La prescrizione dei crediti nelle procedure concorsuali

16 Febbraio 2022

L'Autore, dopo una breve premessa di carattere generale, approfondisce il tema della prescrizione del diritto di credito nel fallimento; nel concordato preventivo; nelle liquidazioni coatte amministrative e nelle amministrazioni straordinarie.
Brevi cenni sulla prescrizione

Uno dei più grandi giuristi italiani del secolo scorso, Francesco Carnelutti, ha affermato che "…la prescrizione è, fra gli istituti del diritto, uno dei più suggestivi. È una specie di miracolo per cui il diritto diventa non diritto e viceversa. Per essa, soprattutto, si rende manifesto che anche il diritto, come un essere vivente, nasce e muore".

L'incidenza del trascorrere del tempo sul diritto ha storicamente vissuto un ruolo importante. Nel diritto romano il trascorrere del tempo incideva sul diritto solo a fini acquisitivi, non essendo previsto alcun termine di estinzione del diritto o dell'azione. Solo a partire da Teodosio II e, successivamente, con Giustiniano venne introdotto un limite temporale all'esercizio giudiziale del diritto nel Corpus Iuris Civilis. Si trattava di un istituto, denominato prescrizione, che attribuiva al trascorrere del tempo due effetti diversi a seconda dell'esercizio o meno del diritto. Invero, il decorso del tempo poteva così generare effetti estintivi oppure acquisitivi. Nel codice giustinianeo era dunque prevista una prescrizione estintiva dell'azione del diritto conseguente al mancato esercizio del diritto stesso per un determinato arco temporale ed una prescrizione acquisitiva quando il decorso del tempo, unitamente ad altre condizioni tra le quali l'esercizio del diritto in via continuativa ed esclusiva da parte di un terzo, comportava, da un lato, l'estinzione del diritto in capo al suo titolare e, dall'altro, la costituzione di un medesimo diritto in capo al terzo che lo aveva esercitato nel tempo.

L'istituto della prescrizione così come concepito nel diritto romano, ossia come istituto che racchiudeva in sé sia l'effetto estintivo che quello acquisitivo, è stato recepito, oltre che nel nostro ordinamento, anche in quello inglese, francese, tedesco e svizzero, registrando un'applicazione duratura nel tempo. Ed infatti, mentre in Italia viene introdotta una netta distinzione tra prescrizione e usucapione solo a partire dal 1942, in Germania ed in Francia bisogna attendere rispettivamente il 2001 ed il 2008.

In effetti con il vigente codice civile il Legislatore del 1942 è intervenuto in modo significativo sull'istituto della prescrizione cercando di risolvere le discussioni più vivaci aperte in dottrina, tra le quali quella sulla natura sostanziale o processuale dell'istituto.

Il tentativo del Legislatore del 1942 non ha tuttavia raggiunto il risultato sperato, avendo adottato una disciplina che non appare univoca sulla natura dell'istituto. Permangono, infatti, non poche ambiguità in ordine all'oggetto della prescrizione ovvero se questo debba essere individuato nel diritto sostanziale o nell'azione del diritto. E da qui il dubbio interpretativo in ordine alla qualificazione dell'istituto come sostanziale, perché teso ad estinguere il diritto, ovvero processuale, perché teso ad estinguere l'azione del diritto.

Nel diritto romano ciò che si estingueva per effetto del trascorrere del tempo era l'azione del diritto e non il diritto stesso. L'actio costituiva il profilo processuale del diritto, la cui estinzione comportava necessariamente anche l'estinzione dell'obbligazione. Anche il codice civile del 1865 si era uniformato al diritto romano e con l'art. 2135 disciplinava espressamente la prescrizione estintiva quale prescrizione dell'azione e non anche del diritto. Questa soluzione non venne accolta con favore dalla dottrina. Invero, Carnelutti, ma non fu il solo, fu molto critico con l'art. 2135 ritenendo che l'oggetto della prescrizione dovesse essere il diritto e non l'azione, sostenendo, in particolare, che “da noi si tratta di un difetto anziché di un … eccesso di elaborazione scientifica. È rimasta nella legge qua e là, la terminologia romana, ma senza che questa rispecchi affatto un pensiero analogo a quello del Codice tedesco; vi si dice azione, come dicevano i romani, per dire diritto, senza alcuna precisa consapevolezza della differenza oramai esistente fra i due termini; del resto l'art 2105 mette in chiaro che con la prescrizione ‘taluno …. è liberato da un'obbligazione”.

In effetti, il legislatore del 1942 è sembrato aver mutato orientamento rispetto a quello del 1865, avendo stabilito espressamente che la prescrizione estingue il diritto. Tuttavia, al di là del chiaro e univoco dato letterale che emerge dall'art. 2934, la disciplina complessiva della prescrizione sembra tradire la scelta apparentemente operata dal legislatore del 1942. Invero, mentre l'oggetto della prescrizione indicato all'art. 2934 del vigente codice civile non sembra lasciare dubbi sulla estinzione del diritto in caso di prescrizione (cfr. art. 2934 c.c. "Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge"), la disciplina complessivamente adottata dal legislatore del 1942 non risulta altrettanto univoca, legittimando così una interpretazione tesa a riconoscere all'istituto in questione la natura processuale.

