L'ordinanza del Tribunale di Verona sull'onere di vaccinazione a carico dei lavoratori

29 Luglio 2021

Una RSA, con circa 60 ospiti, età media 80 anni, pone in aspettativa non retribuita una propria dipendente con qualifica di OSS-operatore socio sanitario, perché renitente al vaccino anti-Covid, in data anteriore al 1° aprile 2021. Il tribunale di Verona, adito dalla dipendente per ottenere la reintegra in via cautelare nelle mansioni svolte, respinge la domanda con ordinanza del 24 maggio 2021...
La ordinanza del Tribunale di Verona. Motivazioni ed implicazioni

Una RSA, con circa 60 ospiti, età media

80 anni, pone in aspettativa

non retribuita una propria dipendente con qualifica di OSS-operatore socio sanitario, perché renitente al vaccino anti-covid, in data anteriore al 1° aprile 2021.

Il tribunale di Verona, adito dalla dipendente per ottenere la reintegra in via cautelare nelle mansioni svolte, respinge la domanda con ordinanza del 24 maggio 2021.

Motivazione:

- l'interesse prevalente nella comparazione delle tutele è quello degli assistiti, come statuito già dall'ordinanza del

Tribunale di Belluno 328/2021

;

- nelle more del giudizio è entrato in vigore il d.l. 1° aprile 2021 n. 44, il cui art. 4 pone l'obbligo di vaccinazione a carico specificamente degli OSS operanti nelle strutture socioassistenziali;

- le critiche della ricorrente all'efficacia del vaccino sono infondate alla luce del documento dell'ISS dalla stessa prodotto.

Osservazioni:

Il provvedimento del Tribunale di Verona è di estremo interesse, per almeno tre motivi:

- perché copre anche il periodo anteriore al d.l. 44, per il quale dunque deve ricercarsi un diverso fondamento giustificativo dell'obbligo, o meglio onere, di vaccinarsi;

- perché dà rilievo alla conoscenza diretta da parte del datore di lavoro del rifiuto del vaccino, al di fuori delle procedure previste dal d.l. 44, le quali non costituiscono quindi condizioni di legittimità della conoscenza e del provvedimento;

- perché richiama il precedente dell'ordinanza del tribunale di Belluno, la quale motiva non sul rischio specifico degli operatori sanitari, ma su quello di qualsiasi lavoratore che possa venire in contatto con colleghi e con terzi.

Viene perciò ancora una volta in questione il fondamento giustificativo dell'onere di vaccinazione, dibattito che si è arricchito, rispetto a quanto scritto da noi in precedenti occasioni in questa Rivista [1], di importanti qualificati contributi, utili per la soluzione delle questioni interpretative, e dei quali è necessario pertanto rendere conto.

Tra questi contributi, vi è la ordinanza del Tribunale di Modena del 19 maggio 2021 (in questa Rivista, con nota critica di C. NANNETTI, Obbligo vaccinale e conseguenze sul rapporto di lavoro in caso di rifiuto pre e post il d.l. 44/2021), la quale, con ampia motivazione in cui dà conto di tutte le posizioni del dibattito in corso, ha respinto la pretesa di reintegra di due dipendenti con mansioni di fisioterapiste in una residenza per anziani renitenti al vaccino, e per questo motivo sospese dal lavoro e dalla retribuzione in data 27 gennaio 2021 fino a vaccinazione.

Il punto è: come conciliare i vari diritti in conflitto, la libertà di rifiutare il vaccino, presidiata dall'art. 32 Cost., quelli della collettività alla propria salute e ad una efficace strategia contro il virus, l'obbligo del datore di lavoro, penalmente sanzionato, di assicurare la massima sicurezza nei confronti dei dipendenti e dei terzi, e il diritto dello stesso a ricevere una prestazione utile?

Un giudice, e come lui qualsiasi interprete, non può cavarsela dicendo che i vari diritti sono in insanabile contrasto, ma ha il dovere professionale di individuare una soluzione nell'ordinamento nel suo complesso.

