Prime osservazioni sulla convenzione di moratoria “digitale”

Fernando Platania
02 Febbraio 2022

L'Autore illustra il contenuto del nuovo istituto introdotto dalla legge di conversione del D.L. 6 novembre 2021 n. 152 (decreto PNRR) evidenziandone alcuni aspetti problematici.
Premessa

In sede di conversione del D.L. 6 novembre 2021, n. 152 ( che ha introdotto anche una forma di allerta diversa rispetto a quella disciplinata dal Codice della crisi; cfr. F. Cesare, Torna l'allerta esterna ridimensionata nella composizione negoziata della crisi, in questo portale, 4 gennaio 2022) sono state inserite le norme di attuazione della piattaforma telematica nazionale per la composizione negoziata della crisi prevista dall'art. 3 D.L. 24 agosto 2021, n. 118 convertito con L. 23 agosto 2021, n. 147 (sulla struttura e funzionamento della piattaforma cfr. R. Ranalli, Il comportamento dell'imprenditore ed il ruolo dell'esperto anche alla luce del decreto dirigenziale, in Il fallimento, 2021, 1516 ss.).

La convenzione di moratoria di cui all'art. 30 quinquies L. 233/2021

Oltre quelle più specificamente tecniche (che si aggiungono alle disposizioni contenute nel Decreto Dirigenziale 28 settembre 2021) è stata disciplinata, all'art. 30 quinquies, comma 2, una singolarissima forma di convenzione di moratoria “digitale”, destinata ad intervenire sulle sole posizioni debitorie di ridotte dimensioni.

In particolare, nel caso in cui l'indebitamento complessivo dell'imprenditore è giudicato sostenibile dal sistema operativo e non supera l'importo di 30.000 euro, il programma redige un piano di rateizzazione.

L'imprenditore comunica tale piano ai creditori interessati, avvertendoli che, se non manifestano il proprio dissenso entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione, il piano si intenderà approvato e sarà eseguito secondo le modalità e i tempi in esso indicati. Resta salva l'applicazione delle moratorie previste da norme previdenziali e fiscali.

Il nuovo istituto è volto a predisporre uno strumento di soluzione della crisi per imprenditori di modestissime dimensioni che non potrebbero certo sostenere il costo di una procedura concorsuale o gli oneri connessi alla composizione negoziata; in sostanza, sulla base dei dati immessi autonomamente dall'imprenditore, elaborati dal programma informatico di accertamento della sostenibilità del debito, verrebbe messo a disposizione del debitore (in crisi ma non irreversibile) un sostenibile piano personalizzato di rientro che dovrebbe comportare un mero allungamento dei tempi di pagamento dei creditori ( senza falcidia del capitale) con riconoscimento, però, a loro favore, di un interesse moratorio il cui tasso dovrà essere determinato da un emanando decreto del Ministro dello Sviluppo economico.

La disposizione prevede, dunque, che il piano acquisti vincolatività per tutti i creditori solo se esso sia stato fatto proprio dall'imprenditore (al quale ovviamente non è preclusa alcuna altra opzione), sia trasmesso a tutti i creditori interessati e che non sia rifiutato dai creditori entro trenta giorni dalla ricezione del piano.

Punti critici delle nuove disposizioni

Le disposizioni, così riassunte, lasciano aperti, però, molti problemi dalla cui soluzione dipende necessariamente il successo dell'istituto che, per essere destinato principalmente a microimprenditori, dovrebbe essere molto semplice, privo di insidie e di facile e chiara applicazione.

In primo luogo, occorrerebbe chiarire se nell'importo di 30.000 euro debbano o meno essere calcolati gli interessi (pattizi o di legge) eventualmente già maturati sul debito (calcolo non sempre agevole e preciso) e se nell'importo massimo del debito, debbano essere compresi i debiti fiscali e previdenziali che fossero, o che potessero essere, oggetto di dilazione in forza delle speciali regole per essi previste.

Molto importante è, poi, stabilire la sorte del piano nel caso in cui anche soltanto uno dei creditori non intenda accettare la proposta di rateizzazione del suo credito. In sostanza il piano, in questa ipotesi, dovrebbe essere considerato ancora obbligatorio per chi non abbia rifiutato la proposta, ovvero basta il dissenso di un solo creditore per caducarlo anche con riferimento alla posizione di coloro che l'hanno (tacitamente) approvato?