Basti mettere a confronto l'art. 2934 con le disposizioni dettate dagli artt. 2940, 2938, 2937 e con le risultanze dei lavori preparatori al codice civile del 1942 per avere evidenza del predetto contrasto. Invero, a dispetto della natura sostanziale dell'istituto così come emerge dall'art. 2934 vi sono una serie di disposizioni che tendono a connotare l'istituto come processuale. A tale ultimo riguardo, va richiamato: (i) l'art. 2937 cc che consente la rinunzia alla prescrizione da parte del soggetto che potrebbe eccepirla, con la conseguenza che in caso di rinuncia a sollevare l'eccezione di prescrizione il diritto non si estingue, diversamente da quanto stabilito dall'art. 2934 c.c.; (ii) l'art. 2938 c.c. che non consente al giudice di rilevare d'ufficio la prescrizione del diritto fatto valere in giudizio qualora non lo faccia la parte convenuta con la conseguenza che, diversamente da quanto stabilito dall'art. 2934c.c., il diritto sebbene prescritto non si estingue ma potrebbe essere anche oggetto di una sentenza di condanna; (iii) l'art. 940 c.c. che non ammette la ripetizione di quanto pagato in adempimento di un debito prescritto mentre se il diritto fosse estinto, come dispone l'art. 2934 c.c., il pagamento non sarebbe dovuto e colui che ha pagato potrebbe chiederne la ripetizione avvalendosi della disposizione sull'indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.; (iv) l'art. 1242, comma 2, c.c. secondo il quale la prescrizione non impedisce la compensazione se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti secondo il vecchio adagio quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum. Anche tale disposizione risulta in contrasto con l'estinzione del diritto in quanto se il diritto fosse estinto non potrebbe essere fatto valere neanche con la eccezione di compensazione.

Altro profilo discusso dell'istituto della prescrizione, regolamentato per la prima volta nel nostro ordinamento dal vigente codice civile, è quello della individuazione del dies a quo ossia dell'inizio della decorrenza del termine di prescrizione. Invero, sia nel diritto romano che nel codice civile del 1865 non vi era nessuna disposizione che regolamentasse l'inizio del termine di prescrizione. Il tema era tuttavia presente nel diritto romano tant'è che la dottrina elaborò varie teorie tese ad individuare una regola generale che segnasse l'inizio della prescrizione da applicare a tutte le azioni. In particolare, tutte le teorie sulla decorrenza della prescrizione erano fondate sul concetto di nascita dell'azione che poteva avere luogo con la lesione del diritto (c.d. teoria della lesione o violazione) ovvero con la conclusione del contratto (c.d. teoria della realizzazione). Sicché, secondo tali teorie, il termine di prescrizione aveva inizio dalla lesione del diritto ovvero dalla conclusione del contratto.

In continuità con la tradizione romana, anche durante la vigenza del codice civile del 1865, continuava a trovare pacifica applicazione il principio secondo il quale il termine di prescrizione delle prestazioni periodiche iniziasse a decorrere dalla scadenza della singola rata, così come si riteneva pacifico che il termine di prescrizione di un diritto condizionato iniziasse a decorrere dall'avveramento della condizione. In altri termini, venivano attribuiti alla condizione ed al termine di adempimento valenza impeditiva alla decorrenza del termine iniziale di prescrizione. Il Legislatore del 1942 segna una discontinuità con il codice civile del 1865 in tema di prescrizione, non solo per aver distinto nettamente l'istituto della prescrizione da quello dell'usucapione, ma anche per aver individuato quale elemento centrale della prescrizione non più il tempo ma l'inerzia. La soluzione adottata dal Legislatore del 1942 è stata infatti quella di ritenere l'inerzia del titolare del diritto di azione l'elemento qualificante l'acquiescenza ad uno stato di fatto che, il decorso del tempo, avrebbe reso definitivo.

In tale prospettiva viene introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento una norma che regola specificamente l'inizio della decorrenza della prescrizione. Si tratta, come è noto, dell'art. 2935 che recita testualmente: “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Nell'introdurre tale disposizione normativa il Legislatore del 1942 sembra aver aderito alla teoria della c.d. realizzazione secondo la quale la prescrizione del diritto inizia a decorrere dalla conclusione del contratto, individuando tale momento come quello in cui il diritto nasce e può essere fatto valere, fatti salvi gli impedimenti di diritto di cui si dirà appresso.

Con l'introduzione dell'art. 2935 si sono tuttavia aperti altri fronti di discussione focalizzati sulle possibili interpretazioni di “far valere un diritto” piuttosto che sulla distinzione tra elementi di fatto o di diritto idonei ad impedire la decorrenza della prescrizione.

Quanto alla possibilità di far valere il diritto, dall'esame della relazione di accompagnamento al codice civile del 1942 del Guardasigilli al Re emerge che detta espressione (far valere un diritto) sia stata elaborata “con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto” (Relazione del Guardasigilli al Re Imperatore, n. 1198: “Mancava nel codice del 1865 una norma generale circa il momento iniziale della prescrizione: nell'art. 2120, promiscuamente con alcune cause sospensive del corso della prescrizione (primo e quarto capoverso), erano enunciate talune cause impeditive dell'inizio di essa (secondo, terzo e quinto capoverso). La lacuna è colmata dall'art. 2935, il quale dà formulazione legislativa al principio che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; e l'espressione deve essere intesa con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto”).

Pertanto, nella volontà del Legislatore del 1942 la possibilità di far valere un diritto era riferita alla possibilità legale, escludendo che gli impedimenti di fatto, diversi da quelli previsti per legge, potessero incidere sulla decorrenza del termine di prescrizione.

La prescrizione inizia dunque a decorrere dalla conclusione del contratto intesa come momento a partire dal quale sorge la possibilità legale di far valere il diritto, fatti salvi eventuali impedimenti.

Quanto agli impedimenti, sulla base della predetta relazione del Guardasigilli, quelli di fatto non previsti per legge sarebbero irrilevanti per la prescrizione che quindi decorre a prescindere dagli stessi. Nulla è detto nella relazione sugli impedimenti di diritto, benché vi sia, da un lato, un riferimento evidente a questi ultimi laddove viene richiamata la possibilità legale di far valere il diritto e, dall'altro, la espressa esclusione degli impedimenti di fatto. Sulla base di tale considerazione e tenuto conto di quella che era l'interpretazione largamente prevalente anche prima dell'entrata in vigore dell'attuale codice civile, nonché dell'orientamento della giurisprudenza appresso indicato, sembra corretto ritenere che in presenza di un impedimento di diritto, non vi sarebbe la possibilità legale di far valere il diritto e, conseguentemente, la prescrizione non potrebbe cominciare a decorrere.

