La transazione stragiudiziale e la responsabilità solidale nell'imposta di registro

02 Febbraio 2022

Gli atti dell'autorità giudiziaria devono essere registrati anche se sono soggetti ad impugnazione, salvo il diritto di rimborso a seguito di sentenza passata in giudicato. È legittimo, dal punto di vista costituzionale, il sistema di liquidazione dell'imposta di registro nei casi di transazione stragiudiziale in cui non è parte l'amministrazione dello stato, qualora il procedimento civile “sottostante” prosegua ad opera degli altri coobbligati in solido?
Premessa

In materia di controversie civili, gli atti dell'autorità giudiziaria che definiscono il giudizio, anche parzialmente, sono soggetti all'imposta di registro a prescindere dal fatto che siano stati oggetto di impugnazione (o che siano ancora impugnabili). In buona sostanza, l'atto dell'autorità giudiziaria va registrato e l'imposta va pagata, salvo poi- in base a quanto disposto dall'art. 37, d.P.R. n. 131/1986 - il “conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato.

Attenzione: dal punto di vista degli effetti, la richiamata disposizione equipara, alla sentenza passata in giudicato, “l'atto di conciliazione giudiziale e l'atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l'amministrazione dello Stato”.

A titolo introduttivo, pertanto, il quadro è così riassumibile: ipotizzando un procedimento civile di risarcimento del danno, la sentenza del Tribunale che condanna una parte al risarcimento deve essere registrata una volta definito (anche parzialmente) il giudizio, sulla base dell'ammontare del risarcimento; se poi, successivamente, l'ammontare del citato risarcimento muta, perché viene ridotto con sentenza passata in giudicato, ai contribuenti-parti in causa spetterà il rimborso di quanto pagato in eccesso.

Orbene, cosa succede in caso di transazione stragiudiziale intervenuta tra le parti in causa dopo il deposito della sentenza di primo grado e, conseguentemente, dopo l'avvenuta emissione dell'avviso di liquidazione? In questo intervento verrà analizzata una particolare fattispecie, assai frequente nella prassi della giurisdizione civile, relativa a posizioni di responsabilità solidale tra coobbligati che decidano, in via parziaria e pro quota, di transare e definire la loro posizione una volta depositata la sentenza di primo grado contenente il titolo di condanna.

Gli istituti giuridici che verranno in rilievo sono molteplici e collegati gli uni con gli altri: dall'interesse all'azione in rapporto con la natura impugnatoria del processo tributario alla base imponibile dell'imposta di registro, passando per le obbligazioni solidali e la transazione stragiudiziale. Il tutto, pur nella complessità della materia, al fine di valutare la costituzionalità dell'impianto di liquidazione dell'imposta di registro nell'ambito delle controversie civili.

Brevi considerazioni sull'imposta di registro

In materia di imposta di registro occorre tenere distinti i concetti di “oggetto” (dell'imposta) e di “presupposto” (dell'imposta). L'oggetto è costituito dagli atti elencati nella Tariffa (parte Prima e Seconda); il presupposto consiste, invece, nella formazione degli atti oggetto dell'imposta.

La precisazione è tutt'altro che banale: come precisato dalla dottrina (A. Busani, L'imposta di registro, Milano, 2009)gli atti si registrano in quanto produttivi di effetti ritenuti rilevanti dal legislatore, perché l'imposta è il prelievo che lo Stato opera a fronte della capacità contributiva che un dato soggetto dell'ordinamento manifesta, appunto, formando un dato atto e, quindi, evidentemente avendo interesse alla produzione degli effetti (giuridici) che da quell'atto derivano o possono derivare.

Ciò significa che, quando si parla di capacità contributiva in materia di imposta di registro, se s'intende operare una valutazione di costituzionalità dell'intero impianto di liquidazione dell'imposta, l'attenzione deve focalizzarsi non tanto sull'atto quanto sugli effetti che, l'atto oggetto di registrazione, andrà a produrre.

La tassazione delle sentenze anche non definitive

Ai sensi dell'art. 37, Tur, “Gli atti dell'autorità giudiziaria in materia di controversie civili, che definiscono anche parzialmente il giudizio, … sono soggetti all'imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l'atto di conciliazione giudiziale e l'atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l'amministrazione dello Stato”.