Bisogna considerare, in proposito, che la valutazione della sufficienza dei flussi di cassa posti a servizio del pagamento del debito (e, quindi, la sua sostenibilità), è strettamente connessa con l'entità degli esborsi che sono via via necessari per soddisfare i creditori.

Può, dunque, accadere che la sostenibilità del debito possa venir meno, o comunque essere seriamente pregiudicata, se, per effetto del rifiuto di taluno, si debba procedere al pagamento integrale ed immediato del suo credito, con assorbimento, imprevisto e repentino, di una parte della liquidità destinata al pagamento di altri.

La legge ovviamente, stante la natura evidentemente non concorsuale del piano, esclude il ricorso al criterio della maggioranza con l'effetto che il piano non potrà mai ritenersi vincolante per chi non lo approvi. Ma escluderne la vincolatività (come, forse, lascerebbe pensare la disposizione) anche per chi non l'abbia rifiutato in ragione del mancato accoglimento di altri, appare una conseguenza eccessiva e persino pericolosa, finendo per conferire, anche ad un solo creditore (indipendentemente dal suo peso) un potere di veto assai rilevante.

V'è, quindi, da chiedersi se, in caso opposizione di un qualche creditore, si possa conservare, per altra via, la rateizzazione per i soli non dissenzienti.

Non è, ovviamente, in discussione la circostanza che ciascun creditore possa concedere una dilazione di pagamento; la questione è, semmai, rappresentata dal fatto se il silenzio sulla proposta di pagamento rateizzato secondo il piano informatico possa valere quale accettazione della singola proposta transattiva rivolta al creditore anche in mancanza di un'espressa previsione di legge (che, invece, collega l'efficacia vincolante all'accettazione di tutti).

Orbene, in giurisprudenza non mancano precedenti che possano lasciare pensare che l'accettazione di una proposta transattiva possa avvenire per facta concludentia: per Cass. 23 gennaio 2018 n. 1627 poiché la transazione richiede la forma scritta unicamente “ad probationem” (salvo quando riguardi uno dei rapporti di cui all'art. 1350, n. 12, c.c.), la prova del contratto può anche essere fornita da un documento sottoscritto da una sola parte, ove risulti il consenso anche solo tacito, purchè univoco, dell'altra parte, manifestato mediante attuazione integrale dei relativi patti. L'accettazione del pagamento di una delle rate previste dal piano, soprattutto se preceduta dall'espressa segnalazione che solo l'espresso rifiuto vale a negare accettazione, potrebbe rappresentare prova dell'adesione al piano dei soggetti non dissenzienti.

Va aggiunto che, come si intuisce dalla norma, l'eventuale dissenso dei creditori deve essere inviato ( con comunicazione recettizia da far pervenire entro trenta giorni dalla comunicazione) solo all'imprenditore, con la conseguenza che non risulta neppure chiaro come i creditori non dissenzienti possano effettivamente venire a conoscenza dell'eventuale rifiuto della proposta espresso da altri, posto che la norma non prevede né un'interazione tra il debitore ed i suoi creditori successiva all'invio della proposta, né l'inserimento del dissenso all'interno della istituita piattaforma informatica e accessibile (con molte limitazioni peraltro) ai creditori. Ciò lascia ipotizzare che il legislatore abbia, forse, non voluto privare di efficacia vincolante l'accordo per i creditori non dissenzienti malgrado il rifiuto di altri.

Rimane, però, fermo il dovere dell'imprenditore (che essendo probabilmente titolare di una micro impresa, è, però, assai poco attrezzato per fare valutazioni simili) di non procedere all'adempimento del piano se il dissenso di uno o più creditori, obbligando a dirottare verso di essi flussi di cassa altrimenti diversamente distribuiti, renda in effetti insostenibile il piano.

Incerto è l'effetto che può avere l'eventuale pretermissione (per dimenticanza o contestazione) di un creditore e quale sia lo strumento a sua disposizione per far valere la sua posizione.

Il sistema previsto dalla norma, infatti, consente l'elaborazione del piano senza che vi sia un controllo esterno sulla completezza e veridicità dei dati su cui esso si fonda (ferma la responsabilità dell'imprenditore); non è, neppure, specificato come i creditori pretermessi (ai quali evidentemente non viene inviato il piano) possano venire a conoscenza dell'iniziativa del debitore e, quindi, chiedere l'accesso alla piattaforma per inserire il loro credito.

