La P.EX e la liquidazione di fatto della società partecipata
08 Febbraio 2022
Introduzione
Con risposta ad istanza di interpello del 18 ottobre 2021, n. 722, l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che si può applicare l'istituto della “partecipation exemption” (di seguito anche P.EX.) ad una partecipazione in una società che ha cessato un'attività di produzione e di commercio, qualora la stessa, successivamente, si sia limitata a liquidare il proprio patrimonio. In particolare, la società istante si occupava di attività, anche in via indiretta tramite partecipazioni, legate alla gestione di negozi, shopping center, bar, ristorazione, e qualsiasi altra attività connessa all'esercizio di iniziative aeroportuali, turistiche e alberghiere nel settore della ristorazione veloce e nell'ambito aeroportuale. Tale soggetto deteneva una partecipazione in una società estera che aveva iniziato la propria liquidazione nel 2017, ma che precedentemente a tale anno aveva cessato la propria attività principale. Pertanto, la holding chiedeva che venisse riconosciuta la piena deducibilità fiscale della minusvalenza generata dall'annullamento della partecipazione detenuta nella società estera, in quanto si riteneva non applicabile il regime P.EX., disciplinato dall'art. 87 del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR) considerato che la partecipata, alla data di messa in liquidazione, non esercitava alcuna impresa commerciale ex art. 55 TUIR, requisito fondamentale previsto al comma 1 alla lettera d) del citato articolo 87 ai fini dell'applicazione della parziale esenzione. L'Agenzia delle Entrate ha dato risposta negativa, in quanto ha ritenuto che la liquidazione non fosse iniziata nel 2017, ma nel corso del 2013; in tale anno, infatti, secondo tale tesi, la società estera aveva iniziato a svolgere un'attività sostanzialmente liquidatoria, con il fine di cessare la propria attività. Pertanto, visto che nei tre periodi di imposta antecedenti il 2013, la società estera ha esercitato un'attività sicuramente commerciale ai sensi dell'art. 87, comma 1,lettera d), del TUIR, l'Ufficio ha concluso che la partecipazione in questione rientrava nell'ambito di applicazione del regime della P.EX.. Di conseguenza, la minusvalenza oggetto del quesito non poteva essere dedotta. Prima, però, di esaminare la risposta dell'Agenzia delle Entrate, che non ha accolto l'istanza, è necessario soffermarsi brevemente sull'istituto della P.EX.
Il D.Lgs. n. 344/2003, “Riforma dell'imposizione sul reddito delle società”, ha introdotto il regime della P.EX., che prevede una parziale esenzione da imposizione (la percentuale di esenzione è fissata nella misura del 95%) delle plusvalenze realizzate mediante la cessione di partecipazioni che possiedono determinate caratteristiche. L'art. 87 del d.P.R. n. 917/1986, di seguito TUIR, rubricato “Plusvalenze esenti”, richiede infatti, al comma 1, il rispetto di quattro requisiti per poter beneficiare del regime di parziale esenzione. In sintesi, è necessario che: - la partecipazione sia posseduta ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello della cessione; - la partecipazione sia stata iscritta tra le immobilizzazioni finanziarie fin dal primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; - la società partecipata sia residente in un Paese diverso da quelli a regime fiscale privilegiato o che, in alternativa, sia dimostrato attraverso istanza di interpello che, sin dall'inizio del periodo di possesso, dalle partecipazioni non è conseguito l'effetto di localizzare i redditi in un Paese in cui gli stessi sono sottoposti a tassazione privilegiata; - la società partecipata eserciti un'impresa commerciale secondo la definizione di cui all'articolo 55.
La norma precisa poi che i requisiti relativi alle lettere c) e d) debbano sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso. Di contro, per quanto riguarda il trattamento fiscale delle minusvalenze conseguibili a seguito di un'operazione di realizzo, le soluzioni che si possono prospettare sono le seguenti: - se le minusvalenze sono correlate a realizzi di partecipazioni che avrebbero potuto dare origine a plusvalenze esenti, esse sono totalmente indeducibili (cfr. art. 101, comma 1, TUIR); - se invece sono correlate a realizzi di partecipazioni che avrebbero potuto dare origine a plusvalenze imponibili, sono a loro volta deducibili.