Per comprendere la portata della norma, per la quale l'imposta di registro si paga come viene depositata la sentenza di primo grado, a prescindere che avverso la stessa venga proposto appello, salvo il rimborso o il conguaglio, basta riportare un breve passo della giurisprudenza di legittimità (Cass. 26321/2018): “Secondo l'insegnamento di questa Corte … ai sensi del … art. 37, comma 1, la sentenza che definisce il giudizio- anche solo parzialmente e pur non passata in giudicato- è soggetta a tassazione, sicché l'Ufficio del registro provvede legittimamente alla liquidazione, emettendo il corrispondente avviso, il quale è impugnabile per vizi, formali o sostanziali, inerenti all'atto in sé, al procedimento che lo ha preceduto, oppure ai presupposti dell'imposizione. Né l'eventuale riforma, totale o parziale, della decisione nei successivi gradi di giudizio, e fino alla formazione del giudicato, incide sull'avviso di liquidazione, integrando, piuttosto, un autonomo titolo per l'esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso dell'imposta da far valere separatamente e non nel medesimo procedimento (Cass. 12736/14, 17060/13)”.

La disposizione normativa appare di semplice lettura: l'Ufficio liquida l'imposta di registro dopo la pubblicazione della sentenza civile e sta alle parti, eventualmente, impugnare l'atto per vizi relativi ai presupposti dell'imposizione, rimettendo il rimborso ad un successivo momento, cioè quello in cui passa in giudicato il processo originario.

In ogni caso, questa tipologia di tassazione anticipata a favore dell'erario viene mitigata con la possibilità, offerta al contribuente, di richiedere a rimborso l'imposta pagata in eccedenza.

La transazione

Ai sensi dell'art. 29, Tur, “Per le transazioni che non importano trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali l'imposta si applica in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano senza tenere conto degli obblighi di restituzione né di quelli estinti per effetto della transazione; se dalla transazione non derivano obblighi di pagamento l'imposta è dovuta in misura fissa”.

L'ordinamento riconosce diverse tipologie di transazione: la transazione semplice comporta la reciproca rinuncia ovvero il contestuale ridimensionamento delle pretese originarie. Diversamente, la transazione novativa si verifica nei casi in cui risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall'accordo transattivo, di guisa che dall'atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti.

Si ha transazione novativa qualora sussistano contestualmente due elementi, uno di natura oggettiva e uno di natura soggettiva:

  • sul piano oggettivo è necessario che le parti, per risolvere o prevenire una lite, siano addivenute ad una rinuncia reciproca, anche parziale, alle proprie pretese, volta a modificare, estinguendola, la situazione negoziale precedente e ad instaurarne una nuova, affinché tra il vecchio e il nuovo rapporto vi sia una situazione di obiettiva incompatibilità;
  • sul piano soggettivo “è necessario che sussista una inequivoca manifestazione di volontà delle parti in tal senso, ovvero che esse abbiano palesato il loro intento di instaurare tra loro un nuovo rapporto e di estinguere quello originario, dando a tale volontà forma e contenuto adeguati” (Corte di Cassazione sentenze: n. 4455 del 28 febbraio 2006; n. 8101 del 6 aprile 2006).

Conseguentemente, per poter determinare il carattere novativo o conservativo di una transazione, va accertato se le parti, nel comporre l'originario rapporto litigioso, abbiano inteso, o meno, addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto diretto a costituire, in sostituzione di quello precedente, nuove autonome situazioni.

In caso di transazione novativa (perché se non è novativa, l'imposta si applica in misura fissa, così come previsto dall'ultima parte dell'art. 29, Tur), ai fini del registro l'accordo viene tassato in base al valore transatto, senza tenere conto degli obblighi estinti per effetto della transazione.

Le obbligazioni solidali

Nella solidarietà passiva, in termini generali,il creditore vede rafforzato il vincolo obbligatorio in quanto può ottenere da ciascuno dei debitori l'intera prestazione, senza escutere gli altri, cioè il vincolo solidale rappresenta nient'altro che una forma di garanzia personale. Nonostante ciò, come correttamente evidenziato dalla dottrina civilistica, la funzione di garanzia del vincolo solidale non va intesa nel senso che ciascuna obbligazione solidale sia costituita a causa di garanzia: il vincolo solidale ha la causa che di volta in volta sta a fondamento del suo titolo costitutivo.