A conferma di quella che sembra essere la volontà del Legislatore del 1942, vale richiamare l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità e di merito che si è andato formando e secondo il quale “far valere un diritto” andrebbe interpretato come possibilità legale di esercitare il diritto, individuando gli impedimenti all'esercizio del diritto ritenuti rilevanti ai fini del decorso del termine di prescrizione nella condizione sospensiva non ancora verificatasi (Cass. 10.3.1980, n. 1582) e nel termine per l'adempimento non ancora scaduto (Cass. 1/4/1995,n. 3824 secondo la quale “…deve escludersi la decorrenza della prescrizione fino alla scadenza di quel termine perché non è configurabile, fino ad allora, una inerzia del creditore nell'esercizio del suo diritto”).

La giurisprudenza ha così confermato ripetutamente (da ultimo Cass. Civ. 07/05/2020, n. 8640) il principio generale secondo il quale "condizione necessaria e sufficiente perché la prescrizione decorra è che il titolare del diritto, pur potendo esercitarlo, si astenga da tale esercizio sicché, anche quando il termine acceda al diritto di credito da far valere, la prescrizione decorre anche quando il diritto non sia esigibile per la mancata fissazione del tempo dell'adempimento, potendo il creditore ricorrere al giudice per la fissazione di un termine, ai sensi dell'art. 1183 c.c., comma 2, (ex multis, Cass. 19/11/2010, n. 23457; Cass. 19/06/2009, n. 14345, Cass. 10/12/2001, n. 15587; Cass. 6209/1999; Cass.03/06/1997,n. 4939; Cass. 14/03/1086, n. 1731) … è stato infatti affermato (tra le tante Cass. n. 21495 del 07/11/2005) che l'impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art.2935c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art.2941c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione…”(Cass.10.9.2007, n. 19012; Cass. 22.6.2007, n. 14576; Cass. 22.6.1990, n. 6278, in Foro italiano, 1992, I, 1892; Trib. Roma 02.03.2020, n. 4506; Trib. Palermo 30.07.2020, n. 2433).

Per quanto attiene all'impedimento di fatto ed alla sua individuazione in concreto, la giurisprudenza ha ripetutamente richiamato il consolidato principio di diritto secondo il quale l'impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935, è solo quello che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l'esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (da ultimo Cass. Civ. 24.05.2021, n. 14193; Cass. Civ. 31.07.2019, n. 20642; Cass. Civ., 26.05.2015, n. 10828; Cass. Civ. 21026/2014;Cass. Civ. 14163/2011; Cass. Civ. 15991/2009) ovvero ulteriori elementi atti ad incidere sul lato passivo del rapporto e non sull'esercizio del diritto (Cass. Civ. 13.03.2014,n. 5869).

Altro elemento centrale della disciplina della prescrizione introdotta dal Legislatore del 1942 è la certezza del diritto perseguita mediante l'introduzione di regole tassative e termini non soggetti a possibili dilatazioni, fatte salve le circostanze tassativamente indicate dagli istituti della sospensione e della interruzione.

Quanto alla interruzione ed alla sospensione del termine di prescrizione, va precisato che si tratta di eccezioni tassative applicabili alle fattispecie espressamente indicate dalle norme di riferimento. Si tratta, pertanto, di istituti che non possono essere oggetto di applicazione in via analogica.

La sospensione della prescrizione consiste, come è noto, nel rinviare la decorrenza iniziale del termine o nel sospendere un termine che ha già avuto inizio.

Si tratta sostanzialmente di una parentesi temporale di cui non si tiene conto ai fini del calcolo del termine di prescrizione. Essa opera a fronte di determinate e tassative cause giustificative elencate dagli artt. 2941 e 2942 c.c. In particolare, l'art. 2941 c.c. prevede otto cause di sospensione che trovano la loro giustificazione nell'esistenza di particolari rapporti tra la parti, mentre l'art. 2942 c.c. prevede esclusivamente due cause di sospensione basate su una particolare condizione del titolare (minori non emancipati e interdetti per infermità di mente e, per i militari in servizio e le persone appartenenti alle forze armate per il tempo indicato dalle leggi di guerra).

L'interpretazione tassativa delle cause di sospensione ha portato ad escludere un'applicazione analogica dell'istituto. Per tale motivo è stata esclusa l'applicazione della sospensione al caso di ignoranza incolpevole del titolare del diritto ovvero in generale ai casi di impossibilità di fatto di esercitare un diritto da parte del titolare anche per causa di forza maggiore.

Altro istituto che incide sul termine di prescrizione è l'interruzione disciplinata dagli artt. 2943- 2945 c.c. Come è noto, l'interruzione del termine di prescrizione determina l'inizio di un nuovo termine di prescrizione che non tiene conto di quello già decorso.

Le cause di interruzione della prescrizione sono disciplinate tassativamente dagli artt. 2943-2945c.c. ed hanno riguardo sia a comportamenti assunti dal creditore che dal debitore.

Il titolare del diritto può interrompere il decorso del termine di prescrizione attraverso un atto con il quale mette in mora il debitore. Esso può avere natura giudiziale o stragiudiziale. L'interruzione può dunque essere declinata in una richiesta stragiudiziale di pagamento scritta rivolta al debitore (art. 1219 c.c.) ovvero in un atto giudiziario con il quale viene incardinato un processo di cognizione, conservativo o esecutivo ovvero ancora in una domanda riconvenzionale spiegata nell'ambito di un processo incardinato dal debitore. In caso di interruzione della prescrizione in forza di un atto giudiziale gli effetti della stessa hanno durata per tutto il processo e dunque sino a quando non passa in giudicato la sentenza che definisce il processo stesso (art. 2945 c.c.).

Assume lo stesso effetto interruttivo della prescrizione il riconoscimento espresso del diritto da parte di colui contro il quale lo stesso diritto può essere fatto valere (art. 2944 c.c.). Il riconoscimento del diritto utile alla interruzione del termine di prescrizione è un atto giuridico in senso stretto che non ha natura negoziale né carattere recettizio. Esso deve provenire dal soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto, deve essere volontario, consapevole ed inequivoco.

La prescrizione nel fallimento

La prescrizione del diritto di credito nel fallimento è disciplinata dall'art. 94 l.fall. rubricato “Effetti della domanda”, il quale recita “La domanda di cui all'articolo 93 produce gli effetti della domanda giudiziale per tutto il corso del fallimento”.

