La privazione della disponibilità di un bene rappresenta una lesione patrimoniale
14 Febbraio 2022
Il caso. L'attrice, con atto di citazione, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale competente, il Condominio-convenuto, al fine sentir accertare e dichiarare di essere proprietaria di numerose porzioni immobiliari all'interno di una lottizzazione, con condanna al risarcimento dei danni cagionati dal convenuto per il mancato utilizzo degli spazi adibiti a parcheggio. Si costituiva in giudizio il Condominio evidenziando di essere in possesso, da oltre venti anni, degli spazi adibiti a parcheggio e, in via riconvenzionale, eccepiva la comproprietà in capo ai condomini delle aree oggetto di contenzioso nonché l'acquisto per usucapione, in proprio favore, della proprietà o della servitù o del diritto reale delle medesime aree. Il giudice di primo grado, accoglieva l'eccezione di usucapione, rigettando integralmente la domanda attrice. Avverso tale sentenza, veniva proposto appello dall'attore; la Corte territoriale accoglieva parzialmente l'appello, rigettando la domanda di risarcimento danni. Avverso la decisione della Corte di Appello, l'appellato-Condominio proponeva ricorso per cassazione sulla scorta di tre motivi; resisteva, con controricorso incidentale l'appellante, con riferimento alla reiezione della domanda risarcitoria. La Suprema Corte, con sentenza rigettava integralmente il ricorso principale ed accoglieva, con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, quello incidentale. La Corte di Appello, con nuova sentenza, nel pronunciarsi limitatamente all'impugnazione del rigetto della domanda di risarcimento danni, respingeva la relativa domanda formulata dalla società riassumente, condannando il Condominio al pagamento dei due terzi delle spese dei tre gradi di giudizio, e compensandole per il residuo terzo. Avverso tale pronuncia, la società riassumenda proponeva ricorso per cassazione riferito a tre motivi; resisteva con controricorso il Condominio. Disamina dei motivi di censura. Con il primo motivo, veniva denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 388, comma 2, c.p.c., sul presupposto che per l'effetto della pregressa sentenza emessa dalla Suprema Corte, si era venuto a formare il giudicato interno sull'ammissibilità della domanda risarcitoria e sulla fondatezza della stessa circa l'an, rimanendo demandato alla Corte di rinvio il solito compito di procedere alla quantificazione del relativo danno. Con la seconda censura la società ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2043,2056 e 2697 c.c., sostenendo l'erroneità dell'impugnata sentenza adottata in sede di rinvio, nella parte in cui aveva ritenuto che la medesima società avrebbe dovuto assolvere l'onere di allegare un pregiudizio da occupazione senza titolo che, invece, non era stato adempiuto. Con il terzo motivo la ricorrente prospettava la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113 e 115 c.p.c., sostenendo il travisamento, da parte del giudice di rinvio del contenuto e dell'oggetto della domanda risarcitoria di essa ricorrente. La Suprema Corte evidenziava come il secondo e terzo motivo del ricorso ripropongono la delicata questione della identificazione del danno da occupazione senza titolo e dell'individuazione e ripartizione dei relativi oneri di allegazione e di prova; precisava che la giurisprudenza della Corte si era più volte pronunciata su tali questioni, ma senza assumere una posizione sempre coerente e inequivoca. I Giudici di legittimità hanno più volte sostenuto che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento di terzi diretto a limitare tale uso e godimento, costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica mediante cessazione di tale turbativa e ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell'illecito, ma anche il risarcimento dei danni. Sulla base di questo presupposto, si è giunti spesso alla conclusione che il danno, in tale ipotesi, è in re ipsa. La giurisprudenza della Suprema Corte ha invece negato l'astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità al rapporto causale intercorrente tra condotta materiale, evento lesivo, e conseguenza dannosa, sicchè identiche risulterebbero le esigenze di prova, sia per l'an che per il quantum, del danno non patrimoniale o patrimoniale. Con riferimento ai divergenti indirizzi giurisprudenziali è intervenuta una ordinanza interlocutoria della III sezione civile di rimessione della relativa questione alle sezioni unite proprio al fine di pervenire ad una soluzione definitiva al riguardo (Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. S.U. 05 luglio 2017, n. 16601). Sulla scorta dello stato giurisprudenziale oscillante, la Suprema Corte riteneva opportuno rimettere anche la trattazione e decisione del ricorso di cui al procedimento esaminato, per la disamina congiunta con il procedimento già rimesso, connesso e per certi versi propedeutico rispetto alle argomentazioni sviluppate. Si osservava, comunque, che entrambi gli orientamenti sembrano muovere dall'implicito presupposto che il danno risarcibile, consista nel danno da mancato guadagno, ossia il lucro cessante conseguente alla possibilità di impiegare il bene secondo la sua vocazione fruttifera. In sostanza, il fatto generatore del danno e il danno conseguenza restano fatti concettualmente diversi cosicchè, quanto al danno da perdita, potrebbe discorrersi di danno in re ipsa rispetto al quale il riferimento al valore commerciale del godimento del bene rappresenta una mera tecnica, tra le varie possibili, di una liquidazione equitativa. Alla stregua delle complessive argomentazione esposte, il Collegio ritiene di sottoporre alle Sezione Unite la questione sul se, in caso di occupazione senza titolo di immobile, la prova del danno emergente consistente nella deminutio patrimonii derivante dalla perdita della facoltà di godimento del bene per la durata dell'occupazione senza titolo debba considerarsi sussistente in re ipsa, con la conseguente liquidabilità in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., richiamato dall'art. 2056 c.c. In conclusione, la Corte trasmetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale rimessione della questione di massima e particolare importanza alle Sezioni Unite.
Fonte: dirittoegiustizia.it
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