Con riguardo ai rapporti c.d. “esterni” caratterizzanti l'obbligazione solidale (non rilevando, in questa sede, il rapporto interno tra condebitori), si ricorda che delle due teorie che hanno interessato la natura della solidarietà passiva, quella della pluralità dei vincoliè nettamente prevalente rispetto a quella della unitarietà del vincolo (per la quale ci sarebbe un'unica obbligazione caratterizzata da più soggetti): l'art. 1293, c.c., ammettendo la possibilità che i singoli debitori siano solidali con modalità diverse, fa propendere per l'ipotesi di una pluralità di obbligazioni collegate nell'interesse comune che lega i vari creditori o debitori.

È per questo motivo che il vincolo di solidarietà passiva può essere sciolto da parte del creditore in favore di uno dei condebitori.

Una fattispecie concreta: l'interesse all'azione (giudiziale) sorto dopo l'emissione dell'avviso di liquidazione e la transazione stragiudiziale in pendenza dell'appello. Quale tutela alla parte che lascia il processo dopo la rottura del vincolo solidale?

Inquadrati, per sommi capi, gli istituti giuridici rilevanti ai nostri fini, rimane da analizzare il concetto di interesse all'azione che, come detto, va coordinato con la natura impugnatoria del processo tributario.

L'analisi non può che muovere da una fattispecie concreta.

Si prenda il caso di un procedimento civile relativo alla richiesta di risarcimento danni avanzata da una curatela fallimentare nei confronti di una moltitudine di soggetti, tutti chiamati a rispondere in via solidale tra loro. Si ipotizzi che il processo di primo grado si concluda con la condanna al risarcimento del danno. Proposto rituale e tempestivo appello, uno dei coobbligati decide di transare la sua posizione previa autorizzazione del Giudice Delegato che autorizza il curatore a “stralciare” la posizione del singolo interessato, ponendo come condizione quella di “uscire” dal processo relativo alla determinazione del danno risarcibile (con autorizzazione, come detto, allo scioglimento del vincolo solidale).

La fattispecie che s'intende prendere in considerazione è quella che vede, prima della menzionata transazione, l'emissione dell'avviso di liquidazione in base all'importo del risarcimento del danno che, presentando vizio alcuno, non viene impugnato (e diventa definitivo).

È facile intuire la posizione in cui si trova il soggetto che ha transatto e che si ritrova, in solido, obbligato a pagare l'imposta di registro sulla base della sentenza di primo grado: lo stesso, non essendo più parte del processo relativo alla determinazione del risarcimento del danno- perché ne è uscito con una sentenza di cessata materia del contendere- non potrà beneficiare, ai sensi dell'art. 37, Tur, del diritto al rimborso di quanto pagato se e quando, con sentenza passata in giudicato, l'ammontare della base imponibile sarà ridotto.

Il primo problema che si pone è di carattere strettamente processuale: non essendo ammessa, in materia tributaria, una tutela dichiarativa, come si può adire il giudice per sapere se, effettivamente, la capacità contributiva coinvolta nella vicenda è mutata rispetto alla prima sentenza di condanna? Fermo restando il chiaro disposto dell'art. 37, Tur, a mente del quale intanto si registra e poi, eventualmente, si chiede il rimborso, va ricordato che l'art. 29, Tur, afferma che nelle transazioni novative l'accordo si tassa in base al valore transatto, senza tenere conto degli obblighi estinti per effetto della transazione. Ma se l'avviso di liquidazione è divenuto definitivo per mancata impugnazione? Rectius, se l'interesse all'azione sorge dopo l'emissione dell'avviso di liquidazione perché, come detto, la base imponibile si è ridotta dopo la liquidazione dell'imposta relativa alla prima sentenza? Quale tutela spetta alla parte?

Sappiamo che si può adire il giudice tributario se e quando si riceve in notifica uno degli atti che la legge (art. 19, d.lgs. n. 546/1992) qualifica come impugnabile. Si può dunque impugnare la successiva cartella di pagamento (successiva all'emissione dell'avviso di liquidazione definitivo), quanto meno per richiedere, in via giudiziale, la sospensione della riscossione e, perché no, la sospensione del processo tributario in attesa di definizione del processo civile dove si discute dell'ammontare della base imponibile dell'imposta di registro?

