutto in senso sostanziale: ci troviamo infatti davanti al mutamento del solito paradigma che vede le Organizzazioni Sindacali informate a percorso di risanamento quasi concluso.

Le soluzioni per condurre in porto operazioni di ristrutturazione preventiva nel segno di quanto indicato dalla Direttiva sembrano esserci: saranno possibili solo con l'aiuto di Organizzazioni Sindacali debitamente consultate ed informate, che dovranno a propria volta coinvolgere i lavoratori laddove essi debbano sopportare il sacrificio di questo o quel diritto, a beneficio del salvataggio aziendale.

Come già indicato dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Alessandria 27 marzo 2014) la coesistenza di norme interne rispettose dei principi comunitari e di soluzioni pratiche in grado di fronteggiare situazioni di crisi aziendali in continuità che precedono lo stato di insolvenza anche in deroga a tali principi è possibile, con l'accordo individuale dei lavoratori.

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