La interpretazione dell'art. 32 Cost.; le sue vestali; la giurisprudenza costituzionale e la formulazione delle altre norme dell'ordinamento sui trattamenti sanitari a carico dei lavoratori

La vaccinazione costituisce un trattamento sanitario, dovendosi comprendere in tale nozione tutti gli interventi sulla persona con finalità diagnostica, profilattica e terapeutica. L'art. 32, comma 2, Cost. dispone che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Molti autorevoli studiosi ritengono che il contenuto precettivo prioritario dell'art. 32 della Costituzione consista nel garantire la libertà di cura dell'individuo contro interferenze di autorità varie, e che pertanto la riserva di legge del comma 2 possa essere attuata solo con un intervento legislativo statale esplicito in tal senso, come ha fatto il decreto legge 44, il quale ripete dall'art. 32 la medesima voce verbale “obbligare”. Qualsiasi tentativo di conciliare i contrapposti interessi attraverso il ricorso alle norme ordinarie costituirebbe un aggiramento surrettizio ed inammissibile del santuario dell'art. 32. In definitiva la volontà insindacabile dell'individuo di non vaccinarsi prevale su qualsiasi altro diritto o obbligo previsto dalle norme costituzionali o ordinarie a favore o a carico di altri membri della comunità [2].

E' stato osservato in contrario, in base alla giurisprudenza costituzionale:

- l'art. 32 tutela una pluralità di interessi, la libertà di cura del singolo, ma anche la salute della collettività, beni che devono essere tutti presi in considerazione, in una visione solidaristica [3].

- diritto fondamentale non significa diritto preminente, e pertanto il diritto individuale alla libertà di cura deve essere bilanciato con la tutela della salute pubblica [4];

- la tutela della salute non si esaurisce nelle situazioni attive di pretesa, ma implica e comprende il dovere dell'individuo di non ledere e porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui [5].

Sulla nozione di trattamento sanitario è stato affermato che l'art. 32 copre solo i trattamenti sanitari che esauriscono i loro effetti sulla persona, e si riferiscono alla dimensione personalistica dell'individuo [6]; i trattamenti sanitari che possano costituire un obbligo, non quelli che sono soltanto degli oneri. Di qui è stata tratta l'estrema conseguenza che il d.l. 44/2021, non prevedendo una obbligazione assoluta, ma condizionata allo svolgimento di determinate attività, non costituirebbe attuazione dell'art. 32.

A noi sembra che l'art. 32 copra tutti i trattamenti sanitari, quelli circoscritti alla persona, senza riflessi sugli altri individui, come potrebbe essere il diritto di rifiutare l'accanimento terapeutico, un intervento chirurgico, la trasfusione di sangue, anche a costo della propria vita [7], e costituiscono perciò diritti fondamentali assoluti, e quelli che interferiscono con i diritti dei terzi, o costituiscono condizione per l'esercizio di altri diritti o lo svolgimento di determinate attività, come le visite preassuntive, una correzione oculare per la patente di guida, e li possiamo denominare perciò diritti fondamentali negoziabili.

Mentre nel primo caso una imposizione non sembra possibile, neppure per legge, nel secondo un bilanciamento tra i vari interessi è necessario, esso deve essere fatto dal legislatore, e la formula precettiva sarà diversa a seconda della funzione del trattamento sanitario.

Il punto allora riguarda la forma dell'intervento legislativo di bilanciamento.

L'orientamento sopra esposto sulla prevalenza del diritto individuale non riconosce tale valenza all' art. 279 t.u. sicurezza che pone un obbligo a carico del datore di lavoro di somministrare vaccini efficaci in caso di esposizione ad agenti biologici, in combinazione con l'art. 20 che pone un obbligo al lavoratore di collaborare con il datore di lavoro ai fini della sicurezza.

Ed allora la via migliore è, piuttosto delle pulsioni degli interpreti ego o group focused, l'analisi delle numerose norme che nella storia della nostra legislazione sociale hanno previsto e prevedono trattamenti sanitari di carattere diagnostico, profilattico o curativo quale onere per espletare determinate lavorazioni patogene, o per godere di determinate prestazioni previdenziali, ricondotti dalla dottrina alla categoria dell'onere [8] senza che mai sia stato sollevato per tali trattamenti alcun problema di art. 32. Anzi, quella volta che è stato sollevato, è stato respinto dalla Corte costituzionale. E' il caso dell'art. 91 t.u. 1124, che provvede per l'assicurato colpito da ernia addominale solo le prestazioni di carattere temporaneo, e solo in caso di ernia inoperabile una rendita forfetizzata al 15%; così implicitamente ponendo un onere di riduzione chirurgica a carico del lavoratore; norma che Corte cost. 22.12.1977 n. 160 ha dichiarato non confliggente con l'art. 32 cost.