Detta norma attribuisce quindi alla domanda di ammissione al passivo i medesimi effetti dettati dagli artt. 2943 e 2945 comma 2 per la domanda giudiziale. Effetti che, dunque, sono estesi per tutta la durata del procedimento fallimentare e quindi dalla data di deposito della domanda ex art. 93 l. fall. alla data di chiusura del fallimento. Con la chiusura del fallimento inizierà pertanto a decorrere un nuovo termine di prescrizione.

L'effetto interruttivo della prescrizione si estende agli interessi quale componente accessoria del credito. Più in particolare, si estende sia agli interessi maturati ante dichiarazione di fallimento che a quelli maturandi nel corso della procedura fallimentare, questi ultimi immediatamente esigibili se afferenti ad un credito assistito da prelazione ovvero azionabili solo dopo il ritorno in bonis della debitrice se afferenti ad un credito chirografario (recentemente Cass.19.6.2020, n. 11983; Cass.19.4.2018, n. 9638).

La dichiarazione di fallimento non produce, pertanto, alcun effetto automatico sul termine di prescrizione. L'art. 94 l.fall. sembra ricondurre l'effetto interruttivo della prescrizione alla mera presentazione della domanda di ammissione al passivo a prescindere dall'esito della stessa, legittimando così una lettura della norma secondo la quale l'effetto interruttivo si produrrebbe anche in caso di rigetto della domanda. Se, infatti, da un'interpretazione letterale non sembrerebbe sussistere alcuna differenza, quanto agli effetti interruttivi della prescrizione, tra domanda accolta e domanda rigettata, qualora invece focalizzassimo l'attenzione sulla ratio della norma si potrebbe giungere a conclusioni diverse.

Invero, se la ratio dell'art. 94 l.fall. è quella di riprodurre nel fallimento la stessa disciplina dettata per il processo civile operando così un parallelo tra domanda giudiziale e relativo processo introdotto, da un lato, con domanda di ammissione al passivo, e procedimento fallimentare, dall'altro, la disciplina di riferimento anche per il fallimento dovrebbe essere quella dettata dagli artt. 2943 e 2945. È vero che l'art. 94 l.fall. non opera un espresso richiamo agli artt. 2943 e 2945, ma è anche vero che il riferimento alla domanda giudiziale non può che essere interpretato come rinvio alla disciplina codicistica. In tale prospettiva, non si può ritenere indifferente l'esito della domanda di ammissione al passivo ai fini della prescrizione del credito. Si potrebbe dunque ritenere che qualora la domanda di ammissione al passivo sia rigettata e la relativa decisione non sia opposta ex art. 98 l.fall., non troverebbe applicazione l'art. 94 l.fall., ma troverebbe applicazione l'art. 2943 nella parte in cui attribuisce alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo della prescrizione. L'applicazione della disposizione da ultimo richiamata nell'ambito della procedura fallimentare dovrebbe condurre a riconoscere effetto interruttivo alla domanda di ammissione al passivo, con la conseguenza che il termine di prescrizione del diritto azionato, interrotto a seguito della presentazione della relativa domanda, tornerebbe a decorrere per intero dal deposito della domanda stessa o al più dalla data di esecutorietà dello stato passivo che ha decretato il rigetto.

Qualora invece venisse proposta opposizione ex art.98 l.fall. si dovrebbe applicare la disposizione dettata dall'art. 2945, comma 2, secondo la quale la prescrizione è interrotta e non decorre sino a quando non passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio di opposizione. Sicché, qualora il giudizio ex art. 98 l.fall. dovesse concludersi con il rigetto definitivo, il termine di prescrizione inizierebbe a decorrere per intero dal passaggio in giudicato della decisione.

Qualora invece il giudizio di opposizione dovesse concludersi con l'ammissione al passivo, riprenderebbe piena applicazione l'art. 94 l.fall. con conseguente sospensione del termine di prescrizione sino alla chiusura del fallimento.

Dalle considerazioni sopra svolte consegue che, nel caso in cui la domanda sia rigettata e non opposta ovvero rigettata all'esito del giudizio di opposizione ex art. 98 l.fall., non dovrebbe trovare applicazione l'art. 94 l.fall. e pertanto il tema della interruzione dei termini di prescrizione sembra riproporsi, essendo onere del creditore interrompere il termine nei confronti del debitore fallito al fine di esercitare il diritto di credito ove mai quest'ultimo dovesse tornare in bonis.

La prescrizione nel concordato preventivo

Il dilatarsi dei termini di adempimento dei piani di concordato preventivo, soprattutto in quelli aventi natura liquidatoria, sta ponendo sempre con maggiore forza il tema della prescrizione dei crediti.

Nel procedimento di concordato preventivo l'unica disposizione dedicata alla sospensione del termine di prescrizione è costituita dall'art. 168 l.fall., il quale prevede che: “… i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano”.

Il condizionale “sarebbero” utilizzato nel secondo comma sembra richiamare gli effetti delle azioni esecutive e cautelari nei confronti di una società in bonis per poi estenderli alla società in concordato. In altri termini sembra che la disposizione in esame possa essere letta come di seguito: “Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti [nel caso in cui la debitrice fosse in bonis] rimangono sospese e le decadenze non si verificano [nel caso in cui la debitrice è sottoposta alla procedura di concordato preventivo]”.

Pertanto, l'azione esecutiva o cautelare introdotta dal creditore concorsuale, ancorché sanzionata con la nullità (ovvero con la improcedibilità come stabilito dalla Cassazione con sentenza 22.12.2015, n. 25802 e di merito, tra le altre, con la sentenza 29.7.2020 del Trib. Roma), sospende la decorrenza del termine di prescrizione per tutta la durata del procedimento di concordato (Cass. 20.11.2018,n. 29982).