Di conseguenza, simmetricamente all'esenzione del 95% prevista per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni che soddisfano i requisiti della P.EX. di cui all'art. 87, comma 1 del TUIR, le eventuali minusvalenze, realizzate da soggetti IRES, sono indeducibili in misura integrale, ai sensi dell'art. 101, comma 1 del TUIR. Viceversa, le minusvalenze risulterebbero interamente deducibili qualora si verificasse solamente una delle seguenti condizioni, ovvero se: - tali partecipazioni fossero detenute da meno di dodici mesi completi; - dette partecipazioni non fossero iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; - la società partecipata non risiedesse in un Paese white list oppure risiedesse in un Paese o territorio a fiscalità privilegiata; - la società partecipata non esercitasse un'attività commerciale al momento della cessione.
Per quanto riguarda i citati requisiti richiesti dall'art. 87 del TUIR, nel prosieguo ci si soffermerà ad analizzare soltanto quello relativo alla commercialità, considerato che l'istanza di interpello aveva come oggetto tale verifica.
Al fine di definire il concetto di esercizio di impresa commerciale, il comma 1 dell'art. 87, fa riferimento all'art. 55 del TUIR (“Reddito d'impresa”). Di conseguenza, l'esercizio di impresa commerciale, a cui è subordinato il regime di esenzione, è individuato sulla base dei criteri di cui all'art. 55 del TUIR, con il risultato che le disposizioni recate dall'art. 87 devono intendersi riferite alle attività che danno luogo a reddito di impresa. Il concetto di “impresa commerciale”, secondo la definizione di cui all'art. 55, ricomprende anche quelle attività indicate nell'art. 2195 c.c., ovvero: - l'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; - l'attività intermediaria nella circolazione dei beni; - l'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; - l'attività bancaria o assicurativa; - altre attività ausiliarie delle precedenti.
Per esercizio di imprese commerciali si intende anche l'esercizio delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 (rubricato “Reddito agrario”), che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa. Sono inoltre considerati redditi d'impresa: - i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.; - i redditi derivanti dall'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, leghi, stagni e altre acque interne; - i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività agricole di cui all'art. 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività d'impresa.
Tuttavia, il criterio formale di qualifica del reddito di cui al citato art. 55 rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente ad individuare il requisito della commercialità, il quale va definito sulla base di un criterio sostanziale (cfr. Circolare n. 7/E del 29.03.2013), secondo il quale non tutti i redditi prodotti nell'esercizio d'impresa sono riferibili ad un'attività commerciale nel senso richiesto dalla disciplina in esame. Infatti, la volontà del legislatore risulterebbe quella di subordinare l'applicazione del regime della P.EX. ai soli casi in cui il sottostante patrimonio della società partecipata si configuri come azienda e soprattutto quest'ultima risulti utilizzata nell'esercizio dell'attività d'impresa. La relativa verifica non può dunque essere basata esclusivamente sul contenuto dell'oggetto sociale e sulla qualifica formale attribuita all'attività esercitata. Secondo la Circolare n. 7/E del 29 Marzo 2013, si ha attività commerciale ai fini P.EX. se la società partecipata risulta dotata di una struttura operativa idonea alla produzione e/o alla commercializzazione di beni o servizi potenzialmente produttivi di ricavi. Nello stesso documento, con riferimento al computo del periodo di tempo idoneo a soddisfare il requisito di cui alla lett. d) dell'art. 87, comma 1, del TUIR, viene richiamato al paragrafo 1.1 esattamente la fattispecie in cui la partecipata abbia svolto un'attività commerciale e la interrompa antecedentemente alla cessione/liquidazione della società partecipata (a tal fine la circolare n. 7/E del 5 febbraio 2003 ha precisato che «le minusvalenze derivanti dal fallimento o dalla liquidazione volontaria della partecipata si considerano realizzate [...] al momento della chiusura della procedura di fallimento, ovvero alla chiusura della procedura di liquidazione volontaria della società partecipata»). Nello specifico, l'Amministrazione afferma che qualora il periodo di interruzione dell'impresa commerciale risulti solo momentaneo, in quanto l'impresa continua a essere dotata di una struttura operativa che le