Si possono ricordare le norme che consentono all'Inail di imporre all'infortunato di sottoporsi alle cure mediche e chirurgiche che ritenga necessarie (art. 87 t.u.), o anche solo utili (art. 89, comma 3), per il suo miglioramento. L'infortunato può opporre un rifiuto giustificato, ed in tal caso va valutata la giustificatezza del rifuto. Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi alle cure (o l'elusione delle cure prescritte) da parte dell'infortunato importano la perdita del diritto alla indennità per inabilità temporanea e la riduzione della rendita a quella misura presunta alla quale sarebbe stata ridotta se l'assicurato si fosse sottoposto alle cure prescritte (art. 87 comma 4); e tali norme rimangono ferme, anche se ridimensionate dalla dottrina e giurisprudenza successive, che richiedono la sicurezza dell'intervento e la valutazione della ingiustificatezza del rifiuto da parte del giudice [9]; l'art. 136 dello stesso t.u., per il quale, nel caso di inabilità permanente al lavoro in conseguenza di malattia professionale, se il grado dell'inabilità può essere ridotto con l'abbandono definitivo o temporaneo della specie di lavorazione per effetto e nell'esercizio della quale la malattia fu contratta, e il prestatore d'opera non intende cessare dalla lavorazione, la rendita è commisurata a quel minor grado di inabilità presumibile al quale il prestatore d'opera sarebbe ridotto con l'abbandono definitivo o temporaneo della lavorazione predetta; le norme sugli accertamenti medici preliminari alle prestazioni, ed in sede di revisione; gli artt. 157, 160, 162 sulle visite mediche preassuntive ed in corso di rapporto, comprensive di radiografia, per i lavoratori esposti a rischio silicotigeno; l'art. 41 t.u. sicurezza 81/2008, il quale prevede un obbligo di sorveglianza sanitaria, che comprende esame clinici e biologici, anche invasivi, a discrezione del medico competente, sorveglianza che va estesa a tutti i lavoratori, dopo la legge (art. 4 d.l. 125/2020, conv. in l. 27.11.2020 n. 159) di recepimento della direttiva della Commissione del 3 giugno 2020 n. 739, la quale ha integrato, inserendovi il SARS-CoV-2, l'allegato LXVI del d.lgs. 81/2008 quale agente biologico del gruppo 3, che causa malattia grave e pone un serio rischio per la salute.

La struttura lessicale delle disposizioni di legge citate, e delle altre analoghe ad es. in tema di invalidità pensionabile, non ha un contenuto dispositivo più esplicito di quello dell'art. 279 t.u. sicurezza, che pertanto ben può costituire norma attuativa del precetto composito dell'art. 32.

La linea dell'art. 279 t.u. sicurezza; la ordinanza del commissario per la vaccinazione; ulteriori adesioni

Trova pertanto conferma nella storia normativa della sicurezza sociale il percorso di quei studiosi, a partire da Guariniello [10], secondo cui nella trama delle norme ordinarie (art. 2087 cod. civ., 279 e 20 testo unico sicurezza) è possibile rinvenire la connessione tra più norme che sanciscono in maniera ineludibile e prioritaria l'obbligo di massima sicurezza del datore di lavoro ed il corrispondente obbligo di collaborazione a tale fine del lavoratore, ivi compresa la vaccinazione anti covid.

A questa tesi sono state sollevate varie obiezioni: che l'art. 279 si riferisce solo agli agenti biologici originati dal processo produttivo, non a quelli provenienti dall'esterno; che detta norma prevede un obbligo a carico del solo datore di lavoro, non del lavoratore; che non è invocabile nella situazione presente, nella quale la vaccinazione è somministrata dallo Stato e non dal datore di lavoro.

La prima obiezione è superata dalla legge 159/2020 citata, che ha incluso il Sars-COv-2 tra gi agenti bioogici presenti nell'ambiente lavorativo; per la seconda, che se una norma prevede un obbligo a carico di una parte contrattuale, con ciò stesso definisce la posizione dell'altra parte del sinallagma; sulla terza conta il principio desumibile dall'art. 279 che un onere di vaccino può trovare cittadinanza nel rapporto di lavoro a fini di prevenzione della salute propria e collettiva.

