Sanzione intimata al lavoratore che rifiuta di indossare la mascherina: se a fare causa è il datore di lavoro
08 Ottobre 2021
Massima
‹‹Nella situazione tragica in cui il Paese e il mondo intero si sono trovati a causa dell'epidemia da Covid-19, l'imposizione ai lavoratori dell'utilizzo della mascherina […] non è certo misura irrazionale o eccessivamente gravosa, ma risponde pienamente al dovere datoriale di tutelare al meglio i propri dipendenti››. Il caso
La società datrice di lavoro è ricorsa in giudizio al fine di far accertare e dichiarare dall'autorità giudiziaria la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione irrogata al lavoratore rifiutatosi di indossare la mascherina sul luogo di lavoro. La questione
La questione che il giudice del lavoro attiene, per un verso, i limiti del potere attribuito al datore di lavoro di adottare tutte le misure più idonee al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, e, per altro verso, l'illiceità di eventuali comportamenti contrari alle regole aziendali imposte. La soluzione adottata dal Giudice
Il Tribunale di Venezia, richiamando, in primis, l'obbligo sancito all'art. 2087 c.c. che, come noto, prevede che l'imprenditore adotti “nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
La decisione della società ricorrente di imporre, per regolamento aziendale, l'utilizzo della mascherina è coerente con la disposizione normativa sovra richiamata, ancor più in ragione della circostanza che la contrazione del virus in ambito lavorativo rientra a tutti gli effetti nell'ambito degli infortuni sul lavoro.
Conseguentemente, la condotta del lavoratore che si rifiuta di utilizzare i dispositivi di sicurezza forniti dall'azienda, tra i quali rientrano le mascherine, è illecita e, in quanto tale, sanzionabile. Osservazioni
La prima nota è di carattere procedurale.
Nel caso in esame ad impugnare la sanzione disciplinare per confermarne la legittimità è il datore di lavoro. Da tale circostanza, del tutto insolita e rara, emerge come il contesto attuale nel quale il datore di lavoro è chiamato a svolgere il proprio ruolo sia estremamente complicato.
Non stupisce, quindi, che sia la società ad agire per ottenere una sentenza favorevole, che statuisca la correttezza da parte del datore di lavoro di stabilire, nell'ambito del regolamento aziendale, determinate regole di comportamento e l'imposizione di accorgimenti basilari per la tutela del singolo e della comunità aziendale.
La pronuncia giudiziaria, che, nella sua conclusione può apparire “scontata”, non solo crea un precedente giurisprudenziale, bensì rappresenta per la società ricorrente un punto fermo da far valere anche rispetto ad altri dipendenti inadempienti.
Sotto il profilo sostanziale, è opportuno segnalare che il SARSCoV-2 è stato classificato come agente patogeno per l'uomo del gruppo di rischio 3) ai sensi dell'art. 267, D.lgs. n. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro”), ovvero la categoria che “Comprende microrganismi patogeni che possono causare malattie nell'uomo e costituire un serio rischio per i lavoratori; possono propagarsi nella comunità ma, di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche”.
Inoltre, la direttiva UE 2020/739 della Commissione europea del 3 giugno 2020 modifica l'allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'inserimento del SARS-CoV-2 nell'elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell'uomo e modifica, altresì, la direttiva UE 2019/1833 della Commissione europea.
Le disposizioni sopra citate devono correlarsi alla previsione contenuta nell'art. 2087, c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico, che impone al datore di lavoro di adottare le misure di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie a tutelare, l'integrità fisica del lavoratore.
L'operatività dell'art. 2087, c.c., non è esclusa, bensì rafforzata dalla sussistenza di norme speciali che dispongano l'adozione di particolari cautele; pertanto, il datore di lavoro è tenuto ad adottare, ai fini della tutela delle condizioni di lavoro, non solo le misure tassativamente previste dalla legge in relazione alla specificità dell'attività esercitata, nonché quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre che si rendano in concreto necessarie per la tutela della sicurezza del lavoro.
Anche la nozione di “luogo di lavoro” deve declinarsi più ampiamente rispetto al solo spazio necessario per il compimento della manodopera; conseguentemente, le misure e le cautele, che si rivolte all'azienda nel suo complesso, devono riguardare sia i rischi “interni”, insiti nell'ambiente di lavoro, sia i rischi che potrebbero derivare dall'esterno.
L'adattabilità dei contenuti dell'art. 2087, c.c, ai tempi che mutano con l'evolvere delle dinamiche sociali ed economiche, determinano l'esclusione della responsabilità datoriale esclusivamente nell'ipotesi in cui le evidenze scientifiche e tecniche non consentano di determinare l'adozione di adeguate misure precauzionali.
Non è, tuttavia, questo il contesto che stiamo vivendo, in cui, seppur permangano alcune incertezze, le stesse non riguardano l'utilità indiscussa di alcuni strumenti ed accorgimenti che consentono di contenere la diffusione del virus.
Anche sulla base delle considerazioni di cui sopra, il Tribunale di Venezia ha ritenuto il ricorso presentato dal datore di lavoro per accertamento della legittimità della sanzione disciplinare inflitta al lavoratore che in più occasioni si era rifiutato di indossare la mascherina “pienamente fondato”. |