Comunione: spese di conservazione della cosa comune e diritto al rimborso

Redazione scientifica
25 Febbraio 2022

«In tema di spese di conservazione della cosa comune, l'art. 1110 c.c. esclude ogni rilievo dell'urgenza o meno dei lavori, stabilendo, piuttosto, che il partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell'amministratore, abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune (ossia per il mantenimento della sua integrità), ha diritto al rimborso, purché abbia precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti».

Il Tribunale condannava A.T., comproprietario di un appartamento insieme a D.C., al rimborso della metà delle spese sostenute da quest'ultima per la conservazione dell'immobile, destinato a casa familiare, ex art. 1110 c.c.

La Corte d'Appello riformava la sentenza di primo grado, ritenendo che la donna non aveva mai convocato l'assemblea dei comproprietari, ma aveva deciso ed attuato unilateralmente gli interventi edilizi da lei ritenuti necessari, escludendo del tutto il comproprietario dalla individuazione degli appaltatori e dalla contrattazione dei compensi.

La donna ricorre in Cassazione, lamentandosi, tra i vari motivi, del fatto che il comproprietario era stato informato della necessità di effettuare lavori, ma che, nonostante ciò, aveva rifiutato di eseguirli sul presupposto che l'immobile non si trovava in uno stato tale da doversi richiedere manutenzione.

Il ricorso è fondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che «in tema di spese di conservazione della cosa comune, l'art. 1110 c.c. esclude ogni rilievo dell'urgenza o meno dei lavori, stabilendo, piuttosto, che il partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell'amministratore, abbia sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune (ossia per il mantenimento della sua integrità), ha diritto al rimborso, purché abbia precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti, sicché, in caso di inattività di questi ultimi, egli può procedere agli esborsi e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpellati, incombendo su di lui soltanto l'onere della prova sia della suddetta inerzia che della necessità dei lavori» (Cass. civ., n. 20652/2013).

A riguardo, la Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, «sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione» (Cass. civ., n. 21015/2011).

Per questi motivi, la Corte cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello in diversa composizione.

Fonte: dirittoegiustizia.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.