In tale quadro riteniamo si inserisca l'ulteriore apporto di Pascucci-Delogu [11] i quali individuano nell'art. 15 del testo unico sicurezza la norma cardine che, imponendo al datore di lavoro l'obbligo di eliminare il rischio, e non solo attenuarlo, dà inizio ad una sequenza normativamente cadenzata che può culminare, attraverso il giudizio di inidoneità del medico competente, nell'allontanamento del lavoratore, con varie misure, fino al licenziamento. In questo quadro la mancata vaccinazione rileva non come esercizio di libertà o comportamento colpevole, ma come dato fattuale che causa inidoneità all'ambiente di lavoro, alla pari ad esempio della mancanza della patente di guida per le mansioni di autista o di un braccio per il lavoro alla pressa.

Questo fondamento normativo è stato di recente condiviso da autorevole dottrina.

Si deve prendere le mosse dal d.l. 44, il quale, nel definire la platea dei soggetti obbligati, li individua negli operatori sanitari e negli operatori di interesse sanitario. La dottrina ha rilevato che questa seconda espressione non può essere assunta nel significato ad essa attribuito dall'art. 1, comma 2, legge 1° febbraio. 2006 n. 43, che l'affida alla competenza regionale, perché incompatibile con la competenza statale esclusiva in materia di lotta alla pandemia [12], ed ha proposto una interpretazione teleologica: in base al criterio funzionale del contenimento del contagio che ispira l'intervento legislativo, non avrebbe senso obbligare i dipendenti, e lasciare liberi tutti gli altri che a vario titolo circolano per gli ospedali per motivi lavorativi [13]. La ratio dell'intervento legislativo impone di includere tutti coloro che operano nelle sedi menzionate, come il personale amministrativo operante all'interno della struttura, la segretaria e l'assistente dello studio professionale, gli addetti alla reception, alle pulizie o alla sorveglianza, di solito dipendenti di ditte esterne; e così pure gli addetti alla consegna e ritiro materiali (“contatti interpersonali o in qualsiasi altro modo”). Di fatto risulta che negli studi professionali, farmacie e parafarmacie tutto il personale che lavora in presenza, sanitari e non sanitari, viene vaccinato in unico contesto. Ed è significativo che la ordinanza 9 aprile 2021 del commissario straordinario per la campagna vaccinale nazionale, immediatamente successiva al decreto legge, pone sullo stesso piano, nella strategia delle priorità del piano di vaccinazione, il personale sanitario e tutti coloro che operano in presenza presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private.

La interpretazione teleologica, è noto, non può valicare la lettera della legge, che in questo caso è costituita dall'art. 2 d.lgs. 81/2008. Siccome siamo in tema di sicurezza degli ambienti lavorativi, le espressioni usate nel decreto - datori di lavoro, dipendenti - vanno assunte non nel loro significato giuslavoristico, bensì in quello attribuito dal testo unico 81, nella norma definitoria dell'art. 2, che per datore di lavoro intende il soggetto che ha la responsabilità dell'organizzazione produttiva (lett. b) e per lavoratore la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere (lett. a), che contiene una lunga lista di persone equiparate, tra cui gli studenti universitari, l'alternanza studio lavoro, etc.[14].

Questa interpretazione teleologica è stata contestata da chi rileva che la legge di conversione, precisando che per operatori di interesse sanitario si devono intendere i soggetti di cui all'art. 1, comma 2, legge 1° febbraio 2006 n. 43, replica implicitamente alle osservazioni della dottrina e ribadisce l'obbligo per specifiche categorie professionali, con esclusione di quelle non menzionate, come gli addetti alle pulizie [15].

Ma l'illustre Autore non può negare la necessità che tutti coloro che operano in presenza negli ambienti indicati dal d.l. 44 siano vaccinati, e pertanto riconduce ad unità il sistema attraverso il raccordo tra la norma speciale del d.l. 44 ed il sistema generale di prevenzione del d.lgs. 81, per il quale “tutti i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti a sorveglianza sanitaria” e per i quali vale la disposizione dell'art. 279 stesso t.u., ed affermando per tale via l'obbligo, o meglio onere, vaccinale anche per gli altri lavoratori operanti in simbiosi con i sanitari..