Sempre con riferimento all'art. 168 l.fall., va evidenziato che il divieto disposto da tale ultima norma è limitato alle azioni esecutive e cautelari nei confronti del debitore, ma non anche a quelle di accertamento e di condanna (Cass. Civ. 5.8.2021, n. 20889), posto che, a fronte di un concordato omologato, se pure dovesse intervenire una sentenza di condanna del debitore, la liquidazione concordataria sarebbe comunque chiamata a rispondere nei limiti della proposta e del piano di concordato omologati stante il vincolo dettato dall'art. 184 l.fall.

Quanto al limite temporale di applicazione del divieto dettato dall'art. 168 l.fall., l'orientamento largamente prevalente della giurisprudenza di legittimità e di merito (Trib. Venezia 4.8.2017,n.1867; Trib. Reggio Emilia 24.6.2015; Trib. Reggio Emilia 6.2.2013, n. 216; Trib. Siracusa 11.11.2011, in Fall., 2012; Trib. Sulmona, 27.02.2008; Cass.12.1.2007, n. 578) è teso ad estenderlo, in forza dell'art. 184 l.fall., fino alla completa esecuzione del concordato preventivo omologato. Sicché il divieto alle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore da parte del creditore concorsuale dettato dall'art. 168 l.fall. deve ritenersi sussistente, non solo durante la procedura di concordato preventivo, come espressamente indicato, ma anche successivamente nel corso dell'esecuzione del concordato in forza del vincolo conseguente all'omologazione dettato dall'art.184l.fall..

Più in generale, aldilà delle ipotesi di azioni esecutive o cautelari, il tema della prescrizione dei crediti nel concordato preventivo resta un tema sul quale, nonostante l'orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità, vi sono discussioni ancora aperte su questioni specifiche quali la decorrenza del termine di prescrizione e la rilevanza degli impedimenti.

Sulla questione della decorrenza della prescrizione delle obbligazioni pecuniarie nel concordato preventivo ed in particolare sull'applicazione dell'art. 2935, va osservato che, sulla base di una interpretazione letterale e sistematica, detta ultima norma sembra destinata a disciplinare esclusivamente l'inizio della decorrenza del termine di prescrizione e non anche gli eventi successivi. Del resto, come meglio spiegato nel capitolo dedicato ai brevi cenni sulla prescrizione, l'art. 2935 viene introdotto nel nostro ordinamento con il codice civile del 1942 al fine di stabilire con precisione l'inizio della decorrenza della prescrizione e nel contempo conferire alla disciplina generale dell'istituto un maggior grado di certezza dei termini.

Se, pertanto, l'art. 2935 trova applicazione soltanto nella individuazione del momento iniziale del termine di prescrizione, una volta cominciato a decorrere il termine di prescrizione qualsiasi circostanza o impedimento successivamente intervenuti dovrebbero essere apprezzati esclusivamente come idonei o meno a sospendere o interrompere il termine di prescrizione. Ed allora gli impedimenti di cui si dovrebbe tener conto ai fini dell'art. 2935 dovrebbero essere soltanto quelli che nascono insieme al diritto, ossia quelli che hanno la medesima genesi del diritto al quale si riferiscono e che precludono l'inizio della decorrenza del termine di prescrizione. Il riferimento potrebbe essere, ad esempio, alla condizione sospensiva piuttosto che al termine di adempimento sorti unitamente al diritto al quale si riferiscono, ma non anche a quelli sorti successivamente al diritto e quindi quando il termine di prescrizione è già iniziato a decorrere. Per tali impedimenti successivamente intervenuti l'idoneità ad incidere sul termine di prescrizione andrebbe valutata con riferimento alle cause di sospensione ed interruzione.

A rigore, dunque, l'art. 2935 non dovrebbe trovare applicazione per la gran parte dei diritti di credito coinvolti nel procedimento di concordato preventivo, atteso che gli stessi risultano generalmente esigibili e comunque già esercitati dai rispettivi creditori in via giudiziale o stragiudiziale. Il concordato preventivo finirebbe così per dover essere eventualmente apprezzato come un impedimento sopravvenuto da valutare ai fini di una possibile applicazione degli istituti della sospensione e della interruzione.

Al riguardo, l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cass. Civ. 20889/2021; 20642/2019; 29982/2018) esclude l'applicazione dell'art. 2935 nel concordato preventivo qualificando detta procedura come un impedimento di fatto e non di diritto. Più in particolare la Suprema Corte ha affermato univocamente il principio secondo il quale l'ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo con cessione dei beni non costituisce un impedimento giuridico per il creditore a far valere il proprio diritto, essendo sempre consentito allo stesso promuovere un giudizio di accertamento o di condanna.

Recentemente, con la sentenza n. 20642 del 31.7.2019 (confermata dalla sentenza n. 20889 del 5.8.2021) la Corte di Cassazione ha infatti precisato che “… secondo il consolidato indirizzo di questa Corte l'art. 2935 c.c., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce esclusivamente alla possibilità legale dell'esercizio del diritto, che deriva da cause giuridiche ostative all'esercizio del diritto stesso e non all'impossibilità di fatto nella quale venga a trovarsi il titolare del diritto (Cass., Sez. U., 19012/2007). Ciò posto, l'ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo con cessione dei beni (sia o meno previsto un termine per l'adempimento) non costituisce un impedimento giuridico per il creditore a far valere il proprio diritto, non essendovi alcun ostacolo a formulare nei confronti della debitrice in concordato istanze, solleciti ed atti cautelativi di costituzione in mora; non può infatti ritenersi che a seguito dell'ammissione alla procedura e nel corso della stessa la società sia liberata dall'obbligo di pagamento dei propri debiti. Ed invero, pur avendo il concordato (omissis) natura liquidatoria, l'effetto liberatorio per il debitore si sarebbe determinato solo con l'adempimento integrale delle obbligazioni a suo carico. Risulta inoltre irrilevante il fatto che il concordato in oggetto non prevedeva un termine per l'adempimento: tale circostanza non muta i termini della questione atteso che, in ogni caso, in pendenza della procedura di concordato preventivo la pretesa creditoria poteva essere cautelativamente fatta valere dal creditore mediante gli ordinari atti di messa in mora nei confronti del debitore, non essendovi dunque alcuna causa giuridica ostativa all'esercizio del diritto…”

Sempre sulla qualificazione del concordato come impedimento di fatto e non di diritto, a supporto del principio di diritto sopra indicato, vale richiamare quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 5869/2014) secondo il quale gli impedimenti del debitore vanno qualificati come impedimenti soggettivi, incidendo sulla titolarità passiva del rapporto e non sulla possibilità di esercizio del diritto. Si tratta di un principio che nel concordato preventivo sembra trovare un riferimento diretto all'incapienza patrimoniale del debitore quale impedimento soggettivo di fatto. Invero, in forza di tale principio sembra trovare maggiore vigore la qualificazione del concordato preventivo come impedimento di fatto e non di diritto. L'impedimento conseguente alla presentazione del concordato preventivo costituisce un impedimento di fatto e non di diritto perché riguarda una limitazione patrimoniale del debitore, ma non preclude l'esercizio del diritto da parte del creditore.

