Il fallimento della super-società di fatto e dei soci occulti

25 Febbraio 2022

La configurazione di una super-società di fatto richiede la prova, ricadente su chi la invochi, di un comune intento societario, percepibile all'esterno, al fine di esercitare un'attività economica volta alla produzione e distribuzione di utili.L'apertura del fallimento nei confronti della super-società di fatto presuppone l'accertamento, oltreché della cd. affectio societatis, dello stato d'insolvenza della medesima società, in ipotesi ricavabile anche in via presuntiva dall'insolvenza dei singoli soci occulti. Ai fini del fallimento della super-società di fatto non occorre accertare il superamento delle soglie di fallibilità e procedibilità dei singoli soci occulti, ex artt. 1-15 l. fall., trattandosi di estensione di procedura già aperta nei confronti della società.
Massime

La configurazione di una super-società di fatto richiede la prova, ricadente su chi la invochi, di un comune intento societario, percepibile all'esterno, al fine di esercitare un'attività economica volta alla produzione e distribuzione di utili.

L'apertura del fallimento nei confronti della super-società di fatto presuppone l'accertamento, oltreché della cd. affectio societatis, dello stato d'insolvenza della medesima società, in ipotesi ricavabile anche in via presuntiva dall'insolvenza dei singoli soci occulti.

Ai fini del fallimento della super-società di fatto non occorre accertare il superamento delle soglie di fallibilità e procedibilità dei singoli soci occulti, ex artt. 1-15 l. fall., trattandosi di estensione di procedura già aperta nei confronti della società.

Il caso

Il curatore di una società dichiarata fallita avanti al Tribunale di Ivrea chiedeva, ex art. 147, commi 4-5, l. fall. l'estensione del fallimento ad altre tre società, una s.r.l. ed una s.a.s. entrambe ancora in bonis ed una s.r.l. già dichiarata fallita nell'ambito di altro procedimento.

La domanda di estensione del fallimento era fondata sulla rilevata configurazione di una super-società di fatto fra le suddette società, tutte riconducibili ad un medesimo nucleo familiare ed operanti nello stesso settore merceologico (produzione e vendita di attrezzature per l'edilizia).

Secondo la curatela attorea sussistevano una serie di elementi idonei a far ritenere, in via presuntiva, l'esistenza di un esercizio in comune dell'attività economica finalizzata alla produzione e distribuzione di utili, secondo lo schema “causale” ex art. 2247 c.c. (contratto di società).

Le due imprese in bonis si costituivano in giudizio.

La s.r.l. eccepiva, oltre all'incompetenza del foro eporediese in favore di quello torinese, l'insussistenza dello stato di insolvenza in capo a sé medesima (la stessa era debitrice della curatela per euro centodiecimila, quale residuo corrispettivo di pregressi acquisti di merci).

La s.a.s., dopo avere eccepito la nullità dell'autorizzazione del G.D. a proporre il giudizio in oggetto stante la genericità delle relative motivazioni, oltreché l'inammissibilità dei documenti prodotti dalla curatela (solo) dopo la costituzione, rilevava la mancata integrazione delle soglie di fallibilità e procedibilità ex artt. 1 e 15, ultimo comma, l. fall.

Le questioni giuridiche trattate dal Tribunale di Ivrea

In sede di istruttoria pre-fallimentare, il Tribunale ha preliminarmente rilevato che la configurazione di una super-società di fatto richiede la dimostrazione, ricadente su chi la invochi, di un comune intento - percepibile all'esterno - volto ad esercitare un'attività finalizzata alla produzione e distribuzione di utili secondo il paradigma normativo ex art. 2247 c.c.

Assumono, a tal fine, rilevanza i seguenti elementi di fatto:

a) identità dello scopo sociale;

b) uso promiscuo dei medesimi mezzi di produzione;

c) compartecipazione/condivisione nelle obbligazioni aziendali;

d) coincidenza, anche parziale, degli oggetti sociali d'impresa;

e) correlazione di rapporti da cui sia desumibile lo svolgimento di un'attività comune.

Con queste premesse, il Tribunale di Ivrea ha dichiarato inammissibile l'istanza della curatela nei confronti della società già dichiarata fallita: l'estensione degli effetti del concorso ex art. 147 l. fall. presuppone che il soggetto nei cui confronti sia richiesto il fallimento sia in bonis.