Diversa dunque la fonte normativa, e diversi i percorsi, ma unico il traguardo: la salvaguardia della salute collettiva attraverso la vaccinazione di tutti i lavoratori esposti a contatti con terzi.

La linea dell'onere contrattuale; la conferma del passaporto vaccinale e del d.l. 44/2021

Diverso il percorso di altri Autori [16], per i quali il titolare di un diritto fondamentale ben può autolimitarsi nel suo esercizio, e farne oggetto di rapporti contrattuali. Fa l'esempio dei contratti di viaggio, di ristorazione, e dello stesso contratto di lavoro, che comporta diversi interventi sulla salute, con le visite di idoneità, le visite ispettive domiciliari etc. Si pensi ai vari accertamenti diagnostici (radiografie, esami vari che richiedono prelievi ematici) cennati sopra. La vaccinazione costituisce pertanto un onere per poter espletare determinate attività, non un obbligo incondizionato ai sensi dell'art. 32 Cost.

Il passaporto vaccinale, e cioè un documento che attesta che un soggetto si è sottoposto volontariamente al vaccino (allo stato nessun Paese europeo, eccetto l'Italia, prevede un obbligo vaccinale per legge, anche se vi sono proposte in tal senso in altri Paesi, come la Francia) e lo abilita perciò all'esercizio di diritti fondamentali quale il viaggiare per i vari Paesi dell'Unione, ci sembra la migliore conferma di tale impostazione, che sta raccogliendo negli ultimi tempi in dottrina sempre maggiori condivisioni[17].

E questa linea trova conferma proprio nel d.l. 44/2021.

Le conseguenze del rifiuto sono definite dal comma 8 dell'art. 4. Non vi sono sanzioni di carattere penale o amministrativo, solo effetti sul rapporto di lavoro, e questa ci pare la migliore conferma della dottrina contrattuale.

Anche la pretesa del datore di lavoro deve però avere un fondamento normativo legittimante. E qui viene ancora una volta in soccorso la giurisprudenza costituzionale sull'identica funzione dei vaccini obbligatori e di quelli semplicemente raccomandati. E' stato obiettato che la Corte ha affermato questa identità solo ai fini della obbligazione risarcitoria dello Stato. Ma la Corte ha tratto questa conclusione a seguito di un percorso argomentativo basato appunto sulla identità di funzione. E' non vi è dubbio che la vaccinazione anti covid sia fortemente raccomandata dallo Stato sia con norme apposite, sia con l'azione amministrativa, sulla base delle indicazioni delle massime autorità sanitarie europee e nazionali. E pertanto essa costituisce quella misura, secondo i dati della esperienza e delle conoscenze scientifiche, che il datore di lavoro è obbligato ad adottare a norma dell'art. 2087 cod.civ.

E' stato osservato che il protocollo condiviso del 6.4.2021, con cui sono stati aggiornati i precedenti protocolli del 2020, non fa menzione dei vaccini, ormai in distribuzione, e pertanto questi, a norma dell'art. 29-bis d.l. 23/2020 conv. in legge 40/2020, non sono compresi tra le misure obbligatorie ai sensi dell'art. 2087.

L'argomento non convince per molteplici ragioni.

Il protocollo costituisce un accordo tra le parti sociali, con il contributo tecnico scientifico dell'Inail, benedetto dal Governo, recepito dall'ordinanza del Ministro della salute 21 maggio 2021, che non può interferire con il piano vaccinale nazionale, che segue criteri diversi, per fasce di rischio, per età, e non categoriali, che non possono essere derogati dai privati. Peraltro esso non prevede la vaccinazione generalizzata per le stesse ragioni per cui finora non l'ha prevista il potere legislativo: la scarsità di vaccini e la fiducia nel metodo della raccomandazione.

Per la stessa ragione, essi non possono derogare all'art. 2087 c.c. il quale, per consolidata giurisprudenza di legittimità, costituisce la norma di chiusura del sistema di prevenzione, con contenuto dinamico, riferito alle conoscenze scientifiche al tempo dei fatti.

Quanto alla portata dell'art. 29 bis, tale norma, emanata sotto la pressione delle parti sociali preoccupate per gli effetti dell'art. 42 sulla qualificazione delle infezioni da coronavirus in occasione di lavoro come infortunio sul lavoro, nella incertezza ed emozione di quei primi mesi della infezione pandemica, ha una funzione certificatoria di quali fossero le misure di prevenzione esigibili dal datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 al tempo della loro emanazione, non di effettuare un rinvio dinamico a tutti i protocolli successivi e di espungere dall'art. 2087 il riferimento alla esperienza ed alla tecnica [18].