Del resto, una delle prerogative tipiche delle procedure concorsuali (cfr. art. 51 l.fall. nel fallimento; art. 168 l.fall. nel concordato preventivo; art. 201 l.fall. nelle liquidazioni coatte amministrative; art. 48 D.Lgs. n. 270/1999 nelle amministrazioni straordinarie) è la protezione del patrimonio del debitore attraverso una disciplina tesa ad impedirne l'aggressione da parte dei singoli creditori. Ciò al fine di consentire agli organi della procedura di garantire il soddisfacimento paritario delle ragioni di tutti i creditori rimasti insoddisfatti. La portata precettiva della normativa in esame costituisce, infatti, il presupposto di base per la cristallizzazione del patrimonio del debitore conseguente all'apertura della procedura concorsuale ovvero alla presentazione del ricorso per concordato preventivo, impedendo ai singoli creditori iniziative individuali tese al soddisfacimento delle proprie ragioni creditorie in spregio a quelle della massa dei creditori. Tutto ciò è fondato sul presupposto di fatto che il patrimonio del debitore sia incapiente. La normativa a tutela del patrimonio del debitore incapiente deriva quindi da una situazione di fatto costituita dalla incapacità patrimoniale soggettiva del debitore di soddisfare integralmente le ragioni dei propri creditori. Si tratta dunque di una situazione che di fatto impedisce la realizzazione del diritto di credito ma non impedisce l'esercizio dello stesso. Come già visto sopra, è pacifico che il creditore concorsuale possa agire nei confronti del debitore con un'azione di accertamento del diritto o anche di condanna. Sicché l'impedimento che si riflette sul creditore concorsuale, a seguito della presentazione di una domanda di concordato preventivo da parte del suo debitore, non investe l'esercizio del diritto, ma soltanto la possibilità di realizzare in concreto il diritto di cui è portatore. Impedimento che trova pertanto la sua ragione nella particolare situazione soggettiva del debitore ovvero nel vincolo di destinazione che viene imposto al suo patrimonio con la omologazione del concordato, posto che il debitore resta tale per l'intero suo debito e alle condizioni e termini previste dal contratto fonte dell'obbligazione fino a quando non viene data puntuale esecuzione al piano e alla proposta di concordato omologati.

Sulla base dell'orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità è, pertanto, possibile sostenere che il titolare di un diritto di credito nei confronti di un soggetto sottoposto alla procedura di concordato preventivo è tenuto ad interrompere i termini di prescrizione secondo le modalità e gli strumenti indicati dagli artt. 2943-2945. Evidentemente si tratta di strumenti che il creditore deve attivare nei confronti del debitore e non del liquidatore giudiziale il quale, non disponendo del diritto (l'imprenditore in concordato, pur se soggetto allo spossessamento attenuato correlato all'omologa della domanda di concordato, rimane titolare delle proprie posizioni giuridiche) non potrebbe riconoscere l'altrui credito, né essere legittimato a ricevere efficacemente atti interruttivi della prescrizione provenienti dal creditore.

Nel corso della procedura ed anche successivamente alla conclusione della stessa a seguito dell'omologazione, il creditore concorsuale può dunque esercitare il proprio diritto non sussistendo alcun impedimento giuridico in tal senso.

In linea con l'orientamento appena indicato, la Corte di Cassazione (sentenza 28/10/2020, n. 23806) ha anche ritenuto legittima la cartella di pagamento notificata dall'Agenzia delle Entrate Riscossione al debitore in concordato, sebbene la stessa sia assimilabile all'atto di precetto.

Invero, oltre alle azioni di accertamento del credito o di condanna che risultano sempre possibili sia in corso di procedura che successivamente all'omologazione, sebbene l'azione esecutiva sul patrimonio destinato ai creditori concorsuali non potrà che essere dichiarata improcedibile ai sensi dell'art. 168, comma 1, l.fall., tuttavia anche detta azione risulta idonea a sospendere (interrompere) il termine di prescrizione (cfr. art. 168, comma 2, l.fall.). Del resto, diversamente da quanto avviene nel fallimento, in difetto di un richiamo espresso da parte dell'art. 169 l.fall., nel concordato preventivo non trovano applicazione gli artt. 42 e 43 l.fall. ed infatti si parla di “spossessamento attenuato” perché il debitore continua ad amministrare l'impresa, sebbene sotto il controllo del commissario giudiziale, e deve quindi porre in essere ogni azione che l'ordinamento mette a sua disposizione per proteggere il patrimonio da aggressioni di singoli creditori opponendosi alla vendita di beni e all'assegnazione di crediti.

L'orientamento della giurisprudenza di legittimità e le considerazioni sopra svolte non sono risultate esenti da critiche da una parte della dottrina. Muovendo dal concetto di prescrizione fondato sulla inerzia del creditore e non più sulla mera decorrenza del tempo, sono state formulate delle critiche all'orientamento della giurisprudenza di legittimità nella parte in cui non avrebbe adeguatamente apprezzato la insussistenza dell'inerzia in capo al creditore che abbia accettato la proposta di concordato e che, successivamente alla omologazione, sia rimasto in attesa del pagamento del proprio credito. Vi sarebbe da parte della giurisprudenza una pretesa sottovalutazione del profilo soggettivo declinato nell'affidamento incolpevole che il creditore avrebbe riposto nella esecuzione del concordato preventivo omologato; ciò con la consapevolezza che, in ogni caso, dopo la presentazione del concordato non avrebbe potuto recuperare il proprio credito mediante azioni esecutive individuali ma anche che l'esecuzione del concordato è affidata ad un liquidatore giudiziale sotto il controllo del giudice delegato e del commissario giudiziale nominato dal tribunale. Si verrebbe dunque a formare in capo al creditore concorsuale un affidamento incolpevole rafforzato dalla garanzia di legalità assicurata dal tribunale.