La domanda non può essere svolta nei confronti di un soggetto in relazione al quale sia già pendente fallimento, ponendosi - al più -, fra le due procedure concorsuali, esigenze di raccordo da attuarsi tramite la cooperazione tra curatori in funzione della loro qualità di pubblici ufficiali.

Con riferimento alle due imprese in bonis, il Tribunale di Ivrea ha riconosciuto l'esistenza di una super-società di fatto fra le stesse e la società istante, dichiarando, per l'effetto, il fallimento delle due predette società, ex art. 147, commi 4-5, fall.

In particolare, quanto alla s.a.s., il Tribunale di Ivrea ha dapprima rigettato le eccezioni di nullità circa l'autorizzazione del GD a promuovere il giudizio (non vi era stata alcuna violazione del diritto di difesa in capo alla convenuta) e d'inammissibilità dei documenti prodotti dalla curatela solo in sede di memorie (rileva, ai fini in oggetto, il carattere deformalizzato ed officioso dell'istruttoria pre-fallimentare).

Quanto alle eccezioni circa la mancata integrazione delle soglie di procedibilità ex art. 15, ultimo comma, l. fall. e di fallibilità ex art. 1 l. fall., trattandosi di estensione di procedura già aperta, ai fini della dichiarazione di fallimento della super-società di fatto non occorre che tali soglie siano integrate in capo a ciascuna delle società partecipanti all'esercizio comune.

Rilevano, a tale riguardo, unicamente i presupposti vagliati dal foro concorsuale nell'ambito dell'istruttoria che abbia portato alla dichiarazione di fallimento della società: “il superamento delle soglie di fallibilità è in re ipsa nell'intervenuta declaratoria di fallimento della società […], alla quale è sotteso l'accertamento del superamento dei limiti dimensionali posti dall'art. 1 l. fall” (Trib. Bergamo, 5 dicembre 2018).

Circa il merito, il Tribunale di Ivrea ha ritenuto che gli elementi prodotti dalla curatela fallimentare denotino un quadro di obiettiva comunanza gestoria tra le tre società, tutte facenti capo ad un'unica famiglia, sussistendo inoltre le seguenti circostanze:

- stessa sede legale;

- identità soggettiva in ambito di compagine sociale ed organo di amministrazione;

- utilizzo in comune del capannone industriale, sede operativa d'impresa;

- simulazione del rapporto locativo ai fini di cui sopra (comodato dissimulato);

- commistione nel sostenimento dei costi di mantenimento dell'immobile;

- uso promiscuo anche di altri beni strumentali d'impresa.

Fra l'altro, la società in accomandita semplice risultava, a propria volta, insolvente, assumendo - tale circostanza - un peculiare rilievo quale “indizio” in funzione del più generale profilo d'insolvenza della super-società di fatto.

Con riferimento alla seconda società - la s.r.l. in bonis -, il Tribunale di Ivrea ha dapprima rigettato l'eccezione sull'incompetenza territoriale: per quanto la società ancora in bonis avesse sede a Torino, rileva, ai fini in oggetto, la competenza del tribunale che abbia dichiarato il fallimento della società (Cass. n. 4712/2021).

Circa la dedotta carenza - ove anche rilevante - del proprio stato d'insolvenza, la società convenuta risultava debitrice nei confronti del fallimento istante per un importo di euro centodiecimila, senza essere in grado, allo stesso tempo, di farvi fronte con mezzi propri.

A ciò si aggiungevano, da un lato, la struttura “minimale” della società convenuta (socio unico- stesso amministratore-zero dipendenti), inidonea a svolgere attività d'impresa senza l'ausilio delle altre partecipanti al comune scopo imprenditoriale, dall'altro, la concomitante sussistenza degli elementi di fatto indicati in precedenza con riferimento alla prima società in bonis.

Da ultimo, la s.r.l. poteva contare solo sui clienti della società istante: quest'ultima, venutasi a trovare in difficoltà finanziarie (mancanza di autonome linee di credito), si era determinata a vendere alla società in bonis i propri prodotti perché fossero dalla stessa commercializzati attraverso i suoi affidamenti ancora in essere (strumentalità finanziaria fra le due imprese).