consenta di riprendere il processo produttivo in tempi ragionevoli in relazione all'oggetto dell'attività d'impresa, il periodo di inattività non è rilevante ai fini della verifica della commercialità. In tal caso, infatti, l'impresa continua a disporre di una struttura adeguata a soddisfare la domanda del mercato nei termini precedentemente specificati. La stessa Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 165/E del 25 novembre 2005, chiarisce i casi in cui si verifica la sussistenza del requisito della “commercialità” richiesto dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo 87 del TUIR. In particolare, secondo l'Agenzia delle Entrate, la verifica della sussistenza del requisito della “commercialità” deve essere effettuata in concreto, facendo riferimento all'attività effettivamente esercitata dalla società partecipata. Di conseguenza, in linea generale, le società “senza impresa” non rientrano nel campo di applicazione del regime P.EX. La Circolare n. 7/E del 2013, dispone poi che, se è necessario verificare il requisito della commercialità nei tre periodi d'imposta antecedenti il realizzo/liquidazione, viceversa, l'assenza di un'attività commerciale nel triennio che precede il realizzo della minusvalenza, comporta che, stante l'impossibilità di accesso al regime P.EX., eventuali minusvalenze risultino integralmente deducibili. Secondo, Agenzia, è pertanto necessario valutare la circostanza che l'esercizio di un'attività non commerciale antecedente la cessione della partecipazione si sia protratto per un periodo congruo, che si ritiene di poter assumere pari ad almeno tre periodi d'imposta, in linea con quanto previsto dall'art. 87 del TUIR, ai fini del riconoscimento o meno del requisito della commercialità. E' stata infatti posta particolare attenzione (Circolare n. 7/E del 29.03.2013) al problema di come valutare una cessione di partecipazioni minusvalente, per la quale si sostenga l'inesistenza dell'attività commerciale proprio al fine di uscire dall'ambito P.EX. e quindi poter dedurre la minusvalenza. L'approccio in questo caso tende a invertirsi: non si cercano più di creare le condizioni che attestino l'esercizio di attività commerciale in capo alla partecipata, ma esattamente il contrario, ovvero si cerca di evitare tale esercizio per sostenere la deducibilità delle minusvalenze derivanti dalla cessione. Se ciò è finalizzato alla deduzione della minusvalenza, è chiaro che si pone in essere un comportamento elusivo, tendente a eliminare una delle condizioni P.EX. per beneficiare della deducibilità della minusvalenza. Questa situazione viene esaminata dall'Agenzia delle Entrate con la citata Circolare n. 7, la quale segnala che un congruo periodo di “non esercizio” di attività commerciale, pari a un triennio, è sufficiente per vincere il sospetto di elusività. L'oggetto dell'attività appare ben individuato e ricompreso tra le attività che rientrano nella disposizione di cui all'art. 2195 c.c. La verifica del requisito della commercialità non può, però, essere basata esclusivamente sul contenuto dell'oggetto sociale e sulla qualifica formale attribuita all'attività esercitata. Di conseguenza, si ha attività commerciale ai fini P.EX. se la società risulta dotata di una struttura operativa idonea alla produzione e/o alla commercializzazione di beni o servizi potenzialmente produttivi di ricavi. In merito alle società in fase di “start up”, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che il requisito della commercialità ricorre nel caso in cui l'impresa disponga della capacità ,anche solo potenziale, di soddisfare la domanda del mercato nei tempi tecnici di norma previsti, da individuarsi in relazione alle specificità dei settori economici di appartenenza. Non è ostativo al riconoscimento di un'impresa commerciale il fatto che l'impresa generi ricavi a distanza di anni dalla sua costituzione, circostanza che in alcuni settori può essere del tutto fisiologica, giacché il conseguimento di ricavi costituisce un indicatore utile ma non essenziale ai fini della verifica (cfr. risposta ad interpello del 30 dicembre 2021, n. 883). Infine, si ricorda che l'Agenzia delle Entrate ha stabilito che, per la corretta determinazione dei requisiti P.EX. in capo ad una holding, che possiede delle partecipazioni e svolge attività di cash polling e di locazione immobiliare nei confronti delle stesse, i relativi asset non sono suscettibili di assumere autonoma valenza ai fini del calcolo dei requisiti, in quanto vengono considerate attività ausiliarie rispetto all'attività di holding (cfr. risposta ad interpello del 17 dicembre 2021, n. 831).