Si tratta di una critica che, sebbene suggestiva, non sembra avere un solido fondamento normativo, risultando poco agevole trovare un appiglio normativo a supporto della stessa nell'ambito della tassativa disciplina codicistica sulla prescrizione. Del resto, riprendendo le argomentazioni sopra già sviluppate, l'art. 2935 non risulta poter trovare applicazione sia perché il concordato preventivo costituisce un impedimento successivo all'inizio della prescrizione sia perché si tratta di un impedimento che non preclude la possibilità legale del creditore di agire, giudizialmente o stragiudizialmente, nei confronti del debitore sottoposto a concordato preventivo. Né sembra apprezzabile l'affidamento del creditore e quindi la mancanza di inerzia, sotto il profilo della sospensione o interruzione della prescrizione, attesa la natura tassativa delle ipotesi disciplinate da tali ultimi istituti.

In aperto contrasto con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità sopra richiamato, una parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Roma ord. 7.7.2021; Trib. Roma 3.2.2021) ha sostenuto che durante la procedura di concordato preventivo il termine di prescrizione deve ritenersi sospeso perché il creditore non può esercitare il proprio diritto di credito, in forza del combinato dettato dagli artt. 168 e 184 l.fall., trovando così applicazione la disposizione dettata dall'art. 2935. Secondo tale orientamento la prescrizione inizia a decorrere quando il credito diventa esigibile ovvero quando lo stesso è oggetto di un piano di riparto dichiarato esecutivo. Detto orientamento, difficilmente condivisibile, si espone a tutti i rilievi e le considerazioni sopra svolte a supporto dell'orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità. Si tratta in estrema sintesi dei principi di diritto secondo i quali (i) l'art. 2935 non è applicabile al concordato preventivo sia perché teso a regolamentare solo l'inizio della prescrizione ma anche perché i creditori possono sempre far valere i loro diritti attraverso un ordinario giudizio di cognizione teso ad accertare esistenza, ammontare e natura del credito, pur rimanendo vincolati all'osservanza del concordato e dunque alle condizioni e termini dettati dal concordato omologato. (Cass. 13897/2010); (ii) il concordato preventivo non costituisce un impedimento di diritto idoneo ad incidere sulla decorrenza del termine di prescrizione; (iii) non si applicano al concordato preventivo gli istituti della interruzione e della sospensione.

Sotto altro profilo, ove mai si volesse ritenere che il concordato preventivo costituisca un impedimento di diritto questo non potrebbe che ritenersi sopravvenuto rispetto al momento in cui ha avuto inizio la decorrenza del termine di prescrizione stabilita dall'art. 2935. Quanto poi alla incidenza di un impedimento di diritto sulla decorrenza del termine di prescrizione, si riscontrano non poche difficoltà nella ricerca di un appiglio normativo atto a supportare una tale ipotesi. Invero, seppure il concordato preventivo sia qualificato come un impedimento di diritto, si tratterebbe di un impedimento sopravvenuto, ossia sorto successivamente all'inizio della decorrenza del termine di prescrizione ed in quanto tale non avrebbe alcun supporto normativo, atteso che le cause di sospensione e gli atti interruttivi non prevedono l'ipotesi del concordato preventivo. Invero, gli artt. 2941–2945 non indicano il concordato preventivo tra le cause di sospensione o di interruzione, né risultano applicabili in via analogica all'ipotesi del concordato, stante la natura tassativa di tali disposizioni di legge. A tal riguardo la Cassazione (sentenza n.20642/2019) ha ripetutamente respinto il tentativo di applicare, in riferimento al concordato preventivo, la causa di sospensione dettata dall'art. 2941, n. 6, c.c. la quale prevede che “6) tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice alla amministrazione altrui e quelle da cui l'amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato definitivamente il conto;” motivando come di seguito: “…Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, le cause di sospensione della prescrizione ex art. 2941 c.c., si riconnettono a situazioni di impossibilità di fatto, o comunque di difficoltà ad esercitare il diritto, in ragione di particolari rapporti tra le parti; rapporti che, nel caso del n. 6 della norma si caratterizzano per l'essere i beni di una parte amministrati dall'altra in virtù di una disposizione di legge o di un provvedimento del giudice.

La giurisprudenza della Corte è ferma nel ritenere che il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno "spossessamento attenuato", in quanto conserva, oltre alla proprietà, l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all'esecuzione del concordato; il liquidatore giudiziale nel concordato con cessione dei beni ha invece la legittimazione a disporre dei beni di proprietà del debitore al fine di attuare il piano concordatario (Cass. n. 4728/2008). Ciò in quanto la titolarità e l'esercizio dei poteri di amministrazione dei beni altrui nel concordato preventivo con cessione dei beni compete, nei soli limiti sopra indicati, non ai creditori, ma esclusivamente al liquidatore, il quale è tenuto ad osservare le direttive impartite dal Tribunale, ai sensi della L. Fall., art. 182, applicabile ratione temporis e non certo quelle dei creditori. Manca perciò il presupposto individuato dalla norma per la sospensione, in quanto i poteri di gestione di pertinenza del liquidatore non sono generali, ma finalizzati alla liquidazione dei beni oggetto della cessio bonorum; detti poteri sono diretti alla cura degli interessi dei creditori (come pure del debitore) ma sono svincolati dalla volontà dei soggetti interessati e rimessi invece alle determinazioni del Tribunale. La procedura di concordato preventivo mediante cessione dei beni ai creditori, com'è noto, comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni, nè dell'amministrazione ordinaria e della disponibilità dei medesimi, ma solo dei poteri di gestione, finalizzati alla liquidazione (Cass. n. 1520/2010; Cass. n. 3270/2009). Ne consegue che l'art. 2941 c.c., n. 6), non è applicabile estensivamente ai rapporti tra debitore e creditori del concordato preventivo, poichè la titolarità dell'amministrazione dei beni ceduti spetta esclusivamente al liquidatore, il quale la esercita non in nome o per conto dei creditori concordatari, ma nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale, secondo la L.Fall., art. 182, nel testo vigente "ratione temporis" (anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 169/2007), (Cass. 5663/2019)” (orientamento della Cassazione confermato dalla sentenza n.20889/2019) Quanto all'applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c. la Corte di Cassazione ha escluso che il decreto di omologazione come la domanda di omologazione possano costituire cause di interruzione del termine di prescrizione non essendo qualificabili come riconoscimenti di debito.”