Il paradigma dell'art. 147 l. fall., fra precetti giuridici e realtà economica

La “super-società” si pone nel solco del tema - classico - del cd. imprenditore occulto, ovvero la persona fisica o l'ente che si “ingerisca” in una o più società di capitali anche al fine di ottenere il beneficio della responsabilità limitata tipica della personalità giuridica.

Con le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 169/2007, le singole disposizioni contenute nell'art. 147 l. fall. sono divenute le norme di riferimento per contrastare gli abusi dell'utilizzo dello schermo societario.

L'art. 147, comma l, l. fall. dispone che la sentenza che dichiari il fallimento di una società in nome collettivo, di una società in accomandita semplice ovvero di una società in accomandita per azioni, produce il fallimento anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, pur se gli stessi non rivestano la natura di persone fisiche.

L'effetto dell'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili avviene, in via dipendente ed automatica: non è necessario che il socio rivesta la qualifica di imprenditore fallibile, né che lo stesso si trovi in stato d'insolvenza (Cass. n. 15596/2000).

Il fallimento in estensione ex art. 147, comma l, l. fall. si verifica anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili che rivestano la natura di società di capitali: è il caso delle società di capitali che acquisiscano una partecipazione al capitale di una società personale in violazione dell'art. 2361, comma 2, c.c.

Tale norma dispone, in ambito di s.p.a., che l'assunzione di una partecipazione comportante la responsabilità illimitata debba essere deliberata dall'assemblea; di tale partecipazione, gli amministratori devono poi dare compiuta informazione in nota integrativa al bilancio.

La mancanza della delibera non determina l'inefficacia e/o l'invalidità dell'acquisto della partecipazione, valendo, la norma ex ex art. 2361, comma 2, c.c., unicamente nell'ambito dei rapporti tra soci ed amministratori, non anche rispetto ai terzi (Cass. n. 366/2020).

Affinché l'art. 147, comma 1, l. fall. possa operare (estendendo il fallimento ad una società di capitali di fatto), occorre che vi sia una presupposta dichiarazione di fallimento della società personale cui sia collegata l'ipotizzata società di capitali.

La norma non consente di muovere dal fallimento di una società di capitali per “risalire” poi, in senso ascendente, ad un'ipotetica società di fatto.

Sotto questo profilo, l'art. 147, comma 1, non consentirebbe di attrarre a fallimento il socio occulto, né la super-società di fatto, se non dopo la dichiarazione di fallimento di una delle società commerciali ivi indicate (s.n.c., s.a.s., s.a.p.a.).

Il tema del fallimento del socio occulto è trattato dall'rt. 147, comma 4, l. fall.

Secondo tale norma, ove dopo la dichiarazione di fallimento di una società personale emerga l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il Tribunale, su istanza del curatore, dei creditori ovvero di uno o più soci della società fallita, dichiara l'apertura del concorso anche nei confronti dei “nuovi” soci illimitatamente responsabili.

Il fallimento del socio occulto, previa istruttoria pre-fallimentare ex art. 15 l. fall., rappresenta un procedimento autonomo rispetto a quello che riguarda il fallimento della società personale, trovando fondamento nell'esistenza di un vincolo societario, non esternalizzato, tra socio occulto e società palese.

La concreta esistenza del vincolo societario deve essere provata da colui che richieda il fallimento del socio occulto, su base documentale (che purtuttavia può essere suffragata da prove testimoniali).

Il tema del fallimento della società occulta è trattato dall'art. 147, comma 5, l. fall.

Tale norma, richiamando il precedente comma 4, dispone che se dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito sia socio illimitatamente responsabile, il Tribunale procede - in estensione - a dichiarare il fallimento anche della società di fatto.

Si ha una società di fatto quando, al di là della formale riferibilità dell'attività economica ad un singolo imprenditore, la gestione d'impresa sia nel concreto imputabile ad una società costituita fra i soci - ivi incluso l'imprenditore individuale - con l'intento di non rivelarne l'esistenza all'esterno.

Sotteso al funzionamento della società di fatto è lo scopo di circoscrivere la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio del singolo imprenditore, evitando, così, che delle obbligazioni aziendali rispondano tanto la società, quanto i soci.