Come già anticipato, la risposta dell'Agenzia delle Entrate è stata negativa. Infatti, secondo l'Ufficio, la società partecipata, formalmente posta in liquidazione nel 2017, ha cessato ogni attività commerciale nel 2014, ma già dal 2013 ha cominciato a porre in essere le attività propedeutiche a tale cessazione. Tale circostanza sarebbe stata confermata dall'andamento degli investimenti in immobilizzazioni, materiali e immateriali, ricavabile dall'analisi dei relativi bilanci d'esercizio relativi all'arco temporale che andava dal 2009 (anno della costituzione) al 2014(anno della cessazione delle attività). L'evoluzione degli investimenti fissi nell'arco temporale considerato sembrava sintomatica di un depotenziamento iniziato già nel 2013, anno in cui si era invertita bruscamente la tendenza alla crescita registrata fino all'anno precedente. Pertanto, secondo l'Agenzia delle Entrate, l'interruzione dell'attività commerciale del 2014 era conseguente ad un depotenziamento dell'azienda iniziato già nel 2013. La volontà di liquidare la società partecipata sembrava quindi esistere già in esercizi antecedenti al 2017 (anno di "formale" inizio della procedura di liquidazione). Anzi, negli esercizi 2013 e 2014 le intenzioni liquidatorie avevano già assunto, in maniera rilevante e decisiva, una dimensione concreta. In altri termini, sarebbe emersa l'ipotesi della "liquidazione di fatto" contemplata dalla circolare n. 7/E del2013 (paragrafo 1.1), iniziata in un esercizio antecedente rispetto a quello di formale messa in liquidazione volontaria della partecipata (2017). Pertanto, l'Ufficio ha ritenuto che il requisito temporale della commercialità della partecipata estera, ai sensi dell'articolo 87, comma 2, del TUIR, doveva essere verificato con riferimento ai tre periodi di imposta antecedenti il periodo di imposta in cui si era aperta la fase della "liquidazione di fatto" della società partecipata. Tali conclusioni si baserebbero su principi affermati da diversi documenti di prassi in tema di P.EX. In particolare, viene citata la circolare n. 10/E del 16 marzo 2005 (paragrafo 5.6), la quale ha chiarito che, per le società in liquidazione ordinaria, il requisito di commercialità deve sussistere al momento in cui ha avuto inizio la liquidazione. Ne deriva che il requisito temporale di cui al comma 2 dell'articolo 87 (il triennio) deve essere verificato, non con riferimento al momento del realizzo della partecipazione, ma con riferimento all'inizio della fase di liquidazione della società partecipata. Ciò in quanto la liquidazione costituisce una fase "peculiare" della vita aziendale che, ai fini P.EX., non può essere equiparata alla ordinaria attività d'impresa e non può assumere rilevanza nell'esame del requisito della commercialità. A tal proposito, viene osservato che la circolare n. 7/E del 2013 (paragrafo 1.1) ha disciplinato l'ipotesi in cui l'interruzione dell'attività commerciale da parte di una società derivi da un depotenziamento dell'azienda, ad esempio a seguito di cessione di asset rilevanti, licenziamento di personale o conseguimento dell'oggetto sociale. In tale ipotesi, secondo la predetta circolare, occorrerebbe valutare caso per caso se tale depotenziamento non configuri un'ipotesi di "liquidazione di fatto"; nel qual caso tornerebbero applicabili i chiarimenti forniti dal sopra citato paragrafo 5.6 della circolare n. 10/E del 16 marzo 2005 per le società in liquidazione ordinaria.
