Individuazione del mezzo di impugnazione e principio di prevalenza della sostanza sulla forma

Redazione scientifica
09 Febbraio 2022

La S.C. ha individuato il mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento con il cui tribunale aveva dichiarato inammissibile una domanda proposta ex art. 101 l. fall., facendo applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma.

Nel caso di specie, il tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto ex art. 101 l. fall. da un avvocato che aveva chiesto di essere ammesso, in prededuzione, al passivo della liquidazione coatta amministrativa di una società.

Avverso tale provvedimento l'avvocato aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle disposizioni della l. fall. sulla composizione del giudice atteso che la causa doveva essere decisa dal tribunale in composizione collegiale.

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, senza esaminare le ulteriori censure attinenti al merito del provvedimento impugnato proposte dal ricorrente.

Preliminarmente i giudici rilevano una violazione dell'art. 50-bis n. 2 c.p.c., posto che tale norma prevede una riserva di collegialità nelle cause conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti nel fallimento e nella liquidazione coatta amministrativa.

Tuttavia, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale del tribunale è sottratta, a mente dell'art. 50-quater c.p.c., alla disciplina del vizio di costituzione del giudice e comporta una nullità assoggettata al principio generale ex art. 161 c.p.c.

Ciò chiarito, la Corte rileva che per individuare la forma di impugnazione che il creditore doveva esperire, occorre fare applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma.

Secondo tale principio per stabilire se il provvedimento abbia carattere di sentenza o meno, è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto e quindi all'effetto giuridico che è destinato a produrre.

Se così è, allora, secondo i giudici, risulta evidente come il provvedimento impugnato, emesso ai sensi dell'art. 101, comma 3, ultima parte, l. fall., a seguito dell'istruzione della causa non può che avere natura sostanziale di sentenza.

Il provvedimento, infatti, ha deciso «a norma degli artt. 175 e seguenti del codice di procedura civile» - nel regime vigente prima della novella introdotta dal d.lgs. 5/2006 - e, dunque, nelle forme del rito ordinario di cognizione.

Se le cause introdotte a seguito di dichiarazione tardive di credito ex art. 101 l. fall. – nel regime antecedente al d.lgs. 5/2006 - hanno dunque i caratteri del normale giudizio di cognizione, trovano applicazione i mezzi di impugnazione previsti per il rito ordinario.

Di qui la conclusione, per cui il vizio denunciato dal ricorrente - rivolto nei confronti di un provvedimento che deve essere considerato come sentenza resa all'esito di un processo ordinario di cognizione di primo grado -, non poteva che essere proposto con le forme dell'appello e non, come ha preteso di fare il ricorrente, direttamente con il ricorso per cassazione.

Tratto da: www.dirittoegiustizia.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.