Il creditore è dunque tenuto ad interrompere i termini di prescrizione con gli strumenti dettati dagli artt. 2943 e 2945 c.c., per quanto riguarda invece il debitore appare utile verificare se vi siano atti o documenti presentati da quest'ultimo nell'ambito della procedura di concordato preventivo idonei ad interrompere i termini di prescrizione. In tale direzione merita particolare attenzione l'art. 2944 che disciplina l'interruzione della prescrizione per effetto del riconoscimento del debito da parte di colui contro il quale il diritto può essere fatto valere. Occorre dunque verificare se vi siano atti o documenti depositati in tribunale dal debitore che possono configurare un riconoscimento di debito. In tale prospettiva, sembra che l'elenco dei creditori (previsto dall'art. 161, comma 2, lett. b, l.fall.) possa essere considerato, ai sensi dell'art. 2944, come un riconoscimento di debito (Trib. Benevento 19 luglio 2018; Trib. Piacenza, 25 novembre 1997; Trib. Sulmona, 12 aprile 2002), atteso che lo stesso riporta il nominativo, l'importo e la natura giuridica (privilegiato o chirografario) come risultanti dalle scritture contabili della società in concordato. Con un margine di opinabilità senz'altro maggiore, si potrebbe anche indicare il ricorso per omologazione come un riconoscimento di debito, facendo espresso richiamo anche al passivo concorsuale e dunque indirettamente all'elenco dei creditori. Esiste infatti un margine di opinabilità rilevante nel configurare il ricorso per omologazione come riconoscimento di debito, dettato dalla circostanza che, sotto il profilo formale, detto ricorso non è generalmente firmato dal debitore il quale si limita a rilasciare una procura alle liti e, sotto il profilo sostanziale, il giudizio per omologazione ha per oggetto un controllo di legalità e non di merito del procedimento di concordato.

Al riguardo, con la sentenza 20642/2019 la Corte di Cassazione ha infatti stabilito: “…priva di efficacia interruttiva è la domanda di omologazione svolta dalla società debitrice, atteso che, come già evidenziato, tale domanda non può qualificarsi come atto di riconoscimento del credito. E' quindi irrilevante il comportamento processuale adottato e le conclusioni precisate dal debitore nel giudizio di omologazione del concordato, atteso che detto giudizio non ha ad oggetto l'accertamento dell'esistenza e consistenza del passivo concordatario, ma la sussistenza delle condizioni di cui alla L. Fall., art. 180…”.

Sembra invece potersi escludere che il decreto di omologazione possa segnare l'inizio di un nuovo termine di prescrizione, atteso che lo stesso non produce alcun effetto di accertamento sostanziale nei confronti dei creditori ammessi e, tantomeno, comporta la formazione di un giudicato sulla esistenza, ammontare e natura del credito (Cass. 13897/2010).

Il termine di prescrizione dovrebbe pertanto ritenersi interrotto con il deposito del ricorso ex art. 161 l.fall. e, conseguentemente, a partire dalla data di presentazione del ricorso ex art. 161 l.fall. dovrebbe iniziare a decorrere per il creditore un nuovo termine di prescrizione, fatte salve le iniziative poste in essere dai creditori in forza degli artt. 2943 e 2945.

La prescrizione nella liquidazione coatta amministrativa

Al pari della dichiarazione di fallimento e del decreto di apertura della procedura di concordato preventivo anche il decreto ministeriale di apertura di una liquidazione coatta amministrativa non produce alcun effetto automatico sulla prescrizione. Soltanto la presentazione della domanda di ammissione al passivo - proponibile senza che occorra attendere il deposito dello stato passivo da parte del commissario giudiziale - ovvero l'effettuazione di atti di messa in mora valgono ad interrompere la prescrizione fino alla chiusura della procedura concorsuale (Cass. 4209/2004; Cass. 17955/2003). Per quanto attiene alle domande di ammissione al passivo rigettate vale quanto già indicato al capitolo 2 sulla procedura fallimentare.

La prescrizione nell'amministrazione straordinaria

L'art. 53 d.lgs. 8.7.1999, n. 270 prevede espressamente che l'accertamento del passivo è disciplinato dagli artt. 93 ss. l.fall.

Vale pertanto anche per l'Amministrazione Straordinaria la disposizione dettata dall'art. 94 l.fall. secondo la quale la prescrizione del diritto di credito si interrompe con la domanda di ammissione al passivo e rimane sospesa per tutta la durata del procedimento. Nessun effetto automatico produce la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza sulla prescrizione.

L'orientamento della giurisprudenza di legittimità è consolidato nel ritenere che soltanto la presentazione della domanda di insinuazione del credito nel passivo fallimentare, equiparabile all'atto con cui si inizia un giudizio, L.Fall., ex art. 94, determina l'interruzione della prescrizione del credito medesimo, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, in applicazione del principio generale fissato dall'art. 2945, comma 2 (Cass. 16/05/2018, n.11966; Cass. 20/11/2002, n. 16380; Cass. 06/02/2002, n. 1586; Cass. 11/09/1997, n. 8990; Cass. 22/11/1990,n. 11269).

Per quanto attiene alle domande di ammissione al passivo rigettate vale quanto già indicato al capitolo 2 sulla procedura fallimentare.

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