Infine il protocollo in questione, con il suo riferimento alla sorveglianza sanitaria ed al ruolo del medico competente, ed ai suoi poteri (punto 12), istituisce un collegamento con la dottrina citata circa il giudizio di inidoneità alla mansione per mancata vaccinazione che questi può esprimere.

Conclusioni

Allo stato, sono note, pubblicate e commentate solo decisioni di merito che affermano la legittimità del comportamento del datore di lavoro che rifiuti la prestazione del dipendente no vax e lo sospenda senza retribuzione [19].

Conforta questa uniformità della giurisprudenza.

Quanto ai critici di tale orientamento, vogliamo chiudere ricordando l'insegnamento di due illustri Maestri del diritto.

Paolo Grossi: costituisce una imprescindibile opzione metodologica recuperare la dimensione storica e sociale del diritto, perché mai lo Stato o le sue leggi sarebbero capaci di esprimere tutta la complessità e la ricchezza della società [20]. Questo significa che tocca all'interprete dare coerenza al sistema nella direzione delle finalità di tutela conseguite dallo stesso.

Raffaele De Luca Tamajo: premesso che “il dibattito in atto appare appesantito da troppi distinguo e da uno spirito libertario che francamente andrebbero banditi in una fase storica in cui l'interesse generale deve essere anteposto con fermezza rispetto a conati di individualismo poco coerenti con la gravità del momento”, afferma che nel momento in cui volontariamente un cittadino entra in un contratto di lavoro avente ad oggetto la cura e l'assistenza di pazienti “fragili” egli assume vincoli e obblighi in qualche misura dismissivi anche di libertà fondamentali [21].

Note

[1] DE MATTEIS, Prime notazioni sul d.l. 1° aprile 2021 n. 44 sull'obbligo di vaccino del personale sanitario, in questa Rivista, 06 Aprile 2021; dello stesso A. Art. 32 Cost.: diritti e doveri in tema di vaccinazione anti Covid, ivi 15 Febbraio 2021; idem Tutela infortunistica: perché coronavirus sì e influenza no, ivi 13 luglio 2020.

[2] Amplissima è la letteratura sul tema; molti contributi possono essere reperiti sul sito della rivista Labor, Dibattito istantaneo su vaccini anti-covid e rapporto di lavoro, a cura di O. Mazzotta, nonché sul sito Le conversazioni del convento di San Cerbone, a cura di V.A. Poso; per una esposizione ragionata delle varie tesi vedi anche JERVOLINO, Vaccinazione e pandemia tra diritto ed etica, ivi 8/2/2021, in corso di pubblicazione su Lavoro e previdenza oggi. Da ultimo NANNETTI cit.

[3] RIVERSO R., L'obbligo di vaccino anti-covid nel rapporto di lavoro tra principio di prevenzione e principio di solidarietà, in Qualegiustizia, 18.1.2021; dello stesso A. da ultimo, Vaccini e rapporto di lavoro: obblighi, responsabilità e tutele, in Conversazioni cit. 15.3.2021, di prossima pubblicazione sulla rivista Il lavoro nelle giurisprudenza; DE MATTEIS A., Art. 32 Cost.: Diritti e doveri in tema di vaccinazione anti-covid, in Ilgiuslavorista 15.2.2021, dello stesso A. Trattamenti sanitari nelle obbligazioni contrattuali. A proposito di vaccinazioni anti-covid, in Labor 23.2.2021.

[4] Corte cost. 9.5.2013 n. 85 sul caso Ilva. Vedi, sul tema specifico delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, le sentt. 118/2020, 5/2018, 268/2017, 107/2002.

[5] Corte cost. sent. 23.5.1994 n. 218.

[6] DE ANGELIS L., Ragionando a caldo su vaccinazioni e rapporto di lavoro, in Dibattito istantaneo, rivista Labor 17/2/2021;

[7] Su cui vedi da ultimo Cass. 23.12.2020 n. 29469.

[8] ALIBRANDI, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 1994, 601.

[9] Sul tema ci sia consentito rinviare a DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e le malattie professionali e malattie professionali, Milano, 2020, cap. IX sez. III, par. 10.