Eppure, non si può ipotizzare che il piano possa perdere efficacia per il solo emergere di qualche creditore successivamente al completamento dell'iter previsto dalla norma; non sembra, altresì, che il creditore pretermesso possa agire in via giudiziale (eventualmente ai sensi dell'art. 700 c.p.c.) per bloccare l'attuazione del piano lamentando la lesione del suo interesse, non venendo pregiudicato in alcun modo il suo diritto di credito. Semmai potrà agire per ottenere qualche provvedimento cautelare a tutela della sua posizione creditoria, qualora ve ne fossero i presupposti.

Il sempre possibile disaccordo tra debitore e creditore sulla quantificazione del credito (anche per effetto di compensazione con eventuali controcrediti) può rappresentare un altro caso in cui risulta particolarmente opportuna la scelta di rendere, comunque, il piano operativo per i creditori non opponenti, malgrado il dissenso di taluno. In questo caso, infatti, risulterebbe oltremodo punitivo per l'imprenditore dovere rinunciare agli effetti della dilazione solo per effetto del dissenso, magari del tutto infondato, sull'entità del credito manifestato da un creditore.

Un altro punto critico della regolamentazione è rappresentato dall'apparente impossibilità di introdurre varianti nel piano da proporre ai creditori; la lettura della norma sembra escludere, infatti, che il programma possa essere modulato tenendo in considerazione richieste dell'imprenditore circa la durata e la rateizzazione dei pagamenti (oppure di non coinvolgimento nella rateizzazione di taluni creditori strategici o i dipendenti), lasciando all'imprenditore solo la scelta tra l'accettazione ed il rifiuto integrale. Non è, neppure, specificato (ma forse ciò avverrà con il decreto attuativo) se gli interessi da applicare sui crediti dilazionati, debbano decorrere dalla redazione del piano o dalla originaria scadenza del debito e se il tasso di interesse da applicare ai crediti rateizzati debba essere necessariamente solo quello previsto nel decreto di attuazione, ovvero quello moratorio eventualmente pattuito con il creditore (specie finanziario) o fissato dalla legge (sulle transazioni commerciali).

Tuttavia, non dovrebbero esserci ostacoli alla stipula di accordi tra il debitore e singolo creditore in deroga rispetto alla proposta, soprattutto quando l'imprenditore potesse contare su fonti di finanziamento ulteriori rispetto a quelle considerate nel piano, ovvero quando l'accettazione della rateizzazione fosse subordinata al rispetto di condizioni diverse (per la disamina del similare tema dei patti paraconcordatari v. S. Ambrosini, Concordato preventivo e autonomia privata: i cc.dd. patti paraconcordatari, in Il caso.it, 6 novembre 2016); ancora una volta il vero problema è rappresentato, semmai, dall'effettiva sostenibilità del debito alla luce degli accordi derogativi, non potendosi più fare affidamento sulla valutazione positiva in precedenza fondata su presupposti economici diversi. Rimane, dunque, sempre affidato all'imprenditore il delicato compito di conciliare le nuove pattuizioni con le effettive capacità reddituali o patrimoniali dell'impresa.

Completamente priva di regolamentazione è la posizione dei creditori che abbiano aderito al piano, in caso di successiva apertura di procedura fallimentare, non potendo trovare applicazione l'esenzione dalla revocatoria prevista dall'art. 67, comma 3, lett. a), l.fall. poiché i pagamenti sarebbero chiaramente effettuati secondo modalità e tempi difformi da quelli originariamente pattuiti.

Più forte potrebbe apparire, invece, la posizione dei creditori rispetto alla revocatoria ordinaria, almeno nelle ipotesi di adesione plebiscitaria alla proposta, in quanto sarebbe più difficile provare la conoscenza del pregiudizio per i creditori, alla luce della valutazione di sostenibilità operata dal programma.

Opportuno sarebbe stato, infine, regolare compiutamente il caso di inadempienza, dovendosi peraltro ipotizzare, in forza della tesi prima esposta circa la frazionabilità dell'accordo, che l'eventuale risoluzione riguardi il solo rapporto tra debitore e creditore, le cui ragioni non siano state soddisfatte, senza coinvolgimento degli altri rapporti regolarmente adempiuti o per i quali non fosse stata domandata la risoluzione.

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