Considerazioni conclusive
Le conclusioni a cui arriva l'Agenzia delle Entrate non sono del tutto condivisibili. Infatti, come rilevato recentemente dalla stessa Agenzia, il criterio formale di qualifica del reddito di cui al citato articolo 55 del TUIR costituisce condizione necessaria ma non sufficiente ad individuare il requisito della "commercialità", che va definito sulla base di un criterio sostanziale, secondo il quale non tutti i redditi prodotti nell'esercizio di impresa sono riferibili ad un'attività commerciale nel senso richiesto dalla disciplina in esame. Occorre precisare, altresì, che la verifica del suddetto requisito non può essere basata esclusivamente sul contenuto dell'oggetto sociale e sulla qualifica formale attribuita all'attività esercitata. In buona sostanza, l'oggetto sociale rileva ai fini della sussistenza del requisito della "commercialità" nella misura in cui trovi, di fatto, rispondenza nelle attività, in concreto, poste in essere dal soggetto partecipato (Risposta ad interpello n. 744 del 27 ottobre 2021). In merito al discorso commercialità, si ricorda che l'Agenzia delle Entrate, nella risposta ad interpello n. 502 del 28 novembre 2019, ha escluso il rispetto del requisito della commercialità con riferimento ad una partecipazione detenuta in un Consorzio, la cui attività operativa era stata di fatto impedita da una sospensione della concessione, da una deliberazione di diniego all'ampliamento delle aree in concessione e dal contenzioso dinanzi al giudice amministrativo. In questo caso, è stato precisato che, al fine di indentificare "un'impresa commerciale" ai fini P.EX., sarebbe necessario identificare una struttura operativa idonea allo sfruttamento, anche solo potenziale, della summenzionata concessione. Tuttavia, secondo l'amministrazione finanziaria, non risulterebbe soddisfatta tale condizione. Infatti, anche in fase antecedente alla sospensione della licenza, il consorzio aveva una struttura organizzativa, sia in termini di personale che in termini di immobilizzazioni materiali, non dissimile a quella esistente nel lungo periodo di inattività.Pertanto, se tale principio fosse stato ritenuto valido anche nell'interpello in esame, la risposta sarebbe stata diversa, dal momento che la società istante ha cambiato attività e struttura dopo avere cessato l'attività commerciale, divenendo un soggetto “ senza impresa”.Del resto la finalità del regime P.EX. è quella di favorire la circolazione, sotto forma di partecipazioni - di complessi patrimoniali che abbiano natura di vere e proprie aziende funzionali all'esercizio di attività di impresa, dotate di una capacità, anche potenziale, al concreto svolgimento di un'attività produttiva. In altri termini, secondo il citato documento di prassi, la volontà del legislatore è di subordinare l'applicazione del regime della P.EX. ai soli casi in cui il sottostante patrimonio della società partecipata si configuri come azienda e soprattutto quest'ultima risulti utilizzata nell'esercizio dell'attività d'impresa. Nel caso in cui venga meno questa funzionalità, è evidente che dovrebbe venire meno il requisito della commercialità. Pertanto, nel caso in esame, dal momento che, per alcuni anni la società non ha svolto la propria attività per vari motivi, questo avrebbe dovuto comportare la predita del requisito P.EX., che, invece, sembrerebbe essere stato negato in quanto si è generata una minusvalenza. |