Allargando la prospettiva alla cd. super-società di fatto, la stessa si concretizza quando una serie di soggetti - persone fisiche, società di persone, società di capitali, enti diversi - partecipino, di fatto, ad un'impresa societaria.

In un primo momento, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che ove uno dei soci sia dichiarato fallito - e poi sia accertata l'esistenza della super-società di fatto -, anche gli altri soci possano essere dichiarati falliti in via “automatica”, ex art. 147, comma 1, l. fall., senza necessità di accertare l'insolvenza della società, né dei soci occulti (Cass. n. 1095/2016).

Successivamente, la Cassazione ha ritenuto che se a seguito del fallimento di un imprenditore (anche societario) emerga l'esistenza di una super-società di fatto, la stessa può essere dichiarata fallita ove ne sia provata l'insolvenza; per l'effetto, sono dichiarati falliti i soci occulti, ex art. 147, comma 5, l. fall. (Cass. n. 9572/2018; Cass. n. 1095/2016).

Fra l'altro, si tratta di applicare il ricordato comma quinto dell'art. 147 in modo estensivo, dal momento che la norma fa espresso riferimento al solo “imprenditore individuale”, non già ad imprenditori che esercitino attività economica in forma societaria.

La Cassazione, sul punto, ha ritenuto che alla nozione di “imprenditore individuale” ex art. 147, comma 5, l. fall. vada in realtà attribuita, ratione temporis, valenza indicativa dello “stato dell'arte” con riferimento all'epoca in cui la norma fu concepita.

E che, pertanto, non possa esservi preclusione ad un'interpretazione estensiva, tenuto conto del mutato contesto nel quale la norma trova applicazione, adeguandone così “la portata in senso evolutivo, includendovi fattispecie non ancora prospettabili alla data della sua emanazione” (così, Cass. n. 10507/2016).

Sul tema, la stessa Consulta ha rilevato che l'applicazione estensiva “della disposizione in esame […] si è ormai consolidata in termini di diritto vivente per effetto di alcuni successivi e risolutivi interventi del giudice della nomofilachìa” (Corte Cost. n. 255/2017).

Del resto, con una scorsa al Codice della crisi d'impresa, l'art. 256, comma 5, D.Lgs. n. 14/2019 prevede che all'apertura della liquidazione giudiziale di una “società di fatto occulta” si possa pervenire non solo qualora l'originario concorso abbia riguardato un imprenditore individuale, ma anche qualora l'apertura del concorso abbia riguardato una società, quale ne sia il tipo e/o il modello.

Conclusioni

Per tirare le fila, l'indagine ai fini del fallimento della super-società di fatto ex art. 147, comma 5, l. fall. è volta ad accertare:

- l'esistenza di una super-società occulta alla quale sia concretamente riferibile l'attività dell'imprenditore già dichiarato fallito;

- l'esistenza dello stato d'insolvenza riferibile alla super-società, quale presupposto logico-giuridico dell'estensione del fallimento agli altri soci.

Sotto il primo aspetto (cd. affectio societatis), la prova dell'esistenza della super-società di fatto deve essere fornita da chi invochi l'estensione del fallimento, in via rigorosa, con elementi concorrenti e concreti.

Tale dimostrazione attiene al profilo del comune intento imprenditoriale perseguito dalla compagine sociale: lo stesso deve essere conforme all'interesse di tutti i soci, e non - piuttosto - ad alcuno di essi, circostanza, quest'ultima, che potrebbe essere assunta quale contro-prova da chi negasse l'esistenza della super-società di fatto.

Tale circostanza potrebbe invero costituire indizio dell'esistenza di una holding di fatto nei cui confronti il curatore fallimentare potrebbe agire in via risarcitoria, ex art. 2497 c.c.

Con riferimento al secondo aspetto, la sussistenza dello stato d'insolvenza assurge a presupposto - da accertarsi in sede d'istruttoria ex art. 15 l. fall. - del fallimento della super-società di fatto, dal quale poi derivano, per trascinamento, i fallimenti nei confronti dei soci occulti.

Come rilevato dal Tribunale di Ivrea, le condizioni di difficoltà finanziaria in capo ai singoli soci appartenenti alla super-società di fatto, pur non rilevando quali elementi determinanti in sé, possono assumere concorrente rilevanza “indiziaria” in funzione del richiesto presupposto dello stato d'insolvenza della super-società di fatto.

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