[10] GUARINIELLO R., Covid 19, l'azienda può obbligare i lavoratore a vaccinarsi?, in www.ipsoa.it 28.12.2020; vedi anche POSO V.A., Dibattito istantaneo in Labor on-line, 27.1.2021. Il percorso ricostruttivo imperniato sulla soggezione di tutti i lavoratori esposti ad agenti biologici alla sorveglianza sanitaria e agli obblighi dell'art. 279 t.u. sicurezza riceve nuova forza nella esposizione di BASILICO cit.

[11] PASCUCCI P.-DELOGU A., L'ennesima sfida della pandemia Covid 19: esiste un obbligo vaccinale nei contesti lavorativi?, in DSL 1/2021, reperibile anche su Conversazioni cit.

[12] Corte cost. sent. 37/2021; art. 117, lett. q) Cost.

[13] RIVERSO, Note in tema dei soggetti obbligati ai vaccini a seguito del decreto-legge n. 44/2021, in Conversazioni cit., 12.4.2021. E' significativo che l'Inail abbia riconosciuto in sede amministrativa l' infortunio sul lavoro da Covid 19 ad una guardia giurata addetta all'ingresso di un ospedale.

[14] DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2020, 837, il quale sottolinea l'importanza sistematica anche dell'art. 26, sulla responsabilità del datore di lavoro che affidi lavori a imprese appaltatrici o lavoratori autonomi; sulla esclusiva rilevanza dello svolgimento di mansioni rientranti nell'oggetto sociale, e sulla conseguente inclusione dei lavoratori autonomi nella nozione di lavoratori ai fini della sicurezza: Cass. pen. 15.3.2017 n. 18396. Dello stesso A., Prime notazioni sul d.l. 44/2021 sull' obbligo di vaccino, in Ilgiuslavorista 6.4.2021.

[15] BASILICO M., Il punto sulla disciplina dell'obbligo vaccinale nel rapporto di lavoro. Considerazioni all'indomani della conversione del decreto legge 44/2021, in Giustizia insieme, 15.6.2021.

[16] ICHINO P., Perché e come l'obbligo di vaccino può nascere anche solo da un contratto di diritto privato, in LavoroDirittiEuropa, 1/2021.

[17] Da ultimo PISANI C., Il vaccino per gli operatori sanitari obbligatorio per legge e requisito essenziale per la prestazione, in Conversazioni cit., 7.4.2021; dello stesso A. Vaccino anti-covid: oneri e obblighi del lavoratore alla luce del decreto per gli operatori sanitari, in MGL, 2021, 149; in precedenza CESTER C., in Dibattito istantaneo, in riv. Labor 23.1.2021; DE ANGELIS L., Ragionando a caldo cit.; DE LUCA TAMAJO, citato a nota 11: premesso che “il dibattito in atto appare appesantito da troppi distinguo e da uno spirito libertario che francamente andrebbero banditi in una fase storica in cui l'interesse generale deve essere anteposto con fermezza rispetto a conati di individualismo poco coerenti con la gravità del momento”, afferma che nel momento in cui volontariamente un cittadino entra in un contratto di lavoro avente ad oggetto la cura e l'assistenza di pazienti “fragili” egli assume vincoli e obblighi in qualche misura dismissivi anche di libertà fondamentali.

[18] F.AMENDOLA, Covid-19 e responsabilità del datore di lavoro, Bari, 2021.

[19] Tribunale Belluno, in questa Rivista; Tribunale Modena, ivi; Tribunale Verona in commento;, non pubblicata; Tribunale Trento, sent. 8.7.2021, in questa Rivista, 27 luglio 2021, che ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa di una dipendente, operante in asilo pubblico, che rifutava di usare il dispositivo di protezione individuale (mascherina). Cfr. anche, da ultimo, Tribunale Modena 23 luglio 2021, n. 2467; Tribunale Roma, ord. 28 luglio 2021.

[20] P. GROSSI, La formazione del giurista e l'esigenza di un odierno ripensamento metodologico, in Quaderni fiorentini, 2003, n. 32, p. 25 segg..,

[21] DE LUCA TAMAJO, in Giustizia insieme 30 marzo 2021, Intervista di Marcello Basilico a Fabrizio Amendola, Raffaele de Luca Tamajo e Vincenzo Antonio Poso.

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