Sicuramente, anche ammettendo l'impugnazione della cartella facendo perno sull'art. 100, c.p.c., inteso come interesse all'azione sorto successivamente alla definitività dell'avviso di liquidazione, non è ammissibile la sospensione del giudizio pregiudicato (tributario) per pendenza di quello pregiudiziale (civile): l'art. 295, c.p.c., richiede l'identità delle parti in causa, requisito che difetta a seguito dell'intervenuta transazione.

Come anticipato, e come risulta evidente, la situazione risulta particolarmente complessa e, apparentemente, senza via d'uscita: dal punto di vista fiscale, l'interessato continua ad essere obbligato solidale per l'imposta di registro con altri soggetti che, a differenza sua, ancora sono parte del processo relativo alla determinazione della base imponibile del registro; con la differenza, rispetto agli altri, che non potrà beneficiare dell'eventuale rideterminazione dell'imposta al passaggio in giudicato della sentenza civile. Esposto, tra l'altro, alla riscossione forzata del tributo perché sprovvisto di forme di tutela.

In conclusione: è costituzionalmente legittimo il sistema della liquidazione dell'imposta di registro relativa agli atti dell'autorità giudiziaria nei casi in cui la base imponibile venga ridotta a seguito di transazione stragiudiziale?

Prima di cercare di rispondere ad un interrogativo di tale portata v'è da premettere una considerazione: l'art. 37, Tur, equipara la sentenza passata in giudicato alla transazione stragiudiziale ad una condizione, e cioè che della transazione sia parte anche l'amministrazione dello stato. La ratio è evidente e condivisibile: la partecipazione dell'amministrazione è richiesta in funzione antielusiva.

Quindi, se le parti di un processo civile intendono comporre la controversia tramite una transazione, devono necessariamente coinvolgere l'amministrazione, altrimenti il loro accordo non potrà essere equiparato ad una sentenza passata in giudicato (dal punto di vista fiscale, ovviamente).

Posta tale premessa, l'interrogativo che sorge spontaneo è relativo alla ragionevolezza di un sistema che ponga un veto di notevole spessore in capo ad un soggetto, terzo ed estraneo rispetto all'oggetto del contendere civile, in ordine alla possibilità che le parti, seppur ciò non infici sulla transazione, di poter comporre la loro controversia senza “strascichi” di debiti d'imposta. La questione non rientra tra quelle “di scuola” perché ha una rilevanza pratica ed attuale: nelle fattispecie di responsabilità (civile) solidale, può succedere che il creditore decida di sciogliere il vincolo di solidarietà passiva in capo ad un debitore perché riconosce, come nell'esempio fatto, una sua minore responsabilità rispetto ad altri soggetti. In questo caso, come risulta evidente, il sistema appare fortemente sbilanciato a favore del Fisco, considerato che- come sembra- la definitività dell'avviso di liquidazione impedisce la tutela tributaria nel caso in cui il titolo della responsabilità civilistica si riduca a seguito di transazione.

Ed allora, è ragionevole un sistema che impedisce la possibilità di ripetere quanto pagato a titolo di imposta di registro perché, a causa di una transazione stragiudiziale, si perde la qualifica di “parte processuale” che costituisce condizione necessaria per il rimborso di cui all'art. 37, Tur? In che rapporto si pone tale circostanza rispetto al contenuto dell'art. 29, per il quale con la transazione novativa non si tiene conto degli obblighi estinti per effetto dell'accordo? Soprattutto se si considera che il processo pregiudiziale, cioè quello relativo al risarcimento del danno, viene portato avanti da altri parti processuali che, com'è evidente, potrebbero ottenere un ribaltamento dell'esito?

Inoltre, il parametro della ragionevolezza è l'unico che viene in considerazione ai fini che qui interessano? O si pongono profili critici in ordine anche agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione?

Le risposte appaiono complesse e lo spazio a disposizione non consente un'analisi dettagliata.

Quello che credo si possa dire è che i dubbi di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 19, d.lgs. n. 546/1992, 29 e 37, d.P.R. n. 131/1986, alla luce dei parametri costituzionali sopra indicati, sono forti, perché nei casi analoghi a quello posto, una parte può trovarsi a dover sostenere una tassazione per una capacità contributiva che non ha manifestato, subordinando la tassazione al veto dell'Amministrazione finanziaria che, in base alla sua discrezionalità, può impedire che la transazione stragiudiziale venga equiparata alla sentenza passata in giudicato, precludendo definitivamente il diritto alla ripetizione dell'indebito.

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